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Autore: moira78    11/09/2018    5 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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Riassunto delle serie precedenti:

Dopo il terremoto che scuote Nerima e uccide Nodoka e Obaba, una serie di vicissitudini porta alla formazione di coppie più o meno annunciate: Ranma e Akane che, alla fine dell'ultima serie, stanno per convolare (finalmente) a nozze; Mousse e Shampoo, che decidono di abbandonare per sempre il villaggio in Cina con le sue regole assurde e, nonostante la ritrosia iniziale di quest'ultima, si sposano per ben due volte (la seconda è definitiva): nell'ultima scena Shampoo era alla fine di una gravidanza (oggi ha una bambina di circa 3 anni); Nabiki e Kuno, che in qualche modo formano una coppia in cui lei ama soprattutto la dote pecuniaria del Tuono Blu (???); Ryoga e Ukyo, che capiscono di essere simili e alla fine cadono uno nelle braccia dell'altra, a scapito della povera Akari che finirà su una sedia a rotelle per via del terremoto, perderà Ryoga definitivamente e tenterà persino il suicidio: alla fine sembrerà rassegnarsi e sarà di grande aiuto nella riunione tra il maialino e la cuoca di okonomiyaki; infine c'è Kasumi, che finalmente sposa il dottor Tofu 'grazie' a una spiacevole parentesi in cui una losca donna di nome Mayumi tenta di mettersi tra i due: la gelosia che coglie inaspettatamente la maggiore delle Tendo, avvicinerà i due che convoleranno a giuste nozze e metteranno al mondo due gemelli (che oggi devono compiere 5 anni).

Link a Destini intrecciati: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=130026&i=1
Link a Dove volano i miei desideri: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=637636&i=1

Cap. 1: DECISIONI E CONSAPEVOLEZZE.
 
Odiava quel pavimento a piastrelle blu. E, a ben pensarci, odiava anche quelle pareti color bianco sporco. Odiava quell’ospedale.

Ma perché ci mettono tanto?!

La dottoressa e la sua infermiera le avevano chiesto qualche minuto per preparare la stanza ma ne erano già trascorsi cinque e le sembravano interminabili. Picchiettò con le dita su un ripiano lì accanto e prese una rivista da sfogliare.

“Sempre più donne giapponesi decidono di avere il secondo figlio a pochi anni dal primo. Da un recente studio si è appreso che le mamme nipponiche desiderano dare al loro primogenito un fratellino o una sorellina entro circa tre anni per garantire loro un rapporto più equo dal punto di vista dell’età. Il gioco è una fase dell’infanzia…”.

“Oh, al diavolo!”, borbottò gettando via il giornale.

Anche la loro mamma le aveva date alla luce nel giro di pochi anni ma il tempo dei giochi per loro si era ridotto drasticamente quando lei era morta: Kasumi ne aveva preso il posto nonostante la giovane età, lei aveva cominciato a tenere i conti e Akane… beh, doveva essere l’erede a cui lasciare la palestra.
 
“Signorina Tendo Nabiki?”.


Alzò la testa di scatto, interrompendo il flusso dei suoi pensieri; con un cenno, l’infermiera la invitò a entrare. Si alzò ma le gambe le sembravano improvvisamente diventate di piombo.
 
Dormi e sogna, bimba mia, il monte Fuji veglia il mondo…
 
“Signorina Tendo, andiamo”, insisté la donna inarcando le sopracciglia.
 
Un passo, una goccia di sudore.
 
Chissà se lei ha mai avuto un figlio, col lavoro che fa.
 
Qualcosa le saettò dentro. Un’immagine. Anzi no, un vero e proprio flashback.
 
Dormi dormi, bella bimba, le lanterne son già spente…
 
Mia madre stava cantando una ninna nanna ad Akane appena nata ed è assurdo che io lo ricordi, visto che avevo solo un anno. Eppure…
 
Fai la nanna, dolce amore, il sole sorge in poche ore…
 
Non avrebbe mai dimenticato l’espressione dolce e amorevole nei suoi occhi; la stessa che aveva con lei e anche con Kasumi, nonostante fosse già più grandicella. Quindi perché non avrebbe potuto a sua volta essere in grado di amare un bambino?
 
Io non amo nessuno. O amo in un modo tutto mio, come mi disse mia sorella qualche anno fa.
 
“Signorina Te…”.

“Ci ho ripensato”, disse asciutta, cominciando a raccogliere la borsa e le cartelle mediche che aveva portato.
 
“Come dice?!”.
 
“Ha capito benissimo. Terrò il bambino”.
 
“Ma la dottoressa Saki…”.

“Le dica di fare l’ostetrica, sono certa che guadagnerebbe meglio: lo sa che sempre più donne giapponesi decidono di avere il secondo figlio a pochi anni dal primo?”. Accennò alla rivista sul tavolino.
 
“Il suo comportamento non è assolutamente…”.

Nabiki le si avvicinò fissandola con le sopracciglia corrugate in un’espressione irata. “Il motivo del mio comportamento non la riguarda. Buongiorno”. Girò i tacchi e uscì.
 
Quando si trovò sul viale dell’ospedale, con le spalle alla struttura e il cancello davanti a sé, le sembrò di rinascere; inspirò a fondo l’aria tiepida e sorrise.
 
Kuno dovrà sposarmi per forza quando saprà che aspetto un figlio suo. E allora diventerò ricca.
 
                                                                                              ***
 
Era rimasta qualche minuto in contemplazione di quell’insulso bastoncino di plastica rosa, fissando la lineetta blu come se potesse farne apparire una seconda con la sola forza del pensiero. Ma quella dannata linea era rimasta tale e quale a prima, unica e ostinata a segnare il suo risultato. Aveva sbuffato sonoramente, allargando le braccia e riavviandosi i capelli sulla fronte.
 
Me li devo tagliare, stanno crescendo di nuovo.
 
Ora doveva uscire da quel dannato bagno e prendersi le proprie res… un momento! Quali responsabilità?! Mica era colpa sua! Anzi, per quel che ne sapeva la colpa poteva essere benissimo di Ranma!

“Baka”, mormorò alla stanza, che le rispose  col rumore secco di una goccia che cadeva dal rubinetto del lavandino e si infrangeva sulla ceramica.
 
Insomma, non poteva rimanere là dentro tutto il giorno, no? Doveva decidersi a uscire, o prima o poi sarebbe arrivato qualcuno a bussarle.
 
“Akane, tutto bene? Hai bisogno di aiuto?”. Wow, che tempismo!
 
“No, Happosai, grazie!”, esclamò calcando sull’ultima parola come se stesse fisicamente pestando il vecchiaccio.
 
Certo, ho proprio bisogno di un nanetto lascivo come te nella stanza da bagno!
 
“Va bene, allora torno di là, non farci aspettare troppo!”, disse con un sorrisetto nella voce. Akane se lo figurava con gli occhietti brillanti di speranza e le manine rugose che si strofinavano per l’impazienza.
 
“Arrivo subito”, rispose a denti stretti, battendo un pungo sulla porta chiusa come se potesse allontanarlo. Poggiò la fronte sul legno freddo, la staccò e la sbatté piano una, due, tre volte, il pugno ancora incollato alla porta. Per lo meno se n’era andato, aveva udito chiaramente i passi allontanarsi.
 
Non c’era neanche una donna in casa.
 
Kasumi, ormai se n’era fatta una ragione, era sposata e con prole e non poteva tornare a casa tutte le volte per ogni piccola sciocchezza; i primi tempi lo aveva fatto, preoccupatissima di lasciare una casa che nessun altro sapeva accudire come lei e portava i suoi manicaretti in contenitori di metallo che giungevano come una manna nei disastri culinari suoi e, diciamocelo, di tutti gli altri componenti della famiglia. Nessuno cucinava come Kasumi, o meglio, nessuno aveva mai cucinato tranne lei: obbligarla a restare con la sua famiglia e non preoccuparsi era stato doloroso ma necessario e aveva portato a disastri vari che, col tempo, si erano ridimensionati. Ora ognuno faceva la sua parte meglio che poteva, con l’impegno e le limitazioni che ciò comportava.
 
Se almeno Nabiki fosse qui!
 
Non che la seconda delle Tendo avesse lo stesso spirito materno di Kasumi, anzi tutto il contrario. Ma sapere di dover tornare in quel salotto in cui erano riuniti Soun, Ranma, Happosai e Genma la faceva impazzire.
 
La realtà è che mi stanno spiando come al solito.
 
Almeno non lo stavano facendo di nascosto, palesando chiaramente il loro interesse per il risultato di quel maledetto affare di plastica. Prendendo il coraggio a due mani, Akane fece scorrere la porta sulle guide, aprendola e cercando di fare meno rumore possibile: la irritava saperli tutti con le orecchie pronte a cogliere ogni suo minimo spostamento. Percorse i pochi metri che la separavano dalla sala principale con le gambe pesanti e le sopracciglia corrugate e, troppo presto per lei, si ritrovò a fissare quattro paia di occhi che sembravano volerle scrutare fin nell’anima.
 
Ma guarda, pendono dalle mie labbra…
 
Tanto valeva dirglielo subito, senza tanti giri di parole, così si sarebbe tolta quel peso e sarebbe tornata alle sue occupazioni più leggere: “Mi dispiace, non sono incinta”, dichiarò freddamente e, prima di poter vedere le loro facce deluse o ascoltare i loro commenti di disapprovazione, si voltò e si diresse in camera sua.
 
                                                                                              ***
 
Solitamente le piaceva parlare con Kasumi: proprio perché erano ai poli opposti trovava in lei il giusto compromesso tra la pesantezza della vita e la spensieratezza delle cose semplici. Quella mattina però non sapeva se sarebbe stata in grado di essere una buona compagnia, né di assorbire da lei qualcosa di positivo: doveva raggiungere Tatewaki prima di esplodere.
                                                                                          
“Oh guardate, bambini, c’è la zia Nabiki!”, cinguettò felice. Nel giro di pochi istanti, era attorniata dai due gemelli urlanti e saltellanti.
 
Non ora, non proprio adesso…
 
“Oh, bene, vedo che hai smesso di metterli al guinzaglio!”, commentò con un sopracciglio alzato, tentando di apparire disinvolta.
 
Nessuno si è mai accorto dei miei pensieri.
 
“Oh, Nabiki, si chiama ‘camminatore’ ed è una fibbia che li aiuta a imparare a camminare senza cadere!”, protestò Kasumi avvicinandosi.
 
E a me va benissimo così.
 
“Kasumi… hanno quattro anni! Camminano benissimo da un pezzo”. Indicò i suoi scatenati figli e rimase a guardarli per un istante di troppo, evidentemente, perché la sorella le domandò:
 
“Stai bene? Ti vedo pallida”.
 
Oh, non è nulla, ho passato la mattinata china sul water per la nausea; sai, capita alle donne incinte, e meno male che non se n’è accorto nessuno! Oh, a proposito, stavo per abortire…
 
“Nabiki?”.
 
“Tutto bene, ho solo mangiato qualcosa che mi ha fatto male; da quando non ci sei più tu in cucina, Akane si diverte più del solito ad avvelenarci”.
 
Kasumi si accigliò e le pose una mano sulla fronte, non sembrava per niente convinta. Evidentemente da quando era madre aveva sviluppato una sorta di sesto senso micidiale.
 
“Febbre non ne hai ma la tua pelle è fredda e il colorito continua a non piacermi. Passa allo studio appena puoi, ti faccio visitare da Ono”. Il tono era serio e non ammetteva repliche nella sua disarmante gentilezza.
 
Cara, vecchia Kasumi, ti preoccuperesti così per me sapendo cosa stavo per fare?
 
Le prese delicatamente la mano, sorridendo rassicurante. Un impeto di tenerezza nei confronti di Kasumi le fece venire in mente che, forse, tra gli effetti collaterali della gravidanza c’erano i sentimenti smielati.
 
Povera me, non posso sopportare una cosa simile! Meglio il vomito.
 
“Sorella, quante volte mi hai visto davvero malata? Mai. Quindi non preoccuparti, me la caverò anche stavolta: le conseguenze della cucina di Akane non durano molto se sto attenta a quello che mangio”.
 
Kasumi annuì e prese fiato per dire qualcosa, ma fortunatamente venne interrotta da uno dei gemelli che le tirava la gonna e Nabiki provò, suo malgrado, qualcosa di molto simile all’affetto per il piccolo Daiki.
 
Odio gli ormoni.
 
“Mamma, sta succedendo di nuovo”, la informò preoccupato, indicando due figure familiari.
 
Bene, ci mancava solo questa. Oggi non riuscirò a combinare nulla.
 
“Ni-hao!”, salutò un’allegra Shampoo agitando una mano cerimoniosamente, mentre con l’altra teneva Misaki in braccio. La mise giù per correre loro incontro e si chiese quanto avesse cercato tra i nomi giapponesi per trovarle un nome azzeccato come quello. Significava ‘bellezza che sboccia’ e Nabiki, pur non amando affatto i bambini,
 
stavo per uccidere mio figlio
 
non poteva fare a meno di rimanere affascinata da quella mocciosetta dai lunghi capelli corvini e dagli occhi di un azzurro così intenso che ricordava alcune rare rose blu che aveva visto di rado.
D’altronde anche Kasumi non scherzava affatto in tema di nomi: l’altro gemello l’aveva chiamato Akio, ‘lucentezza del marito’, e se di lucente quel bambino aveva solo gli occhiali metallici che riflettevano il sole, di Tofu possedeva tutte le caratteristiche. Lo guardò irrigidirsi e poi cominciare a balbettare il nome di Misaki mentre le lenti gli si appannavano vistosamente. Daiki continuava a tirare la gonna alla madre per attirare la sua attenzione ma Kasumi si limitò a sorridere al figlio, rassicurandolo che Akio era solo innamorato e si diresse verso la cinese per salutarla.
 
Scelse quel momento per accomiatarsi. “Bene, ragazze, io vi lascio. Date un’ occhiata ai due fidanzatini, che non si scannino come l’altra volta”. In realtà era stato Akio l’unico a subire i maltrattamenti di un’indignata Misaki, reticente all’amore acerbo del bimbo.
 
“Oh, vai già via?”, domandò Kasumi fissandola preoccupata. “Sei sicura…?”.

“Sorella, sto bene, davvero”.

“Vai dal tuo fidanzato, vero Nabiki?”, chiese Shampoo sorridendo e facendole l’occhiolino.
 
Bingo, amazzone.
 
“Oh, può darsi, ultimamente l’ho trascurato parecchio”, rispose con noncuranza. Fece un cenno di saluto e si godette per un breve istante il quadretto di Akio che continuava a balbettare come se fosse regredito all’età di due anni e di Misaki che si metteva in posizione di guardia sibilandogli di stare lontano.
 
Lui è come Tofu, ma lei è la copia di Shampoo.
 
Daiki si diede una manata sulla fronte, evidentemente disperato dalla piega presa dalla situazione e conscio che la madre continuava a chiacchierare allegramente con Shampoo permettendo tutto quello. Le scappò un sorriso e immediatamente le morì sulle labbra.
 
Continuo a odiare i bambini,
 
Ricominciò a camminare con passo svelto, diretta dal suo fidanzato
 
d’altronde stavo per assassinare il mio!
 
che doveva ascoltarla molto bene, perché aveva una novità che non poteva ignorare.
 
E allora, perché non l’ho fatto?
 
“Ma è evidente: mi serve per portare a termine il più semplice eppure importante passo della mia vita!”, bisbigliò alla via quasi vuota che portava a casa Tatewaki.
 
                                                                                              ***
 
Nella sua vita aveva visto tante cose belle: la luna piena in mezzo a un mare di stelle, l’oceano limpido o ruggente di onde, il tramonto rosso ammantare le montagne e prati ricolmi di fiori profumati in un tripudio di colori. Ma nulla gli sarebbe mai parso più bello di Shampoo che tornava a casa tenendo per mano Misaki. Si beò di quell’immagine per un minuto intero, prima che sua moglie cominciasse a investirlo di parole.
 
“Per strada ho incontrato Kasumi e Nabiki, e Akio ha cercato di nuovo di avvicinarla; era in adorazione, dovevi vederlo! Peccato che sia finita a mosse di karate un’altra volta, questa piccola peste l’ha picchiato ben bene e la madre l’ha portato via che piangeva, non si sa se per il dolore o per la delusione! Devo insegnarle che il karate non va usato con i coetanei più deboli! Hai tirato fuori le scorte di salsa di soia dal magazzino? Per stasera non ci basta quella che abbiamo e, a proposito, direi di aprire una mezz’oretta prima visto il bel tempo. Oh, mica sono nuvole quelle, vero? Fino a poco fa splendeva il sole!”.
 
“Io…”, fu tutto quello che riuscì a dire prima che Shampoo ricominciasse a parlare. Negli ultimi anni era diventata logorroica e aveva ricominciato a maltrattarlo come i primi tempi; certo, lo amava, ma gli eventi l’avevano segnata negativamente, conferendole un carattere spesso più insopportabile di quando era solo una ragazzina che voleva il suo ‘Lanma’.
 
“Mousse, mi hai sentito?! Bisogna cominciare ad apparecchiare i tavoli e tu devi aiutarmi. Ho intenzione di mettere quei centro tavola tanto carini che portò la mia bisnonna dalla Cina tanti anni fa; ti ricordi? Quelli con i fiori e le paillettes argentate! Non rimanere lì impalato, io devo chiudermi in cucina e ho bisogno che tu sia efficiente. Ahh, forse dovremmo assumere qualcuno che ci aiuti una volta per tutte!”.
 
Stavolta si limitò ad annuire, conscio che era impossibile anche solo pensare di inserirsi nella valanga di parole della moglie. Fu con un certo sollievo che si diresse nel magazzino del seminterrato a recuperare salsa di soia e centro tavola: in meno di tre minuti gli era venuta l’emicrania. Si chinò per tirare fuori una vecchia scatola polverosa e, rialzandosi, batté la testa contro un ripiano. Si massaggiò la parte lesa imprecando e sentì una risatina provenire da un angolo del magazzino.
 
“Esci fuori, piccola strega, e abbi il coraggio di ridere di me alla luce della lampadina!”, esclamò tirando una cordicella per accenderla; evidentemente la finestrella minuscola posta quasi sul soffitto non faceva molta luce, perché non aveva visto entrare la bambina.
 
La mia vista sta peggiorando. Di nuovo.
 
Misaki gli corse fra le braccia ridendo, bella come una piccola ninfa dei boschi, e Mousse aspirò profondamente il suo profumo infantile quando la strinse fra le braccia e cominciò a farle il solletico.
 
“No, papà! Ahahahahhahaha! Lo sai che non lo sopporto!”, pigolò contorcendosi.
 
“Ma io mi sto solo vendicando!”, rise baciandola tra i capelli e passando a farle il solletico sulla pancia, la parte più sensibile secondo Misaki. Tanto bastò per farla letteralmente morire dalle risate, un suono che amava e che lo rendeva felice nonostante Shampoo fosse diventata di nuovo scortese con lui e parlasse in continuazione.
 
Nonostante la sua vista avesse ricominciato a tradirlo.
 
D'altronde, Misaki sarebbe rimasta per sempre la sua unica figlia.
   
 
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