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Autore: Le due zie    12/09/2018    17 recensioni
Il mondo intero in una scacchiera: bianco e nero, conquista e perdita, un alfiere ed una regina, mosse scontate o decisamente inaspettate, e un vincitore assoluto... perché cos'è la vita, se non una lunghissima partita a scacchi?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Opale bianco
 
Bussa tre colpi leggeri sul battente, scrutando guardinga la penombra del corridoio deserto e appena illuminato da un’unica candela tremolante. Poggia la fronte alla porta e resta in attesa, ascoltando invano il silenzio proveniente dalla camera.
Bussa di nuovo, appena più forte, ipotizzando che i primi colpi fossero davvero troppo deboli perché lui potesse udirli; aspetta ancora un poco e poi torna a bussare, questa volta con maggiore impeto, certa che, anche in un eventuale sonno, lui non possa ignorare il richiamo.
Ma nulla. Nessuna risposta, nessun rumore dall’interno della camera.
Guarda di nuovo attorno a sé: le porte sono tutte chiuse e le stanze silenziose … Probabilmente gli altri occupanti stanno già tutti riposando, o almeno se lo augura, come spera che nessuno si accorga della sua presenza lì.
- André! – prova a chiamarlo, soffocando la voce e al contempo sperando di raggiungerlo oltre il legno del battente; – André! – chiama ancora, prolungando il più possibile quell’ultima vocale, nel vano tentativo di ottenere risposta.
L’unica risposta è un cigolio sommesso che, dal fondo buio del corridoio, la fa sobbalzare; una cuffietta da notte fa capolino attraverso lo spiraglio di luce calda che fende la notte.
- Ma … Madamigella … posso aiutarvi? Avete bisogno di qualche servigio? – domanda una vocetta incerta e lei si sente morire, scoperta a cercare André nella sua stanza a tarda ora.
Scuote istintivamente il capo, mentre cerca una giustificazione plausibile alla propria presenza lì – No, ecco … Io ho bisogno di parlare con André per una questione importante. – si morde il labbro, raddrizza la schiena e aggiunge immediatamente - Di lavoro. –
- Oh, certo … - la domestica annuisce prontamente – Allora io torno a ritirarmi e vi auguro una buona notte, Madamigella … Con il vostro permesso … -
La lama di luce si chiude insieme alla porta della camera e il silenzio buio della notte torna a dominare il corridoio; Oscar serra le labbra ma non demorde.
- André so bene che sei lì. – riprende, con il viso contro il legno del battente – Fino a poco fa il bagliore del doppiere illuminava la tua finestra. –
Di nuovo, ha la netta impressione di parlare da sola, o peggio, ad un pezzo di legno.
- ANDRE’!!! – chiama infine, questa volta palesemente spazientita, e di nuovo uno spiraglio di luce invade il corridoio, poco lontano. Le basta voltarsi in direzione della lama di luce, lanciando un’unica occhiata accigliata e tesa, perché la porta torni a serrarsi, rapida.
Sbuffa, ormai al limite della pazienza e riprende, scandendo bene le parole contro il battente – André apri subito questa porta o quando lo farai, dovrai giustificare il tuo comportamento da mulo cocciuto davanti a tutto il palazzo ormai sveglio! –
Il fiato si spezza e arretra di un passo, quando intuisce i suoi movimenti, udendo dei passi; riesce quasi a vederlo, nella sua mente, mentre si alza da letto e si avvicina, eppure sobbalza, quando sente la chiave scattare nella serratura e vede il battente muoversi appena. Nello spiraglio sottile che lui le concede, riesce a scorgerlo, scuro in volto e con la mascella tesa, in attesa che lei parli; si sente quasi avvampare, quando si accorge che le ha aperto senza nemmeno infilarsi la camicia e che è lì, al suo cospetto, con i soli pantaloni addosso, chiuso nel suo ostinato silenzio.
- André dobbiamo parlare … -  riesce appena dirgli, cercando di controllare la propria voce e tornando a farsi più vicina – Io … - ma poi le parole le muoiono in gola, quando la sua voce, bassa e insolitamente fredda, fende il silenzio.
- Se ti ha spezzato ancora il cuore, sappi che in questo momento non ho intenzione di mettermi a raccoglierne le briciole e a ricomporlo … davvero, non sono dell’umore adatto. –
Ha seguito ogni sua parola trattenendo il respiro, incredula e con lo sguardo fisso sulle sue labbra; quando lui si interrompe, lei spalanca lo sguardo, senza riuscire a rispondergli alcunché. Intuisce appena la sua reazione, un sopracciglio sollevato, come una provocazione.
- Strano, però … - riprende allora lui – perché mi siete parsi a buon punto, durante la cena, davvero … - conclude infine.
Le sue parole la colpiscono profondamente, ma non appena intuisce che lui sta arretrando e che la fessura che le ha concesso si sta facendo più sottile, riesce a reagire, bloccando la porta con una un gomito e facendosi più vicina – Non è di questo, che dobbiamo parlare. –
André si irrigidisce, gli occhi si fanno due fessure sottili e scure – Dobbiamo parlare? – ripete calcando volutamente quel dobbiamo – E da quando parliamo entrambi? – le domanda poi, provocandola apertamente – Perché vedi, Oscar, io oggi stavo parlando … e ti stavo dicendo qualcosa che per me era davvero importante, quando tu sei svanita nel nulla e mi hai piantato lì, da solo, per correre da … da … - non riesce nemmeno a terminare la frase e la lascia in sospeso, scuotendo impercettibilmente il capo, mentre di nuovo la sofferenza di quei momenti torna ad attanagliare il suo animo.
- E’ proprio di questo che dobbiamo parlare, André … - si intromette allora lei, approfittando di quell’attimo di incertezza – Io … io devo sapere … -
Il sorriso che ottiene in risposta è venato di amarezza – Mi dispiace, Oscar: non c’è più niente da dire, ormai … niente che tu debba sapere … - conclude aspro.
A quelle parole, sente un nodo chiuderle la gola e le lacrime salire fino a pungere dietro alle palpebre serrate. Il respiro si spezza per un istante in un singhiozzo che riesce a mala pena a soffocare; serra le labbra e fatica a trattenere le emozioni, mentre il suo sguardo scivola sul volto ancora scuro e teso di André.
- Ti prego … - riesce appena a dirgli – Ti prego … vieni almeno a parlarne fuori di qua … - sussurra ancora, ma lui non sembra intenzionato ad ascoltarla, perché ancora è immobile e chiuso nella sua ombra nera e pesante.
- Te lo chiedo per favore, André … - gli chiede ancora, stringendo i pugni come a infondere in se stessa una forza che sente di perdere sempre di più, ogni volta che incontra quello sguardo torvo; e in quel gesto, in quelle dita serrate, trova uno spiraglio di salvezza e lo spunto per ultimo, disperato, tentativo. Allunga il braccio, senza nemmeno pensare davvero a ciò che sta facendo, spinge il battente fino ad aprirlo un poco, e si sporge per afferrargli una mano, tirandola verso di sé. André è colto di sorpresa, non reagisce e per un istante la lascia fare, mentre lei apre il palmo della sua mano davanti a sé, depositandovi qualcosa di caldo e liscio, per poi ripiegarvi sopra le sue dita.
- Io ti aspetterò, André. – gli dice allora lei, la voce improvvisamente ferma e calda; – La partita non è finita. – aggiunge, prima di arretrare, legando il proprio sguardo a quello di lui ancora per un istante.
Poi gli volta le spalle e si allontana, lasciandolo di nuovo solo, ma certa che lui abbia compreso.
 
Poggia i gomiti sul tavolino e porta le mani alla fronte. Si chiede in continuazione se sia possibile che lui decida di non venire da lei … e trema, trema al pensiero di quanto male deve avergli fatto durante tutto il tempo in cui non l’ha degnato di uno sguardo, dedicandosi completamente a Hans.
Hans … sente ancora il suo tocco fraterno sopra la spalla quando lei è rimasta di stucco, imbambolata a fissare la scacchiera e quell’alfiere nero rovesciato ai piedi della regina bianca. Anche Hans è abile nel gioco degli scacchi e sa perfettamente che quella non era una partita da abbandonare; gli è bastato un attimo per realizzare quanto lei fosse stata strana e distante, non per i suoi racconti di guerra, ma per una battaglia che ancora era in corso, proprio lì, nel suo animo. E se in principio non aveva compreso … in quell’istante gli era stato tutto incredibilmente chiaro. Le si era fatto vicino, facendo appena più salda la presa sulla sua spalla, e le aveva detto semplicemente – Madamigella Oscar … sono stato uno stupido ad insistere per impegnarvi anche in una partita a scacchi, quando ne avete già una, ben più importante, in corso … - poi aveva afferrato i due pezzi tra le dita, proprio sotto il suo sguardo ancora disorientato, li aveva quasi accarezzati, e, sorridendo appena, li aveva depositati tra le sue mani. Aveva atteso che lei li stringesse tra le dita, prima di riprendere a parlare.
- In confidenza, Madamigella, credo di essere davvero stanco e di aver bisogno di riposo: non sarei un avversario all’altezza delle vostre aspettative. – non le aveva lasciato il tempo di rispondere, di usare la gentilezza di una buona ospite per invitarlo a restare ancora un poco, o forse lei stessa non aveva trovato parole per spiegargli quanto bisogno avesse lei stessa di interrompere la loro serata, e aveva proseguito – Vi prego di scusarmi, se mi ritiro di già … e vi auguro una buona notte, amica mia. –
Torna a scrutare la scacchiera e si inquieta alla vista delle ombre lunghe e tremolanti dei pezzi ancora in gioco … fra i quali continua a colpirla l’assenza dei due pezzi ora più necessari.
Poi, di colpo, alza lo sguardo richiamata non sa nemmeno da cosa, se da un rumore impercettibile o da un battito che le è mancato, nel petto, e l'ha obbligata a trattenere il respiro, gli occhi un poco sgranati.
Lui è lì, nello spiraglio scuro della porta, la camicia malamente rincalzata nei pantaloni, i capelli a malapena trattenuti sulla nuca, le guance ombreggiate di scuro a rendere ancora più torvi e guardinghi i suoi occhi. Non parla, si limita ad avvicinarsi al tavolino; poi scosta la poltroncina, si siede e dispone le due pedine che ha portato con sé, i polsi magri e nervosi che sbucano dalle ampie maniche dai polsini slacciati.
Posiziona per prima la regina bianca; poi si occupa dell'alfiere nero, su cui trattiene le dita e lo sguardo, quasi indeciso sul da farsi e Oscar si accorge di trattenere il fiato: ha ubbidito alla sua preghiera, l'ha raggiunta e le ha riportato i pezzi, ricomponendo lo scenario della partita, così com'era prima che gli avvenimenti del pomeriggio aprissero il gioco a mosse del tutto impreviste. Ma ora? Cosa farà? Accetterà di riprendere la partita o di nuovo abbandonerà il gioco, condannando per sempre l'alfiere, infinitamente deluso dalla cecità della regina bianca? 
Ancora non ha ripreso a respirare quando André alza gli occhi dalla pedina e ritira la mano, lasciandola, ben ritta, al suo posto. Allaccia lo sguardo al suo e, ancora, non parla. Tuttavia, scorge qualcosa che prima non c'era, nel verde profondo dei suoi occhi. C'è una scintilla di speranza, sebbene minuscola ed ancora offuscata dalla rabbia e dalla frustrazione delle ultime ore; c'è il desiderio di far sì che quella speranza possa crescere e concretizzarsi, per ritrovare quella magia andata in frantumi con quella dannata bottiglia, qualche ora prima. 
È poco, pochissimo, ma per Oscar è sufficiente: prende un respiro profondo e solleva il mento, pronta a raccogliere la sfida di saper alimentare e custodire quella speranza, gli occhi blu scintillanti come lapislazzuli dorati.
Il gioco si riapre; la posta in gioco è altissima.
Di nuovo il salottino, il loro mondo, quello in cui si sono ritrovati, un giorno dopo l'altro, caldo di quell'essere insieme e di braci vive.
Di nuovo uno di fronte all'altra, occhi negli occhi, un tripudio di fuoco riflesso e ombre fonde.
È Oscar la prima a parlare, la voce ferma e sicura, ora, ma un po' roca, morbida a sufficienza da instillare capogiri.
- Termina la frase, André. Finisci di dire ciò che stavi per dirmi. - le dita di alabastro si muovono veloci e già un pedone nero è divenuto preda. Una mossa, un primo passo verso la conquista di una nuova fiducia.
Di nuovo il suo profumo, come in quegli attimi infiniti sotto al loro olmo, insieme a quel timbro gutturale che lo stordisce, e il sangue che scorre veloce, appena sotto la pelle dei polsi.
- Sei sicura di volerlo sapere, Oscar? - le dita trovano una pedina bianca e se ne impadroniscono. È difficile abbassare la guardia: la rabbia non si è ancora offuscata del tutto e cova nera appena dietro il riflesso dorato dei suoi riccioli, nascosta nell'ombra scura delle tende.
- Sicura come non sono mai stata in vita mia, André. - non indugiano le dita e si stringono sul cavallo nero che sparisce dietro la regina bianca. La conquista è a un passo, lo sente, nel profumo di lui che si arricchisce di una nota nuova, languida, a sovrastare l'amaro.
- Ne sei proprio certa? Anche sapendo che se te lo dico, la partita potrebbe cambiare radicalmente? - ora è la torre bianca, un muro ancora oltre a cui trincerarsi, a divenire preda delle lunghe dita di André.
- Sono pronta a cambiare ogni cosa. - un soffio caldo e gli occhi che non abbandonano i suoi, nemmeno quando i polpastrelli sfiorano e poi stringono dolci e crudeli insieme il pedone nero, definitivamente preda della regina bianca.
- Dimostramelo. - la voce di André è un sussurro roco mentre cattura l'alfiere bianco, ultimo baluardo della virtù della regina, e risuona e vibra come un diapason, alla base della gola di Oscar.
Non ci sono più mosse, tranne una. E le dita di lei non hanno esitazioni.
Vittoriosa e bellissima la regina bianca invade il territorio dell'alfiere nero e si ferma al suo fianco. Poi le dita si schiudono per lasciare la pedina e muoversi come seta liquida verso la mano di André, ferma ai bordi della scacchiera. Si muovono lentissime, ma inesorabili e decise sino ad arrivare alla punta dei polpastrelli per cercare un contatto che è fuoco puro. André non può più sottrarsi, o dubitare.
- Ti amo, Oscar. Ti ho sempre amata. -
Scacco.
Scacco alla regina bianca, al suo cuore, al suo respiro. Alle sue gambe, che diventano cera, e alle sue guance che si fanno accese; ai suoi occhi che si illuminano di gocce scintillanti e alle sue labbra che si schiudono appena e che lui ora vuole, pretende, senza che possa aspettare un attimo di più.
- Ti amo ... da sempre. Dalla prima volta che ti ho visto o forse ancora da prima. È tutto quello che ho desiderato dirti per tutta la vita: ti amo. -
Le mani abbandonano il legno del tavolino e salgono, dotate di vita propria per affondare una nel folto dei capelli a cercare il tepore morbido della nuca e l'altra il vermiglio di quella guancia in fiamme, mentre lui si solleva dalla poltroncina e si protende verso di lei. Poi ci sono solo le sue labbra, soffici e fresche da accarezzare con le proprie, piano, lieve, per non farle paura. C'è il suo sapore, mille notti immaginato, la dolcezza della sua pelle a invadergli i sensi, il duro dei denti quando la sua bocca avida preme, esigente, ed il ritmo del suo respiro battente sotto il pollice che è sceso ad esplorare la gola; e poi, stordente, la meraviglia di quelle labbra che si schiudono sotto alle sue a rivelare la rugiada bollente della sua bocca, nettare inebriante, tanto perfetto da condurlo alla pazzia. E ora non c'è più controllo, c'è il sangue che ruggisce forte, che tutto obnubila e cancella, e lo obbliga a stringerla e ad affondare pieno nella tenerezza di quella bocca per impadronirsi di tutto, a scendere con la mano per far sua anche la spalla e scostare il colletto per toccare la pelle e continuare impazzito a cercare i fianchi e stringerla forte, tanto, come se ...
- Dannazione!!! –
E’ un grido soffocato a stento, quello che gli raschia la gola mentre cerca appiglio sul bracciolo della seduta di Oscar nel tentativo di non rovinarle addosso, quando il tavolino si inclina sotto il suo peso, fino a scivolare a terra in un tonfo appena attutito dal pesante tappeto, e tutto attorno i pezzi allargano una macchia bicolore, in un disordinato cioccare di tocchi sordi. Con la coda dell’occhio riesce appena ad intuire il rollare lento di qualche pezzo rotolato lontano, ma il suo sguardo non può sciogliersi da quello di Oscar che ora, ad un soffio dal suo viso, lo osserva stupita, con occhi sgranati, lucidi e scurissimi. André si muove di un poco, ancora sospeso sopra di lei, e con lo sguardo la accarezza, scivolando lento da quel blu intenso, alle sue labbra tumide, che ora sa morbidissime; si morde un labbro, rapito da quelle di lei che vede tremare impercettibilmente, per poi tendersi appena nell’alba di un sorriso. Così cerca ancora i suoi occhi, il cuore che inciampa e perde il ritmo; teme di illudersi, ma crede di riconoscere il suo stesso bruciante desiderio, nelle fessure brillanti che ora lo scrutano, quasi fossero in attesa. Si sente paralizzato, ma a riscuoterlo è il tocco che scivola leggero dai suoi fianchi, accarezzandolo attraverso la stoffa della camicia, per poi fermarsi e farsi saldo sulla stoffa leggera, graffiando la pelle. La presa è salda e il segnale forte, impossibile da travisare, quando lui tenta di spostarsi da quella posizione di precario equilibrio, ma Oscar lo trattiene con decisione.
- Aspetta … - mormora allora sulle sue labbra, mentre scavalca il tavolino per avvicinarsi ancora di più a lei – Solo un istante … -
André si china a terra, con un movimento distratto spinge lontano il re bianco, che gli era di intralcio; lei segue il suo farsi vicino e istintivamente lo accoglie, allargando appena le proprie ginocchia e portando le mani alle sue spalle, tirandolo ancora a sé. Riesce ad osservarla, di sotto in su, accarezzata dalla luce dorata dei doppieri, con la camicia in disordine e i capelli un poco arruffati, sospesa in una dimensione silenziosa e calda, tanto calda da bruciargli nel petto …
- Allora? – sono le sue labbra a richiamarlo e le sue mani a riprendere a muoversi, risalendo lente in un solletico dolce dietro la nuca, che finisce per affondare tra i capelli ormai sfuggiti al nastro – Guarda che non ho intenzione di aspettare a lungo … -
André socchiude lo sguardo e lei si fa più vicina; l’ombra nasconde la sua espressione, ma lui riesce a percepire ogni sfumatura del suo respiro lento e il profumo selvatico della sua determinazione. Le mani di lei scendono ai lati della gola, i suoi pollici scivolano lungo gli zigomi e lo trattengono, fino a che la fronte non trova la sua.
- Hai detto che la partita sarebbe cambiata radicalmente e mi hai sfidata … - gli sussurra allora ad un soffio dalle sue labbra - Ma ora cosa fai? Pensi di poterti arrendere? -
 
E’ simile ad una carezza il soffio leggero che avverte sulla pelle, fresco e delicato, tanto da provocargli un brivido che dalla base della schiena, risale fino alle spalle. Allora si accomoda un poco tra le lenzuola e inarca la schiena, sgranchendo i muscoli, pronto a cedere di nuovo alla lusinga del riposo e dei sogni confusi che lo possono accompagnare; poi sfila le braccia da sotto il soffice guanciale e trae un profondo respiro, di quelli che lasciano in bilico tra sonno e veglia, e benché si inizi a comprendere che sia ormai giunto il momento di lasciare il letto, regalano l’illusione di un altro lungo sonno …
E’ in quel momento, invece, che il suo cuore trema, nel tentativo di trovare l’incastro perfetto tra i frammenti che i suoi sensi confusi rimandano alla mente.
La pace del riposo, l’abbraccio accogliente delle lenzuola … e il suo profumo?
Aggrotta la fronte e socchiude lo sguardo, ancora confuso; la prima immagine che riesce a cogliere distintamente è quella della grande finestra dai battenti socchiusi, con i lunghi drappi delle tende, bianche e impalpabili, che si sollevano in una danza lieve a seguire lo stesso soffio che l’ha svegliato poco prima. Resta per qualche istante rapito da quel movimento suadente e leggero, seguendone l’ondeggiare ritmico e pur imprevedibile … fino a quando realizza di conoscere bene quella tenda e quella stessa finestra …
Allora si volta, sollevandosi sui gomiti, e finalmente ogni ricordo torna vivo, insieme all’immagine di lei, il corpo appena coperto dal lenzuolo stropicciato, il volto rilassato in un sonno senza nubi che si riflette sulle sue labbra che paiono distese in un sorriso.
Chiude gli occhi e trattiene il groppo che gli si chiude in gola e che fa salire le lacrime a pungere dietro le palpebre, perché troppo grande è l’emozione che prova al solo pensiero della notte trascorsa: una notte in cui aveva creduto fosse giunto il momento di abbandonare l’unica partita che invece, aveva poi scoperto, valesse la pena di giocare … e di perdere; una notte in cui da alfiere senza speranza … si era trovato re.
Re scelto dalla regina che aveva sempre amato.

Le due zie si fermano qua, per ora. Ma chissà che non abbiano altro da raccontare...
Un abbraccio e un sincero ringraziamento a chi ci ha accompagnate e ha resistito fin qui!
A questo punto, da brave ziette, andiamo a mettere sul fuoco il bollitore per offrire a tutte una tazza di buon té e qualche pasticcino preparato da noi... 
Grazie a tutte!
Monica e Maddy - Le due zie

 
   
 
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