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Autore: ci_ao    13/09/2018    1 recensioni
Dal testo: Per tutta la vita ho avuto le cose sotto controllo. Decidevo io. Davo il meglio e ottenevo il meglio. Eppure qualcosa era cambiato, si era spezzato irrimediabilmente. Mi ritrovavo sempre distratta, stanca, assente. Soffrivo di insonnia.
Ma l’insonnia non era la causa, era la conseguenza.
// percorso di self-discovery della protagonista Layla, che incontrerà Calum. Cosa le manca per essere felice? Chi le manca? //
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Soffrivo di insonnia. Come il 30% della popolazione umana.
Mi sono informata: ho comprato libri e riviste a riguardo. Ho iniziato a spegnere il telefono 3 ore prima di coricarmi, fare un po’ di attività fisica al pomeriggio, bere un bicchierone di latte caldo ogni sera e così via. Eppure mi ritrovavo sempre alle quattro di notte a fissare il soffitto. E dopo ore e ore in quella specie di limbo decidevo di alzarmi, prendere la bici e andare nel parco più sperduto della città, a fissare i lampioni e la foglie autunnali. Incontravo alcolisti, ragazzini che non sapevano come fare mattina svegli, cani randagi e barboni. Mi piaceva stare lì, mi faceva sentire parte di un altro mondo, un mondo senza regole.
Era bello togliere la divisa della perfezione, della figlia modello, dell’amica sempre presente.
 
Per tutta la vita ho avuto le cose sotto controllo. Decidevo io. Davo il meglio e ottenevo il meglio. Eppure qualcosa era cambiato, si era spezzato irrimediabilmente. Mi ritrovavo sempre distratta, stanca, assente. Soffrivo di insonnia.
Ma l’insonnia non era la causa, era la conseguenza.
 
Quando una mattina scesi in cucina con il trucco colato e i capelli sfatti i miei genitori si lanciarono un’occhiata preoccupata, ma non dissero nulla.
Due minuti dopo mi ritrovavo con la faccia nella ciotola di cereali, in quel dormiveglia che coglie di sorpresa.
Fu in quel giorno che decisero di portarmi da uno specialista.
Si chiamava David, un cinquantenne dai capelli bianchi come la neve e la pancia prominente. Mentre mi ascoltava si toccava il mento in continuazione. Respirava rumorosamente.
“A cosa pensi quando non riesci a dormire?”
“A tutto ciò che non ho fatto durante la giornata, a quello che devo fare il giorno dopo.” Rispondevo meccanicamente, senza lasciar trasparire emozioni.
“E poi?”
“A conversazioni passate, a figure di merda – mi scusi il termine – che ho fatto da piccola. Agli amici che ho perso, le maestre delle elementari eccetera.”
David si prese qualche minuti per pensare prima di rispondermi. Poi mi fece una domanda completamente fuori contesto.
“Com’è la tua camera?”
“Bianca e nera.”
“Si, ok, ma cosa c’è dentro? Descrivimela.”
“Un letto da una piazza e mezzo vicino alla finestra, una scrivania, un armadio a parete che uso anche come libreria. E basta.”
“I libri di scuola come li ordini?”. La conversazione iniziava a prendere una piega strana.
“Per materia e grandezza.”
Altri attimi interminabili di silenzio.
“Credo dovremo rivederci un’altra volta, Layla.”
Mi diede dei tranquillanti potenti, ma nessun sonnifero vero e proprio. Rimasi abbastanza delusa. Mi accompagnò fuori dallo studio di legno di mogano fino alla porta, dicendo che sarebbe stato un piacere lavorare con me. Sulle scale, anche quelle di legno, incontrammo un ragazzo. Sembrava asiatico, di pelle scura. Grandi sopracciglia aggrottate e occhi neri come la pece. Mi salutò sorridendo, ma io risposi con un “ciao” flebile.
“Mio figlio” diceva David, aprendo la porta. “Dicono che da un pero nasce una pera, ma io non ho di certo messo al mondo un altro medico, o studioso di chissà quale tipo.” Occhi al cielo.
“Chi li capisce questi giovani scapestrati”.
  
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