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Autore: DeathOver    14/09/2018    0 recensioni
FNAF fanfiction.
Renèe non è mai stata una donna come tante altre, ha sempre e comunque voluto staccarsi dalla massa, ma la sua vita cambia per sempre quando, per puro divertimento, decide di rispondere all'annuncio del Freddy Fazbear's Pizza, proponendosi come guardia notturna.
"Paura? Was für ein unsinn! Dovresti saperlo: io non ho paura di nulla..~"
|| PICCOLO PS. Ho preferito utilizzare per i personaggi i nomi dati dai fan della serie, so benissimo anche io che sono nomi non originali. Inoltre se vi aspettate una storia esclusivamente romantica non siete nel posto giusto. Grazie per l'attenzione!
Per via del regolamento del sito la storia verrà pubblicata con apposite censure nelle scene ritenute particolarmente delicate o pesanti, possibile innalzamento raiting!
I CAPITOLI SEGUONO UNA PUBBLICAZIONE MENSILE DURANTE IL PERIODO LAVORATIVO-SCOLATICO, E' POSSIBILE CHE NE VENGANO PUBBLICATI MOLTEPLICI LO STESSO MESE DURANTE IL PERIODO ESTIVO.||
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"Ciao, io mi chiamo Renèe e.."

-Troppo, troppo.-

"Salve a tutti.."

-Ma quali tutti?! Non c'è nessuno!- Renèe tirò una riga sulla frase, per poi strappare il foglio dal quaderno a quadretti sul quale stava scrivendo e accartocciarlo, gettandolo nel cestino poco distante dalla scrivania. 
Per l'ennesima volta la penna blu scivolò rapida sulla carta, in una grafia che tutto pareva fuorché pulita e ordinata: forse in fondo la cosa migliore da fare era semplicemente lasciare i pensieri fluire, liberare la mente e scrivere ciò che questa proponeva.

_______________________________________________________________________

La morte di Smith non è stato il primo incontro con la morte che ho avuto nella mia vita; non vi racconterò i dettagli e in realtà nemmeno un sunto vero e proprio degli avvenimenti: c'è tempo per questo. 
Ciò che stravolse la mia vita fu semplicemente che, per la prima volta da quando avevo iniziato a lavorare nel locale, ero stata messa di fronte alla verità nuda e cruda per com'era: ero in serio pericolo, tutti lo eravamo. 
Ora, una persona con una mente sana rendendosi conto di questo sporgerebbe denuncia, o si licenzierebbe... beh, non che io fossi meno sana mentalmente rispetto ad altri, ma avevo ancora un conto in sospeso con quel luogo, oltre alla mia paga settimanale.

Finito il mio periodo di malattia come di norma ripresi il mio lavoro: quel giorno in particolare si trattava di un semplice turno serale, nulla di troppo impegnativo.
Era un giorno freddo rispetto al solito e uscendo di casa una gelida folata di vento mi travolse: in quel momento mi resi conto che non avevo semplicemente voglia di tornare alla pizzeria. Mi voltai verso la palazzina moderna in cui abitavo e la fissai seriamente tentata di tornare a casa, tuttavia sospirai e socchiusi gli occhi rassegnata, allontanandomi con le mani nelle tasche.

Per le vie della cittadina nonostante fossero i primi giorni di novembre i negozi erano addobbati a festa, ricchi di lucine, finte foglie secche, ortaggi autunnali e tacchini cotti al forno, i pali tappezzati di manifesti: il Giorno del Ringraziamento, parte preziosa di tutta la popolazione americana, era alle porte. 
Tutti si fingevano felici e gioiosi, sorridenti e scherzosi e un'unica, forte emozione si fece largo in me: disgusto. 

Disgusto per quella stupida festa, che ormai ben poco aveva a che fare con quella orrenda popolazione, disgusto per gli americani superficiali e megalomani, disgusto per la loro stupidità ed ignoranza. Un gruppo di inutili animali guidati da maiali, sempre pronti a giudicare per qualsiasi cosa, a ferire e mentire spudoratamente. 
Affrettai il passo e con una mano frugai nella tasca del giubotto, dal quale tirai fuori un pacchetto di sigarette ancora pieno; ne presi una e l'accesi, portandola alle labbra: il fumo si diffuse nel cielo grigio, disperdendosi nel vento.

-Non è molto femminile fumare, Führer...- 

Oh, ottimo, proprio il momento adatto per venir bruscamente ridestata dai miei rancorosi pensieri: come se fosse uscito dal nulla, Vincent si affiancò, camminando con le mani in tasca e mantenendo una postura vagamente ingobbita, mentre tra le labbra stringeva a sua volta una sigaretta. Aprii la bocca per ribattere, ma la voce roca dell'uomo mi interruppe, precedendomi:

-Lo so, lo so, 'non è mai presto per farsi i fatti propri', vero?-

Rabbia, rabbia, rabbia, ecco cosa mi provocava, rabbia! Perché diamine doveva sempre essere un passo avanti a me?!

-Sta zitto, punk dei miei stivali.- ribattei, sbuffando infastidita e portando altrove lo sguardo, mentre prendevo un'altra boccata di fumo.

-Tch, scontata..!-

-Si può sapere per quale sacrosanta ragione per un motivo o per l'altro ti ritrovo sempre in mezzo ai piedi?- Quell'affermazione fu un tentativo di cambiare velocemente il discorso, ma il seguente silenzio, per quanto breve, da parte di Vincent mi fece raggelare il sangue nelle vene: possibile che non fosse un caso? Mi stava pedinando? Da quando? Perché? 
Tentai di scacciare quegli inquieti, stupidi pensieri dalla mia mente, rinchiudendoli in un profondo angolo di questa: se non l'avessi fatto le cose sarebbero andate diversamente? 
Non lo saprò mai, ed in fondo in fondo poco importa: le cose sono andate così e non c'è più modo di cambiarle, punto e basta.

-Sarà forse il destino?- Rispose lui, voltando il capo e portando il dorso di una mano alla fronte, melodrammatico, per poi riportarla in tasca.

-Immaginavo mi odiasse, non pensavo potesse farlo fino a questo punto..- Volsi lo sguardo verso una vetrina piuttosto lontana, fissandola senza realmente vedere ciò che essa conteneva.

-...Stavi davvero male?-

-Was?-

-Was..?-

-Scusa, cosa?-

-Eri malata o non ti sei più presentata a lavoro per la faccenda di Smith?-

-Oh, io ho avuto... la febbre. Ti stai per caso preoccupando per me?- Un'innocente bugia, mi rendo conto di non essere un'ottima bugiarda nemmeno adesso, figurarsi ai tempi.

-Ovvio che no, d'altronde non sono fatti miei, o sbaglio?- Sbuffò come se si fosse tutto d'un tratto infastidito, e forse lo era veramente, ripensandoci.

-Tu lo sapevi?- Chiesi d'un tratto, alzando lo sguardo per guardare il mio collega in volto, scrutandolo attentamente.

-Sapevo cosa?-

-Della stanza, e della leonessa, sapevi che era pericolosa?-

-Biondina, io so tutto riguardo a quella pizzeria: lavoro lì dento dagli albori del locale dopotutto.-

-Lo sapevi e non hai detto nulla a nessuno?!- Mi fermai di colpo, incrociando le braccia al petto e alzando la voce, come per farmi sentire meglio.

-Sai, le regole non esistono per essere infrante! Il contratto parlava chiaro: rimaneva al suo posto e nessuno si faceva nulla. Non doveva muoversi, ti sembra difficile?! 
Poteva portarsi una torta intera e mangiarsela sul posto stando comodamente seduto sulla sua poltrona, ma no! Doveva andare in giro a ficcare il naso!- Ed ecco che finalmente anche Vincent sembrò mostrare un'emozione umana: ira, per ragioni che avrei compreso solo in futuro era davvero adirato e prendeva la questione molto sul personale. -Sembra che facciano i colloqui in base a chi è più ficcanaso: lì dentro ci sono cose che è meglio non scoprire per nessuna ragione.
Ognuno paga il prezzo delle proprie azioni, Renèe: tienilo bene a mente se non vuoi fare la sua stessa fine.-
Da quel momento in poi non disse altro, limitandosi a gettare la sigaretta ormai finita in terra, schiacciandola con la scarpa, e andare avanti. Io invece gettai la mia e ne presi un'altra, stringendola tra le labbra, ma l'uomo ancora al mio fianco senza dire nulla me la strappò di bocca, infilandosela in tasca. Intuii che anche le altre mie sigarette avrebbero fatto la stessa fine, pertanto mi arresi: avrei fumato a fine turno.

______________________________________________________________________

Una volta arrivata alla pizzeria non ebbi nemmeno il tempo di appendere il cappotto nel guardaroba che una voce mi interruppe, richiamando la mia attenzione.

-Rainy! Ti senti meglio? Come va con l'influenza?-

Alle mie spalle, fece capolineo la bassa figura di Jeremy Fitzjerald: sorrideva insicuro come al suo solito, il volto pallido incorniciato da boccoli color mogano. 
Quel comportamento così amichevole non poté non rubarmi un sorriso. Portai una mano sul suo capo, rubandogli scherzosamente il cappello e indossandolo, specchiandomi nello sportello lucido del guardaroba: ovviamente non mi stava affatto male. 

- Jeremy.. hai già dimenticato i miei insegnamenti? Sù, schiena ritta e testa alta, avanti!-

Ridacchiai nel vedere il giovane seguire il mio ordine, prima di poggiare nuovamente il cappello della sua divisa sui capelli castani. 
Non avevo dimenticato la maniera in cui Jeremy aveva preso le mie difese, rischiando il licenziamento. Ogni volta che mi capitava di incontrarlo faticava persino a rivolgermi un saluto con voce salda. 
Immaginai che forse, sotto a quella montagna di insicurezze che lo opprimevano, poteva nascondersi un cuore impavido. Forse necessitava solamente di venir spronato ad uscire. 
Era uno dei motivi per cui avevo deciso di prendere Jeremy sotto alla mia ala protettiva: se gli serviva una spinta per tirarsi in piedi e sollevare il capo, per cambiare prospettiva e guardare il mondo dall'alto, l'avrei aiutato. Quel ragazzo aveva tanto dentro di sè, ogni talvolta che vedevo il suo volto mi riportava alla mente l'espressione gentile di mio fratello Thomas. 
Non erano la stessa persona: Thomas era sempre stato sicuro di se stesso, era scherzoso e allegro, alle volte talmente allegro da diventare quasi inquietante. Sempre quel sorriso impresso sulle labbra, in qualsiasi situazione. A volte freddo, distaccato, altre sarcastico, ma mai malevolo quando si rivolgeva a me. 
Chiudendo gli occhi, potevo ancora avvertire la sua mano scompigliarmi i capelli e una leggera risatina sfuggire dalle sue labbra. 
Lo adoravo, lo adoravo davvero.

- Sto bene, Jeremy, grazie. 
Tu invece? Sembri un cencio, non sarai dimagrito ancora?!-

Lo squadrai da capo a piedi, attenta, speranzosa di allontanare dalla mia mente quell'immagine ormai sbiadita dal tempo. 
Immaginai di esser rimasta in silenzio per diverso tempo quando mi resi conto dell'espressione quasi sorpresa di Jeremy. 
Sollevai un sopracciglio con aria di rimprovero mentre assicuravo la torcia alla cintura, per poi lasciare la stanza seguita dal mio collega, diretta verso la Game Area. 
 

Passare di fronte alla porta serrata del Creative Cove mi fece accaponare la pelle: lei era ancora lì dentro? O era stata disattivata? 
Ancora troppe domande vagavano per la mia mente: il motivo per cui il robot avesse attaccato Fritz mi pareva più che scontato, ma perché lui era entrato nel Creative Cove? Non era una porta segnalata sulle mappe, poteva essere anche solo uno stanzino. 
Cosa l'aveva spinto a lasciare la sua postazione? Un rumore, forse? 
Nah, improbabile: quelle diavolerie facevano un chiasso immane ad ogni passo, non sarebbe bastato un comune rumore per portarlo a distrarre l'attenzione dalla propria postazione ed allontanarsi. 
Magari un altro genere di rumore, come un urlo o una voce. 
Un movimento? Come avrebbe potuto notarlo? Nessuna telecamera copriva quell'area. E in ogni caso, con gli altri animatronics liberi di girare a loro piacimento per la pizzeria, non sarebbe stato nulla di anomalo. 
Mancava ancora qualcosa, sapevo che stavo ignorando qualcosa di troppo importante. Forse, qualcosa di cui non ero ancora a conoscenza.

Era impossibile trovare una motivazione valida al suo gesto: persino quella notte vedendomi in pericolo non era intervenuto. Era rimasto fermo immobile alla sua postazione, guidandomi solamente con l'ausilio delle torce insallate sulle telecamere. 
Non si sarebbe mai avvicinato ad una stanza da solo di notte, neanche prima della mezzanotte. 

Neanche prima della mezzanotte.

Stop. 

- Rainy..? Stai bene? -

Avvertì la voce di Jeremy senza nemmeno essere in grado di vedere il suo volto di fronte a me, mentre avvertivo ogni muscolo farsi rigido e pesante. 
Ero rimasta bloccata nella Parts and Service Room all'incirca alle 11.40 di sera. Avevo gridato, ma Fritz non era intervenuto spaventato dal pensiero di poter incontrare uno dei robot sul suo cammino, questo significava solamente una cosa: non era stato lui a chiudermi dentro a quella stanza. 
Come se avessi inserito un altro pezzo del puzzle, la mia mente prese inconsciamente a cercare tra i miei ricordi confusi un altro pezzo ancora, un qualsiasi indizio che mi permettesse di avvicinarmi alla realtà. 
La porta era stata chiusa, ma nessuno degli animatronics aveva mai necessitato di buttarla giù per poter passare. Foxy e i vecchi modelli mi facevano dannare perché a quella porta mancava qualcosa di basilare: mancava la chiave. 
Nessuno aveva mai potuto chiudere quella porta, né io né Fritz, perché quella chiave non era presente nel mazzo di chiavi della pizzeria affidato agli addetti alla sicurezza. 
Così come la chiave del Creative Cove: avevo avuto modo di notarla in passato tra le mani di Victoria, ma non sapevo chi altro ne fosse in possesso. 
La risposta arrivò decisa, come uno schiaffo in pieno viso: non era stato un incidente. 
Fritz aveva tutto il tempo di uscire, ma non era riuscito a scappare perché non poteva: probabilmente la porta del Creative Cove era stata chiusa a chiave. 
Non poteva essere una strana serie di coincidenze. 
Non potevano essere incidenti causati dalla disattenzione.

Qualcosa o qualcuno stava tentando di ucciderci.

 

- ..Ah... i-ich... - 

Indietreggiai di qualche passo, portandomi una mano alla gola, stringendola come se bruciasse: nessuna parola uscì dalle mie labbra, nessuna risposta. 
Dovetti ridurmi a scappare quanto più velocemente potevo nel bagno più vicino. Quasi non ebbi il tempo di chinarmi sul gabinetto in metallo che avvertii lo stomaco rivoltarsi totalmente. 
Mi ritrovai a vomitare il pranzo, la testa girava e pulsava in maniera insopportabile.

"Come hai fatto a non rendertene conto subito?"

"Te l'avevo detto: dovevi andartene subito."

"Tu lo sai, non è vero?"

- SEI STILL-- SE-SEI STILL!! SEI STILL ICH SAGTE! -

Eppure, non importava quanto strillassi: le voci non si fermavano. Si facevano sempre più rumorose, intense, decise e numerose. 
E io non potevo far nulla, nè per controllarle nè per smentirle. 
Avevano ragione. 
Era colpa mia.

- Rainy? Ehi, Rainy, va tutto bene? - 

- Nanetto, sei proprio sicuro di averla vista entrare qui? - 

- Certo che sì! Ho pensato si fosse sentita male. - 

- E non ha notato che è il bagno del personale maschile? -

Continuavo a sentire voci, ma non riuscivo a capire se fossero reali o meno. 
Portai le mani alle orecchie, premendole con forza contro al cranio, per poi tirare indietro la testa e tirare con decisione un colpo contro al gabinetto. 

Silenzio.

Finalmente, il silenzio invase la stanza. Nessuna voce, nessuna minaccia o accusa, niente di niente. 
Chiusi gli occhi, poggiando la fronte dolorante contro al bordo freddo della toilet e tentando di recuperare un respiro lento e controllato. 
Pochi minuti dopo, un botto alle mie spalle dovette portarmi a distrarmi da quell'attimo di pace, seguito da un rimbombo: sollevai di colpo il capo, per poi notare la porta riversa a terra e due persone all'esterno della stanza. Uno di essi era Jeremy, e non ebbi bisogno di voltarmi per vedere chi fosse l'altro individuo.

- Ehi, Renührer, sei ancora viva? Abbiamo forse interrotto un appuntamento galante? -

Ancora riversa sul gavinetto lanciai un'occhiata torva all'uomo più alto dei due, sollevandomi quanto bastava per far scivolare due dita contro alla gola. 
Il mio gesto tuttavia non fece altro che scatenare da parte sua una risatina, mentre entrava nella stanza seguito dal castano. Evidentemente Jeremy l'aveva chiamato per farsi aiutare, anche se in un momento simile non poteva scegliere persona peggiore.

- Uh, sembri ancora viva, anche se... che diamine hai fatto alla testa?! -

Avvertivo la testa pulsare, tuttavia mi resi conto di quanto dolore realmente provassi solamente quando Vincent, dopo essersi inginocchiato di fronte a me, passò la mano sulla fronte segnata da un segno rosso intenso.
Mi tirai indietro di colpo, coprendomi con ambo le mani la fronte.

-Ehi, fai piano, mi fai male! Sono solo scivolata. -

Sbuffai, infastidita, togliendo le mani dal water per poggiarle sul pavimento dietro alla mia schiena.

- Oh, andiamo, seriamente?! Non sei capace a vomitare senza aprirti il cranio in due?! Mi deludi, sai? 
Ehi, rametto, perché anziché stare lì impalato non ci porti del ghiaccio? -

L'uomo si voltò verso Jeremy per qualche istante, il quale sfrecciò subito a prendere il ghiaccio. Non aveva ancora spiccicato parola da quando era entrato, eseguendo l'ordine di Vincent come se fosse legge. 
Quest'ultimo invece sollevò le spalle, le labbra increspate in un sorrisetto sornione, come se in realtà godesse del terrore che esercitava sulla figura del ragazzo.

- Che bamboccio.. - 

- Non è un bamboccio. -

Affilai lo sguardo, issandolo nei gelidi occhi grigi del mio interlocutore: mi sentivo di pessimo umore e l'ora di scherzare era finita da un pezzo. 
Avvertii un lampo di rabbia farsi strada nel petto, deglutendo come per controllarlo.

- Eccome se lo è! Non l'ho nemmeno sfiorato e guarda com'è scattato, proprio come un cagnolino! -

- Piantala, Bishop. -

- Magari gli servirebbe una coda da mettere tra le gambe: potremmo chiederla a Foxy, pensandoci! -

Negli occhi dell'uomo dai capelli tinti era evidente uno sguardo di sfida, ma non riuscì a farci realmente caso, strinsi i pugni, lanciandogli ringhiando l'ennesimo avvertimento.

- Ti ho detto di chiudere quella fottuta fogna.. -

- Ubbidiente e incapace di gestirsi da solo.. proprio come una cagna. - 

Aveva sorpassato il limite, ed era già la seconda volta che avveniva quel giorno. 
Mi limitai ad aprire la mano intenta a lasciargli il visibile segno di cinque dita ben aperte sul volto, ma lui fu quasi come una scheggia: quasi non lo vidi muoversi quando bloccò la mia mano a pochi centimetri dal suo zigomo, stringendomi il polso con forza.

- Scelta sbagliata, Zvezda. -

Altrettanto velocemente scattò in avanti, ruotando il mio braccio all'indietro di modo che fossi obbligata a voltarmi. Nel giro di pochi secondi mi ritrovai a pancia in giù sul pavimento, immobilizzata dal peso di Vincent sulla mia schiena. Il mio primo impulso fu quello di gridare, ma la mano libera dell'uomo mi anticipò, posandosi sulle labbra per tapparle con decisione. 
Sentii con chiarezza il suo respiro contro il lobo, mentre l'odore del tabacco mi arrivava sino alle narici.

- Non vorrai attirare curiosi sin qui in un momento simile, no..? -

Di colpo, mi parve di non riuscire a respirare: iniziai a scalciare, nel tentativo di divincolarmi da quella stretta ferrea. Con la mano libera provai inutilmente a stringere sua, a graffiarlo, ma il guanto che indossavo mi impediva di fare abbastanza presa. 
La sensazione del suo peso sul mio corpo mi stava portando ad impazzire realmente, mi sembrava di poter sentire la sua pelle oltre ai vestiti; troppo, troppo contatto fisico, stringeva ancora il mio polso, come se volesse bloccare la circolazione del sangue nelle vene.

- Te la sei cercata tu, no? 
Io non ti ho nemmeno sfiorata, sei tu che hai tentato di colpirmi per prima.
Cos'è, tentavi di difendere il tuo fidanzatino? -

Con le sue labbra attaccate all'orecchio mi sembrava difficile persino riuscire a sentire con chiarezza ciò che diceva. Lo sentivo ghignare, avvertivo il tocco dei suoi denti sul mio lobo. 
Aprii la bocca, nel tentativo di assestargli un morso sulla mano, ma egli parve quasi non sentirlo. Invece, irrigidì ancora la stretta, portandomi ad inclinare la schiena in avanti e il capo all'indietro. Le lacrime mi solleticavano gli occhi, mentre sentivo le guance bruciare, il sudore scendere dalla fronte.

- Ricordatelo, Renèe. Questo è il prezzo ad essere un eroe. 
Non sai chi hai davanti, potresti avere davanti un codardo, magari un pagliaccio.. potresti avere davanti un assassino. 
Mentre sei bloccata in questo modo potrei farti molto più di questo: potrei far scivolare la mano e stringere il tuo collo fino a soffocarti, potrei approfittarmi di te in modi che nemmeno saresti mai in grado di immaginare. -

Non c'era più nulla di scherzoso nel suo tono di voce: era serio, freddo, distante. Sentivo il suo sguardo tracciare la linea del mio collo, come se stesse davvero pensando di soffocarmi e di farmi sparire. Proprio quando pensavo di non farcela più avvertii la sua mano scivolare via dal mio viso, permettendomi di riprendere fiato. 

- ...Fortunatamente per te, sono solo io. - 

Si limitò ad aggiungere, mollando la presa sul braccio ed alzandosi dalla mia schiena, facendosi indietro. 
Presi un lungo respiro, poggiando le mani al terreno per sollevare il busto come se fossi rimasta in apnea per chissà quanto tempo. Non sapevo cosa dire, ancora sconvolta dall'avvenuto per trovare le parole adatte o comporre una frase di senso compiuto. 
Ancora tremante mi voltai, alzandomi per tornare alla sua altezza, per poi sollevare il braccio, lasciandogli il tanto agognato schiaffo sul volto. Non mi aveva fatto cambiare idea, mi aveva solo fatto innervosire ulteriormente. 

Questa volta non fermò il colpo: lasciò che il palmo si infrangesse contro la gota scura con un pesante suono, che rimbombò all'interno della piccola stanza. 
 

- Sei un coglione. Non osare mai più toccarmi senza il mio permesso. -

Mentre egli si portava una mano a sfregarsi il viso io lasciai il bagno a testa alta, senza nemmeno voltarmi per rivolgergli uno sguardo. 
Dopo pochi minuti incrociai Jeremy tornare indietro, con una borsa di ghiaccio secco tra le mani: lo bloccai, prendendo il ghiaccio con una mano e trascinandomi dietro con l'altra il castano, stringendolo per il gomito.

- Rainy, ma Vin.. -

- Cosa ce ne frega? Abbiamo del lavoro da sbrigare, noi. Non si perderà. -

Tirai dritto, il tono menefreghista ma lo sguardo infuocato: probabilmente se non mi fossi allontanata non mi sarei limitata solamente ad un ceffone. 

____________________________________________________________________________

Il turno continuò in tranquillità: i bambini giocavano mentre i genitori mangiavano, chiacchierando con i loro coetanei. Nessuno si fece male e nulla andò storto. 
Di Vincent nemmeno l'ombra: probabilmente era stato assegnato ad una mansione tecnica. 
Era comunque meglio per me, ci sarebbe mancato solo ritrovarmi davanti la sua faccia per la restante parte della serata.

Dopo aver aiutato a ripulire il locale tornai nella sala di controllo, recuperando il borsone e la mia roba, caricando il tutto in spalla per poi lasciare la stanza.

- Oi. -

Mi fermai di colpo, senza nemmeno voltarmi. Strinsi le palpebre per qualche attimo, tentando di autoconvincermi a non rifilargli il resto lì e subito, per poi lanciare uno sguardo all'uomo alle mie spalle con la coda dell'occhio.

- Non ho tutto il giorno, muoviti e dimmi cosa mi devi dire. -

- Vieni con me. -

- No, grazie: vacci da solo a quel paese. - Attesi seccata che l'uomo mi raggiungesse, finalmente voltandomi per osservarlo con maggiore attenzione: indossava abiti differenti dalla divisa lavorativa. Era la prima volta che lo vedevo senza una camicia viola addosso.
Mi venne spontaneo chiedermi perché gli piacesse quel colore a tal punto, ma scacciai il pensiero: dopotutto non erano affari che mi riguardavano.

- Non fare la permalosa e seguimi, prima che ci ripensi. -

- Dove vorresti che ti seguissi? In un vicolo magari? Così puoi soffocarmi con maggiore comodità? 
O dietro l'angolo? Così puoi approfittarti di me in modi inimmaginabili? -
Non mi preoccupai di nascondere il sarcasmo, mentre corrucciavo la fronte e portavo un'indice alle labbra con gesti teatrali, falsamente confusa. 
Vincent sbuffò, portando lo sguardo su un punto non ben precisato della stanza, per poi accennare ad un mezzo sorriso.

- Se avessi voluto l'avrei fatto nel bagno, Barbie Girl. -

Lui alzò le spalle, portando una sigaretta tra le labbra e le mani in tasca. Non si preoccupò di accendere la sigaretta, limitandosi a rigirarla tra le labbra con nonchalance.

- Andiamo a bere. Non ho intenzione di andarci da solo.. -

- Perché dovrei accompagnarti? Chiedilo a qualcun altro, io ho da fare. -

No, non avevo realmente da fare. L'unica cosa che avevo da fare era fissare il soffitto della mia camera.

- ... Offro io. -

Vincent sembrò quasi sforzarsi nel dirlo, come se si stesse attaccando all'ultimo scoglio. 
Rimasi silenziosa per qualche secondo per poi sbuffare rumorosamente, portando una mano a sistemare il ciuffo di capelli che mi ricadeva disordinato sulla fronte.

- ...Dove andiamo a svagarci, Mister-Tu-non-sai-chi-sono-io? -

 

 

 

 

Note dell'autrice: 

Buonasera! E' passato parecchio tempo dall'ultimo aggiornamento di questa storia, per tanto mi scuso nei confronti di coloro che la seguono: purtroppo la maturità mi ha portato via diverso tempo e il particolare carattere di Rainy richiede parecchio lavoro ed attenzione per poterlo gestire al meglio. 
Innanzi tutto vi ringrazio per aver letto il capitolo sin qui
In secondis: come avrete certamente avuto modo di notare la storia sta iniziando a trattare di temi piuttosto delicati, per tale ragione sto prendendo in considerazione di innalzare ulteriormente il raiting, portandolo al rosso. 
Mediterò ancora sulla questione per questo capitolo e il prossimo ma mi pareva giusto avvisare. 
Non intendo far attendere un altro anno per il prossimo capitolo, ragione per cui mi sono già messa al lavoro per la stesura del prossimo capitolo. 
Grazie ancora per la vostra attenzione, buonanotte a tutti!
   
 
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