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Autore: alessandroago_94    14/09/2018    11 recensioni
1519 d.C.
Dopo secoli di attesa, il sogno degli Aztechi diventa improvvisamente realtà; un essere dalla pelle bianca e dalla lunga barba è tornato per riprendere il posto che gli spetta.
Da qui ha inizio la tragedia di un Imperatore e del suo popolo intero.
Questo racconto si è classificato secondo al Contest “Piacere, sono Dio”, indetto da Not_Only_Fairytales sul Forum di Efp.
Racconto vincitore del riconoscimento Filosofia (per essere riuscito a fondere la Storia, di conseguenza una riflessione su di essa, e scrittura), e del riconoscimento Out of paper (per aver sfruttato il concorso per creare approfondimenti su testi scritti in precedenza. Per essere andato ''oltre la carta''), quest'ultimo condiviso con Freddo, di Rockettorussia.
Genere: Drammatico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Antichità
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Il dio pallido

IL DIO PALLIDO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si erano esauriti i giorni fatti di gloria e di splendore. Non c’era più un tesoro immenso da osservare ogni mattina, mentre i canti degli uccelli risuonavano nelle immensità di un palazzo leggendario.

Ora erano rimaste solo le catene, imposte da un dio tornato nella terra in cui si era reso uomo.

 

Montezuma ricordava bene il giorno in cui uno dei suoi sudditi più poveri era giunto al suo cospetto, ricoperto di luridi stracci. Egli riportava la notizia di un avvistamento incredibile; infatti, pareva che alcuni esseri strani e dalla pelle pallida fossero giunti dall’oceano, e fossero sbarcati lungo una remota spiaggia, distante dal cuore del fiorente impero.

Nervoso, l’Imperatore si era affrettato a mandare uomini di sua fiducia a dare un’occhiata, ed essi avevano confermato le precedenti affermazioni.

I preti avevano gridato in coro che Quetzalcóatl era tornato, e lui non si era potuto opporre al volere divino.

 

In realtà, provò a fare uccidere il dio, ma egli si dimostrò così scaltro da meritarsi gli ornamenti più belli dell’impero.

Ornato come la creatura più appariscente del mondo, egli era giunto a Tenochtitlan venerato e osannato da tutti, mentre i componenti di ogni popolo abbassavano il capo quando lo vedevano. Era un dio bellissimo.

Il colore della sua pelle e quella lunga barba incolta lo rendevano un idolo vivente.

 

E poi, cos’era successo? Perché il dio buono, un principe saggio(1), aveva cominciato a comportarsi male?

Accompagnato dai suoi fedeli luogotenenti, aveva confiscato tutto il tesoro imperiale, e poi aveva distrutto il vastissimo giardino di Montezuma. I rarissimi uccelli lì raccolti erano stati uccisi, le piante tropicali deturpate.

All’Imperatore era bastato tutto questo per capire che colui che aveva al suo cospetto non era un dio, bensì un uomo, solo che la sua pelle era di un colore differente. Era tuttavia già troppo tardi per fare qualcosa, poiché la falsa divinità l’aveva messo in catene.

“Chi sei tu, per potermi fare questo?”, aveva proferito l’Imperatore, sconvolto da cotanta barbarie, ma mantenendo la dignità.

L’essere aveva sorriso, prima di degnarsi di rispondere.

“Piacere, sono dio”, tradusse infine la traduttrice.

 

Marina(2), era il nome straniero della traditrice. Un tempo schiava dei Messicani, adesso era lei a mettere le catene a chi era stato suo padrone.

Aveva cambiato nome e aveva accettato quello che chiamavano il battesimo.

Aveva seguito il suo uomo, il falso dio bianco, mentre distruggeva i templi e faceva abbattere le statue delle divinità. Era stata a letto con lui, e portava in grembo la vita che era stata generata da quell’unione.

Una sera andò dall’Imperatore, quando egli ormai era stremato dalla prigionia; aveva perso peso, le catene gli facevano male.

“Ora sai cosa vuol dire essere schiavo”, gli sussurrò, malevola.

“Non puoi piegarti a quel mostro. Dice di essere un dio, ma non lo è…”, rispose Montezuma.

“Lo è, invece, e assieme daremo vita a una lunga stirpe di divinità”, affermò la donna, “tu invece perirai, schiacciato dal suo infinito potere”.

“Toglimi le catene, donna!”, le ordinò l’Imperatore, sperando che i suoi comandi, un tempo rispettati da tutti, avessero ancora effetto.

Marina però rise e non si mosse.

“Sarà meglio che la smetti di dare ordini. Se lui dovesse sentirti, potrebbe farti del male…”.

“Io sono l’Imperatore”, la interruppe l’uomo.

“Lo sei, ma sei anche formato da carne e ossa, così come i tuoi figli e le tue mogli. Ora il nostro dio ti vede come un suo giocattolo, quindi dovrai solo obbedirgli e continuare a ripetere ciò che ti ordina, altrimenti la tua discendenza sarà sterminata e le tue consorti violentate. Ho visto cosa fanno i suoi sottoposti alle donne della città; per loro sono come oggetti, così come lo siamo tutti quanti”.

Montezuma restò in silenzio, aveva perso le speranze.

“Obbedisci, se vuoi continuare a vivere e se hai a cuore la tua famiglia e il tuo popolo”, concluse la donna, per poi andarsene.

 

Infine, il dio aveva obbligato l’Imperatore a guardare la morte dei suoi fedeli servitori, bruciati vivi. Montezuma ormai era piegato, nel corpo e nell’animo.

Fu obbligato a implorare il suo popolo arrabbiato di non attaccare i prepotenti, poiché essi erano esseri divini invincibili, ma già i suoi uomini ne avevano uccisi alcuni e sapevano che era tutta una farsa.

 

Per un po’ andò avanti così, con un Imperatore schiavo che veniva obbligato a parlare a un popolo sull’orlo di una rivolta epocale.

Giunse però il momento in cui Montezuma desiderava solo la morte, non potendo più sopportare la vita. Le giornate scorrevano tutte uguali, tra digiuni, violenze e sofferenze.

Quando era stato portato per l’ennesima volta al cospetto del suo popolo, con le catene a tenerlo immobile, non provava più niente dentro di sé, era come svuotato.

Quando la freccia scagliata da uno dei suoi sudditi entrò nelle sue carni e le dilaniò a morte, fu come una vera liberazione.

Solo allora la sua interiorità si risvegliò, riportandogli alla mente diverse scene della sua esistenza… tutte bellissime. Ma ora che lui moriva, cosa sarebbe successo all’impero intero e alla sua famiglia?

Spirò angosciato, all’aperto come il più umile degli schiavi.

Quando era stato proclamato Imperatore, aveva promesso di difendere la popolazione da ogni insidia, ma alla fine era stato costretto a capitolare al cospetto di un falso dio.

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

(1); Quetzalcóatl era un dio dei Toltechi, assorbito dal variegato pantheon degli Aztechi. Si narra che egli fu uomo, poiché si fuse con un principe casto e puro, inizialmente suo fedelissimo sacerdote. La sua pelle bianca e la lunga barba gli conferivano un aspetto un po’ strano e originale.

Il principe-dio era sfavorevole ai sacrifici umani, in più si dedicava a lunghi digiuni e alla continua preghiera. Innervosito e invidioso del fratello, uno dei suoi fratelli minori lo ubriacò e lo mise a letto con la loro sorella, macchiandolo per sempre di disonore (attenzione; alcune leggende narrano che il principe fu invece sedotto da divinità maligne, ma la sostanza non cambia, poiché alla fine si macchiò di tali e identiche colpe). Una volta scoperto, e messo al centro di uno scandalo senza precedenti, l’innocente principe non poté far altro che andarsene in esilio.

Incredibilmente, l’esilio di questo principe-dio traspare in molte leggende dei popoli dell’America Centrale, anche presso i Maya, che tramandarono i racconti dei suoi vagabondaggi nella loro regione, datati tra il 987 e il 1000 d.C.

Poi, esso scomparve, e si narra che affrontò l’oceano con una zattera…

La leggenda tolteca narrava che egli sarebbe tornato, un giorno, per riprendere il suo posto.

Si trattava tuttavia del dio più benevolo, per questo aveva schiere di fedeli che credevano fermamente nel suo ritorno.

 

(2); Malinche, poi battezzata col nome cristiano Marina. Di origine azteca, fu venduta come schiava da bambina per via di un conflitto familiare insoluto. Quando incontrò Cortes, il conquistatore spagnolo che approfittò delle credenze azteche, lo seguì e condivise il suo giaciglio. I due ebbero un figlio, tuttavia pare che non ci fu alcuna storia d’amore a legarli. Cortes poi avrà anche un altro figlio con una delle figlie di Montezuma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Questo breve raccontino sicuramente aiuta chiunque abbia letto Il ritorno del Serpente Piumato a farsi un’idea ben precisa di ciò che probabilmente ha vissuto Montezuma durante i suoi ultimi giorni.

Grazie alla giudice di questo Contest, che mi ha offerto l’opportunità per tornare ad affrontare la Storia degli Aztechi.

E grazie a voi, che siete giunti fin qui ^^

Il racconto è composto da 874 parole, note escluse, ovviamente.

 

 

 

 

   
 
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