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Autore: JohnHWatsonxx    14/09/2018    2 recensioni
[seguito di "It's time for us to part"]
Kurt si trova in giro per New York dopo aver seguito la sua ultimissima lezione alla NYADA prima della laurea, e per curiosità entra in un piano bar. Non sa, però, che si troverà davanti una vecchia figura del suo passato, con cui non aveva mai davvero chiuso i rapporti.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'If I Stay'
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Kurt Hummel non esisteva più, non esisteva più da quando aveva lasciato Lima quattro anni prima, non esisteva più da quando lui lo aveva guardato e gli aveva detto che sarebbe stato meglio per loro che ognuno continuasse per la propria strada. Come se ci fossero state due strade separate per loro. Si erano incontrati e da quel momento le loro vie si erano sovrapposte, non c’era stato giorno, minuto, secondo, in quei quattro anni in cui Kurt non avesse pensato a lui.
 
Dov’è adesso? Come se la cava? Ha ripreso a ballare, a cantare? Ha ripreso a vivere?
 
Non parlava con Blaine da quattro anni, non sapeva niente di lui, non sapeva neanche se fosse tornato il ragazzo di una volta, dopo quello che gli era accaduto. Sapeva che dopo essersi svegliato aveva passato giorni terribili e notti ancora peggiori. Sapeva che non parlava più di tanto, che si rifiutava di cantare. Aveva saputo da Tina che, quando era tornato a scuola per il suo ultimo anno, aveva accettato di restare nel glee senza però dover mai cantare. Quella era la sua ultima informazione su di lui, dopodiché il nulla assoluto. E quello risaliva a tre anni e otto mesi prima.
 
Blaine Anderson era scomparso dalla vita di Kurt Hummel, e Kurt Hummel era scomparso dalla propria.
 
*
 
Dopo il risveglio Blaine era cambiato radicalmente: non parlava, passava ore a guardare il soffitto mentre tutto intorno e dentro di lui andava a pezzi. Il padre si era pentito di averlo trattato male, ma la sua idea sugli omosessuali non era cambiata, quindi il loro rapporto era arrivato ad un punto di rottura. Kurt non lasciava l’ospedale durante il weekend, e durante la settimana usciva da scuola e passava il resto della giornata in ospedale, che sia al fianco di Blaine o su una di quelle sedie scomode appena fuori la terapia intensiva che lo avevano ospitato in quei tre giorni d’inferno. Comunque non avrebbe cambiato niente il luogo in cui stava Kurt, perché Blaine non gli parlava, non voleva essere toccato se non dagli infermieri quando gli cambiavano le flebo o gli prelevavano il sangue, e non guardava nessuno. E la prima notte dopo essersi svegliato aveva passato il tempo ad urlare nel sonno, e Kurt non poteva fare niente, se non sentirlo piangere e crollare a sua volta.
 
Poi un giorno, circa due settimane dopo quella notte, mentre Kurt parlava con Blaine, come ogni giorno, quest’ultimo aveva spostato lo sguardo verso di lui, per la prima volta dopo tutto quel tempo. Avevano passato minuti interi a fissarsi, Kurt sempre più incredulo e sorpreso, specialmente quando Blaine aveva accarezzato dolcemente la mano che il suo ragazzo teneva poggiata sul letto, e lui si era fatto scappare un singhiozzo.
 
“Oh, Blaine –riuscire a dire Kurt tra le lacrime- mi sono mancati i tuoi occhi”
Quello era stato il primo passo verso una quasi completa normalità.
 
*
 
Kurt si era laureato alla NYADA con il massimo dei voti, insieme a Rachel, con cui ha abitato per tutto il periodo di studi. Lei e Finn si erano lasciati tre anni prima, ma erano tornati insieme dopo qualche mese. In quei cinque mesi separati, Finn aveva preso le redini delle Nuove Direzioni, e parlava con suo fratello delle lezioni che proponeva ogni settimana. Solo una volta Finn aveva nominato Blaine, perché sapeva che era ancora una ferita aperta per Kurt, e quella volta non aveva neanche parlato direttamente di lui, aveva solo indicato la sua posizione nell’esibizione alle provinciali (“Blaine sta tutto il tempo in fondo, insieme a Joe, Sugar e Tina”).
 
Tornava dall’ultima lezione di ballo con la July quando, per puro caso, passando vicino un locale jazz che vedeva sempre vuoto, non vide la locandina attaccata fuori al locale che invitava i passanti a entrare per sentire la musica di un pianista proveniente dall’Ohio. Il suo orgoglio patriottico lo portò automaticamente all’interno del localetto, arredato in stile anni venti. Anche quella sera, come le altre volte in cui lo aveva visto da fuori, il bar era vuoto.
 
 Il barista se ne stava seduto su uno sgabello, con in mano un bicchiere di whisky liscio e il grembiule poggiato sulle sue gambe. I pochi clienti che c’erano sembravano abituali, chiacchieravano tranquillamente tra loro includendo nelle loro conversazioni anche il personale. Kurt si sentì subito fuori posto, circondato da un mondo che non gli apparteneva. L’unico approccio che aveva mai avuto con anni venti e il jazz era quando aveva visto per la prima volta il musical Chicago in compagnia di Rachel nella stanza di lei, quindi trovarsi lì per lui era come entrare nella prigione di Cook Country*.
 
Si sedette al tavolo più lontano dal palco, ordinò un drink analcolico, ed aspettò. Prima dell’inizio del concerto, con sua grande meraviglia, il locale si riempì, spezzando il silenzio a cui si era abituato. C’erano gruppi di adulti che sembravano adolescenti per il modo in cui aspettavano il pianista (che sapessero già chi si sarebbe esibito?), mentre il resto del pubblico era formato da giovani adulti come lui che non sapevano dove andare. Appena le luci si spensero, Kurt mandò un messaggio a Rachel avvertendola che avrebbe fatto tardi e poi spense il telefono senza aspettare una risposta.
 
Sul palco salì un ragazzo, quella era l’unica cosa che capì Kurt, dato che la sua figura era ancora in ombra. Capì anche che aveva la barba e i capelli ricci, e che indossava una semplice polo e dei jeans. Solo quando raggiunse la panchetta del pianoforte e si sedette una luce abbagliante lo puntò, facendo scoprire il suo volto. Il ragazzo si voltò verso il pubblico, e a Kurt mancò il respiro.
 
Erano passati quattro anni, tre giorni e, se Kurt si fosse sforzato, avrebbe saputo contare perfino i secondi, e i suoi occhi non erano minimamente cambiati.
 
“Buonasera a tutti –iniziò Blaine Anderson- stasera suonerò per voi”
 
A Kurt era mancata la sua voce, i suoi gesti, il sorriso accennato, il suo corpo, la sua bellezza. A Kurt era mancato tutto di Blaine, e aveva capito da subito che non aveva smesso di amarlo, neanche quando lo aveva costretto a prendere quell’aereo.
 
*
 
C’erano momenti, durante le terapie di Blaine, in cui tutto sembrava essere normale, in cui i ragazzi del glee gli mostravano la coreografia delle nazionali e magari Finn sbagliava qualche passo, o Kurt muoveva troppo le spalle e Mike lo riprendeva e tutti quanti smettevano di ballare e cominciavano a ridere, compreso Blaine, e per un momento ci si dimenticava del luogo e della situazione in cui si trovavano. Ma poi Blaine smetteva di ridere, si guardava intorno, e tornava due passi indietro, si chiudeva in sé e smetteva di guardare, di toccare, di interagire con gli altri, e Kurt sospirava sconfitto, prima di sedersi non troppo lontano dal letto del suo ragazzo.
 
Blaine non era potuto andare al ballo, non era potuto uscire dall’ospedale per raggiungere Chicago e vincere le nazionali con i suoi compagni, non era potuto stare accanto a Kurt mentre riceveva il suo diploma. Erano due mesi che si trovava rinchiuso in quell’ospedale, e ancora non riusciva a parlare. Aveva paura che, se avesse aperto la bocca, non avrebbe che urlato, fino a farsi male alle tonsille. Non si faceva toccare da nessuno, tranne che da sua madre, Cooper e gli infermieri. Se Kurt si avvicinava troppo cominciava a tremare e a respirare male. Era lui che decideva di toccarlo, mai il contrario.
 
Non passava giorno in cui non fosse da solo. Molte volte era Quinn a fargli visita, perché la sua fisioterapia finiva quando iniziavano gli orari delle visite. Quando era possibile Finn e Rachel portavano anche Burt e Carole, mentre Kurt non stava mai più di ventiquattr’ore senza andare a trovarlo. Lentamente i graffi su viso, collo, mani e schiena guarirono, mentre il femore e le ferite sull’addome ancora non erano in via di guarigione. Secondo i medici fisicamente non c’era bisogno che fosse trattenuto lì, ma erano le sue condizioni psicologiche a preoccupare i dottori. Da quando si era svegliato aveva fatto molti progressi, toccava molte più persone, non tremava ad ogni singolo movimento, incrociava lo sguardo della gente e qualche volta accennava un sorriso o una risata. Però non parlava, mangiava pochissimo, non si faceva neanche sfiorare e gli sguardi troppo prolungati gli mettevano agitazione. Inoltre, ogni volta che gli proponevano di fargli fare una passeggiata fuori dalla stanza, lui scuoteva vivacemente la testa, chiudendo gli occhi e tremando leggermente.
Sapere inoltre del divorzio tra sua madre e suo padre non aveva fatto altro che peggiorare le cose, perché per Blaine era colpa sua. Blaine pensava di essere sbagliato, di essere sporco, di non meritarsi quella seconda opportunità. Perché era rimasto?
 
“Come what may
I will love you, until my dying day”
 
Kurt aveva aperto la lettera della NYADA due mesi e un giorno dopo il suo risveglio. Gli tremavano le mani mentre apriva la busta, che gli scivolò quando ne lesse il contenuto. Ce l’aveva fatta, era entrato nella scuola dei suoi sogni, nella città dei suoi sogni, eppure non era felice. Non lo sarebbe stato, non con Blaine in quelle condizioni. Se tutto quel casino non fosse successo, avrebbe detto a Blaine di stare tranquillo, che loro erano più forti, che lui non lo avrebbe perso, ma il casino era successo, e in quel momento non poteva lasciarlo.
 
“Sono entrato –sussurrò Kurt a testa bassa- ce l’ho fatta”. Blaine gli strinse la mano, e Kurt alzò lo sguardo verso i suoi occhi, mantenendo il contatto visivo per poco tempo, e poi guardò altrove. “Non ci andrò, Blaine” continuò lui, e poi riprese la lettera, chiudendola nella sua stessa busta e poggiandola sul comodino. “Ci andrò l’anno prossimo, dopo che ti sarai ripreso, ci andremo insieme” continuò il più grande, e Blaine gli lasciò la mano.
 
“No” sussurrò. “Ci andrai”. Kurt lo guardò con gli occhi spalancati, sorpreso nel risentire la voce del suo ragazzo dopo tutto quel tempo. Per quel momento dimenticò le parole che gli aveva detto, concentrandosi solo sulla voce bellissima di Blaine. “Hai parlato davvero, non me lo sono immaginato”
 
“Non posso farti questo, non sarò felice se resti qui” continuò il più piccolo senza badare alle parole di Kurt. “I miei stanno divorziando per colpa mia, tutti passano il pomeriggio qui fingendo di essere felici, io sono distrutto, e sto distruggendo tutto quello intorno a me, non posso farti restare”. Blaine sapeva –aveva sempre saputo- che Kurt sarebbe rimasto, ma non era d’accordo. Già si sentiva in colpa per il casino che il suo essere –sbagliato, dannatamente sporco, si diceva- aveva creato, non poteva reggere anche i sensi di colpa che lo avrebbero perseguitato se Kurt non fosse andato a New York.
 
L’altro lo guardò stralunato. “Ma Blaine, non posso lasciarti qui a combattere da solo, hai bisogno di me, hai bisogno di tutti noi”
 
“Devo risolvere il mio casino da solo, il vostro aiuto è totalmente inutile adesso. Costringendomi a parlare, a guardarvi, a sorridere, a toccarvi è straziante. E non pensate neanche per un momento che io non veda le vostre facce deluse ogni volta che provate a toccarmi e mi sposto. Vi sto portando nel mio casino e questa è la cosa che mi fa stare peggio. Impedirti di partire non farà che peggiorare la situazione”
 
Kurt provò a parlare, con le lacrime agli occhi, ma già il fatto che stesse piangendo era il segno che Blaine aveva ragione, che lui era finito nel suo stesso giro di problemi, ma non era forse quello lo scopo di una relazione, stare in mezzo ai problemi insieme e uscirne insieme?
 
“Vorrei che tu partissi, vorrei che non mi chiamassi ogni giorno, vorrei non vederti qua in ogni instante libero, vorrei che adesso tu tornassi a casa tua, facessi vedere la lettera a Burt e vorrei che cominciassi a vivere senza di me. Fallo, e ti prometto che il giorno in cui partirai io sarò all’aeroporto a salutarti. Fallo per me, ti prego” disse Blaine, senza alzare gli occhi per vedere la reazione dell’altro.
 
“Mi-mi stai lasciando? Ti prego, dimmi che non lo stai facendo Blaine, ti prego!” cominciò a singhiozzare Kurt, nascondendo il viso nella manica della sua camicia.
 
“Ti sto lasciando per me, perché io non sarò più lo stesso, e vederti soffrire mi uccide. Lo faccio per me perché la sola possibilità che sia io il mattone che ti impedisce di volare mi uccide, perché io sto faticando così tanto a sfiorarti la mano, a parlarti, a guardarti, e perché non sarò più un ragazzo adatto a te, perché vorrai tornare come prima e io non riuscirò più a fare l’amore con te senza sentirmi sbagliato” continuò Blaine, e Kurt poteva capirlo, ma faceva così tremendamente male lasciarlo andare. Annuì, per poi alzarsi e allontanarsi dal letto.
 
“Verrai il giorno della mia partenza?”     
 “Te lo prometto.”     
“Ti amo talmente tanto”    
Un respiro. Una pausa. “Prenditi cura di te stesso” **
 
*
 
Il suo modo di suonare non era cambiato, era migliorato. Di sicuro non era una sorpresa per Kurt trovarlo a suonare jazz in un locale di New York, lo aveva sempre pensato, ma dopo l’incidente qualcosa si era spezzato in Blaine e aveva causato una rottura tra lui e la musica. Perdere le provinciali, tornare in gara, vincere le regionali e perdere le nazionali di Los Angeles non aveva dato nessuna emozione a Blaine, che per tutto il quarto anno si era limitato a sedersi in fondo alla classe e ad agitarsi sullo sfondo durante le competizioni. Il glee non lo aveva salvato, e questo Kurt lo sapeva benissimo.
 
Per questo motivo era così sorpreso nel vederlo suonare, oltre al fatto che lo rivedeva dopo quattro anni. Le sue mani si muovevano leggere sui tasti d’avorio, mentre i suoi occhi erano socchiusi e i suoi capelli ricci, senza una traccia di gel, si muovevano come se avessero avuto vita propria. Kurt non lo aveva mai visto così… libero rispetto a come si comportava quattro anni prima. La sua postura era più incurvata, i suoi capelli erano disordinati, la barba incolta, i vestiti che sembravano essere scelti all’ultimo minuto… quello non era il Blaine adolescente che Kurt ricordava, era il Blaine uomo, una persona che nei suoi ricordi aveva molte brutte esperienze che lo avevano ridotto in quel modo. Kurt ne era spaventato e allo stesso tempo affascinato.
 
Alla fine del concerto Blaine era leggermente sudato, i suoi occhi lucidi si rivolgevano al pubblico che lo acclamava e si alzava per lui. In quel momento di confusione Kurt decise di andarsene, di sparire completamente, perché, come aveva detto Blaine stesso quattro anni prima, lui non sarebbe mai stato un ragazzo adatto, anche se i suoi sentimenti gli provavano il contrario.
 
Stava giusto dirigendosi verso l’uscita, quando lo stesso barista che si trovava lì dall’inizio della serata lo fermò, chiamandolo per cognome. Kurt si girò, stranito, verso quello straniero. “Scusi, la conosco?” chiese avvicinandosi all’uomo. “No” rispose lui “ma Blaine Anderson si, vuole vederti, mi segua”
 
Per tutto il tragitto dal bar al dietro le quinte Kurt non fece altro che farsi due domande: “perché vuole vedermi?” È lui che ha chiuso, è lui che lo ha lasciato andare, e “Come è possibile che mi abbia visto?” era talmente nascosto da non riuscire quasi a vedere Blaine su quel palco.
 
Arrivarono davanti a una porta e il cameriere si fermò. “Entra, non serve che bussi” disse, per poi tornare sui suoi passi e lasciare Kurt in balia dei suoi pensieri. Dietro quella porta c’era il suo passato, il fantasma che lo ha seguito in ogni suo passo, in ogni suo pensiero, per quattro lunghissimi anni. Quella sera, pensava Kurt, sarebbe stata decisiva. Prese quindi un respiro profondo, ed entrò.
 
Blaine Anderson era lì, bello più che mai, seduto davanti ad uno specchio mentre si asciugava la fronte. Aveva cambiato i vestiti, nel frattempo, e si era sistemato il ciuffo. Non si girò quando la porta si aprì, perché sapeva che era Kurt, e si limitò a guardarlo attraverso lo specchio. 
 
“Ciao” sussurrò il più grande. Chi era quella persona che aveva davanti? Quanto era uguale al Blaine che ricordava, e quanto era cambiato in quei quattro anni?
 
“È bello rivederti, Kurt. Come stai?” finalmente Blaine si girò verso di lui, incrociando il suo sguardo. Gli erano mancati così tanto quegli occhi in quei quattro anni, unica cosa del viso di Blaine a non essere cambiata, insieme alle sopracciglia. Il suo sorriso era diverso, non del tutto sincero, anche le sue guance e il suo naso lo erano (Kurt riconobbe la cicatrice tra le sopracciglia, e quella sulla guancia sinistra), ma i suoi occhi erano quelli del ragazzo che amava, che amava anche in quel momento, dopo quattro lunghissimi anni.
 
“Bene… ma cosa ci fai a New York? Da quanto tempo sei qui?” chiese confuso Kurt.  
“Ci studio, sono stato ammesso all’NYU l’anno scorso, frequento i corsi più importanti di musica, e lavoro qui part time” rispose Blaine, come se fosse tutto normale, come se Kurt avrebbe dovuto prendere bene la notizia. Lui si stava laureando, l’altro stava iniziando il college, cosa si era perso?
 
“Mi avresti avvertito? O saresti passato per questa città come un fantasma, sapendo che io ero giusto a qualche quartiere di distanza?” sbottò Kurt, avvicinandosi a lui.      
 
“Pensavo… speravo ti fossi dimenticato di me, speravo che sarei potuto andare avanti, ma riconosci quanto sia importante qualcuno per te solo quando lo lasci andare e poi lo ritrovi tempo dopo senza programmare niente” rispose Blaine senza smettere di fissare Kurt negli occhi. Eccolo, davanti a sé, il miglioramento, la prova che il più piccolo stava andando avanti, che i fantasmi c’erano ancora, ma non stavano più condizionando la sua vita.  
                         
“Sei tu che mi hai lasciato andare, Blaine, perché queste parole? Perché mi dici questo dopo quattro anni?”. 
 “Perché mi erano mancati i tuoi occhi”.
 
*
 
All’aeroporto Blaine c’era, seduto su una sedia a rotelle, con la gamba ingessata e qualche fasciatura su braccia e gambe, ma c’era. Era uscito la mattina stessa dall’ospedale, accompagnato da sua madre e da Cooper, che non lo aveva lasciato neanche per un secondo, annullando ogni impegno con Hollywood e le pubblicità. Kurt aveva la valigia in una mano, il biglietto aereo nell’altra, e tanto dolore nel cuore. Rachel lo aspettava a New York, aveva preso il treno poco dopo la fine della scuola, al posto di sposarsi con Finn.
 
Dopo tre mesi Blaine si era completamente ripreso fisicamente, psicologicamente non del tutto. Era passato un mese da quando aveva lasciato Kurt, e da quel momento aveva ripreso a parlare, poco dopo aveva permesso agli altri di toccarlo, anche se per momenti molto corti. Non riusciva ancora a reggere lo sguardo degli amici e dei familiari, ma ci stava lavorando. In quel mese era anche uscito dalla sua stanza, facendosi trasportare sulla sedia a rotelle da suo fratello e da sua madre.
 
Con Kurt aveva deciso che si sarebbero visti solo una volta a settimana, la domenica. Durante i loro incontri quasi non parlavano, il più piccolo allungava la mano verso l’altro, il palmo rivolto verso l’alto, e il più grande la afferrava, e restavano in quella posizione per tutta l’ora. Quello era l’unico contatto che Blaine non solo sopportava, ma cercava e apprezzava. Qualche volta si guardavano negli occhi, altre volte parlavano, ma erano i momenti di silenzio quelli carichi di tensione, carichi di parole, di promesse che entrambi avevano paura a fare perché sapevano che non sarebbero riusciti a mantenerle. Kurt qualche volta accennava ai preparativi per il trasloco, ma non scendeva mai nei dettagli.
 
E dopo un mese Blaine aveva lasciato l’ospedale e si era diretto a Columbus, per salutare Kurt un’ultima volta.
 
Il più grande aveva salutato tutti quelli del glee, suo padre, Carole, Cooper e Pam Anderson, e infine aveva abbassato lo sguardo su di lui. “Sei venuto alla fine” cominciò Kurt, con le lacrime agli occhi. “Mantengo sempre le promesse” rispose Blaine, porgendo la mano come nei loro ultimi incontri. Kurt la strinse subito, non riuscendo più a trattenere le lacrime, che ormai cadevano copiose sul suo viso.
 
“Non piangere, stai andando a realizzare i tuoi sogni, non devi pensare a me” sussurrò Blaine, mettendo anche l’altra mano su quella del suo ex ragazzo. “Scusa, non ce la faccio, questo sembra troppo un addio, ed io non sono pronto a dirti addio” balbettò il più grande tra le lacrime. “Tu sei uno dei miei sogni, Blaine, ed io sto rinunciando a te, sto rinunciando a un mio sogno”.
 
“Baciami” ordinò allora Blaine, costringendo Kurt a guardarlo. Quest’ultimo alzò gli occhi e li incatenò a quelli del suo ex ragazzo, in cerca di una minima insicurezza, di qualcosa che gli potesse impedire di baciarlo in mezzo all’aeroporto, ma tutto quello che trovò fu sicurezza e amore. Si inginocchiò, quindi, lasciando che Blaine continuasse a stringere la sua mano sinistra, mentre la destra si posò sulla sua guancia ruvida, dove la barba cresceva incolta.
 
E poi Kurt posò le labbra su quelle di Blaine, muovendole piano, per assaporare ogni istante di quel loro ultimo bacio. Il più piccolo aprì le labbra, permettendo all’altro di approfondire il contatto.
 
Si esplorarono come se fosse stata la prima volta, come alla Dalton, su quel letto. Si baciarono per minuti, che sembravano ore, e si stavano amando come se non avessero mai potuto smettere, e forse era così. Fu Burt a interromperli, dicendo a suo figlio che avrebbe perso il volo. I due si staccarono, allontanandosi solo di qualche centimetro l’uno dall’altro.
 
“Ti amo così tanto che respiro a malapena” sussurrò Kurt sulle labbra di Blaine.
 
“Non mi stai perdendo. Se mi ami come dici tu ci incontreremo ancora” rispose il più piccolo, per poi spostare le mani sulle ruote e allontanarsi da Kurt, che fece qualche passo indietro, per poi girarsi e dirigersi verso il check-in. Non si voltò, perché l’ultimo ricordo che voleva avere dell’Ohio erano le labbra di Blaine, e non le lacrime degli altri. Avrebbe abbandonato Lima avendo con sé il ricordo dell’unico motivo per cui non avrebbe voluto abbandonarla.
 
*
 
“Perché sei al tuo primo anno? Se non sbaglio dovresti aver appena finito il terzo” Disse Kurt. Si era creato un momento imbarazzante, dopo quello che aveva detto Blaine, e rimasero in silenzio per qualche secondo, prima che il più grande prendesse la parola.
 
“Dopo… dopo il diploma sono finito in depressione –confessò Blaine, sedendosi- avevo già ricevuto la conferma di ammissione all’NYU, ma non ci volevo andare, passavo le giornate sul letto a dormire, e quando mi svegliavo non mi muovevo se non per andare al bagno. Non che non fossi depresso già da quando mi sono svegliato, ma finire il liceo mi ha portato in uno stato di perdizione, un circolo oscuro da cui non pensavo di riuscire ad uscirne. Il mio analista mi consigliò di fare qualcosa che amavo –prese una pausa, posando il pollice e l’indice sul ponte del naso- ma di cantare non riuscivo, non riesco, proprio. Come se la mia voce avesse smesso di funzionare correttamente. Quindi, un anno e mezzo dopo l’incidente, mi sono messo al pianoforte, e ho suonato la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven, ed è scattato qualcosa in me. Il pianoforte mi ha aiutato a riprendermi completamente. Il restante anno e mezzo l’ho passato a lavorare nei piano bar per racimolare soldi per la retta e l’affitto di un appartamento qui a New York dove potessi mettere il pianoforte. Raggiunta la stabilità economica ho fatto di nuovo domanda qui, mi hanno accettato, e adesso frequento il college, e ho appena finito il primo anno” finì Blaine, torturandosi le mani, in attesa di una risposta dal suo ex.
 
Kurt non sapeva come rispondere, era a conoscenza del fatto che Blaine non era stato bene, ma fino a quel punto no. Se fosse rimasto…
 
“Non lo pensare nemmeno, Kurt. Non sarebbe cambiato niente se fossi rimasto, anzi, sarebbe stato peggio, te l’ho già detto” riprese Blaine, interrompendo Kurt dal suo flusso di pensieri.  
“Ma come hai fatto a…?”
“Ti conosco, so che non sei cambiato, Finn mi ha dato aggiornamenti costanti sulla tua vita ogni mese, e ogni volta iniziava il messaggio con ‘non è cambiato’” rise Blaine.
 
“Tu… sai tutto? Mentre io non so niente di te? Sei stato un fantasma per me, per quattro anni, mentre tu sapevi dove fossi e cosa facessi? Non ci credo, Blaine. Finn mi ha detto esplicitamente che non volevi che io sapessi qualcosa di te, mentre tu sapevi tutto?” sbottò Kurt. Si sentiva ferito, tradito dal suo ex che ancora amava e da suo fratello.
 
“Devi capirmi Kurt, dovevo sapere se la decisione che ho preso per noi, per te, sarebbe stata giusta, dovevo togliermi almeno un peso da quello che stavo passando!” esclamò Blaine, alzando la voce per la prima volta in quei dieci minuti.
“Cosa intendi?”
 
“Intendo che i miei hanno divorziato, che Cooper ha perso il provino dell’anno, che quelli del glee durante l’ultimo anno mi trattavano come se fossi di vetro, ecco cosa intendo! Non volevo rovinare la vita a l’unica persona a cui io abbia mai tenuto veramente! –prese un respiro profondo, calmandosi- Lasciandoti, facendomi odiare da te, ti ho permesso di arrivare a dove sei ora, alla tua laurea alla NYADA con il massimo dei voti. Ho rinunciato a te per realizzare i tuoi sogni, ho lasciato andare l’unica cosa che mi teneva a galla. Anche per questo sono finito in depressione, per questo gli aggiornamenti di Finn, perché più leggevo dei tuoi progressi, più io tornavo in superficie. Non sarebbe successo se fossi rimasto a Lima”
 
Kurt non fiatò dopo quella confessione, continuò a guardarlo e a lasciarsi guardare, mentre metteva le idee in chiaro, mentre decideva cosa dire, e si soffermò su un particolare di tutto il discorso del suo ex.
 
“Non ti ho mai odiato, in questi quattro anni. -sussurrò- Avrei voluto prenderti a parolacce, urlarti contro, ma quello che hai fatto non ha cambiato i sentimenti che provo per te. Odiavo quando mettevi troppo gel nei capelli, quando mi rubavi la scena al glee, quando abbinavi il papillon rosa confetto alla camicia a quadretti bianchi e verdi, ma non ti ho mai odiato per avermi costretto a prendere quel volo. Hai fatto come Finn, e l’ho capito. Ma la cosa che ho odiato di più in questi quattro anni non eri tu, ma il non poterti cercare, parlare, toccare… amare. Questo è quello che ho più odiato. Ma per Kurt Hummel, odiare Blaine Anderson non fa parte del DNA” concluse, avvicinandosi a lui.
 
Blaine lo guardò, e i loro occhi si incrociarono per l’ennesima volta, e vi lesse tutto quell’amore, che non sembrava essere diminuito nel tempo, ma aumentato. Non servivano altre parole per rispondere a Kurt, ma il più piccolo sentiva il bisogno di rispondere a quello sguardo.
 
“Anche io” sussurrò piano “anche io”.
 
*
 
“Sono sicuro che non hai mai visitato New York di notte” esclamò Blaine ad un certo punto, mentre parlavano dei rispettivi college. Mezz’ora che stavano insieme dopo quattro anni ed era come se non fossero passati neanche due secondi. “In effetti no, non ne ho mai avuto il tempo. L’unica volta che sono stato fuori casa la sera è successo durante il… secondo anno, avevo litigato con Rachel e mentre tornavo a casa ho visto due tizi picchiare un giovane ragazzo gay, sono intervenuto e… si insomma, due energumeni mi hanno pestato. Sono stato in ospedale per due giorni, e ho una cicatrice sotto l’occhio destro” rispose, mostrando il viso alla luce, dove una piccola linea bianca si allungava sul suo zigomo.
 
“Non sembri scosso nel parlarne”
“Infatti non lo sono, sono fiero di quello che ho fatto, mi ha reso più forte”
 
“Vorrei averla presa allo stesso modo…” rispose Blaine, abbassando lo sguardo. Era la prima volta che Kurt lo sentiva parlare così apertamente di quello che aveva passato, e ne rimase piacevolmente colpito, voleva dire che si fidava ancora di lui, dopo quattro anni.
 
“Non colpevolizzarti su come l’hai presa, Blaine. Io ho solo ricevuto qualche pugno e un mattone sul viso, a te hanno fatto peggio, molto peggio, la tua reazione è stata anche fin troppo calma, quindi smettila” ribatté deciso. “Non ho mai visitato New York di notte, ma possiamo farlo adesso”
 
Blaine alzò lo sguardo, sorridendo, uscendo con Kurt da quel piccolo bar jazz che li aveva riuniti dopo quattro anni.
Parlarono molto, mentre si dirigevano all’Empire State Building, soprattutto di matrimonio. Dopotutto, l’anno precedente era stato legalizzato il matrimonio gay in tutta la nazione, e Kurt era sceso con il resto di New York nelle strade, con la sua personale bandiera arcobaleno, e Rachel e Finn al suo seguito.
 
“È stato magnifico, Blaine. Siamo stati fuori tutto il giorno e c’erano persone che si baciavano ovunque, anche perfetti sconosciuti che si erano incontrati quello stesso giorno. L’Empire si è riempito dei colori dell’arcobaleno e tutti hanno cominciato ad urlare. Era un inno all’amore, avrei voluto che tu ci fossi” raccontò Kurt.
“Io ero tranquillamente seduto sul divano a vedere quello che tu hai vissuto in prima persona, in qualche modo c’ero davvero” rispose tranquillo Blaine.
 
Ma c’era qualcosa che non quadrava, per Kurt. Cosa era successo, perché è cambiato così tanto, dove sono i papillon, il gel, i pantaloni fino alla caviglia, stretti più che mai, i colori sgargianti? E come mai la barba? Rimase in silenzio a rimuginare, senza accorgersi che erano arrivati a destinazione, continuando a camminare.
 
“Kurt?” lo chiamò l’altro, facendolo girare. Alla sua sinistra il grattacielo era pieno di colori, ma in quel momento per lui c’era solo il suo ex, illuminato da quelle luci, rendendolo più bello e diverso che mai.
 
“Dove sei finito, Blaine? Questo non sei tu, non è il tuo stile, non è il tuo viso, non sono i tuoi occhi. Dove sei?” chiese sull’orlo delle lacrime, pentendosene subito dopo vedendo la reazione dell’altro.
 
Blaine sospirò, aspettava quella domanda da quando si erano rivisti. “Non… non ho più voluto mettere il gel perché ogni mattina mi svegliavo stanco, e non avevo la forza di andare in bagno e sistemarmi il viso, la barba deriva dalla stessa motivazione. Ho… venduto tutti i miei papillon, non riuscivo a indossarli, mi stringevano il collo e la sensazione che provavo era troppo… troppo simile a quelle mani –Blaine cominciò ad agitarsi, torturandosi le mani compulsivamente- e ho trovato un nuovo stile, molto più sobrio, più tranquillo. Ma sono sempre io Kurt, sto tornando ad essere me stesso. Sono convinto che, quando e se dovessi tornare a cantare, quello sarà decisamente l’ultimo passo per superare quello che ho passato” rispose, avvicinandosi a Kurt, che sospirò, lasciandosi scappare qualche lacrima.
 
“Cosa c’è ora?” chiese Blaine, posando una mano sulla spalla di Kurt.
“È colpa mia, Blaine. È questo quello che penso da quattro anni. Se… se ti avessi risposto al telefono saresti venuto da me, staremmo ancora insieme, e non avresti subito quello che hai subito! Non lo capisci che dovresti odiarmi? Che per quattro anni ho pensato che tu mi avessi lasciato perché sapevi anche te che era colpa mia, e me lo meritavo, ero sollevato dal fatto che avessi capito anche tu che persona orribile sono –continuò a parlare tra i singhiozzi, non smettendo di piangere- ma poi tu mi dici che mi hai lasciato perché mi amavi, e io… non ci riesco Blaine” non riuscendo più a continuare, Kurt, si nascose il viso con le mani, mentre la sua schiena continuava a tremare.
 
Blaine, sorpreso, prese tra le sue mani quelle di Kurt, riuscendo a vedere la sua faccia e i suoi bellissimi occhi azzurri. “Non è colpa tua. Kurt, guardami, guardami –Kurt alzò lo sguardo, e l’altro prese tra le mani il suo viso, asciugandogli le lacrime con i pollici- non è mai stata colpa tua, e mai lo sarà. Se non lo penso io, non lo devi pensare neanche te, mi hai capito?” Kurt annuì, poco convinto.
 
Solo in quel momento il più basso realizzò quanta poca distanza ci fosse tra loro. Ma no, non lo avrebbe baciato, non erano ancora pronti. Respirò lentamente insieme a Kurt, per tranquillizzarlo, il respiro dell’altro si infrangeva sulle sue labbra, provocandogli tremori alle gambe, e poi si distanziò, prendendo il braccio di Kurt e continuando la loro passeggiata.
 
Andarono a Central Park, camminando vicini e ridendo quando Kurt inciampò su un sassolino, reggendosi sulle braccia di Blaine. Parlarono di studi. Kurt gli disse che al suo primo anno aveva battuto Rachel alla follia di mezzanotte – “Una specie di fight club canterino” - e da quel momento Rachel aveva cominciato a comportarsi molto meglio, capendo di non essere l’unica diva. Blaine gli raccontò delle sue avventure con la sedia a rotelle.
 
“Quando si rompe il femore ci vuole un sacco di tempo prima che ricominci a camminare. Ho passato quattro mesi su quella sedia, e mi piaceva anche, gli unici momenti in cui sorridevo era quando io e Artie facevamo le gare di velocità tra i corridoi della scuola. Ci siamo beccati una punizione per aver quasi investito la Sylvester” ridacchiò.
 
La conversazione era leggera e mai imbarazzante, e faceva sentire bene entrambi. Girarono quasi tutto il parco prima che Blaine cominciasse a rallentare. “Che succede?” chiese Kurt. “Niente… è che quando sono stanco o nervoso comincio a zoppicare, sai… il femore” rispose, sedendosi su una panchina lì vicino.
“E sei stanco o nervoso?”
“Credo entrambi, è comunque mezzanotte e abbiamo camminato tanto, poi oggi è la prima serata libera dopo tanto tempo e poi ci sei tu, e vederti era l’unica cosa che non mi aspettavo da questa giornata”
 
“Se ti metto a disagio me ne vado. Mi sei mancato tantissimo, ma non voglio essere una cattiva presenza”
“NO! –rispose subito Blaine, con troppa fretta e troppa enfasi, facendolo arrossire di colpo- non te ne andare. Mi sei mancato troppo e non credo sopporterei vederti andar via di nuovo” Kurt sorrise.
 
Si amavano, era così ovvio, così evidente. Avevano camminato per più di mezz’ora a braccetto e adesso che erano seduti si tenevano per mano e nessuno dei due ci aveva fatto caso, come se fosse stato normale. E infatti lo era. Blaine poggiò il capo sulla spalla e sospirò di felicità, guardando intorno la perfetta atmosfera che solo la città di New York può dare.
 
“Sei felice?” chiese ad un certo punto Blaine.
Kurt si voltò a guardarlo, per poi tornare a fissare il paesaggio. “Tra le due opzioni sembra la migliore***, ma no, o almeno, non del tutto” rispose poggiando la testa su quella di Blaine. “E tu?” chiese poi “sei felice?”
“Penso che stasera io abbia trovato la via per esserlo dopo tanto tempo” sussurrò, così piano che Kurt faticò a sentirlo, ma sorrise, capendo che si riferiva a lui.
 
“È lo stesso per me, Blaine”
 
*
 
Erano le tre, quando si fermarono sulle rive del fiume Hudson. “Ci sono sempre venuto di pomeriggio, mi ricorda Finn, sarà il nome” ridacchiò Kurt.
 
“Io ci vengo sempre di notte” rispose sorpreso Blaine. Avevano frequentato lo stesso posto per tutto quell’anno e in orari diversi. Se uno dei due avesse cambiato orario si sarebbero incontrati lo stesso. Era solo destino, nessuna coincidenza. All’improvviso le parole di Blaine rimbombarono nella mente di Kurt. “Non mi stai perdendo. Se mi ami come dici tu, allora ci incontreremo ancora”
E, diamine, Kurt lo amava ancora. Erano bastate sei ore a farglielo capire.
 
Sorrise, poggiando il corpo sul corrimano. “È più suggestivo di notte, meraviglioso” sussurrò, guardando l’acqua scura. Blaine annuì, guardandolo. “Sai cosa è più suggestivo? Un bel caffè nel cuore della notte. Vieni, conosco un posto” esclamò Blaine, prendendolo per mano, come quella prima volta alla Dalton.
 
Corsero per un bel po’, ridendo come ubriachi, comportandosi come bambini tra le strade deserte di quella città, fino a che Blaine non si fermò davanti a un piccolo bar che vendeva caffè e cornetti, ed entrarono, tenendosi ancora per mano.
“Un caffè dietetico e un cappuccino medio, giusto Blaine?”
“Ricordi ancora il mio ordine” Kurt annuì felice, non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
 
Il più grande pagò per entrambi, e poi si sedettero ad un tavolino rotondo. “Sei stato con qualcuno dopo di me?” chiese ad un certo punto Blaine. Kurt sospirò, posando il suo caffè. “Ho avuto un piccolo flirt, al primo anno, con questo ragazzo inglese all’ultimo anno della NYADA. Si chiamava Adam e dirigeva il glee club della scuola. Mi ha mollato dopo che mi ha visto piangere mentre guardavamo Moulin Rouge a casa sua. Mi ha chiesto perché Come What May mi commuoveva ed io non potevo raccontargli di te. A parte Rachel qui a New York nessuno sapeva di quello che abbiamo passato insieme come coppia e non, e volevo che rimanesse così, era qualcosa che sarebbe dovuto rimanere in Ohio, con te e il glee club” rispose guardando fuori dalla vetrata, dove passò in quel momento un tipico taxi giallo newyorkese. “Dopo di lui, nessuno. Potevo anche provarci, ma dopo un po’ la tua presenza nei miei pensieri sarebbe diventato un problema, quindi ho smesso di cercare. In realtà ho smesso di cercare quando ho incontrato te”
 
“Ho avuto una cotta per Sam, io. Per il resto niente” rispose il più piccolo, nascondendo il sorriso dovuto alla faccia di Kurt con il bicchiere.
“Non ci credo, e glie ne hai mai parlato?” Blaine annuì. “Ha detto che l’aveva capito, che si sarebbe offeso se non avessi avuto una cotta per lui, e che in realtà non ero attratto da lui, ma mi mancavi tu” rispose.
“E aveva ragione?”
“Si”
 
*
 
“Ti accompagno a casa, Kurt” si offrì Blaine, appena usciti dal bar. Erano le cinque del mattino.
“Assolutamente no, abito a Bushwick, è troppo lontano da qui, e tu abiti qui vicino, sarebbe un viaggio a vuoto, e poi dovresti tornare da solo” rispose l’altro, incominciando a incamminarsi verso la metro.
“Kurt, non ti permetto di tornare in quel quartieraccio da solo, potrebbe succederti di tutto!” esclamò preoccupato Blaine. “Cosa potrebbe succedermi? Starò attento” disse il più grande.
“No Kurt, ti accompagno” insistette l’altro.
“Cavolo perché sei così preoccupato?”
 
“Perché potrebbero colpirti! Potrebbero farti quello che hanno fatto a me, e se ti dovesse succedere non me lo perdonerei mai. Non voglio che passi quello che ho passato io, e non si può mai sapere. Ho bisogno di accompagnarti perché ti ho appena ritrovato, e non voglio perderti. Ho bisogno di sapere che starai bene, e che io avrò fatto di tutto per tenerti al sicuro. Perché non capisci questo?” urlò tutto d’un fiato, con le lacrime agli occhi.
 
Kurt lo guardò, con gli occhi spalancati. Eccolo lì il lato debole di Blaine, quello insicuro, quello innamorato, quello di una persona che ne ha passate tante e che ne avrebbe passate altre ancora solo per proteggere gli altri, solo per proteggere lui. Per questo si lanciò in avanti, prendendo il viso di Blaine tra le mani e baciandolo, dopo quattro anni.
 
Fu come tornare in superficie dopo aver passato un lungo periodo in apnea. Si baciarono a lungo, lentamente, per ricordare ogni movimento, per riprendere il ritmo dopo quattro anni, per esplorarsi come due persone completamente nuove. Kurt passò una delle mani tra i ricci di Blaine, ricordando la sensazione come quando lo faceva anni prima, mentre Blaine si aggrappò alla sua camicia, stringendola tra le sue mani callose e costringendo il più alto a premere il petto contro il suo.
 
“Puoi venire a casa mia” sussurrò il più piccolo sulle labbra dell’altro, che annuì lentamente, per poi cominciare a correre mano nella mano verso casa.
 
L’appartamento di Blaine era un buco, con una piccola cucina, un piccolo bagno e una piccola camera da letto. Era simile a quello che aveva visto insieme a Rachel, prima di trovare quel monolocale in periferia. Blaine invece aveva bisogno di spazio per il pianoforte e per lui stesso al centro, quindi gli andava più che bene. Kurt non ebbe tempo di guardare lo spazio che aveva intorno, perché non aveva smesso di baciare Blaine neanche per un secondo, e si era fatto trascinare in camera, mentre toglieva la maglia del più piccolo.
 
Arrivarono sul letto con solo i boxer addosso, le mani di Kurt che accarezzavano gentilmente il petto poco definito di Blaine, mentre quest’ultimo gli baciava il collo e quella porzione sotto l’orecchio che lo faceva impazzire. Quando Kurt azzardò ad abbassare le mutande dell’altro, Blaine si staccò di colpo.
 
“Cosa… cosa c’è Blaine?” chiese il più grande, avvicinandosi di nuovo, lentamente.
“Io… sono sporco, Kurt. Altre persone mi hanno toccato, e mi hanno fatto male. Mi hanno reso sbagliato” cominciò a tremare, e a quel punto Kurt lo abbracciò. “Non sei sbagliato Blaine, loro lo sono. Tu non hai fatto niente. Ti prego, Blaine, fidati di me, non farò niente che tu non vorrai, andrò piano, e se qualcosa non va, dovrai solo dire ‘basta’, okay?” l’altro annuì, e Kurt lo baciò lentamente, senza fretta, e lo fece stendere sul letto.
 
Lo baciò a lungo sulle labbra già arrossate, poi scese sulla mascella, sul collo, sul petto e sullo stomaco. Abbassò i boxer lentamente e infine fece l’amore con lui, senza che Blaine lo bloccasse.
Si spinse in lui con dolcezza, cancellando il ricordo di quel dolore dalla mente del suo amato, prendendo il posto di quell’esperienza, facendo perdere importanza a quello che quei tre bastardi gli avevano fatto. Blaine si sentiva pieno d’amore, di tenerezza. Si fidava di Kurt, lo aveva sempre fatto. Confidava nell’amore che li univa, e che li stava unendo anche in quel momento.
 
Quando Kurt si sdraiò accanto a lui si fece guardare senza il minimo imbarazzo, perché quegli occhi erano la sua droga, la sua debolezza, e lo sapeva bene. Nella penombra risplendevano, come la sua pelle, imperlata dal sudore. Blaine lo aveva sempre saputo: Kurt era bellissimo, ma in quel momento, sul suo letto, nudo, con i muscoli che aveva messo su in quei quattro anni, sembrava un semidio, la perfezione.
 
“Come stai? Ti sei pentito, lo sapevo. Non dovevo, scusami, scusami tantissimo Blaine, ti prego perdonami, io…” Blaine lo baciò profondamente, per poi staccarsi e sorridere.
“Ti amo” sussurrò, e vide gli occhi di Kurt illuminarsi ancora di più
“Ti amo anche io”
 
*
 
Kurt si svegliò la mattina con un sorriso bellissimo sulle labbra, al ricordo di quello che era successo la sera prima. Allungò il braccio verso l’altra parte del letto, ma la trovò vuota. Si preoccupò subito: si era sentito in colpa anche la sera precedente, prima che Blaine gli dicesse di amarlo (sorrise di più a quel pensiero). Magari ci stava ripensando, magari lo stava odiando, magari…
 
Sentì alcune note del pianoforte propagarsi nell’aria, e capì. Anche quando erano a casa di Blaine in Ohio molte volte quest’ultimo aveva un bisogno fisico di attaccarsi al pianoforte e fare qualche brano anche mentre erano insieme. Kurt si tranquillizzò, mentre si vestiva e raggiungeva Blaine nel minuscolo salotto. Fu mentre era in corridoio, che lo sentì cantare.
 
And our hands they might age
And our bodies will change
But we'll still be the same
As we are

 
We'll still sing our song
When our hair ain't so blonde
And our children have sung
We were right

 
They'll sing
Grow old with me
Let us share what we see
And oh the best it could be
Just you and I

 
Kurt si fece scappare un paio di lacrime, mentre si avvicinava al pianoforte. Si accorse che anche Blaine stava piangendo, a tal punto che dovette smettere di cantare e suonare, per girarsi e aggrapparsi alle spalle di Kurt.
“Perché stai piangendo, Blaine?”
“Sono felice, sono lacrime di gioia. Ho ripreso a cantare, Blaine Anderson è tornato”
Kurt lo baciò.
 
*
 
“Ehi Rachel, come state?”
“Kurt! O mio Dio, ero preoccupatissima, non mi rispondevi, dove eri finito?”
“Lo scoprirai quando tornerò a casa. Metti in ordine l’appartamento, abbiamo ospiti a cena”
“Cosa vuol dire, Kurt? Hai trovato qualcuno finalmente?”
 
Kurt fissò Blaine mentre si sistemava la camicia. Si era accorciato la barba, anche perché a Kurt piaceva come gli stava e adorava passarci il naso in mezzo, aveva scoperto. Pensò che se era riuscito a chiudere la camicia fino all’ultimo bottone, allora avrebbe potuto tranquillamente mettere un papillon.
“Penso… penso che lui abbia trovato me”
 
*
 
Si erano fermati in un negozio lungo la strada e Kurt gli aveva regalato un cravattino nero, semplice. Nel momento stesso in cui Blaine lo indossò si sentì meglio. Mentre si guardava allo specchio riuscì finalmente a vedere il ragazzo che era stato fino a quattro anni prima, ed era una sensazione meravigliosa.
 
Davanti alla porta del loft Kurt gli strinse la mano. “Sei pronto?” chiese. Blaine annuì. “Ci saranno anche Sam, Tina, Artie, Mercedes, Brittany e Santana” continuò il più alto. “Glielo devo, Kurt. A parte Finn, che mi mandava messaggi su di te a cui io non rispondevo, per gli altri sono scomparso tre anni fa. È ora che rifaccia la mia comparsa” Kurt sorrise e gli strinse ancora di più la mano, prima di aprire la porta.
 
Furono tutti davanti a loro nel giro di pochi secondi. Non si avvicinarono subito, continuavano a guardare Blaine con occhi spalancati, come se avessero visto un fantasma. “Ciao, ragazzi” sussurrò lui, sorridendo leggermente. Quelle parole scossero Rachel, che fu la prima ad avvicinarsi lentamente, posando una mano sulla guancia ruvida del ragazzo, come se volesse davvero accertarsi che fosse davvero lì
 
“Blaine?” sussurrò tra le lacrime che cercava inutilmente di trattenere.
“Sono tornato” rispose sicuro, prima che la ragazza lo travolgesse in un abbraccio, e subito dopo anche tutti gli altri. Piansero tanto, si abbracciarono, risero, cantarono tutti insieme come ai vecchi tempi.
 
Ci sarebbe stato il momento delle scuse, delle spiegazioni, delle lacrime di dolore, dei racconti di quella notte. Ci sarebbero stati momenti in cui gli avrebbero rinfacciato tutto quel tempo perso, ma in quel momento, tra le braccia di tutti i suoi amici, che erano anche e soprattutto la sua famiglia, Blaine era davvero felice.
 
Finalmente era tornato a casa.


 
Note:
*la Cook Country Jail è la prigione dove viene rinchiusa la protagonista di Chicago, un musical ambientato negli anni venti di cui glee ha fatto alcune cover, come Mr. Cellophane cantata da Kurt nel primo episodio della serie.
**Doppia citazione.
- “un respiro. Una pausa” (and a beat, a pause) è un verso della canzone di Lea Michele “If You Say So” dedicata a Cory
-“prenditi cura di te stesso” (Take care of yourself) è la canzone che canta Blaine a Kurt nella one-shot che precedente questa
***citazione della 5x3 di glee, quando Santana chiede a Shuester se è felice e lui risponde così.
La canzone che canta Blaine è Grow Old With Me di Tom Odell.

Bene, siamo arrivati alla fine di questa storia, spero che vi sia piaciuta e mi piacerebbe tanto avere qualche recensione, grazie mille :D
-A
   
 
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