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Autore: A_Typing_Heart    15/09/2018    1 recensioni
* in corso di revisione * L'Uomo in Blu è una leggenda moderna, un uomo misterioso che appare in un paesino del Sorrentino per rendere omaggio a una lapide senza nome né fotografia. Circolano infinite voci su di lui, sulla sua origine, e sul perché visiti una tomba avvolta dai segreti. Ma nessuno sa la verità, e le motivazioni dell'Uomo in Blu sono radicate al tempo in cui il futuro boss Sawada Tsunayoshi fu ferito in un attentato. Un momento che cambiò la vita del giovane e di chi gli stava accanto per sempre.
Genere: Drammatico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Enma Kozato, Mukuro Rokudo, Tsunayoshi Sawada
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Gli abitanti di Sorrento e degli immediati dintorni ebbero molto da discutere e da complottare sugli avvenimenti di quella primavera. Prima una grande villa signorile, acquistata da degli stranieri molto tempo addietro, venne resa al comune di origine con all'interno una serie di inestimabili volumi antichi, arredi d'antiquariato, cristallerie e una pistola antica decorata finemente, con le direttive che venisse aperta come museo e che ospitasse eventi culturali per le persone del luogo. Come se questa filantropica donazione anonima non fosse già abbastanza interessante, uno dei versanti terrazzati della riviera fu acquistato da un privato, per una somma astronomica dissero le voci più autorevoli del chiacchiericcio paesano. Per alcuni giorni ci fu molto traffico di operai impegnati a recintare il terrazzo che si affacciava sul mare con una splendida cancellata dorata, poi al centro del praticello verde chiazzato di fiorellini venne posta a dimora una grande ma semplice lapide bianca di marmo. I curiosi del paese affollavano i paraggi a ogni ora allungando volutamente il collo per guardare, ma nessuno di loro riuscì a cogliere il momento della tumulazione della salma. Diversi giorni dopo si accorsero che i lavori erano finiti, ma che la lapide non recava nome nè fotografia.
Una giovane cameriera passò un giorno di buon mattino per caso e scoprì che la tomba doveva portare con sè il ricordo di qualcuno, poichè vide un distinto visitatore. Un uomo di cui non potè distinguere il volto data la scarsa luce e il cappello indossato da lui, ma era vestito con un abito blu. Appartandosi con discrezione dietro un albero lo osservò lasciare un oggetto sul ripiano della tomba, depositare un mazzolino di fiori di campo e pregare a mani giunte per alcuni minuti, prima di lasciare il terrazzo in silenzio e svanire.
Il racconto della discreta donna fu sulla bocca di tutti entro l'una, naturalmente, e furono in tanti altri a notare l'uomo, sempre vestito di blu, pregare e lasciare fiori per poi dileguarsi come un fantasma. La sua apparizione era di una precisione assoluta, lo si poteva vedere varcare il cancello dorato ogni mattina alle cinque e venti del mattino, quali che fossero le condizioni climatiche. Un giorno, poi, l'uomo in blu scomparve e non venne più visto. I fiori non venivano più lasciati sulla tomba, anche se alcuni addetti andavano saltuariamente a tagliare l'erba e pulire il posto, mantenendolo stupendo e curato come il primo giorno.
La gente del posto non si stancò di fare congetture, anzi, la sparizione dell'uomo vestito di blu alimentò sensibilmente la leggenda. Bambini temerari scavalcavano il cancello dorato di notte come prova di coraggio, e furono loro a riportare che sulla tomba era abbandonato un orologio da tasca con il vetro rotto e che vi regnava una scritta illeggibile in oro.
Alcuni, collegando la comparsa della lapide bianca alla partenza della famiglia che viveva nella villa, ipotizzò che la tomba fosse dedicata a una potente famiglia signorile ormai decaduta, che l'orologio fosse il solo cimelio rimasto e che l'uomo ne fosse l'unico discendente caduto in disgrazia. Le donne, più sognatrici e romantiche, erano pronte a giurare che la tomba appartenesse a una donna che l'uomo in blu amava e che aveva perduto. I molti lupi di mare della zona, dandosi arie di saperla lunga, affermarono che quelli del misterioso tizio erano sicuramente segni di pentimento, tipici di chi uccide e ne porta il peso.
Nessuno avrebbe mai potuto sapere che l'uomo in blu rispondeva un tempo al nome di Tsunayoshi Sawada, e che era l'uomo più potente del mondo. Che era un uomo che aveva sconfitto la morte del corpo soltanto per portarsela nel cuore ogni giorno. Nessuno avrebbe mai potuto capire che quella tomba non aveva nome perchè l'uomo che vi giaceva era un simbolo, un concetto, un sentimento a cui Tsunayoshi non era mai riuscito a dare un'etichetta. Era famiglia... era l'eroe... era l'amore... era il sostegno... il salvatore, il segreto, il rimpianto, una promessa infranta, la pioggia, la notte, il viaggio, il destino, la verità e la menzogna. Avrebbe potuto elencare tante parole da ricoprire l'ampia lapide candida, senza poter comunque sentire di aver espresso appieno ciò che provava. Il suo ricordo giaceva nel suono stesso e nel significato di tutte le parole del mondo.

Undici anni dopo, sbiadito dagli scandali più recenti e interessanti della gente del luogo, l'Uomo in Blu era ormai una leggenda che i bambini si raccontavano passando davanti ai cancelli dorati e un argomento di cui si chiacchierava ancora quando mancavano argomenti succulenti.
In quel ventoso e cupo giorno di ottobre però i caffè erano pieni di gente intenta a discutere l'avvincente naufragio del matrimonio di un sarto locale e anche per questo motivo l'arrivo di uno straniero piuttosto insolito passò quasi inosservato, nonostante la vivacità dei due bambini al suo seguito. In particolare la bambina, nei suoi stivaletti rosa decorati a fiori, si divertiva moltissimo a cantare una filastrocca saltando in tutte le pozzanghere lungo la strada.
-Kanan... Kanan!- la rimproverò l'uomo. -Aki, falla smettere, per favore.-
Il ragazzino andò dalla bambina, le disse qualcosa sottovoce e la prese per mano riportandola al centro della strada nella scia dell'uomo. La bimba si guardava intorno, sorridendo, e saltellò in avanti afferrando la mano del suo accompagnatore dall'aria seriosa.
-Papà! Papà, ma dove siamo? Perchè siamo venuti qui?-
-Ah... beh, siamo a Sorrento... vedi... quando era giovane papà viveva qui vicino...-
-Eeeh? Davvero?-
-Sì... non proprio qui, in una grande casa... poco distante da questa città.-
-Che bello! Vivevi al mare!-
Kanan lanciò una palese occhiata di desiderio al mare, nonostante fosse grigio nella giornata coperta.
-Che bello... facevi il bagno quando volevi...-
-Affatto, non ne ho mai fatto uno in tutto il tempo che sono stato qui.-
-Ma come!- protestò lei.
-Mukuro.-
Mukuro girò la testa e vide lungo la strada due figure che conosceva bene. Una di quelle gli sorrise, l'altra gli si lanciò incontro dandogli un abbraccio spezzaossa. Hibari notò forse l'espressione sofferente, perchè si avvicinò a loro e toccò la spalla del ragazzo biondo.
-Dami, non esagerare... non è papà che puoi stritolare a piacimento.-
-Scusa, zio!-
Mukuro sospirò e si massaggiò la spalla.
-Non sono tuo zio...-
-Aki!-
Il ragazzino ebbe un sussulto e cercò di allontanarsi, ma Damiano lo raggiunse subito e lo stritolò in un abbraccio vigoroso che lo fece squittire come un topolino schiacciato in una trappola. Ridendo, Kanan si avvicinò e li abbracciò entrambi. Con i più giovani così distratti, l'uomo dai molti soprannomi che un tempo era guardiano della nuvola si avvicinò ancora e toccò con la mano il viso di Mukuro sul lato destro.
-Che lavoro meraviglioso... non si vede proprio nulla... e il tuo occhio è blu...-
-L'occhio vero non si è potuto salvare... me ne hanno fatto un altro, uguale al sinistro.-
-Sembri in forma... cammini bene... non hai avuto nessuna ripercussione? Eri ridotto così male...-
Mukuro scosse la testa e si indicò la spalla sinistra.
-Sono rimaste solo le cicatrici sulla schiena, ma ora si vedono molto poco... tutti i danni alle ossa e agli organi sono stati riparati... la Millefiore Biomedical ormai è in grado di riparare ogni tipo di lesione.- ammise e lo guardò con vaga tristezza. -Se fosse esistita quando hai avuto l'incidente in Sierra Leone avrebbe potuto salvare quasi tutto senza arrivare a installare quelle protesi.-
-Non avrebbe mai potuto esserci... se Byakuran ha creato la Biomedical con i dati ottenuti da Verde è stato solo per te... per aiutarti a vivere la vita che volevi... non si sarebbe mai impegnato tanto per me, né per Tsunayoshi.- 
Mukuro non rispose. Aveva rischiato di morire più volte in quei drammatici giorni in ospedale, e aveva trovato soltanto Byakuran al suo doloroso risveglio. Senza di lui non avrebbe potuto sapere che Tsunayoshi aveva tradito la promessa, da lui aveva saputo delle sue parole così rancorose. Solo grazie alla sua totale complicità aveva potuto inscenare la propria morte e nascondersi al suo boss, e solo grazie agli incredibili risultati delle ricerche Millefiore sulla base dei dati di Verde era di nuovo in grado di camminare e respirare come una persona sana, di vedere come se non avesse mai perduto l'occhio e vivere una vita normale. Non sarebbe mai riuscito a ripagare quel debito enorme, lo sapeva e un po' si vergognava di aver abusato del suo ascendente su Byakuran. A quel pensiero gli venne istintivo passarsi la mano tra i capelli scarmigliati dal vento, molto più corti di quanto li avesse portati da giovane.
-Sei strano con i capelli così corti, Mukuro.- commentò Hibari, osservandoli.
-Ah... sì, li ho tagliati quando Kanan era piccola... me li tirava di continuo.-
-Ma non è più piccola.-
-Lei no, ma Sakura sì... e poi è stato fantastico la prima volta lavarsi i capelli e asciugarli in cinque minuti, non sono più riuscito a sentire la nostalgia di quei capelli così lunghi.- ammise Mukuro toccandoseli. -Giulia la sente, ma io continuo a ignorarla. Se cercassi di tenere quella chioma a cinquant'anni diventerei calvo.-
Hibari diede in una risata e lanciò un'occhiata ai tre ragazzini, cosa che lo fece sorridere.
-Così quella è Kanan... anche lei ti assomiglia, ma Akihito... lui è la tua copia sputata, sul serio.- commentò. -Se lo vedesse Tsunayoshi credo gli verrebbe un colpo.-
-Per questo non lo deve vedere... lui dov'è?-
-Tranquillo... non c'è, sono fuori per qualche giorno... per questo ti ho detto di venire oggi.-
-E francamente non so perchè tu abbia insistito tanto... sarò sincero, è più facile far finta di essere morti senza vedere la propria tomba.-
-Ne varrà la pena, te lo prometto.-
-Papà, papà! Guarda! Una Trifolium repens mutata!-
-Ooh! Una trifolium repens mutata!- ripetè affascinata la bambina. -... Che cos'è?-
-Un quadrifoglio, tesoro.- rispose Mukuro.
-Un quadrifoglio!- ripetè lei emozionata. -Porta fortuna!-
-Tieni, te lo regalo.- disse Aki, e glielo appuntò sul cappottino. -Non lo perdere, eh?-
-Grazie, fratellone!-
Hibari, che aveva osservato l'intera scena con curiosità, lanciò uno sguardo a Mukuro. Lui tentò di fingere di non accorgersene, ma come immaginava fu inutile.
-Sono sconvolto, Mukuro... i tuoi bambini sono adorabili, non ti somigliano affatto. Sono affettuosi.-
-Ma che ne sai tu?- ribattè lui irritato. -Sono passati dodici anni, non sono lo stesso uomo di allora.-
-Lo immagino... lo stesso uomo di allora non avrebbe cresciuto tre figli, se la sarebbe data a gambe al primo falso positivo di gravidanza.- disse Hibari divertito, e gli lanciò un'altra occhiata. -E non dire di no...-
-Tu piuttosto, dove hai parcheggiato il resto della tua abbondante progenie?-
-A casa, con Valentino, ovviamente.-
-L'ultima cosa che immaginavo per te era che finissi casalingo con cinque bambini.-
-Sono sei adesso.- lo corresse Hibari. -Ne abbiamo adottato un altro, dalla Tailandia.-
-Che voglia... un altro nome con la D, immagino?-
Non era sicuro di ricordare cinque nomi, ma ricordava che i figli di Hibari avevano tutti nomi che iniziavano per D, a partire da Damiano, poi Diamante, la sua figlia più grande, Diletta era l'altra femmina, ma gli sfuggivano i nomi degli altri due maschi. Quello appena adottato poi era un perfetto sconosciuto.
-Ovviamente, si chiama Davide... Una voglia dilagante nella Decima Generazione, quella di fare figli, comunque. Hai saputo che Yamamoto si è sposato, vero? Con Anna...-
-Sì, certo... me l'ha detto Giulia.-
-Beh, diventerai anche zio per davvero molto presto... anche se la tua condizione di uomo morto ti dispensa da un po' di obblighi familiari direi...-
-Non proprio, Yamamoto lo sa che non sono morto.-
Hibari si fermò così bruscamente che Damiano, alle sue spalle, gli andò a sbattere addosso. Non fu una sorpresa che si coprisse il naso mugugnando per il dolore, perchè la schiena di Hibari era fondamentalmente di una lega dura come acciaio. Lui non ci badò e si accigliò pericolosamente.
-Come sarebbe, lo sa? Credevo di essere l'unico a saperlo oltre Byakuran!-
-È sposato con la sorella di mia moglie, come facevo a nascondermi? Ho dovuto dirglielo per forza... la buona notizia è che è uno che mantiene un segreto anche a costo di morire, quindi non si saprà niente... certo, non so se lo stesso varrà per Anna, ma ci proveremo...-
-Beh, non che abbiamo rapporti stretti con Tsunayoshi... ora che vive qui Yamamoto lo incontra raramente e non ha contatti con la mafia... anche io lo vedo solo ogni tanto, Roma e Sorrento non sono proprio così vicine, ma Valentino lo invita sempre per le feste di Natale.-
-E come sta?-
Hibari fece uno strano sorriso, come se stesse aspettando quella domanda fin dall'inizio.
-Sta bene... sul serio... all'inizio è stato molto difficile per lui, e onestamente Valentino e io pensavamo che non si sarebbe mai ripreso... sai, per un po' non ha vissuto con Enma, stavano in due continenti diversi... ma poi ha smesso di visitare la tomba, è tornato in Giappone... è tornato con Enma, ha aperto un ristorante e ora sembra felice. Quando parla di te sorride di nuovo.-
Mukuro non potè non sorridere a quella notizia. Non sapeva veramente che cosa dire, anche se era felice. Mentire sulla sua morte e sparire non includevano una sua volontà di fare a Tsunayoshi del male. Sapeva che avrebbe potuto ferirlo molto, che sarebbe stato sofferente per un po' di tempo, ma a distanza di anni credeva ancora di aver preso la decisione giusta, di averlo salvato dal diventare molto peggiore di quanto potesse immaginare...
-Sono stato stupito da Enma, però... è stato molto maturo ad aspettare che elaborasse il suo lutto, non si è arrabbiato quando lo ha lasciato solo... è cresciuto moltissimo in poco tempo... sai, credo che ora lui ti piacerebbe. È diventato un uomo piacevole, divertente... è anche molto acculturato.-
Le sue sopracciglia tradirono la sua perplessità, ma non ebbe tempo di ribattere.
-Papà, intagliamo una cucurbita maxima?-
-Aki, puoi chiamare le cose con il loro nome? Una zucca.-
-Lo facciamo?-
-È presto per Halloween.- tagliò corto Mukuro. -E poi le zucche spaventano tua sorella.-
-E se ne facciamo una carina, con i fiorellini?-
-Tuo figlio chiama tutte le piante col nome latino?- ridacchiò Hibari. -Accipicchia, diventerà un botanico...-
-Due mesi fa per poco non appicca il fuoco a casa di un suo compagno di scuola per un progetto di scienze... Giulia gli ha tolto tutti i giochi del piccolo chimico, quindi adesso sta cominciando con le piante... di questo passo penso che diventerà un farmacista o qualcosa del genere.-
-Beh, non è male, lo manderai a lavorare per Byakuran.-
-Mandare a Byakuran un ragazzino con la mia faccia? Ma sei pazzo?-
Hibari non diede segno di aver notato la cosa sconvolgente che aveva detto, e si fece meditabondo.
-Damiano diventerà un pittore, sospetto, in camera sua ci sono quadri appoggiati ovunque e colori e pennelli su ogni ripiano, anche per terra... è maniacale, suo padre gli ha portato una scatola di duecento colori da Parigi il mese scorso e ne ha già fatti fuori metà, sembra che se li mangi durante la notte.-
-Mi hai detto che anche Diamante è così.-
-Ah, lei però usa solo la matita nera... tutti i vestiti con quelle tremende macchie di fusaggine, un tormento...-
-Hai messo su un'accademia d'arte, sembra.-
-Così sembra... ho quattro maschietti e Valentino non riesce a convincerne nessuno ad andare fuori a giocare a calcio con lui... fa così pena che quasi ci andrei io.-
Entrambi risero. Chissà perchè era molto facile immaginare la faccia delusa di Dino Cavallone mentre proponeva sport ai ragazzi che invece preferivano tutt'altro. Mukuro seguì la svolta della strada e vide che stavano costeggiando una cancellata dorata. Hibari tese la mano toccandogli appena la spalla e lo fermò.
-Siamo arrivati.-
Mukuro si avvicinò alle sbarre dorate e guardò dentro. Intravide una lapide imponente ma molto semplice, candida, solitaria in mezzo all'erba ben tenuta. Hibari aprì il cancello ed entrò, invitandolo con un cenno a seguirlo. Sentendosi molto nervoso gli obbedì e varcò l'ingresso, tenendo stretta la mano del suo figlio maggiore. 
La lapide non era piatta nè tondeggiante come quelle più comuni, si sviluppava invece in altezza in modo più simile a una colonna, o a un tozzo obelisco. Sulla cima quella che gli era sembrata una punta era invece una piccola rappresentazione di un Budda della Medicina. Intorno a esso era appesa una catenella che aveva un'aria molto familiare. Si avvicinò ancora alla tomba, tese la mano e prese l'orologio, osservandolo. L'effige della dea aveva subìto le crudeltà dell'atmosfera per molti anni, ma era ancora distinguibile. Al suo interno, il vetro crepato e le lancette ferme erano le stesse di allora.
-Lui lo ha lasciato qui... si è molto pentito di aver infranto quella promessa.-
-Se non l'avesse fatto io non me ne sarei andato.- rispose Mukuro, rimettendolo al suo posto. -Ha dimostrato che stava cambiando... a quel punto l'unico modo per farlo tornare l'uomo di un tempo era scomparire dalla sua vita... per causa mia sarebbe diventato un uomo terribile.-
Akihito fece capolino dietro la schiena del padre e guardò la tomba, ma se si aspettava di leggervi qualcosa ne fu deluso. 
-Papà, non riesco a leggere.-
-Nemmeno io!- esclamò Damiano, irritato. -Ma che lingua è?-
-La mia, piccolo impudente.- ribattè Hibari. -E visto che ormai hai tredici anni è ora di iniziare a studiarla, ora che ci penso.-
-Eh? Ma non voglio!-
-Tu la sai leggere, papà?- chiese Aki. -Me la leggi?-
Mukuro, che aveva posato gli occhi blu sulla scritta, sentì un'emozione molto difficile da descrivere. Era commosso, questo sì. Era in imbarazzo, ma anche lusingato. Quella scritta gli dava sensazioni lievemente sgradevoli, ma altre molto piacevoli. Senza accorgersene si passò le dita intorno all'occhio destro e sullo zigomo, come non faceva da parecchio tempo, e sorrise.
-Sekai no subete no kotoba.- lesse ad alta voce per il figlio. -Tutte le parole del mondo.-
-E che cosa vuol dire...? Sulle tombe non c'è scritto il nome, di solito?- domandò Akihito. -Secondo te che cosa vuol dire?-
-Vuol dire che chi ha seppellito questa persona era ancora molto confuso.- gli rispose, passandogli la mano nei capelli. -Vuol dire che forse non era ancora pronto a lasciarla andare...-
-Oh... è triste.-
-È successo tanto tempo fa... sono sicuro che ora non è più triste.-
Akihito fece un sorriso e Kanan, che stava girando lì intorno, prese a lamentarsi.
-Non c'è nemmeno un fiorellino! E noi cosa lasciamo qui?-
-Non c'è bisogno di lasciare niente, Kanan...- si affrettò a rispondere Mukuro.
-Ma come!-
-Non c'è bisogno, ti ho detto... avanti, fuori di qui, tutti e due...-
-Papà, guarda.-
Akihito si chinò accanto alla tomba e raccolse una macchinina blu dall'erba, di metallo. Sembrava nuova e non aveva l'aria di essere abbandonata lì da più di qualche giorno. Mukuro la prese e guardò il cancello, chiedendosi se non fosse solo stata lanciata da qualche bambino. Certo sarebbe stata un dono inusuale per rendere omaggio a un defunto...
-Che facciamo?-
-La lasciamo qui?-
-Ma se l'hanno persa...-
-Ma chi può averla persa qui dentro, scusa?-
-La prendiamo?-
-Non la possiamo prendere, Kanan...-
-Ragazzi... ragazzi.- li interruppe Hibari. -Chiunque l'abbia lasciata, se la rivuole la verrà a cercare qui, non c'è bisogno di riportargliela... Damiano, porta i ragazzi al caffè qui vicino, prendiamo una cioccolata calda.-
-Sì!-
-Andate... vi raggiungiamo subito.-
Damiano prese per mano la piccola Kanan e i tre attraversarono la strada con attenzione, incamminandosi verso il caffè Autieri la cui insegna brillava a poca distanza. Hibari guardò Mukuro rimettere la macchinina sul bordo della lastra di marmo e sorrise.
-Quella macchinina è di Miyoshi.-
-Miyoshi?- domandò Mukuro, voltandosi a guardarlo. -Chi è Miyoshi?-
-È il figlio di Tsunayoshi...-
La notizia era piuttosto inaspettata dal momento che Tsunayoshi aveva sempre mostrato un interesse molto più spiccato per gli uomini che per le donne, ma poi riflettè brevemente. Come aveva fatto Hibari, era probabile che si trattasse di un bambino adottato.
-Tsunayoshi ha un figlio?-
-Sì... lo ha avuto cinque anni fa, grazie all'utero in affitto... oh, sì, è suo figlio naturale.- precisò Hibari, ben felice dell'effetto di quella notizia. -E gli somiglia molto, ma ha i capelli neri... sapessi, è un bambino davvero adorabile... un giorno sarà un ragazzo timido e gentile come lo era suo padre.-
Mukuro guardò l'automobilina ancora qualche secondo. Non era difficile immaginare un piccolo Tsunayoshi moro che giocava con quella macchinina... ma l'aveva perduta alla sua ultima visita alla tomba insieme al padre, o l'aveva lasciata? Tsunayoshi raccontava a suo figlio dell'uomo che credeva che fosse sepolto lì? In parte si sentì in colpa, perchè ai suoi figli lui non aveva mai parlato di Tsunayoshi, nè del suo passato prima di Giulia, e senza di quello lui non sarebbe mai stato la versione migliore di se stesso...
-Raggiungiamo i bambini... ti va?- gli chiese Hibari, con il tatto di chi sa di interrompere dolorosi penseri.
-Sì...-
-Prima che tu torni in Svizzera troveremo un momento da soli.- gli disse lui. -Cercherò di rispondere a tutte le domande che ti stanno rimbalzando in testa adesso.-
Le domande e le risposte avevano un'importanza relativa. La realtà era che quella tomba, quell'incisione e quella macchinina gli avevano messo una voglia terribile di rivedere l'uomo che un tempo era stato il suo boss. Non poteva farlo, avrebbe innescato troppo dolore... ma forse, un giorno, i tempi sarebbero stati più maturi. Forse, un giorno, quella che sarebbe stata l'undicesima generazione avrebbe creato un intreccio che avrebbe riparato lo strappo tra i loro genitori. Forse, un giorno...





 


Ed eccoci alla fine di un'altra avventura. Forse sono ripetitiva, ma i miei sentimenti sono sempre gli stessi quando arriva la fine di una storia: sono euforica per il compimento dell'opera, ma poi subentra una malinconia difficile da gestire. Vorrei poter rifare tutto da capo, rivivere la creazione di un capitolo dopo l'altro, insieme ai miei personaggi, ma non si può. Come diceva Eraclito, "puoi bagnarti due volte nello stesso fiume, ma mai due volte nella stessa acqua".
Spero che sarete con me quando torneremo a bagnarci nel fiume di nuovo, anche se sarà un'altra acqua a toccarci. Fino ad allora, salutiamoci affettuosamente. Ciao, ragazzi, grazie di essere arrivati fino a qui. A presto.





 
   
 
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