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Autore: TheChump    15/09/2018    0 recensioni
L'amore può essere un ossessione.
Quando non lo si è mai provato.
Quando tutti attorno a te si innamorano e tu resti solo a guardare.
Può diventare una caccia al tesoro, un boccino d'oro da inseguire.
É quello che è per Nina, quasi una leggenda.
Tutti si innamorano di lei, ma lei non si innamora di nessuno. Lei sembra apatica, incapace di provare un sentimento simile.
E poi? e poi Alice.
Alice che diventa una possibilità, una speranza.
Alice che ama Paolo e non è ricambiata.
Alice che cambia il mondo di Nina.
Alice che può farle scoprire cos'è l'amore.
É un amore idealizzato, è ciò che ho capito di esso e come vorrei che fosse.
Nina e Alice si amano, di quell'amore che forse si legge solo nei libri.
E se lo trovi, crediti fortunata, perchè è decisamente tanto raro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Capitolo 3
“Signorine scusate, ma dovrei aprire… é tardi già”. Con le mani le scuoteva appena cercando di farle lasciare il mondo dei sogni. “Ma state bene?”, disse, quando finalmente si mossero. “Ha smesso di piovere”, fu Nina a parlare, mentre stringeva gli occhi per il sole sulla faccia. “Ma che ore sono?”, stavolta fu Alice. “Ma avete passato la notte qui?”, l’uomo le guardava preoccupato. le due ragazze lo fissavano senza rispondere. Erano ancora tutte e due dentro quel coso gigantesco. 

(Nina): “Aspetta, come si esce da questo coso?”

(Alice): “Un attimo”. Abbassò la cerniera. “Ecco fatto. Come ti senti?”

(Nina): Si alzò, barcollò e si sedette di nuovo. “Sto bene, è stato solo il sonno!”

(Alice): Si avvicinò a Nina e le toccò la fronte, “La temperatura mi sembra si sia abbassata, ma la febbre è ancora alta”. Le rivolse uno sguardo preoccupato.

(Nina): “mmm”, il tipico lamento che i figli rivolgono ai genitori, quando gli sembra che questi si preoccupino un po’ troppo. “Sto bene, è solo un po’ di stanchezza”.

(Alice): La guardò poco convinta.

(Uomo): “Dai venite dentro, vi offro la colazione, o a picca sarò costretto a chiamare l’ambulanza, se non un becchino”. Aveva una risata sguaiata, quel ahahahah sembrava insorgere da un qualche film per bambini, in cui il personaggio in questione, dopo una bella sbornia, se ne usciva con questa risatona e una battuta da perfetto egocentrico.

(Nina): “Ho detto che sto bene”. Riprovò ad alzarsi, ma le girò nuovamente la testa. Alice e quel gentile sconosciuto l’acciuffarono prima che potesse cadere rovinosamente a terra.

(Uomo): “Amunì, trasiti!”. 

(Alice): “Grazie mille davvero”. Gli avrebbe voluto sorridere, ma la stanchezza non glielo permise. E così fu solo una smorfia che ne uscì, per giunta rivolta al pavimento. 

(Uomo): “Ti pare”. Poi rivolto a Nina: “E tu? Non dici niente?”

(Nina): Mugugnò qualcosa che assomigliava ad un grazie e si sforzò di non inciampare sui suoi stessi piedi.

(Uomo): “Tu si na vera crasta, ah!?” e rise ancora in quel modo teatrale.

(Nina): Accennò un sorriso, con la testa calata e sicura di non essere vista.

Attraversarono il negozietto con mille cianfrusaglie a tappezzare pareti e scaffali e andarono nel retro. I souvenirs sono cose del tutto inutili, eppure per i turisti diventano qualcosa di indispensabile. I parenti e gli amici che ti aspettano dal ritorno da un qualsiasi viaggio sembrano avari di riceverne almeno uno. Ninnoli e oggettini di cattivo gusto e senza alcuna funzione pratica vanno via via ostruendo ogni piccolo spazio della loro casa. E la cosa più assurda è che sembrano sempre così felici quando se ne vedono regalato uno in più. Nina proprio non li capiva, che senso aveva tutto ciò? Ma pensarci era solo uno spreco di tempo, continuarsi a domandare il perchè di quello che fa la gente comune non faceva per lei e così semplicemente non ci pensava. Ma ora era lì, in un posto in cui non sarebbe mai entrata in vita sua, se non per un motivo del tutto assurdo. Il negozio non era tanto grande, ma era spazioso e luminoso, il pavimento era di parquet e gli scaffali erano in legno. Aiutarono Nina a sedersi su un divano rosso corallo nel retrobottega, che rispetto alla stanza adiacente era più piccolo, con un tavolo al centro, un cucinino e un mobile con sportelli e cassetti dove sopra stava una macchinetta per il caffè con cialde, bicchierini e zucchero. Alice si sedette accanto a Nina e, circondandola con un braccio, le fece appoggiare la testa nell’incavo tra la spalla e il collo. Lo fece senza neanche pensarci, così, come la cosa più naturale al mondo. Ancora non se ne rendeva bene conto, ma quella notte le aveva legate più di quanto lei volesse ammettere.

(Uomo): “Come siete finite lì?”, aveva messo un pentolino con del latte dentro a bollire e ora armeggiava con la macchinetta del caffè. 

(Alice): “Io stavo andando ad un brindisi, ma si è messo a piovere e mi sono riparata lì”. Per un attimo le balenò in mente l’immagine di Paolo, poi guardò Nina che dormicchiava appoggiata a lei e quel pensiero svanì di botto, “lei non lo so…”. Se glielo voleva dire sarebbe stata Nina stessa a farlo. Non era un’informazione così importante, ma in ogni caso non erano fatti suoi. 

(uomo): Si girò a guardarle, “Non vi conoscete?”

(Alice): Rise appena, “Stanotte è stata la prima volta che la vedevo in vita mia”.

(Uomo): “Strano!” si fermò, guardò Alice e spostò lo sguardo su Nina “Sembrate piuttosto unite…”. Sorrise, si rigirò e ricominciò a fare quello che stava facendo. 

(Alice): Guardò Nina perplessa. "Unite?", lo disse così a bassa voce che quasi neanche lei stessa si udì mentre lo diceva. Pensava alla nottata che avevano passato insieme e si chiedeva che razza di scherzo del destino poteva mai essere quello. La conosceva appena, anzi non la conosceva affatto, eppure era come se si conoscessero da sempre. In quel momento decise che se le avesse chiesto per l’ennesima volta il numero di telefono lei glielo avrebbe dato, anche se non aveva smesso di piovere alle 6 del mattino e di botto. Sarà stata la stanchezza o gli effetti del dopo sbornia, ma una volta che prendeva una decisione era fatta, l’avrebbe seguita fino alla morte. Era fatta così, testarda come un mulo. E in ogni caso così facendo, dando ad un inconsapevole Nina la responsabilità di scegliere per tutte e due, si metteva nella mani del caso, liberandosi così da quella che sarebbe potuta essere una buona o una cattiva decisione e dalle conseguenze che questo avrebbe comportato.

(Uomo): "Comunque io sono Salvatore, ma tutti mi chiamano Totò", non sopportava molto il silenzio.

(Alice): "Mi chiamo Alice e lei...". Si accorse solo ora che non sapeva minimamente il nome di quella ragazza che ora poggiava la testa su di lei. 

(Nina): "Nina". Non aveva mai del tutto dormito, quel contatto con Alice era troppo prezioso per non goderselo. "Io sono Nina" e sorrise beata come un gatto sul suo trono. 

(Totò): “bene, Nina e Alice, cosa volete per colazione? Latte, latte macchiato, caffè, tè? Da mangiare ho solo dei biscotti e dei cracker o se volete vi posso fare un piatto di pasta” si girò e incrociò lo sguardo stanco di Alice “ok, mi sa che la pasta è meglio tenerla per il pranzo…” e rise della sua battuta. “Allora?”

(Alice): “Io di solito prendo del latte con il caffè, grazie mille”, poi abbassando la voce chiese a Nina  “tu che vuoi?”

(Nina): “Niente”

(Alice): toccò la fronte di Nina. Sospirò. “Per lei latte con i biscotti” 

(Nina): “Ma non voglio niente, la mattina non faccio colazione”

(Alice): “E stamattina farai un’eccezione. Devi mangiare.”

(Nina): “Va bene”. Di solito si impuntava, faceva i capricci fin quando non otteneva ciò che voleva, ma con Alice si sentiva stranamente accondiscendente. “Comunque hai un bel nome”.

(Alice): “Quindi l’hai sentito, non hai dormito neanche un po’?”

(Nina): Ci pensò un attimo, “a dire il vero non lo so”

(Alice): “In che senso?”

(Nina): “Nel senso che forse ho dormito per qualche minuto, ma non riesco a ricordarlo bene”

(Totò): Riempì due tazze con il latte e le posò sul tavolo, “Ecco qui! ce la fate ad alzarvi?”. Aggiunse anche il pacco di biscotti e una tazzina di caffè accanto ad una delle due tazze. “Aspettante un attimo, vi vengo ad aiutare io”. Si asciugò le mani in una pezza e si diresse verso il divano. Nina si alzò prima ancora che potesse sfiorarla con un dito.

(Nina): “Ce la faccio, ora sto bene”, le girò un po’ la testa e si appoggiò al tavolo. Meno male che la stanza era piccola e gli spazi non potevano essere troppo larghi.

(Alice): “Attenta!” mentre si alzava anche lei e le metteva una mano sulla spalla. Spostò una sedia e l’aiutò a sedersi, poi si andò a sedere anche lei.

(Totò): Mise una tazza di latte sotto il naso di Nina e le porse il primo biscotto “buon appetito”, poi si appoggiò al mobile e prese il primo sorso del suo caffè. “Che mi raccontate? Siete tutte e due di Qui?”. Zitto proprio non ci sapeva stare.

(Alice): “io si”. Aveva già versato il caffè nel suo latte e ora lo sorseggiava a piccoli sorsi e con la schiena appoggiata allo schienale della sedia.

(Totò): Corrucciò le sopracciglia, sperava di più. “Bene bene, invece tu?” si rivolse a Nina. 

(Nina): “No”

(Totò): “Tutto qui?”

(Nina): “Si”

(Totò): “Sei di poche parole tu, vero?”

(Nina): Alzò la testa e rimase in silenzio, guardandolo in cagnesco. 

Quell’uomo era alto e robusto, probabilmente aveva un età compresa tra i 40 e i 50 anni, aveva i capelli brizzolati e un barbone lungo e incolto, quando sorrideva mostrava dei denti un po’ ingialliti, ma sani e robusti e gli spuntavano un po’ di rughette ai lati degli occhi. In un’altra epoca avrebbe fatto il boscaiolo probabilmente, ma in ogni caso sembrava una persona gentile e socievole. Il classico bonaccione. Non tutti le avrebbero offerto la colazione. E non tutti avrebbero sopportato Nina fare l’impossibile. 

(Alice): “La scusi, è la stanchezza e anche la febbre”, meglio intervenire prima che le cose si mettessero male.

(Totò): Incrociò lo sguardo preoccupato di Alice, poi quello da animale selvatico di Nina e rise di gusto. “Mi fate morire!”. Aveva un senso dell’umorismo tutto suo. 

(Alice): Si lasciò ricadere sulla sedia, sollevata. 

(Nina): Restò immobile per un momento e poi scoppiò anche lei a ridere, quell’uomo era veramente strano. 

(Totò): Finì il suo caffè e buttò il bicchierino nel cestino, si strofinò una mano contro l’altra e poi guardò l’orologio d’acciaio che portava al polso. “Mmm… ok! Io vado di là!”, diede uno sguardo alle due ragazze che lo guardavano con espressione disorientata, dovevano andare via? “Restate, restate! Senza fretta, tranquille! Se avete bisogno di qualcosa sapete dove trovarmi”. Le sorrise e senza aspettare neanche una risposta andò via. 

Lo seguirono con gli occhi mentre usciva dalla stanza, e quando finalmente furono sole tirarono un sospiro di sollievo.

(Alice): Era tornata al suo caffellatte e per un po’ si scordò di Nina, della nottata su quel gradino, di Paolo, del compleanno mancato e probabilmente anche del mondo intero. Svuotò completamente la mente e si lasciò vincere dalla forza di gravità. Le nottate non le ha mai rette così bene, e più passavano gli anni e meno le reggeva. Aveva solo 20 anni e a volte si sentiva una vecchietta. Ci mancava solo un po’ di sciatica e il quadro sarebbe stato perfetto.

(Nina): “Ma secondo te qui c’è un bagno?”

(Alice): “Un bagno?”, con lo sguardo ancora perso chissà dove. 

(Nina): “Si, un bagno. Devo fare pipì, tu no? Dopo un’intera nottata a bere vino, sto morendo” 

(Alice): Scosse la testa e ritornò alla realtà. Nina aveva ragione, e ora che ci pensava anche lei doveva andarci. “Effettivamente è vero… Ma perchè non l’hai chiesto a Totò prima? io che ne so?”

(Nina): Sbuffò “Ok, glielo vado a chiedere ora”

(Alice): la guardò e rise di gusto. “Non l’hai fatto perchè ti pareva male? tu sei peggio di una bambina”. Si asciugò le lacrime dagli occhi.

(Nina): Mise il broncio “Non ridere! Vado!”. Si alzò, barcollò appena, ma poi ritrovò l’equilibrio “Sto bene, sto bene”. Mentre si girava e iniziava ad andare verso la porta, Alice la fermò.

(Alice): “Vatti a sedere, vado io, prima che ti ritrovi con la faccia stampata sul pavimento”, continuando a ridere. Le aveva afferrato una spalla con una mano.

(Nina): Si girò a guardare Alice, pronta a risponderle ma si fermò di botto: aveva i capelli scombinati e la faccia appariva stanca, ma per qualche strano motivo questo la rendeva ancora più bella. Senza pensarci si sporse in avanti cercando di baciarla, ma perse l’equilibrio e le cadde addosso. Finirono tutte e due a terra facendo un bel botto. 

(Alice): “Non ti arrendi mai tu vero!?”. Era finita con la schiena sul pavimento e Nina era, in parte, su di lei.

(Nina): “Mai!”. Cercò di nuovo le labbra di Alice, ma questa fu più svelta e si mise a sedere.

(Alice): “Non mi fregherai ancora”.  

Quando Totò aprì la porta, preoccupato, le trovò che ridevano come due cretine. 

(Totò): “Ma che avete combinato?”

(Alice): “Lei ha bisogno del bagno!” continuando a ridere.

(Nina): Smise di ridere e guardò Alice di traverso.

(Totò): Aiutò Nina ad alzarsi, perplesso. “É da questa parte, venite. Non vi siete fatte male, gusto?”

(Alice): Mentre si alzava anche lei “No no”, il riso aveva lasciato il posto ad una faccia imbarazzata e rossa. “Ancora grazie”.

Le lasciò davanti la porta del bagno e tornò al negozio per servire un cliente. 

(Alice): “Vai prima tu”, guardò Nina, “Hai bisogno di aiuto?”.

(Nina): “Mi stai chiedendo di entrare in bagno insieme?”. Aveva un espressione furba.

(Alice): “Ok, vai da sola! E se ti servisse aiuto non provare a pensare di chiamarmi, tanto non vengo”. Le rivolse un sorriso beffardo. 

(Nina): “Che sei triste…”, mentre apriva la porta ed entrava. “Faccio subito”. Entrò e si chiuse la porta dietro.

Alice si appoggiò al muro e sospirò. Pensò al suo telefono, a tutte le chiamate o a tutti messaggi che avrebbe trovato, pensò a Paolo e pensò alla sua festa. In fondo era felice di non esserci potuta andare, era felice di non averlo visto e stranamente era anche felice di avergli causato un piccolo problema, di averlo fatto preoccupare, di avergli imposto di pensare a lei. Per una volta non era stato il contrario, non era stata lei a pensare a lui, a preoccuparsi, a chiedersi dove fosse o cosa facesse, se era con Martina o anche solo se stesse pensando a lei. Per una notte era riuscita quasi a non pensarci, era riuscita ad interessarsi su qualcun altro e a stare bene, a pensare di trovarsi esattamente dove doveva, dove voleva. Paolo era stato solo un immagine sbiadita, un pensiero di contorno. E ora che se ne rendeva conto si sentiva stanca, affaticata. Erano bastate quattro parole con una sconosciuta, la flebile immagine di una possibilità, quello che poteva anche solo essere un miraggio, a farla sperare, a farle quasi scordare di lui. Era quasi irreale, decisamente assurdo, pensare che dopo svariati anni era stata una notte, solo qualche ora, a farle vedere la possibilità di una via di fuga. E tutto ciò la stancava. Si era stanchezza quella che provava. Una stanchezza maledetta, una stanchezza che la abbatteva, le faceva incurvare le spalle contro il muro a cui era poggiata, la faceva sospirare e le faceva socchiudere gli occhi per proteggersi dalla luce. E quelle ore di sonno perse le ricaddero d’improvviso addosso. Chiuse gli occhi e si abbandonò al muro, a quel sonno improvviso. Si sarebbe addormentata così, in piedi, come i cavalli, se un urlo non l’avesse destata da quel torpore. Sbatté più volte gli occhi e si guardò in torno spaesata. Ci mise un attimo a mettere a fuoco la situazione: era nel negozio di souvenir e Nina stava urlando, dietro quella porta chiusa davanti a lei. 

(Alice): “vedi che non ci casco!!”, le urlò di rimando. Si, doveva essere per forza un altro dei suoi scherzi. 

Attese qualche minuto, aspettando una risposta, o almeno che quell’urlo cessasse. E invece no, quell’urlo continuava a farsi sentire, senza dare il minimo cenno di cedimento. Forse Nina stava davvero male o forse era un altro dei suoi trucchetti. Ma nel dubbio non poteva lasciarla lì sola, e non poteva far continuare quell’orribile suono, che avrebbe riportato Totò lì, a guardarle preoccupato e spaesato. Gli avevano già creato fin troppi guai. Alice si staccò da quel muro bianco e spalancò quella dannata porta. Nina non c’era. La stanza era completamente vuota e l’urlo era cessato nell’attimo stesso in cui aveva fatto il primo passo dentro quelle quattro mura. Si, era decisamente uno scherzo, una trappola e lei ci era cascata dentro con tutte le scarpe. La porta si richiuse dietro di lei e la serratura scattò. Non fece in tempo a girarsi che si trovò le braccia di Nina al collo. La guardava e sorrideva. Le mostrava i denti bianchi e perfetti tra un sorriso compiaciuto. Alice restava immobile, spaesata e affascinata. Era incredibile, come ogni volta restava intrappolata in quello sguardo beffardo, sicuro di sé. E poi l’ennesimo bacio, quel contatto dolce che la portava a non pensare più a nulla, che le faceva battere il cuore all’impazzata, che la faceva sciogliere, sgretolare da dentro. E stavolta era troppo stanca per combattere, per resistere. Iniziò a rispondere piano, a seguire il ritmo di quel bacio. Sentì la mano di Nina scendere e seguire la curva dei fianchi, risalire fino al collo e sfiorarle il viso, per poi andare dietro la nuca, e rimanere lì, come per aggrapparsi, per tirarla ancor di più a sé. Alice si staccò di colpo, guardò Nina per un’istante che sembrò interminabile, il suo sguardo era imperscrutabile. Poi un bacio, di colpo. Nina sbatté gli occhi, si trovò le mani di Alice sul viso, sul collo, che scendevano giù, arrivavano ai fianchi e li stringevano. Alice fece un passo avanti e costrinse Nina a farne uno indietro. E poi un altro e un altro ancora, fino a quando le spalle di Nina non toccarono il muro. E quel bacio continuava, a volte irruente e l’attimo dopo dolce. Quando si staccarono avevano entrambe bisogno di riprendere fiato. Si guardarono e Nina sorrise. Era un sorriso aperto, quasi infantile, sicuramente felice. Ci sono amori che sbocciano col tempo, ce ne sono altri che succedono all’improvviso, che guardi quella persona e sai già che l’amerai. E per Nina fu così.

   
 
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