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Autore: Moony16    15/09/2018    1 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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Dimitri girò l’impasto con forza, facendo volare una nuvoletta di farina tutto intorno a lui. Con le mani impastava il pane, esperto e pensieroso. Il locale era vuoto e silenzioso, dietro di lui il forno nel fuoco rendeva l’ambiente tanto caldo da fargli appiccicare i capelli scuri alle tempie per il sudore. Era a maniche corte, ricoperto di farina e l’espressione corrucciata.
Girò di nuovo l’impasto, sfogandosi su di lui come se fosse la causa di tutti i suoi mali.
Elly. 
Quella ragazza lo avrebbe fatto uscire di senno, prima o poi. Sapeva di starsi cacciando in un bel guaio, lei gli aveva più volte ripetuto di starle lontano, ma lui non voleva darle ascolto. 
Era uno dei pochi rimasti a pensare che Hitler non stesse facendo bene, che c’era qualcosa di terribilmente malato in quella società, che molti conti non tornavano. Suo fratello era autistico e nonostante gli evidenti problemi che aveva comportato, gli voleva bene. Gliene aveva sempre voluto e adesso da quasi un anno non aveva più sue notizie. Lo avevano preso una mattina e lui non aveva potuto fare altro che guardarlo portare via, senza  poter fare nulla. E poi, il silenzio.
Dimitri rigirò l’impasto con forza, poi si spostò con il braccio un ciuffo ribelle dagli occhi.
Non ci voleva un genio per capire che lo avevano fatto fuori, tutta quella propaganda aveva convinto moltissima gente, ma non lui. La vita di suo fratello aveva avuto un valore, lui l’aveva visto. Rideva, amava, piangeva e, a modo suo, comunicava. E loro lo avevano portato via.
Dimitri serbava dentro sé rancore verso il partito e aveva sempre saputo che per Elly era lo stesso. Per questo non si era stupito quando lei gli aveva fatto quella mezza confessione, sapeva che anche lei in qualche modo aveva visto oltre la patina di ricchezza e splendore del nazismo. E questa era una di quelle caratteristiche che lo aveva colpito di più, insieme con la sua aria da bambina sognante. 
Dimitri divise l’impasto in panetti più piccoli, con movimenti veloci e decisi, disponendoli ordinatamente sul bancone. 
Era preoccupato per Elly, non la vedeva da due giorni: era andato al mercato, ma lei non era arrivata. Aveva paura che l’ufficiale fosse venuto a conoscenza del loro incontro dopo quella dannata sera e che le avesse fatto di nuovo del male. La cosa che però temeva di più, perché più probabile, era che quel dannato soldato le avesse fatto il lavaggio del cervello e lei si fosse convinta che non vedersi più fosse una buona idea. 
Dimitri amava passare il tempo con quella ragazza. Si sentiva libero dai mille obblighi che aveva durante tutto il resto del tempo, che lo opprimevano e lo facevano sentire molto più grande di quanto non fosse in realtà. Poco più di vent’anni e un’intera famiglia sulle spalle. Sua madre, sua nonna, e i suoi otto fratelli dipendevano da lui per mangiare, e lui era l’unico in grado di utilizzare il forno. Era stanco Dimitri, mentalmente e fisicamente. Far quadrare i conti era più facile che in passato, ma restava sempre un’impresa ardua. E poi, da quando suo cognato era partito per il fronte, sua sorella era tornata a casa loro con al seguito due marmocchi. Li adorava i suoi nipotini, ma era pur vero che casa sua era più affollata che mai. 
Aveva tre sorelle, arrivate tutte dopo di lui, e l’unica sposata era Anne, la più grande. Lei era stata come una mamma per tutti gli altri e adesso era madre di due bambini adorabili quanto pestiferi. Se lui aveva ventiquattro anni, Anne ne aveva ventidue. Poi c’erano Lou e Mary, diciannove e diciotto anni di risolini e sguardi languidi ai soldati che passavano impettiti con l’uniforme. Dopo di loro era nato Mark: era lui che i soldati avevano portato via, quando aveva solo quindici anni. Poi c’erano Karl, Anton e Rolf, che avevano dodici, dieci e otto anni, infine i gemelli di soli cinque anni, Fred e George. 
Le sue sorelle lavoravano con la nonna al bancone, servendo i clienti, ma il grosso del lavoro spettava a lui, aiutato qualche volta da Karl e Anton. Era una faticaccia tirare avanti una famiglia così grande e viveva nel terrore di essere spedito al fronte e di lasciare tutti a morire di fame. Stava cercando di insegnare alle sue sorelle a impastare e a Karl ad usare il forno, ma era difficile. Lui per impararlo bene aveva passato anni lì dentro insieme a suo padre, e anche così all’inizio bruciava così tanto pane che avevano rischiato di rimetterci. Poi aveva imparato, ma sapeva che in tempi di guerra i suoi fratelli non avrebbero potuto permettersi di sbagliare. 
Finito di dividere il pane, lo coprì con un panno umido, per farlo lievitare bene, poi si girò e si diede da fare per controllare le pagnotte nel forno.
Sperò che almeno quel giorno Elly si facesse viva, perché gli mancava terribilmente. Aveva bisogno di lei per staccare la spina e godersi un po’ la sua giovane età che gli stava scivolando dalle mani come l’acqua.
***
Caroline guardò la porta chiusa con odio. Quello era il terzo giorno che stava lì, completamente digiuna. La fortuna aveva voluto che avesse una brocca d’acqua in camera quando Lui l’aveva chiusa, ma era finita quasi subito e adesso aveva la gola secca, inoltre i morsi della fame si facevano sentire. Odiava dovergli dare ragione: non sarebbe rimasta lì dentro fino a farsi morire, l’unico suo scopo dopo aver perso i genitori e ogni suo diritto era sopravvivere. Ricercava quelle cose che la facevano stare meglio, scappava da quelle che invece le procuravano dolore. Ma il suo orgoglio era ancora lì, presente e ingombrante, anche se probabilmente avrebbe vissuto meglio senza. 
Sarebbe stato facile uscire, lo sentiva armeggiare in cucina, probabilmente incapace anche di friggersi un uovo ma troppo orgoglioso per farla uscire da lì. Le girava la testa, si sentiva sopra una barca, ma si ostinava a stare zitta. Sapeva che se non lo chiamava entro quella sera avrebbe dovuto aspettare fino all’indomani, ma proprio non ci riusciva. Non voleva chiamarlo. 
Forse sarebbe davvero meglio morire pensò guardando il soffitto, mentre l’odore della carne cucinata entrava dagli spifferi della porta e le faceva venire da vomitare. Doveva chiamarlo, ma non voleva. Doveva alzarsi, ma non le andava. Voleva  solo essere lasciata in pace, addormentarsi in quel letto e sparire, come se non fosse mai esistita. Era stanca Elly. Non era un eroina, né una santa. Non perdonava facilmente, era orgogliosa, testarda, egoista a volte. Si portava dentro una rabbia difficilmente descrivibile, aveva perso la fede in dio e la fiducia negli uomini. Si sentiva l’ombra di sé stessa, per questo, in quel momento, si chiedeva che senso avesse continuare a lottare. 
E poi Joseph bussò alla porta.
«Caroline sei ancora viva?» chiese ironicamente, nascondendo la preoccupazione. Quel giorno non aveva fatto altro che pensarla, era tornato il prima possibile e non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che lei stesse male. Aveva paura di aver esagerato, ma allo stesso tempo non voleva fare un passo indietro.
Lei non rispose, continuando a guardare il soffitto. Forse quella volta sarebbe morta davvero.
«Caroline? Lo so che mi senti» disse, ma la voce tradiva la paura. Bussò ancora un po’, poi sbraitò di nuovo.
«sto aprendo, ma giuro che se mi stai ignorando me la paghi» disse, per poi armeggiare con la chiave imprecando. Lei lo ignorò, chiudendo gli occhi, per sprofondare in un buio consolatore.
«Caroline …» sentiva che le si avvicinava. La guardò per un lungo attimo, sentiva i suoi occhi su di sé, ma non aprì le palpebre e non si mosse.
Le prese un polso e ascoltò il suo battito, Caroline sentiva le sue mani tremare come animate di volontà propria, quindi con un sospirò sollevato la tirò su: a quel punto lei aprì gli occhi, trovandolo fin troppo vicino. E lui, vedendola viva, con un sospiro di sollievo ben percepibile, la strinse con foga, dimenticando tutto, ricordando solo la paura che aveva avuto al pensiero che lei fosse morta. Durò un attimo, e lei non si mosse, scioccata, mentre il soffitto vorticava sulla sua testa. 
Lui si staccò quasi subito, rosso in viso e mortificato.
«eri sveglia?» lei lo guardò con occhi vitrei senza rispondere, poi dopo un’ultima occhiata sdegnata si coricò di nuovo, ignorandolo. Lo stomaco le doleva, così come la testa. Non voleva guardarlo, il suo odore, la sua vista, lui che la toccava, erano tutte cose che le davano la nausea. Si rannicchiò su sé stessa e chiuse di nuovo gli occhi. Lui la guardava sconcertato.
«Caroline devi mangiare. So quello che ho detto, ma non pensi sia stupido lasciarsi morire di fame per orgoglio?» lei lo ignorò e lui si guardò intorno disperato.
«cosa direbbero i tuoi genitori se ti vedessero così?» disse pungendola sul vivo.
«non osare nominare i miei genitori» la sua voce era gracchiante e flebile, ma era già qualcosa.
«perché altrimenti che fai?» chiese con tono canzonatorio. Poteva anche essere cresciuta, ma quando era in situazioni come quella l’unico modo per farla parlare era stuzzicarla. E lui era sempre stato un professionista.
«a te che importa se mi lascio morire di fame? Che c’è non vuoi occultare il cadavere?» continuò imperterrita.
«ho giurato di proteggerti»
«si lo hai fatto … hai giurato di proteggermi da quelli come te. Hai dimenticato te stesso dalla lista però» lui scosse la testa.
«tu non hai idea Caroline. Mi odi, ma non hai idea di cosa significhi per me tutto questo. Mi disprezzi senza capire che io ti ho salvato da un destino terribile»
«questo è un destino terribile per me Joseph! Questo!» e finalmente si alzò, urlando quelle parole e rischiando di cadere per i giramenti di testa.
«e che ti manca, Caroline?» chiese lui con aria stanca. Caroline si soffermò a guardarlo un attimo, notando le occhiaie e il viso più pallido del solito: sembrava che neanche lui se la passasse bene.
«mi manca un essere umano vicino» lui sospirò senza guardarla negli occhi.
«e pensi che dove ti avrebbero mandata avresti calore umano? Pensi che ti darebbero da mangiare e qualcosa per coprirti dal freddo? Credi che ti farebbero regali di compleanno e ti assicurerebbero che, per quanto possa essere dura, tu sopravvivrai?»
Lei lo guardò incredula. 
«io non voglio sopravvivere, ho finalmente le possibilità di vivere e voglio farlo! Perché non me lo permetti? A te che cambia se io sto bene o no? Perché devi per forza rendermi la vita un inferno?»
«perché?! Perché tu tecnicamente non lo meriti, sei ebrea cazzo! Ebrea! Ogni volta che ci penso mi viene di buttarti fuori, o di prenderti a calci, o di tirarti un colpo in testa ed eliminare un altro parassita dalla società e lasciare questo mondo un posto migliore. Poi però penso a chi sei, penso che se sono qui è merito tuo e dei tuoi genitori, penso che sei l’unica persona in vita che mi abbia mai voluto bene sul serio … sei l’unica persona ancora in vita a cui io abbia mai voluto bene sul serio! E penso che non potrei toglierti la vita neanche se significherebbe perdere la mia, mai. Sai che vuol dire vivere così, Caroline? Vuol dire che mi sto fottendo il fegato a forza di bere per non pensarci, che non riesco a vivere, che è tutto un enorme punto interrogativo. E se io non vivo, perché tu dovresti farlo?» si sfogò su di lei con rabbia.
«ora smettila di dire cazzate alzati e mangia qualcosa. Ti riscaldo un po’ di latte» disse seccato, mentre lei lo guardava con occhi sgranati.
«Joseph … » lui si era girato a guardarla notevolmente scocciato. Caroline lo guardava con gli occhi sgranati, incredula.
«che c’è?» 
«davvero daresti la tua vita per me? Un’ebrea che disprezzi e che tratti come feccia?» lei si era bloccata a quelle parole, il resto quasi non lo aveva sentito, ne era rimasta sconvolta e adesso voleva capire se era solo una frase fatta o lo pensava sul serio. Lui aveva guardato per terra, prima di risponderle con voce flebile.
«Altrimenti pensi che mi sarei comportato così? Tu lo giudichi impossibile, ma io sono in pericolo ogni giorno, tenendoti al sicuro. Se qualcuno lo venisse a sapere sarei giudicato dalla corte marziale e sinceramente non so quanto sarebbero clementi» poi aveva alzato lo sguardo su di lei
«Io … so di aver esagerato, ma non mi scuserò con te. Stando con quell’uomo tu metti in pericolo sia me e te, che lui. Se tieni a quell’uomo anche solo un minimo, dovresti smetterla di vederlo» aveva detto con tono assorto. 
«ora alzati e vieni a mangiare qualcosa» poi le aveva dato le spalle, dando per scontato che lei lo avrebbe seguito. E Caroline lo aveva fatto, imbambolata, camminando barcollante fino alla prima sedia.
 Lui le aveva messo dell’acqua davanti, che Caroline aveva bevuto avidamente, nel frattempo le aveva riscaldato il latte. Lo guardava mentre in silenzio faceva tutte quelle cose che di solito compiva lei per lui e sentiva un po’ del ghiaccio che aveva dentro al petto sciogliersi. Non bastava una cosa così perché lei lo perdonasse, però … era sufficiente, forse, per non odiarlo. Perché, a modo suo e controvoglia, lui si stava prendendo cura di lei come non avrebbe mai potuto fare nessuno.
***
Caroline evitò Dimitri nelle settimane successive, aveva ignorato le lettere che lui gli aveva lasciato e si era sforzata di non vederlo più. Quello che le aveva detto Joseph le aveva fatto capire che non poteva esporre tutti loro ad un così grande pericolo solo per un suo capriccio, che non voleva sulla coscienza quell’uomo tanto buono. Che le mancasse come l’ossigeno, però, non lo aveva messo in conto. Che dovesse reggere il peso di tutta quella situazione senza poter appoggiarsi a nessuno, non lo aveva considerato.  La mancanza di Dimitri era un rumore sordo in fondo all’anima, qualcosa che le faceva terribilmente male e di cui non poteva liberarsi. Aveva provato tante volte a scrivergli almeno una lettera, poi però si rendeva conto che non poteva spiegare il motivo per cui aveva smesso di vederlo senza incorrere a pericoli. Non poteva scrivere nulla sulla loro posizione, neanche rivolto a Dimitri: la lettera avrebbe potuto perdersi e finire nelle mani sbagliate. Così aveva accartocciato tutti i tentativi e aveva evitato il suo panificio e il mercato negli orari in cui lei sapeva avrebbe potuto lasciare il negozio per cercarla. Praticamente non usciva più di casa e la sua sola compagnia era un soldato burbero e perennemente arrabbiato.
Joseph era tornato quello di sempre, la lasciava sola a casa e quando lo rivedeva, la sera, di solito puzzava di birra e le sbraitava ordini. Ogni tanto invitava a casa signori impomatati e signore raffinate e , mentre loro giravano per casa con fare disinvolto, lei continuava a guardarli con terrore, stupendosi di come Joseph cambiasse radicalmente atteggiamento in loro presenza. Diventava anche lui un uomo raffinato , dai modi sottili e le parole taglienti, dalla risata sempre controllata. Non sapeva dove aveva imparato a districarsi in quell’ambiente di squali, ma era chiaro anche a lei che era bravissimo nel farlo: la gente pendeva dalle sue labbra, le donne lo guardavano come farebbe un gatto davanti ad una preda succulenta. Sembrava nel suo elemento naturale e, se Elly non lo avesse conosciuto da bambino, avrebbe probabilmente scommesso che fosse il figlio di qualche ricco proprietario terriero o banchiere. 
Vivere con lui non era mai stato semplice, ma quando aveva trovato Dimitri, qualcuno con cui dividere quel pesante fardello, tutto era diventato più facile per Elly e ora gli sembrava di star sprofondando nell’abisso. 
Caroline comunque aveva creduto che Dimitri, capita l’antifona, avesse rinunciato a vederla, e il fatto che non avesse neanche provato a farle cambiare idea da un lato la sollevava, dall’altro la mandava nello sconforto più totale. Mangiava poco e sorrideva ancora meno, la notte si svegliava spesso a causa di certi sogni: le sembrava sempre di cadere nel vuoto. Joseph notò il suo malumore, ma non le disse nulla. Sperava superasse la cosa il più velocemente possibile. Lei invece voleva solo vedere quel giovane uomo capace di farla ridere anche solo per un ultima volta, ma tutte le volte che cedeva e quasi si fiondava nel suo negozio, ripensava alle parole di Joseph, quindi con un sospiro ritornava ai suoi saggi propositi.
Dimitri però un giorno fece una cosa decisamente inaspettata e avventata, stupida per certi versi, ma che la rese tremendamente felice. 
Era ormai novembre, il freddo cominciava a farsi pungente e spesso la pioggia cadeva fitta dal cielo, rispecchiando l’umore di Caroline. Quel lunedì mattina si era alzata al solito orario e aveva sbrigato le solite faccende, evitando, come sempre da quando non vedeva Dimitri, di scendere al mercato troppo tardi. Erano le dieci di mattina e lei era appena ritornata, stava risistemando la spesa, quando suonarono al campanello.
Quando rispose e riconobbe la voce di Dimitri quasi morì di infarto e lo fece entrare più per paura che qualcuno lo vedesse che per altro. Lui si fiondò dentro l’appartamento il più velocemente possibile e si chiuse la porta alle spalle. Caroline lo guardava con gli occhi lucidi, profondamente scossa e incapace di proferire parola. Lui era bello come ricordava, ma il suo sguardo era furente, non più gentile come era sempre stato nei suoi confronti.
«Ciao Emma» Caroline sussultò sentendo il nome finto che gli aveva detto.
«anche se probabilmente questo non è neanche il tuo nome» osservò lui subito dopo con tono amaro. Lei abbassò gli occhi a terra, preoccupata che lui vi leggesse la verità. Lui si guardò intorno, poi il suo sguardo si posò sulla figura mortificata di Caroline e, con un sospiro, fece un passo avanti e la strinse forte a sé. Caroline non poté fare a meno di abbandonarsi a quell’abbraccio, di stringere tra le mani la sua maglia e affondare il viso sul suo petto, mentre lacrime calde e inaspettate gli inondavano il viso. Lui le accarezzava i capelli con mani tremanti e sembrava che la rabbia mostrata poco prima si fosse dissolta insieme alla determinazione di Caroline di non vederlo più.
«non dovresti essere qui» riuscì a dirgli tra i singhiozzi dopo un po’.
«se per caso lo sapesse, io …» lui la interruppe.
«lo so, ma dovevo vederti. Mi devi almeno delle spiegazioni, non credi?» la sua voce era dolce all’inizio, ma si era via via fatta più amara. A quelle parole lei era riuscita finalmente a staccarsi e con voce tremante gli aveva risposto.
«vieni in cucina, ti offro qualcosa» lui l’aveva seguita sbuffando e guardandosi intorno.
«mi offri qualcosa? Non voglio niente che appartenga a Lui, e in questa casa pare che tutto sia di sua proprietà, te compresa» lei si era sentita mancare il fiato. Non voleva farlo stare male, si era comportata in quel modo per il suo bene, eppure sentire quella voce così risentita la feriva. Non gli rispose ma si sedette su una sedia aspettando che lui facesse lo stesso, ma lui restò in piedi, camminando avanti e indietro, incerto su cosa dire.
«voglio sapere solo perché. Poi ti lascerò in pace, non ti denuncerò, non dirò niente. Ma tu mi devi dire perché diamine sei sparita così» il suo era il tono di un uomo disperato, il suo viso era sfatto, gli occhi infossati e rossi. Lei lo aveva guardato un attimo, ma poi puntò i suoi occhi nelle scarpe consumate di lui: non aveva la forza di guardarlo in faccia.
«non ti voglio sulla coscienza» aveva detto quasi in un sussurro.
«tengo troppo a te per vederti fare una brutta fine per colpa mia, e già so che dirai che non importa. Però a me importa … tu vedi tutto così, sfumato, solo idee, niente di davvero preoccupante. Ma se a te succedesse qualcosa, chi darebbe da mangiare alla tua famiglia? Chi pagherebbe la scuola ai tuoi fratelli e la dote alle tue sorelle, chi si prenderebbe cura di tua madre e tua nonna?»
«ne avevamo già parlato, io … non dico che non mi importa della mia famiglia, sai che darei di tutto per loro, ma io non sono realmente in pericolo solo stando con te!»
«ah no? e tu conosci così bene tutta la situazione da esserne sicuro?» alzò un po’ la voce lei.
«lui mi ha minacciato?» lei sbarrò gli occhi.
«cosa?»
«il tuo ufficiale … ha minacciato di farmi del male?» lei lo aveva guardato intontita per un attimo, poi aveva risposto amara.
«Joseph non farebbe mai del male ad un tedesco come te, a meno che non gli fosse ordinato di farlo. Si è arrabbiato così tanto con me anche perché dice che frequentandoti ho messo tutti quanti in pericolo» 
«ma non è vero Elly …» lui le si era avvicinato.
«Dimitri, lasciami perdere. Io non posso darti un futuro, non posso sposarti o darti dei figli legittimi … ascolta una persona che vuole solo il tuo bene, lasciami perdere» lui le si era avvicinato ancora di più, poi si era abbassato al suo livello e aveva sussurrato con voce disperata.
«ci ho provato, ma non ci riesco. Elly ti ho detto di essermi innamorato di te, dammi una possibilità» lei quasi aveva pianto di gioia sentendo quella frase, ma non si mosse, così lui continuò a parlare.
«mi sei entrata nella pelle, non posso semplicemente girarti le spalle. Io voglio stare con te, con tutto ciò che questo significa, voglio amarti come non mi era mai capitato prima, e se poi questo sarà per un giorno, o per sempre, che importa? Avremo il nostro attimo almeno» aveva detto sempre più vicino al suo viso. Sentiva il suo alito sul viso mentre era così vicino da poter sentire il profumo.
E lei, piangendo, non era riuscita a fare altro che baciarlo con slancio. 
Le sue labbra erano morbide come l’ultima volta, ed esprimevano felicità, una contentezza che trasmetteva a lei: sembrava quasi che sorridesse mentre la baciava. Senza neppure staccarsi l’aveva fatta alzare e, sedendosi lui sulla sedia, l’aveva messa su di lui con le gambe intorno alla propria vita. Lei non si era neanche resa conto della posizione compromettente e delle mani troppo ardite di lui, che le accarezzavano tutta la schiena, dalla nuca fino in fondo. Aveva sentito la sua lingua farsi strada all’interno della propria bocca e stuzzicare la propria in un ballo di cui lei non conosceva le regole. Aveva cominciato a muoversi con lui seguendo un istinto animalesco, mentre sentiva tutto il corpo riscaldarsi e la tensione accumularsi proprio sulla sua femminilità. Non conosceva praticamente nulla di quel mondo, ma sapeva che quello che stava facendo era terribilmente sconveniente e poco adatto ad una ragazza di buona famiglia, ma la verità era che era troppo presa dalle sue mani, dalla sua lingua che le esplorava la bocca, da quel calore sconosciuto eppure così benvoluto, per poter fare caso ad altro. Quando si staccarono per prendere fiato, con una mano lui le tiro indietro la testa, poi con la bocca scese sul mento baciandolo, lasciando una piccola scia di morsi lungo tutto il collo, per poi arrivare alla spalla. Lei si sentiva respirare forte, affannosamente, mentre con una mano sui suoi capelli scuri lo incoraggiava a continuare e con l’altra si aggrappava alle sue spalle ampie. Lui risalì con una scia di baci sempre più casti fino alla sua bocca, poi le diede un ultimo bacio a stampo guardandola negli occhi. Solo in quel momento Caroline si rese conto della loro posizione, del fiato corto di entrambi, di qualcosa che premeva sotto di lei che proprio non capiva cosa fosse. Ingenuamente guardò in basso, senza però capire poi molto, quindi si mosse a disagio.
Dimitri gemette quando lei provò ad alzarsi, quindi rimase ferma dov’era.
«ti ho … fatto male?» chiese cercando di capire cosa diamine stava succedendo. Era frastornata, sentiva il suo corpo reagire in maniera quasi estranea, e Dimitri la guardava con uno sguardo famelico che non gli aveva mai visto. 
«non preoccuparti Elly … » le aveva risposto però, aiutandola ad alzarsi, ma restando seduto. 
«non ti alzi?» lui scosse la testa, arrossendo come mai prima.
«meglio di no …»
«perché  non …» lui la interruppe cambiando bruscamente argomento.
«come ti chiami, in realtà? Muoio dal desiderio di saperlo, è ovvio che Elly non sia il diminuitivo di Emma» le aveva chiesto, dando voce a uno di quei dubbi che lo teneva sveglio la notte. Lei si era seduta di nuovo sulle sue ginocchia, in modo più innocente però, e aveva sussurrato 
«Caroline. Il mio vero nome è Caroline, ma non ti dirò il cognome»  lui le aveva stampato un altro bacio sulle labbra e le aveva sorriso.
«domani verrai al mercato Caroline?» lei abbassò lo sguardo.
«non lo so, Dimitri, sai come la penso»
«io non vorrei per nessun motivo al mondo rinunciare a te, però, se domani non verrai, capirò. Ti lascerò in pace» lei aveva provato a parlare ma lui l’aveva interrotta.
«però ripensa a questa mattina, quando sceglierai. Ripensa a come ti senti con me, a quello che provi, e rispondi a te stessa: vuoi davvero rinunciare ad una cosa così bella?» lei era rimasta in silenzio, così lui l’aveva fatta alzare.
«devo andare … ti aspetto domani alle dieci al solito punto» aveva detto guardandola intensamente negli occhi. Poi con un sospriro deciso le aveva dato le spalle, lasciandola lì imbambolata a guardarlo allontanarsi. 
Aveva aperto la porta ed era sparito. 
  
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