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Autore: Lamy_    16/09/2018    0 recensioni
Il Sergente Hank Voight ha stabilito una regola: non lasciare che i sentimenti offuschino il giudizio. La stessa regola che ha infranto quando ha perso la testa per la viceprocuratrice Daphne Collins, venticinque anni più giovane di lui.
[Ambientata durante la 5a stagione]
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hank Voight, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE PRIMA.

La vita è una sorpresa continua. E proprio le cose inaspettate sono quelle che ci spronano a vivere. La possibilità che ogni giorno sia un’occasione per ricominciare ci invoglia a svegliarci al mattino e ad affrontare il mondo. Se c’era una cosa inaspettata che Hank Voight non aveva mai ritenuto fattibile, era quella di perdere la testa per una donna più giovane. Ebbene sì, venticinque anni lo separavano dalla donna che nell’ultimo anno aveva stravolto tutti i suoi piani. Dopo la morte di Camille si era imposto di non intraprendere nessuna relazione, un po’ per via dell’età e un po’ perché il lavoro lo teneva sempre impegnato. Quando poi aveva perso anche Justin, il suo cuore, già impenetrabile se non a pochi eletti, si era ripiegato su se stesso nella speranza di non provare più sentimenti. Aveva un’unica regola: i sentimenti non dovevano offuscarlo. Non aveva mantenuto fede al patto. Aveva infranto quella stessa regola nel momento in cui la viceprocuratrice Daphne Collins era entrata nel suo ufficio con la rabbia stampata in viso per colpa di un caso increscioso. Era difficile che una donna attirasse la sua attenzione, eppure la sfrontatezza e la sicurezza di Daphne lo avevano conquistato all’istante. Neanche la sua bellezza gli era sfuggita: alta, fianchi larghi, capelli corvini e occhi scuri come la pece, e quelle espressioni facciali che esprimevano appieno i suoi pensieri. Una volta terminata la caccia al colpevole, Hank l’aveva invitata a bere un drink al Molly, e da quella sera non si erano lasciati più. Ormai stavano insieme da un anno, non tutti lo sapevano e a loro andava bene così, soprattutto per non alimentare le chiacchiere sulla loro differenza d’età. Daphne aveva da poco compiuto trenta anni, e molte bocche li avevano giudicati per questo, ma loro non si erano mai dati per vinti. Stavano bene insieme, avevano una relazione equilibrata, e soprattutto riuscivano a conciliare le loro vite che procedevano a ritmi frenetici a causa del lavoro. Hank alle volte si domanda perché una donna così giovane e in gamba avesse scelto lui e non un coetaneo, si domandava quanto ancora avrebbero resistito, però poi la guardava e sperava che non finisse mai tra di loro. E la stava guardando anche quella mattina mentre si stiracchiava tra le lenzuola, nuda dopo una notte d’amore. Era da poco uscito dalla doccia e si stava infilando una t-shirt grigia.
“Mi stai fissando in modo inquietante. Sono accusata di qualche reato?” domandò la ragazza, spostandosi i capelli dal viso. Nel compiere il gesto, il lenzuolo si era abbassato e metteva in mostra il seno sinistro. Hank si sdraiò accanto a lei e la coprì meglio.
“C’è qualche reato che vuole confessare, signorina Collins?”
Era raro che Hank si lasciasse andare allo scherzo, era un tipo chiuso e sempre sulle sue, ma lei riusciva sempre a farlo uscire dal suo guscio.
“No. Io sono innocente, Sergente.” Disse Daphne con un fasullo sguardo innocuo. Hank poggiò la testa sul cuscino e ridacchiò.
“Innocente non direi.”
“Che vorresti insinuare, scusa?”
Daphne si sedette a cavalcioni sul suo bacino e gli mise le mani a palmi aperti sul petto.
“La scorsa notte eri tutt’altro che innocente, ragazzina.”
Ragazzina, il nomignolo che lui le aveva affibbiato da quando avevano iniziato a uscire insieme.
“La scorsa lo abbiamo commesso insieme il reato. Non ero mica sola in questo letto.”
Hank si diede un’occhiata in giro, quella era la camera degli ospiti, piccola e spoglia di mobili perlopiù. Non voleva usufruire del letto che per anni aveva condiviso con Camille, pertanto aveva optato per quella camera per i suoi momenti con Daphne. Diamine, stava davvero con una trentenne! A pensarci gli sembrava assurdo che alla sua età stesse con quella che avrebbe potuto essere sua figlia. No, Daphne era tutto tranne che una ragazzina. Era una donna indipendente, intelligente e astuta, perfezionista e con un grande cuore.
“Ed è stato un vero piacere commettere un reato simile con te.” le disse, accarezzandole le cosce. Daphne rise, una di quelle risate che illuminava l’universo intero.
“Ho fame.”
“Allora scendo a prepararti la colazione. Tu vestiti e raggiungimi.”
“Agli ordini, sergente!”
Pochi minuti dopo Daphne varcò la soglia della cucina con indosso un paio di slip viola e una camicia di lui allacciata da un solo bottone al centro. Si sedette sul ripiano di marmo scuro e addentò un biscotto. Hank le offrì una tazza di caffè fumane e si poggiò contro il lavandino con le mani in tasca. Rivolgendo uno sguardo al salotto, aggottò le sopracciglia. Le scarpe, il cappotto e la borsa della ragazza erano disseminati qua e là.
“Sei davvero disordinata, ragazzina.”
Daphne alzò gli occhi al cielo e abbandonò il caffè, non aveva più fame.
“Evita di rimproverarmi il disordine, c’è già mio padre che me lo fa notare.”
“Ti sembro tuo padre?”
“Lo sembri quando mi fai le ramanzine. Non sono una bambina!” protestò lei con il broncio. Hank non poté fare altro che sorridere.
“Dico solo che sei disordinata, non che sei una bambina. Inoltre, non ti faccio le ramanzine.”
“Okay.” Disse Daphne con voce piatta.
Hank si avvicinò e le mise le mani intorno alla vita, al che lei gli avvinghiò le gambe ai fianchi.
“Dai, ragazzina, non te la prendere più del dovuto.”
“Ti detesto quando fai lo stronzo.”
“Quindi mi detesti sempre.” Aggiunse Hank con nonchalance, consapevole del proprio carattere difficile. Prima che Daphne dicesse altro, le sbottonò la camicia e iniziò a baciarle il collo per poi arrivare al seno, vezzeggiandolo di carezze e di baci. Le mani della ragazza andarono ad aggrapparsi alle sue spalle mentre si lasciava irretire da quelle attenzioni. Daphne lo spinse ancora più vicino a sé, ansimando per i baci che Hank le stava regalando lungo la parte interna e tenera delle cosce. Ad interromperli fu la suoneria del cellulare che proveniva dalla borsa della ragazza. Si staccò di malavoglia e, leggendo il nome sul display, si insospettì.
“Pronto?”
“Daphne, sono Emily Ross. Ti chiamo perché non riesco a contattare mio marito. Tu lo hai visto o sentito?” la donna stava piangendo e questo la preoccupò ancora di più.
“L’ho accompagnato a casa ieri sera dopo il lavoro e non l’ho più sentito. In ufficio c’è una montagna di lavoro ed è probabile che si trovi lì. Ti faccio sapere tra una mezz’oretta.”
“Va bene. Grazie.”
Daphne sospirò dopo aver chiuso la chiamata, era turbata e Hank glielo lesse in faccia.
“Che succede? Chi era al telefono?”
“Era la moglie del procuratore Ross. Dice che non riesce a mettersi in contatto con lui. Devo andare in ufficio e assicurarmi che sia lì.”
“Ti accompagno io.”
Daphne corse di sopra per una doccia veloce, indossò un tubino nero, le solite decolleté nere di vernice e si passò un filo di trucco. Non viveva con Hank, ma aveva lasciato qualche vestito a casa sua in caso di emergenza. Si stava infilando il soprabito rigorosamente nero quando il sergente comparve alle sue spalle col cellulare in mano.
“Non posso accompagnarti. Abbiamo un caso.”
“Non ti preoccupare. Non è la prima volta che Ross sparisce e non sarebbe neanche la prima che lo becco con la sua amante in ufficio. Ci vediamo stasera.”
Si salutarono con un rapido bacio a stampo e poi Daphne si diresse a tutta velocità in procura.
 
 
Hank si tolse gli occhiali da sole quando sopraggiunse sul luogo del crimine. Jay e Alvin stavano compiendo già i primi rilevamenti. Kim e Adam arrivarono un minuto dopo. Al centro della strada giaceva un corpo nascosto da un telone bianco della polizia, una pozza di sangue imbrattava l’asfalto nero.
“Che sappiamo della vittima?”
“Non ha documenti e il volto è tumefatto, perciò al momento non abbiamo un’identità.” Disse Jay, indicando il cadavere. Quando Kim ebbe finito di parlare con il medico legale, riferì alla squadra i risultati.
“Il medico legale ha collocato l’ora della morte tra le ventuno e le ventitré. E’ stato picchiato a sangue e un colpo di spranga alla nuca è la causa del decesso.”
“Non è stato ucciso qui. I residenti hanno detto che un’Audi nera ha sostato qui per circa venti minuti prima che il corpo venisse ritrovato.” Disse Adam, gli occhiali da sole appesi al collo insieme al distintivo. Hank sgranò gli occhi quando vide la macchina di Daphne parcheggiare a pochi metri dalla striscia affissa dai poliziotti. La vide camminare nella sua direzione a passo spedito, un aspetto di lei che apprezzava.
“Che ci fai qui, Daphne?”
“Al civico ottantasei abita l’amante di Ross. Voi perché siete qui?”
Hank serrò la mascella dopo che il suo cervello elaborò la sintesi di informazioni sino ad allora acquisite.
“Siamo qui per un omicidio. Il corpo è stato trovato davanti al civico ottantasei.”
Daphne si portò le mani ai fianchi e scosse il capo.
“Fatemi vedere il corpo.”
“Te la senti davvero?”
“Non posso fare altrimenti.”
Hank l’accompagnò dal resto della squadra, che intanto continuava ad interrogare chiunque avesse visto qualcosa, e Alvin fu il primo a stringerle la mano.
“Viceprocuratrice Collins, è un piacere rivederla.”
Sebbene fossero tutti amici, sul posto di lavoro mantenevano le distanze.
“Il piacere sarebbe tutto mio se le circostanze fossero diverse.”
Un membro della scientifica sollevò il telo e sbucò un viso gonfio e insanguinato. Daphne si voltò per non vomitare, non era compito suo visionare i cadaveri.
“Lo riconosci?” le mormorò Voight.
“Sì. E’ Jonathan Ross.”
 
 
Erano soltanto le dieci del mattino e Daphne era già esausta. Aveva dovuto riferire alla moglie di Ross che lui era morto, poi lo aveva comunicato alla procura e infine il caso era stato affidato a lei. Ecco perché sedeva sul divanetto nell’ufficio di Hank con lo sguardo perso e le mani a reggere un bicchiere d’acqua. Non era legata per amicizia a Ross, ma era comunque orribile quello che gli era capitato ed era inconcepibile per lei ridurre un uomo in quelle condizioni. Hank si sedette accanto a lei di ritorno dalla scena del crimine.
“Hai bisogno di altro?”
“No, ti ringrazio. La procura insiste perché la faccenda venga risolta in poco tempo e con la massima riservatezza.”
“Tu ce la fai a sostenere la situazione?”
“Ce la faccio, Hank. Sta tranquillo.”
“Abbiamo un problema.” Esordì Alvin, irrompendo nella stanza con l’espressione accigliata.
“Di che si tratta?”
“Denny Woods vuole vedervi.”
Woods era il comandante supervisore indipendente che si occupava di sorvegliare la polizia di Chicago per denunciare e punire azioni contrarie alla legge.
“Quello stronzo vuole creare solo problemi.” Disse Daphne, assumendo una smorfia di disgusto. Hank si alzò e si mise le mani in tasca, dovevano prepararsi ad una lunga battaglia.
“E noi dobbiamo essere più furbi di lui.” Fece Alvin per poi tornare alla sua scrivania.
“Tu sai quello che dobbiamo fare.”
Daphne intuì al volo quell’avvertimento: Woods non sapeva della loro relazione e dovevano comportarsi da semplici colleghi.
“Lo so.”
“Questa la rimettiamo al suo posto, eh.”
Hank le sistemò la spallina del reggiseno in modo che non cadesse più.
“Fai sul serio, sergente?”
“Assolutamente sì.”
Tutti si alzarono in piedi quando Woods emerse dalle scale, il sorriso sbilenco e le mani dietro la schiena. Daphne si lisciò il vestito e si aggiustò la scollatura, non voleva essere giudicata da un uomo per il suo aspetto fisico.
“Hank Voight e Daphne Collins, che strana accoppiata.” Disse Woods con un sorriso atteggiato sulle labbra.
“Quale cattivo vento ti porta nel mio ufficio?” gli chiese Hank a bruciapelo.
“La morte di un procuratore causa scalpore e io voglio essere certo che il caso abbia la giusta e legale risoluzione che merita. Dico bene, signorina Collins?”
“Dice bene. L’Intelligence come al solito svolgerà un ottimo lavoro.”
“E come al solito lei coprirà le malefatte dell’Intelligence.” Replicò il supervisore, al che Hank dovette reagire.
“Che diavolo vai blaterando, Denny?”
“Tutte le accuse cadute rivolte alla tua squadra sono state firmate dalla signorina qui presente. E’ una coincidenza? Non credo proprio.”
“Ho firmato quei documenti perché è il mio lavoro e perché la squadra del sergente rispetta le leggi.” Si difese Daphne in tutta calma.
“Oppure la sua firma compare perché lei e il sergente andate a letto insieme.”
L’espressione di Hank era indecifrabile, la rabbia si mescolava alla voglia di prendere a pugni quello che un tempo considerava un amico e che ora voleva declassarlo.
“La calunnia è perseguibile, lo sai?”
Daphne al suo fianco si era irrigidita, temeva che la fatica per tenere privata la loro storia si sciogliesse in un attimo come neve al sole. Woods ghignò, tirò fuori dalla tasca il telefono e smanettò con lo schermo alla ricerca della galleria.
“Non è calunnia quando è la verità, Hank.”
Quando mostrò loro svariate foto nel suo archivio, Daphne si vergognò come mai nella sua vita. Le foto ritraevano lei e Hank nell’appartamento di lui, a letto, sul divano, a tavola, altre li raffiguravano mentre bevevano un caffè, e una in particolare li catturava mentre condividevano un momento carnale sulla scrivania del suo ufficio in procura. Hank dovette respirare a fondo per impedirsi di sparargli dritto in faccia senza alcuna pietà.
“Come hai avuto queste foto?”
“Le ho ricevute da una gentile fonte anonima che crede nella giustizia e nelle regole.”
“Quella è violazione della privacy!” protestò Daphne, benché avesse solo voglia di fuggire per sottrarsi a quella conversazione.
“Può anche darsi, ma la commissione ne terrà certamente conto.” Disse Woods. Hank gli puntò il dito contro in un atto intimidatorio, proprio come faceva con i criminali.
“Tu prova a mostrare quelle foto a qualcuno e sta pur sicuro che non finirà bene per te.”
“E’ una minaccia?”
“E’ una promessa.”
“Aspetterò con ansia il giorno in cui manterrai la promessa, Hank. Adesso vi lascio lavorare. Buona giornata!”
Dopo che Woods ebbe lasciato l’edificio, Daphne crollò sul divano e Hank chiuse a chiave la porta della sua stanza.
“Daphne, sta calma. Andrà tutto bene.”
“Come potrà andare bene? Nella maggior parte di quelle foto stiamo facendo sesso e si vede tutto! Hai idea dell’impatto che avrà sulle nostre carriere se quel materiale verrà divulgato?”
Daphne era sconvolta e Hank comprendeva il suo stato d’animo, non perché gli importasse che foto di lui in intimità fossero rese pubbliche, ma perché quel tipo di foto per una donna erano una condanna. Si inginocchiò davanti a lei e la prese dolcemente per i polsi.
“Risolverò la questione a modo mio. Ti fidi di me?”
Daphne lo guardò, quel suo essere protettivo e rassicurante in ogni situazione era un lato che lei adorava, specialmente quando in ballo c’era la loro relazione.
“Sì, mi fido di te.”
Hank le diede un bacio sulla fronte e poi uno sulle labbra, che lei approfondì per addolcire quella tremenda giornata.
“Adesso torniamo al lavoro. Tu indaga con la squadra, io vado a fare un passeggiata con Alvin.”
A Daphne era chiaro che ‘fare una passeggiata con Alvin’ significava ‘vado a prendere a calci in culo un paio di persone’, pertanto annuì e si unì ai colleghi davanti alle lavagne bianche. Si scambiarono un’occhiata furtiva quando lui e Alvin uscirono, una sorta di raccomandazione a non peggiorare le cose. Decise di concentrarsi su Ross, avevano un caso da terminare entro fine giornata.
“Che cosa avete scoperto?”
Ruzek aprì una cartelletta e l’appese alla lavagna perché tutti la vedessero.
“Dai tabulati di Ross risultano solo due chiamate, una a Daphne intorno alle venti e una alla sua amante Tracy Dalton intorno alle venti e trenta, mezz’ora prima della morte.”
“Mi ha chiamata perché voleva che lo accompagnassi a casa. L’ho visto superare il cancelletto e poi me ne sono andata.” Spiegò Daphne prima che potessero porle la domanda.
“Potrebbe aver atteso che tu andassi via e aver raggiunto la casa della sua amante per non destare sospetti.” Ipotizzò Kevin, picchiettandosi la penna sul dorso della mano.
“L’auto di Ross si trova dal meccanico da una settimana e non ha chiamato un taxi. Come si è spostato? Dobbiamo considerare che qualcuno sia andato a prenderlo.” Disse Hailey.
“Oppure che lo abbiano rapito dopo che Daphne si è allontanata.” Aggiunse Jay, le braccia incrociate e un bicchiere di caffè oramai freddo in una mano. Daphne si sforzò di ricordare anche il più piccolo dettaglio e, quando uno sprazzo di ricordo le balenò nella mente, spalancò gli occhi.
“Ross ha una moto d’epoca in garage. Era di suo nonno e se ne vantava di continuo. Potrebbe aver usato quella per muoversi.”
Kevin controllò il verbale stilato dagli agenti senza trovare nulla.
“Credo che Daphne possa avere ragione. Non c’è traccia di quella moto. Diramo una segnalazione per la targa, magari ci porta dall’assassino.”
Un rumore di passi spediti annunciarono l’arrivo di Kim e Antonio, entrambi affaticati per il freddo e le scale. La bruna si sedette sulla scrivania e buttò giù un sorso d’acqua.
“Abbiamo interrogato alcuni colleghi di Ross alla procura, ma nessuno di loro ha saputo dirci qualcosa. Sembra proprio che Ross fosse benvoluto da tutti.”
“Tranne dalla moglie. – disse Daphne – Voglio dire, Ross aveva un’amante e sua moglie potrebbe averlo ucciso per questo. Sono molto comuni i delitti passionali.”
“L’alibi della moglie è confermato dalla sorella, hanno trascorso la serata al parco con i loro figli.” Disse Hailey quasi con rassegnazione. Antonio, che in assenza di Hank e Alvin deteneva il potere, si mise al centro della cerchia con le braccia allargate.
“Verifichiamo tutto da capo, dalle testimoniane dei vicini ai rapporti della scientifica, e troviamo qualcosa di utile. Non abbiamo molto tempo.”
 
Alvin scassinava la porta mentre Hank faceva da palo. Sbloccata la serratura, si ritrovarono nell’ufficio di Woods. Lo avevano visto andare via una decina di minuti prima e avevano deciso di darsi una mossa per impedire che li cogliesse in flagrante.
“Cosa cerchiamo esattamente?” domandò Alvin, sistemandosi il cappello.
“Qualsiasi cosa quel bastardo abbia sulla nostra squadra e su Daphne.”
“Che ha combinato Woods per farti irritare tanto?”
Hank occupò la poltrona di pelle nera e frugò nei cassetti in cerca di qualunque appiglio.
“Ha delle foto compromettenti di me e di Daphne.”
Alvin inarcò il sopracciglio ed emise un fischio, sebbene l’amico non fosse per niente divertito.
“Quanto compromettenti? Vi ha fotografati mentre stipulate patti con qualche criminale?”
“Dice che a fotografarci è stata una fonte anonima. Comunque no, non ci riprendono mentre ostacoliamo la legge. Ci riprendono mentre … – di colpo si bloccò, chiedendosi se fosse idoneo raccontare la verità, ma si trattava di Alvin e la fiducia era garantita – mentre siamo intimi, molto intimi.”
“Accidenti, Woods non si smentisce mai. E’ sempre un topo di fogna.”
“Puoi ben dirlo. Devo tutelare Daphne a tutti i costi.”
“Hank, non lasciarti prendere troppo la mano.”
Hank si bloccò nel bel mezzo della sua ricerca alle parole di Alvin, non capiva se fosse una raccomandazione amichevole o una specie di consiglio forzato.
“In che senso?”
“Tu e Daphne state insieme da quanto, un anno più o meno? Secondo me non hai tenuto conto di molte cose.”
“Quali cose? Andiamo, Alvin, parla chiaro.”
Alvin sospirò, il malumore di Hank era peggiorato e non era un buon segno, ma proprio non riusciva a non dire la sua.
“Daphne è incredibilmente giovane, è una ragazzetta rispetto a te. Capisco che ti affascini, è intelligente, simpatica e bellissima, però è anche ingenua. Una come lei non dovrebbe avere a che fare con gente come noi.”
Hank sapeva quanto fosse vero. Lui era la notte e Daphne era il giorno, erano all’opposto, l’uno sguazzava nell’illegalità e l’altra cercava in tutti i modi di far emergere la giustizia.
“E con ciò che vorresti dire?”
“Che dovresti lasciarla andare.”
“No! – quasi gridò Hank, scuotendo il capo con vigore – non ci penso proprio a lasciarla. Io non posso stare senza di lei.”
“Ma lei starebbe meglio senza di te. Sii realista! Daphne presto vorrà sposarsi e avere dei figli, una bella casa a cui fare ritorno la sera, e vorrà trascorrere le festività in grande stile. Tu pensi di poterle offrire tutto questo?”
Se Alvin lo avesse scaraventato fuori dalla finestra, gli avrebbe fatto meno male. Non aveva mai supposto di essere un limite per Daphne, anzi aveva sempre ritenuto che la loro relazione fosse un incentivo per entrambi, eppure il ragionamento del suo amico non faceva una piega. Lui una bella casa, una moglie e un figlio ce li aveva già avuti e non ne voleva più. Camille e Justin sarebbero rimasti la sua unica famiglia per sempre. Poi ripensò a Daphne, bella e giovane, solare e piena di vita. Ricordò ogni bacio, ogni carezza, ogni gemito, ogni parola sussurrata al buio e per un nanosecondo credette possibile rifarsi una vita. Quel pensiero tramontò come era sorto.
“Qui non c’è niente. Andiamocene.”
 
 
“Tu e Voight … state insieme?” domandò Hailey con incertezza. Daphne ridacchiò e si accomodò meglio sulla sedia.
“Sì, stiamo insieme. Ti sembra strano?”
“Molto strano. Tu sei giovane e lui è … più grande.”
“Hai una mentalità abbastanza chiusa, Hailey, lasciatelo dire. L’età non sempre è un valido parametro di valutazione. Certo, ci separano venticinque anni, ma non per questo è una relazione strana.”
La bionda annuì poco convinta, le dita che picchiavano contro il bordo della scrivania, le labbra arricciate.
“Il fatto è che io non riesco ad immaginare Voight in una relazione. Com’è? Come si comporta?”
“Qui si spettegola? Allora mi unisco!” disse Kim con un sorriso, prendendo posto sulla sedia di Jay. Daphne si aspettava quel terzo grado da quando aveva messo piede in centrale e non le dispiaceva per niente rispondere alle loro domande.
“Voight resta Voight anche fuori dall’ufficio. Lui è fatto così, dà ordini, è rude, sempre sulla difensiva ed è uno stronzo colossale. Non sa nemmeno cosa sia la dolcezza o il romanticismo. Il messaggio più tenero che mi invia è ‘sei ancora viva?’. Non mi porta a cena nel mio ristorante preferito, non mi regala fiori, non mi dedica frasi d’amore, e non mi dà il buongiorno e la buonanotte quando non siamo insieme. Insomma, è Hank Voight.”
“Ma tu lo ami lo stesso.” Concluse Hailey.
“Già. Lo amo lo stesso, anzi forse lo amo proprio perché è vero, è una persona che si mostra per quella che è in realtà.”
Daphne ricordò qualche settimana prima quando, presentatasi a casa del sergente con la cena, aveva provato a dirgli le tre paroline più famose al mondo – ‘io ti amo’ – ma non ne aveva avuto il coraggio quando lui si era alzato per andare a prendere una birra e aveva dedicato uno sguardo ricco d’amore alla fotografia di Camille.
“E a te sta bene questo tipo di relazione?” le chiese Kim con la sua solita espressione da bambina, amorevole e sperduta al tempo stesso.
“Mi sta bene perché non sono una fidanzata appiccicosa, detesto il romanticismo e tendo a vivere i sentimenti nel modo più razionale possibile.”
“Cinica.” Commentò Hailey, facendo spallucce. Daphne la trucidò con gli occhi scuri e inarcò il sopracciglio.
“Preferisco definirmi realista. Hank ha amato e ama tutt’ora una sola donna, sua moglie Camille. Non posso obbligarlo a lasciarsi andare ad un nuovo amore se non se la sente.”
“Allora che cosa vi tiene uniti? La semplice attrazione fisica?”
La domanda di Kim destabilizzò Daphne perché era lecita. Se non c’era amore, che cosa li teneva insieme? La loro storia era una valvola di sfogo dalla loro vita frenetica? Finivano a letto solo per consolarsi? Che cosa erano?
 
Non appena Voight mise piede in centrale, Antonio quasi lo assalì.
“Abbiamo una novità che non ti piacerà.”
Niente di questa giornata mi sta piacendo, pensò Hank.
“Sarebbe?”
In pochi istanti tutta la squadra si riunì davanti alle lavagne bianche piene di foto e di nomi, e tra di loro spiccava il volto di Daphne, visibilmente esausta e afflitta. Hank distolse lo sguardo, non era il momento per le questioni private. Kevin affisse un’ulteriore immagine alla lavagna e scarabocchiò un nome: William Anderson.
“Abbiamo scoperto che, nella stessa strada dove è stato ucciso Ross, un mese fa è stato ritrovato ammazzato da un colpo di spranga il giudice William Anderson. Il caso è stato archiviato come rapina perché mancavano gli oggetti di valore e il portafogli della vittima.”
In sergente si mise le mani in tasca e assunse un’espressione scettica.
“E cosa c’entra con noi?”
Trasalì quando i tacchi di Daphne ticchettarono sino a lui e se la ritrovò davanti in quel tubino nero che metteva in evidenza tutte le sue curve, le stesse che lui solo poche ore prima aveva avuto il gusto di baciare. Lo afferrò per il bavero della giacca di pelle e lo trascinò verso la sala interrogatori.
“Che stai facendo?” chiese stizzito Hank, togliendosi di dosso la mano della ragazza.
“Interrogami.”
Il tono di Daphne apparve provocatorio alle orecchie del sergente, che dovette riprendere il controllo perché i sentimenti non offuscassero il giudizio.
“Di che stai parlando?”
“Sono una persona informata dei fatti e il regolamento esige che io sia interrogata. Woods ci sta alle costole e dobbiamo rispettare le regole in modo ossequioso. Non possiamo permetterci un altro errore. Ora deposita la pistola, chiama uno dei tuoi e interrogami.”
Hank doveva ammettere che non faceva una piega quel ragionamento, perciò si limitò ad annuire senza dire altro.
“Antonio, vieni!”
Daphne fu fatta sedere dall’altra parte del tavolo mentre Antonio apriva un fascicolo. Fu Hank a prendere la parola dopo essersi sistemato affianco al collega.
 “Signorina Collins, lei conosceva le due vittime, Anderson e Ross?”
“Sì. Ross e Anderson un anno fa hanno lavorato insieme per la condanna di Marcus Price, il capo di una gang del Sud. Io ero appena stata assunta e loro mi integrarono nel team. Investigammo insieme alla Omicidi e alla Narcotici. L’esito dell’indagine condusse a Marcus Price come spacciatore e mandante di numerosi omicidi in tutta Chicago. Lo abbiamo arrestato e condannato all’ergastolo. Ecco perché sia Anderson che Ross sono stati uccisi con lo stesso modus operandi, colpiti da una spranga che si è rivelata l’arma dei delitti.”
“Dunque lei ritiene che i due omicidi siano collegati a questo Price?” chiese Antonio.
Daphne guardò Hank per un fugace attimo, si accorse della smorfia di fastidio dipinta sul suo volto e abbassò gli occhi.
“Esatto. Il giorno del processo la madre di Price giurò di fronte a tutti che si sarebbe vendicata. Tutti noi sappiamo che una gang protegge la famiglia del proprio leader e che lo vendica.”
“Lei conosce qualche membro della gang che potrebbe aver ucciso Anderson e Ross?”
“No, mi dispiace. Non indagammo sull’intera organizzazione della gang. Inoltre, la madre di Price è deceduta pochi mesi dopo la sentenza e il fratello ha subito lasciato Chicago.”
Voight richiuse il fascicolo, si alzò e aprì la porta.
“Grazie della collaborazione, viceprocuratrice. Ci è stata di grande aiuto. Adesso può andare.”
“Grazie a voi.” Disse Daphne, dopodiché uscì e tornò dagli altri, che stavano continuando a fare delle ricerche. Antonio e Hank la seguirono un paio di minuti dopo.
“Non abbiamo nulla su Price. – incominciò Jay – dalla prigione ci hanno detto che è un detenuto modello, nessuna rissa e nessuno spaccio di droga. A fargli visita è solo la sua ragazza, una certa Lucy White. Ci hanno riferito, però, che Price il cinque di ogni mese riceve bizzarre lettere da quello che afferma di essere un suo fan.”
Hank osservò la foto di Price alla lavagna e assottigliò gli occhi come se potesse risaltare un dettaglio utile.
“Abbiamo accesso alle lettere?”
“La prigione le sta raccogliendo, le spediranno tra una quarantina di minuti.” Intervenne Kevin, smanettando al computer.
“Scavate a fondo nella vita di Price, famiglia, gang, qualsiasi tipo di affiliazione. Leggete quelle lettere e portate qui il mittente.”
La squadra ubbidì agli ordini e si rimise al lavoro. Daphne, invece, raccattò la sua borsa e si avviò all’uscita quando Hank chiuse la porta del suo ufficio.
“Dove stai andando?”
“Devo andare in procura per l’addio a Ross, sono la sua vice e tocca a me fare il discorso.”
“Vuoi che ti accompagni?”
“Woods ci sarà sicuramente e non voglio che ci veda insieme. Vado da sola, ma grazie per il pensiero.”
Hank ebbe la sensazione che la ragazza lo stesse evitando, forse la faccenda delle foto l’aveva scossa più di quanto sembrava. Non insistette per non farla allontanare ancora di più.
“Ci vediamo al Molly più tardi?”
“Sì, a dopo.”
Daphne gli baciò la guancia e sgusciò fuori dalla centrale in un baleno.
 
 
Erano le dieci di sera quando Hank sbuffò per l’ennesima volta. Seduto al bancone a bere una birra, aspettava che Daphne lo raggiungesse. Gli altri si stavano divertendo al tavolo, incluso Alvin, ma lui stava perdendo la pazienza. Forse la ragazza se ne era dimenticata e gli aveva dato buca. Le cose cambiarono quando Jay lo richiamò con voce allarmata.
“Sergente, mi ha appena chiamato Will dall’ospedale. Daphne ha avuto un incidente.”
La mente di Hank si annebbiò, la paura si impossessò di lui e parve avesse smesso di respirare. Sentì la stessa preoccupazione provata per Justin attanagliargli lo stomaco. Senza badare a niente e a nessuno, montò in auto e violò tutte le norme previste dal codice della strada per arrivare il prima possibile al Chicago Med. Alla reception lo accolse Will.
“Lei come sta?”
“Lei sta bene. La trovi nella stanza 17.”
Hank si fiondò nella stanza e i battiti del cuore si calmarono solo quando la videro. Era seduta sul bordo del letto, il vestito era strappato in diversi punti, soprattutto dall’inguine lungo la coscia destra, e si intravedeva una porzione degli slip. Daphne alzò gli occhi al cielo quando si accorse di lui.
“Perché sei qui? Avevo chiesto a Will di non avvisarti!”
“Come sarebbe a dire che gli hai chiesto di non avvisarmi? Dannazione, Daphne!”
Ora che la esaminava meglio, riportava numerosi tagli sulle braccia e sulle gambe che erano già stati medicati. Svariati lividi le imbrattavano la sua pelle nivea.
“E cosa ti è successo?”
“L’autista della procura mi stava accompagnando in tribunale, all’improvviso ha spalancato la portiera e mi ha gettata dall’auto in corsa. Quando ho ripreso i sensi, ho capito che mi aveva scaricato davanti al civico ottantasei. Nell’auto c’è la mia borsa e potete rintracciare il mio telefono.”
Hank chiamò Alvin per dirgli di tracciare il telefono di Daphne e di informarlo quando avessero beccato l’autista. Will entrò col suo tipico sorriso affascinante.
“Dagli esami del sangue non risultano anomalie e le ferite sono state ripulite. Dobbiamo aspettare a domattina per i risultati della TAC, ma non ci sono problemi se non un lieve trauma cranico causato dall’impatto sulla strada.”
“Mi dispiace solo che tu mi abbia visto conciata come una stracciona.” Scherzò Daphne e Will rise, il che innervosì ancora di più Hank.
“Sei sempre bellissima, Daphne. La paziente più bella che io abbia mai avuto il piacere di medicare.” Replicò Will sfoggiando tutto il suo charme.
“Adesso può tornare a casa?” li interruppe Hank, odiava quel gioco di sguardi ammiccanti tra la ragazza e il medico.
“Sì, certo, può andare. Dovrà stare a riposo per una settimana e applicare del ghiaccio sui lividi. Potete contattarmi per qualsiasi inconvenienza.”
“Grazie mille.” Gli disse Daphne, poi si mise in piedi e zoppicò sino alla porta, era scalza dopo aver perso le scarpe durante la caduta. Hank le strinse una mano al fianco e una sulla spalla.
“Ti aiuto io, forza.”
 
 
Daphne arrancò fino alla camera da letto e si buttò sul materasso. Era distrutta. Hank si disfò della giacca e si appoggiò alla parete con le braccia conserte.
“Come ti senti?”
“Come una scaraventata fuori da un’auto in corsa.”
“Non essere stupida, per favore.”
“Sto bene, sergente. Avverto solo qualche piccolo dolore.”
“Perché non volevi che sapessi dell’incidente? Credevo che noi ci dicessimo tutto.”
Daphne si girò su un fianco, si trovavano a casa sua e poteva lasciarsi confortare da un ambiente familiare.
“Perché avresti ingaggiato una caccia all’uomo che ti avrebbe fatto compiere qualche passo falso. Woods segue ogni nostra mossa.”
“Me ne frego di Woods quando ci sei tu di mezzo. Voglio sapere tutto quello che ti succede.”
“Perché?”
“Perché stiamo insieme e dobbiamo dirci le cose.”
Daphne non disse nulla, si spogliò e a fatica si fece una doccia calda nella speranza di spazzare via il dolore e la spossatezza. Quando rientrò in camera con addosso l’asciugamano, Hank era ancora seduto sul letto con l’espressione furente.
“Puoi andare a casa, sergente. Non mi serve una babysitter.”
“Che succede, Daphne? Sii sincera. Stai prendendo le distanze e non lo capisco. E’ per via di Woods?”
“Pensi che un giorno potrai amarmi?”
Hank incassò il colpo come se un proiettile gli avesse trapassato il cuore. Daphne lo guardava con occhi spenti, era così giovane nella poca luce che illuminava la stanza. Ripensò alle parole di Alvin, al fatto che lei prima o poi avrebbe desiderato una famiglia, che avrebbe voluto sposarsi. Un brivido di paura gli attraversò la spina dorsale. La sua mente lo riportò al giorno del suo matrimonio con Camille e alla nascita di Justin, le uniche persone che credeva avrebbe amato per sempre senza riserve. Eppure Daphne era lì, in piedi davanti a lui, i capelli umidi e la pelle ancora bagnata, ed era la cosa più bella che gli fosse capitata negli ultimi anni. Aveva perseguito un unico principio da quando sua moglie era morta: non innamorarsi. Poi era arrivata quella donna, con tutta la genuinità dei suoi trenta anni, col suo carattere spigliato e intraprendente, con quei grandi occhi scuri che trasmettevano una grande forza. Allora aveva disatteso quel principio, si era fiondato a capofitto in una storia improvvisata fatta di incontri segreti e nottate d’amore, e aveva capito di sentirsi vivo come non riteneva possibile. Quel suo duro cuore aveva ripreso a battere di una gioia del tutto nuova.
“E se io ti amassi già?”
Daphne sorrise d’istinto, colta alla sprovvista da quella dichiarazione. Stava per ribattere quando si insinuò tra di loro la suoneria del cellulare di Hank.
“Pronto? Sì. Domattina? Va bene. Lo riferisco io alla Collins. Buonanotte.”
“Che sta succedendo adesso?”
“Domattina la commissione vuole vederci. Pare che Woods si sia messo d’impegno.”
“Non accadrà nulla domani. Fidati.”
Voight corrugò le sopracciglia, l’atteggiamento sereno di Daphne lo fece dubitare.
“Che cosa hai combinato? Non dirmi che ti sei messa nei guai per salvarci il culo!”
“Smettila di farmi la paternale, Hank! Sono adulta e me la cavo benissimo da sola!”
“Lo so ed è per questo che mi preoccupo.”
“Fidati di me, ti prego.” Gli disse Daphne, stringendogli la mano.
Hank si limitò a darle un bacio sulla fronte e ad abbracciarla.
“Mi fido.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Questa è la prima volta che scrivo una cosuccia su questa serie tv.
Mi auguro di essere stata abbastanza capace.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Perdonate eventuali errori di  battitura.

 
  
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