wow, quanto tempo che non lo scrivevo...
comunque...
eccoci qui lettruccioline belle: ho scritto il sequel di "Teach Me", "Just a Crush" per l'appunto... è stato pubblicato il dieci settembre, quindi potete comprarlo a questo linkmagico oppure potete dare una sbirciata ai primi capitoli... ne pubblicherò tre e come di consueto potete farmi tutte le domande del mondo e soprattutto farmi sapere che ne pensate!
baci&coccole a più giù
I hope he is a gentleman
And maybe he won’t find out what I know
You were the last good thing about this part of town.
Quel giorno avevo aperto gli occhi e avevo guardato
la tenda illuminata dal sole con palese fastidio. Doveva essere quasi
inverno, perché diavolo c’era quel sole?
Mi ero rituffata tra i cuscini con un gemito di
sofferenza. Era una di quelle giornate in cui l’unica cosa
sensata da fare sarebbe stata rimanere a letto davanti alla
televisione, a mangiare biscotti.
Lo avrei fatto.
Se avessi potuto scegliere avrei poltrito, mi sarei
crogiolata nella pigrizia e nell’ingordigia e mi sarei svegliata
giusto in tempo per vestirmi e andare al lavoro.
Sarebbe stato un programma niente male.
Se non mi fossi dovuta sposare.
Già, quella era una vera scocciatura…
Annoiata dai preparativi, sopraffatta dal bianco e
dal tulle e tutto il resto, mi ero alzata e mi ero diretta al piano di
sotto.
Dan aveva dormito dai suoi genitori –
“uno sposo non può vedere la sposa la notte prima delle
nozze”, aveva cinguettato sua sorella. Che cazzata…
vivevamo insieme! – quindi avevo tutta la casa per me
finché Cameron non fosse venuto a prendermi.
Il mio futuro marito aveva storto il naso quando gli
avevo spiegato che avrei voluto fosse Cam ad accompagnarmi
all’altare, aveva trovato la promozione da scopamico avventata,
ma tutte le sue obiezioni erano crollate davanti a una mia semplice
domanda: “A chi altro potrei chiederlo?”
Mio padre sarebbe stato sicuramente un ottimo
candidato ed ero sicura che avrebbe fatto una gran figura in smoking,
ma era morto. Avrei potuto ripiegare su mia madre, fare la gioia delle
femministe, commuovere la platea con la solita vecchia storia della
povera orfana, ma… be’, mia madre era complicata e non ero
sicura fosse abbastanza in sé da riuscire a percorre una navata
senza barcollare.
In effetti, l’unico che stava occupando il
posto adatto a lui quel giorno era mio zio: sepolto sotto un paio di
metri di terra e tanti saluti. Almeno c’era qualcosa che andava
per il verso giusto, anche se mi si era appena scollata la suola delle
ciabatte.
Forse avevo un cugino, da parte di mio padre, ma non
ero sicura che sarei stata in grado di riconoscerlo se lo avessi
incontrato. Ero sola in modo imbarazzante…
Con ai piedi soltanto un paio di calze, mi ero
preparata un caffè nel silenzio della casa vuota trovandola
piacevole, rilassante.
Avevo riflettuto sui cambiamenti ai quali stavo andando incontro.
Figli non ne volevo, ma Dan sì.
Un’altra scocciatura.
Voleva che smettessi di prendere la pillola.
Trovavo quella proposta immensamente invadente.
Avevo sospirato scoraggiata: ma come faceva Dan a volermi?
Ero solo ansiosa, mi dissi, tutte le spose lo erano.
Signora Paxton suonava bene.
Anche Michelle Bates in Paxton, mi faceva pensare a un’ereditiera dell’America del Sud.
L’ultima volta che avevamo fatto l’amore
avevo preteso che Dan mi chiamasse Mrs. Paxton. Era stato divertente.
In realtà era passato tanto tempo
dall’ultima volta che io e Dan avevamo fatto l’amore, ma
lui non si era lamentato.
Dan era l’uomo giusto.
Sì, lo era.
Finito il mio caffè ero tornata in camera.
Avrei voluto che i miei passi non sembrassero così tanto quelli
di un uomo che va alla forca.
Avevo chiesto specificatamente di potermi preparare
da sola, volevo prendermi il mio tempo per fare la doccia, truccarmi,
pettinarmi e tutto il resto. Non mi sembrava poi molto, visto che per
tutti i preparativi ero stata così brava a vestire i panni della
promessa sposina frizzante ed eccitata. Potevo almeno avere due ore per
essere me?
Volevo godermi il mio cinismo per l’ultima
volta, poi mi avrebbe aspettato un lungo periodo di allegria da neo
sposa. Mi sarei dovuta impegnare.
Il mio abito incombeva tragicamente appeso al bastone della tenda, imbustato in un sacco bianco.
Ero rimasta a fissarlo con le braccia incrociate sul
petto, ancora con il pigiama addosso, sfidandolo a farmi un sedere
enorme anche quel giorno: tra me e quel vestito non correva buon sangue.
Per tutta la mia vita avevo pensato che sarebbe
stato semplice per me trovare un abito da sposa che mi stesse bene: ero
bella, ero bionda, alta al punto giusto, la gioia delle commesse dei
negozi di abbigliamento.
Invece avevo scoperto in un momento molto sbagliato
della mia esistenza che i vestiti da sposa, tutta la categoria, mi
stavano male.
Ne avevo provati almeno cinquanta, variando in
stili, modelli e prezzi. Alla fine mi ero arresa a un abito a sirena
con lo scollo a cuore e una giacca per quando sarei stata dentro la
chiesa. Banale, ma ricordavo di aver avuto una bambola vestita allo
stesso modo da bambina e quella bambola mi piaceva.
Le sarte si erano date da fare e se non altro ora mi
scivolava addosso nel modo giusto, ma lo odiavo, lui sapeva che lo
odiavo.
Sentivo che la cosa era reciproca.
Qualcuno mi aveva detto di stare tranquilla, ero bella e sicuramente al mio ragazzo non sarebbe importato.
A lui non sarebbe importato, aveva aggiunto inopportunamente.
Erano riflessioni pessime per una sposa che tre ore dopo avrebbe dovuto essere in chiesa.
Avevo scacciato tutto dalla mia mente, insieme alla
nostalgia che odorava inspiegabilmente di borotalco, e mi ero infilata
sotto la doccia. Mi ero insaponata con cura, lasciando che
l’acqua calda lavasse via parte delle mie ansie.
Avevo continuato a evitare ogni pensiero
concentrandomi sul mio aspetto: mi ero arricciata i capelli in tante
onde morbide; avevo perso tantissimo tempo a truccarmi, chiedendo
mentalmente a ogni prodotto che usavo di durare il più a lungo
possibile.
Se fossi sembrata felice, tutti avrebbero saputo che ero felice.
E così avrebbe dovuto essere.
Cameron aveva suonato al campanello circa un’ora dopo e io ero andata ad aprirgli in vestaglia.
Mi ero divertita molto di più a scegliere il
suo di vestito, lui davvero stava bene con qualsiasi cosa. Indossava un
completo nero, nonostante la commessa continuasse a dire che non si
adattava molto a un matrimonio – quella commessa passava
così tanto tempo nel camerino con lui per “aiutarlo”
a vestirsi che sospettavo avrebbe continuato a vestirlo per poi
spogliarlo per altre due ore –.
La cravatta damascata bordeaux l’aveva scelta lui.
Era lo stesso colore che avevo imposto a Morgan.
Trovare un abito che la facesse sembrare dell’età adatta
per accompagnare un uomo a un matrimonio non era stato semplice, ma
alla fine i nostri sforzi ci avevano premiati.
Aveva giurato che avrebbe indossato i tacchi.
Era stato ovvio che stesse mentendo.
«Sei un po’ poco pronta» mi aveva detto Cameron, osservandomi con aria divertita.
«Mi manca solo il vestito.»
«Ti serve una mano?» mi aveva urlato dietro mentre tornavo in camera.
«Ti chiamo per i bottoni» gli avevo promesso.
«Avevi giurato che sarebbe stata una zip!»
Mi ero messa la biancheria adatta, mi ero infilata
il vestito e mi ero guardata allo specchio un secondo prima di
posizionare il velo.
Non volevo sposarmi.
Sembrava che ce lo avessi marchiato a fuoco sulla fronte.
Non avrei dovuto essere annoiata, né tanto
insofferente, avrei dovuto essere felice, spaventata, ma eccitata.
Fremente di emozione.
Per la miseria, perché cavolo non potevo essere una sposa normale?
Mi ero avvicinata studiando il mio viso,
l’angolo destro della mia bocca, la linea quasi invisibile che
tagliava trasversalmente il mio labbro. D’estate si vedeva di
più, di solito la nascondevo con il trucco, quel giorno non
c’ero riuscita.
Qualcuno l’aveva premuta con il dito dicendo di trovarla sexy.
Mi ero leccata le labbra, vanificando cinque minuti
buoni di impegno nello stendermi un rossetto nudo-nocciola che mi
rendeva naturalmente radiosa.
Bene, avrei dovuto ricominciare.
Se non altro quel giorno ero autorizzata a essere in ritardo.
Cameron mi era venuto a cercare dopo un lasso di
tempo ragionevole per una sposa che doveva solo vestirsi, aveva bussato
alla mia porta e aveva fatto capolino, trovandomi seduta sul bordo del
letto sfatto con il velo tra le mani e l’aria afflitta.
«Mi ha mandato un messaggio Morgan. Dan è arrivato.»
Dan era sempre fastidiosamente in orario.
«Certo» avevo mormorato abbattuta. «Sono pronta.»
Mi ero alzata in piedi. «Mi chiudi?»
Si era messo alle mie spalle e aveva lasciato andare
un verso scoraggiato. «Oddio, ma quanti sono?!»
Non avevo risposto, avevo continuato a guardarmi.
Più quell’abito mi si stringeva addosso, più mi
stava male: mi appiattiva il seno, mi faceva la pancia e… porca
miseria! Perché il mio sedere sembrava così grosso?!
Doveva essere il bianco. Perché avevo scelto
un vestito bianco? Chi avrebbe creduto alla mia ostentata purezza? Ma
per favore, quella barca era salpata da così tanto tempo che a
quel punto doveva aver circumnavigato il globo svariate volte…
«Hai l’aria un po’ funerea» aveva osservato Cam.
«Ho il sedere enorme?»
«No, hai un bel sedere come sempre» aveva detto tranquillo.
«Sembra che non ho le tette» avevo continuato.
«Le tue tette non hanno niente che non va.»
«Sono troppo accollata» mi ero lamentata.
«Sei una sposa, non puoi essere troppo
sexy» aveva sbottato. «Vuoi far venire un colpo al
prete?»
«Ho bisogno che tu mi dica che sono figa» lo avevo supplicato con una smorfia.
«No, non è vero» aveva ribattuto,
fissandomi esasperato. «Lo sei da quando hai quattordici anni, lo
sai, perciò piantala.»
«Sono solo nervosa» avevo detto più a me che a lui.
Non era vero.
Non volevo andare.
Non volevo pensarlo.
«Okay» aveva abbozzato.
«Pensi che sarò felice?» gli avevo chiesto d’impulso.
I nostri sguardi si erano incontrati sulla
superficie dello specchio davanti a noi. «Non lo so» aveva
detto con un sorriso. «Te lo auguro, spero che tu lo sia.»
Non era stata la domanda giusta.
«Se tu fossi me» avevo riprovato. «Sposeresti Dan?»
Si era seduto sul letto con un sospiro. «Non
sei il tipo di persona che prende decisioni del genere con
leggerezza» aveva iniziato. «Ci avrai pensato, se hai fatto
questa scelta avrai avuto i tuoi motivi. Quindi penso che magari sarei
giunto alle tue stesse conclusioni e avrei fatto come te.»
Mi ero messa seduta accanto a lui, mi mancavano soltanto le scarpe.
«Non riesco a non pensarci» avevo confessato. «Non ci riesco.»
Aveva riso abbassando lo sguardo. «Sei stata molto ingenua.»
«Perché?»
Mi aveva lanciato un’occhiata divertita.
«Hai sempre finto di potertene tirare fuori quando volevi.
Avresti dovuto sapere che non sarebbe stato così facile.»
Ero rimasta in silenzio, rigirandomi il velo tra le
dita. Forse aveva ragione: permettere a qualcuno di starti accanto
significava aprirgli il cuore. Di solito quando le persone ti entravano
nel cuore difficilmente ne uscivano senza portarsi via qualcosa.
«Michelle» aveva detto Cam.
Avevo alzato lo sguardo su di lui.
«Se sei solo una sposa nervosa devo dirti che
andrà tutto bene, che sarai felice e che sei in ansia
perché a volte delle cose belle si ha paura.»
Avevo continuato a guardarlo.
«Se però il tuo è un dubbio
vero, anche se non posso impicciarmi nella tua vita –
perché mia madre troverebbe il modo di rimproverarmelo anche da
morta –, devo dirti che ti voglio bene, sei una delle persone
più importanti della mia vita e se adesso mi dici che non vuoi
che ti porti in quella chiesa, io non ti ci porto.»
Lo avevo fissato, sorpresa. «Ma ho organizzato
tutto» avevo detto piano. «Ci stanno aspettando.»
«Sì.» Aveva sollevato una manica
per mostrarmi l’orologio. «Sei ancora in tempo» aveva
detto. «Però se tu potessi scegliere, in questo momento
dove vorresti essere?»
In ospedale.
O a casa.
A stringere la mano di un’altra persona.
Perché quell’altra persona aveva bisogno di me.
O almeno lo speravo, perché altrimenti io non sarei riuscita a giustificare la mia presenza nel mondo.
«Vuoi che ti porti in chiesa?»
Non erano parole al vento, i suoi occhi blu erano fissi nei miei, determinati, fermi, seri da far spavento.
Avevo guardato lui, le scarpe nella scatola, il mio riflesso, il mio velo.
Avevo scosso la testa. «Ho fame.»
mi sembrava davvero troppo strano che ci fosse qualcosa di mio in giro che non fosse passato di qui...