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Autore: fragolottina    16/09/2018    1 recensioni
«Non posso» confessò. Appoggiò un braccio allo sterzo, voltandosi verso di me. «Ci penserei. Ma se arrivassimo a quel punto, spero che non ti formalizzeresti per tanto poco.»
Dovevo scendere.
«No?» mi chiese incerto.
Lo fissai a occhi sgranati mentre ci pensavo: ma c’era una risposta giusta per quella domanda.
«Sono impegnata.»
E non volevo arrivare a quel punto.
«Lo so.»
«E non vado a letto con i ragazzini.»
Anche se in effetti avevo voglia di morderlo.
«Di questo sono meno sicuro» osservò divertito.
«Parlavo in generale.»
«Nemmeno questo mi convince molto.»
Trattenni il respiro per dieci secondi fissandolo. «Io vado» dichiarai.
Alex però mi afferrò il braccio. Guardai la sua mano stretta intorno al mio polso stupita.
«Ti va di entrare?» domandò precipitoso.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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just a crush

fragolottina's time

wow, quanto tempo che non lo scrivevo...

comunque...

eccoci qui lettruccioline belle: ho scritto il sequel di "Teach Me", "Just a Crush" per l'appunto... è stato pubblicato il dieci settembre, quindi potete comprarlo a questo linkmagico oppure potete dare una sbirciata ai primi capitoli... ne pubblicherò tre e come di consueto potete farmi tutte le domande del mondo e soprattutto farmi sapere che ne pensate!

baci&coccole a più giù

Where is your boy tonight
I hope he is a gentleman
And maybe he won’t find out what I know
You were the last good thing about this part of town.


Grand Theft Autumn/Where Is Your Boy – Fall Out Boy



PROLOGO


    Quel giorno avevo aperto gli occhi e avevo guardato la tenda illuminata dal sole con palese fastidio. Doveva essere quasi inverno, perché diavolo c’era quel sole?
    Mi ero rituffata tra i cuscini con un gemito di sofferenza. Era una di quelle giornate in cui l’unica cosa sensata da fare sarebbe stata rimanere a letto davanti alla televisione, a mangiare biscotti.
    Lo avrei fatto.
    Se avessi potuto scegliere avrei poltrito, mi sarei crogiolata nella pigrizia e nell’ingordigia e mi sarei svegliata giusto in tempo per vestirmi e andare al lavoro.
    Sarebbe stato un programma niente male.
    Se non mi fossi dovuta sposare.
    Già, quella era una vera scocciatura…
    Annoiata dai preparativi, sopraffatta dal bianco e dal tulle e tutto il resto, mi ero alzata e mi ero diretta al piano di sotto.
    Dan aveva dormito dai suoi genitori – “uno sposo non può vedere la sposa la notte prima delle nozze”, aveva cinguettato sua sorella. Che cazzata… vivevamo insieme! – quindi avevo tutta la casa per me finché Cameron non fosse venuto a prendermi.
    Il mio futuro marito aveva storto il naso quando gli avevo spiegato che avrei voluto fosse Cam ad accompagnarmi all’altare, aveva trovato la promozione da scopamico avventata, ma tutte le sue obiezioni erano crollate davanti a una mia semplice domanda: “A chi altro potrei chiederlo?”
    Mio padre sarebbe stato sicuramente un ottimo candidato ed ero sicura che avrebbe fatto una gran figura in smoking, ma era morto. Avrei potuto ripiegare su mia madre, fare la gioia delle femministe, commuovere la platea con la solita vecchia storia della povera orfana, ma… be’, mia madre era complicata e non ero sicura fosse abbastanza in sé da riuscire a percorre una navata senza barcollare.
    In effetti, l’unico che stava occupando il posto adatto a lui quel giorno era mio zio: sepolto sotto un paio di metri di terra e tanti saluti. Almeno c’era qualcosa che andava per il verso giusto, anche se mi si era appena scollata la suola delle ciabatte.
    Forse avevo un cugino, da parte di mio padre, ma non ero sicura che sarei stata in grado di riconoscerlo se lo avessi incontrato. Ero sola in modo imbarazzante…
    Con ai piedi soltanto un paio di calze, mi ero preparata un caffè nel silenzio della casa vuota trovandola piacevole, rilassante.
    Avevo riflettuto sui cambiamenti ai quali stavo andando incontro.
    Figli non ne volevo, ma Dan sì.
    Un’altra scocciatura.
    Voleva che smettessi di prendere la pillola.
    Trovavo quella proposta immensamente invadente.
    Avevo sospirato scoraggiata: ma come faceva Dan a volermi?
    Ero solo ansiosa, mi dissi, tutte le spose lo erano.
    Signora Paxton suonava bene.
    Anche Michelle Bates in Paxton, mi faceva pensare a un’ereditiera dell’America del Sud.
    L’ultima volta che avevamo fatto l’amore avevo preteso che Dan mi chiamasse Mrs. Paxton. Era stato divertente.
    In realtà era passato tanto tempo dall’ultima volta che io e Dan avevamo fatto l’amore, ma lui non si era lamentato.
    Dan era l’uomo giusto.
    Sì, lo era.
    Finito il mio caffè ero tornata in camera. Avrei voluto che i miei passi non sembrassero così tanto quelli di un uomo che va alla forca.
    Avevo chiesto specificatamente di potermi preparare da sola, volevo prendermi il mio tempo per fare la doccia, truccarmi, pettinarmi e tutto il resto. Non mi sembrava poi molto, visto che per tutti i preparativi ero stata così brava a vestire i panni della promessa sposina frizzante ed eccitata. Potevo almeno avere due ore per essere me?
    Volevo godermi il mio cinismo per l’ultima volta, poi mi avrebbe aspettato un lungo periodo di allegria da neo sposa. Mi sarei dovuta impegnare.
    Il mio abito incombeva tragicamente appeso al bastone della tenda, imbustato in un sacco bianco.
    Ero rimasta a fissarlo con le braccia incrociate sul petto, ancora con il pigiama addosso, sfidandolo a farmi un sedere enorme anche quel giorno: tra me e quel vestito non correva buon sangue.
    Per tutta la mia vita avevo pensato che sarebbe stato semplice per me trovare un abito da sposa che mi stesse bene: ero bella, ero bionda, alta al punto giusto, la gioia delle commesse dei negozi di abbigliamento.
    Invece avevo scoperto in un momento molto sbagliato della mia esistenza che i vestiti da sposa, tutta la categoria, mi stavano male.
    Ne avevo provati almeno cinquanta, variando in stili, modelli e prezzi. Alla fine mi ero arresa a un abito a sirena con lo scollo a cuore e una giacca per quando sarei stata dentro la chiesa. Banale, ma ricordavo di aver avuto una bambola vestita allo stesso modo da bambina e quella bambola mi piaceva.
    Le sarte si erano date da fare e se non altro ora mi scivolava addosso nel modo giusto, ma lo odiavo, lui sapeva che lo odiavo.
    Sentivo che la cosa era reciproca.
    Qualcuno mi aveva detto di stare tranquilla, ero bella e sicuramente al mio ragazzo non sarebbe importato.
    A lui non sarebbe importato, aveva aggiunto inopportunamente.
    Erano riflessioni pessime per una sposa che tre ore dopo avrebbe dovuto essere in chiesa.
    Avevo scacciato tutto dalla mia mente, insieme alla nostalgia che odorava inspiegabilmente di borotalco, e mi ero infilata sotto la doccia. Mi ero insaponata con cura, lasciando che l’acqua calda lavasse via parte delle mie ansie.
    Avevo continuato a evitare ogni pensiero concentrandomi sul mio aspetto: mi ero arricciata i capelli in tante onde morbide; avevo perso tantissimo tempo a truccarmi, chiedendo mentalmente a ogni prodotto che usavo di durare il più a lungo possibile.
    Se fossi sembrata felice, tutti avrebbero saputo che ero felice.
    E così avrebbe dovuto essere.
    Cameron aveva suonato al campanello circa un’ora dopo e io ero andata ad aprirgli in vestaglia.
    Mi ero divertita molto di più a scegliere il suo di vestito, lui davvero stava bene con qualsiasi cosa. Indossava un completo nero, nonostante la commessa continuasse a dire che non si adattava molto a un matrimonio – quella commessa passava così tanto tempo nel camerino con lui per “aiutarlo” a vestirsi che sospettavo avrebbe continuato a vestirlo per poi spogliarlo per altre due ore –.
    La cravatta damascata bordeaux l’aveva scelta lui.
    Era lo stesso colore che avevo imposto a Morgan. Trovare un abito che la facesse sembrare dell’età adatta per accompagnare un uomo a un matrimonio non era stato semplice, ma alla fine i nostri sforzi ci avevano premiati.
    Aveva giurato che avrebbe indossato i tacchi.
    Era stato ovvio che stesse mentendo.
    «Sei un po’ poco pronta» mi aveva detto Cameron, osservandomi con aria divertita.
    «Mi manca solo il vestito.»
    «Ti serve una mano?» mi aveva urlato dietro mentre tornavo in camera.
    «Ti chiamo per i bottoni» gli avevo promesso.
    «Avevi giurato che sarebbe stata una zip!»
    Mi ero messa la biancheria adatta, mi ero infilata il vestito e mi ero guardata allo specchio un secondo prima di posizionare il velo.
    Non volevo sposarmi.
    Sembrava che ce lo avessi marchiato a fuoco sulla fronte.
    Non avrei dovuto essere annoiata, né tanto insofferente, avrei dovuto essere felice, spaventata, ma eccitata.
    Fremente di emozione.
    Per la miseria, perché cavolo non potevo essere una sposa normale?
    Mi ero avvicinata studiando il mio viso, l’angolo destro della mia bocca, la linea quasi invisibile che tagliava trasversalmente il mio labbro. D’estate si vedeva di più, di solito la nascondevo con il trucco, quel giorno non c’ero riuscita.
    Qualcuno l’aveva premuta con il dito dicendo di trovarla sexy.
    Mi ero leccata le labbra, vanificando cinque minuti buoni di impegno nello stendermi un rossetto nudo-nocciola che mi rendeva naturalmente radiosa.
    Bene, avrei dovuto ricominciare.
    Se non altro quel giorno ero autorizzata a essere in ritardo.
    Cameron mi era venuto a cercare dopo un lasso di tempo ragionevole per una sposa che doveva solo vestirsi, aveva bussato alla mia porta e aveva fatto capolino, trovandomi seduta sul bordo del letto sfatto con il velo tra le mani e l’aria afflitta.
    «Mi ha mandato un messaggio Morgan. Dan è arrivato.»
    Dan era sempre fastidiosamente in orario.
    «Certo» avevo mormorato abbattuta. «Sono pronta.»
    Mi ero alzata in piedi. «Mi chiudi?»
    Si era messo alle mie spalle e aveva lasciato andare un verso scoraggiato. «Oddio, ma quanti sono?!»
    Non avevo risposto, avevo continuato a guardarmi. Più quell’abito mi si stringeva addosso, più mi stava male: mi appiattiva il seno, mi faceva la pancia e… porca miseria! Perché il mio sedere sembrava così grosso?!
    Doveva essere il bianco. Perché avevo scelto un vestito bianco? Chi avrebbe creduto alla mia ostentata purezza? Ma per favore, quella barca era salpata da così tanto tempo che a quel punto doveva aver circumnavigato il globo svariate volte…
    «Hai l’aria un po’ funerea» aveva osservato Cam.
    «Ho il sedere enorme?»
    «No, hai un bel sedere come sempre» aveva detto tranquillo.
    «Sembra che non ho le tette» avevo continuato.
    «Le tue tette non hanno niente che non va.»
    «Sono troppo accollata» mi ero lamentata.
    «Sei una sposa, non puoi essere troppo sexy» aveva sbottato. «Vuoi far venire un colpo al prete?»
    «Ho bisogno che tu mi dica che sono figa» lo avevo supplicato con una smorfia.
    «No, non è vero» aveva ribattuto, fissandomi esasperato. «Lo sei da quando hai quattordici anni, lo sai, perciò piantala.»
    «Sono solo nervosa» avevo detto più a me che a lui.
    Non era vero.
    Non volevo andare.
    Non volevo pensarlo.
    «Okay» aveva abbozzato.
    «Pensi che sarò felice?» gli avevo chiesto d’impulso.
    I nostri sguardi si erano incontrati sulla superficie dello specchio davanti a noi. «Non lo so» aveva detto con un sorriso. «Te lo auguro, spero che tu lo sia.»
    Non era stata la domanda giusta.
    «Se tu fossi me» avevo riprovato. «Sposeresti Dan?»
    Si era seduto sul letto con un sospiro. «Non sei il tipo di persona che prende decisioni del genere con leggerezza» aveva iniziato. «Ci avrai pensato, se hai fatto questa scelta avrai avuto i tuoi motivi. Quindi penso che magari sarei giunto alle tue stesse conclusioni e avrei fatto come te.»
    Mi ero messa seduta accanto a lui, mi mancavano soltanto le scarpe.
    «Non riesco a non pensarci» avevo confessato. «Non ci riesco.»
    Aveva riso abbassando lo sguardo. «Sei stata molto ingenua.»
    «Perché?»
    Mi aveva lanciato un’occhiata divertita. «Hai sempre finto di potertene tirare fuori quando volevi. Avresti dovuto sapere che non sarebbe stato così facile.»
    Ero rimasta in silenzio, rigirandomi il velo tra le dita. Forse aveva ragione: permettere a qualcuno di starti accanto significava aprirgli il cuore. Di solito quando le persone ti entravano nel cuore difficilmente ne uscivano senza portarsi via qualcosa.
    «Michelle» aveva detto Cam.
    Avevo alzato lo sguardo su di lui.
    «Se sei solo una sposa nervosa devo dirti che andrà tutto bene, che sarai felice e che sei in ansia perché a volte delle cose belle si ha paura.»
    Avevo continuato a guardarlo.
    «Se però il tuo è un dubbio vero, anche se non posso impicciarmi nella tua vita – perché mia madre troverebbe il modo di rimproverarmelo anche da morta –, devo dirti che ti voglio bene, sei una delle persone più importanti della mia vita e se adesso mi dici che non vuoi che ti porti in quella chiesa, io non ti ci porto.»
    Lo avevo fissato, sorpresa. «Ma ho organizzato tutto» avevo detto piano. «Ci stanno aspettando.»
    «Sì.» Aveva sollevato una manica per mostrarmi l’orologio. «Sei ancora in tempo» aveva detto. «Però se tu potessi scegliere, in questo momento dove vorresti essere?»
    In ospedale.
    O a casa.
    A stringere la mano di un’altra persona.
    Perché quell’altra persona aveva bisogno di me.
    O almeno lo speravo, perché altrimenti io non sarei riuscita a giustificare la mia presenza nel mondo.
    «Vuoi che ti porti in chiesa?»
    Non erano parole al vento, i suoi occhi blu erano fissi nei miei, determinati, fermi, seri da far spavento.
    Avevo guardato lui, le scarpe nella scatola, il mio riflesso, il mio velo.
    Avevo scosso la testa. «Ho fame.»

mi sembrava davvero troppo strano che ci fosse qualcosa di mio in giro che non fosse passato di qui...

   
 
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