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Autore: titania76    17/09/2018    1 recensioni
Questa oneshot partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart
La one shot è un missing moment della long Legacy e va a riempire parte della storia non narrata dall'ultimo capitolo all'epilogo.
Caroline è al sesto mese di gravidanza, la sua vita sembra aver preso un ritmo sereno. I giorno non sono più così bui come dopo la rottura con Saga. Un evento traumatico però, riporta nel suo cuore le stesse paure di un tempo. Questa volta però lei non è sola. Un angelo custode, un po' brusco, non l'abbandona mai, soprattutto nel momento del bisogno.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sagittarius Aiolos
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Legacy'
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Questa oneshot partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart

#26promptschallenge - prompt 19/26
#VISITAMEDICA
sostantivo
1.
Serie di accertamenti clinici cui può essere periodicamente sottoposta una persona per avere un quadro completo del suo stato di salute.
2. l'insieme di comportamenti e procedure messi in atto dal medico, specialista o medico di famiglia, nel corso dell'incontro con il paziente che ne richiede la consulenza.

#26promptschallenge - prompt 20/26
#FERITANASCOSTA
1.
Lesione traumatica della cute o delle mucose tenuta volontariamente lontana dalla vista del prossimo per paura, vergogna o altre ragioni personali.
2.
fig.
Intima esperienza dolorosa accompagnata da risentimento o profonda afflizione celata sotto un finto stato di benessere.

Titolo opera: Legacy: La speranza oltre la disperazione
Fandom: Saint Seiya
Ship: OC/Aiolos
Parole: 3545
Tags: #AU #vistitamedica #feritanascosta #lacrime #ricordi #speranza #amicizia #missingmoment
Warning/note: Missing moment che va a riempire parte del buco narrativo fra l'ultimo capitolo e l'epilogo della long Legacy



*****



«Uova fritte, strapazzate o toast?» disse Caroline, affacciandosi dalla cucina, dove la padella era già sul fornello e le fette di pane in cassetta abbrustolivano nel tostapane.
La risposta, si stava facendo attendere più del solito. Allora, decise di andare lei da lui. Si fermò di fronte alla porta del bagno degli ospiti, occupato da più di venti minuti, e bussò prima due e poi tre volte, con una cadenza quasi da segnale segreto. Aspettò ancora qualche secondo e ripeté la domanda.
Dopo un gran trambusto la porta si spalancò e un trafelato Aiolos, con i capelli ancora umidi, per poco non la travolse, mentre si stringeva il nodo alla cravatta quasi fino a strozzarsi.
«Sono troppo in ritardo, prendo un sorso di caffè e mi dileguo», disse, afferrando la tazza sul tavolo e ingollandone tutto il contenuto senza prendere fiato.
Poi, simulò un conato di vomito nell'accorgersi che si trattava di caffè d'orzo, freddo, dolce, proprio come piaceva a Caroline, mentre lui invece lo detestava. Si trattenne dal condividere con la donna una serie di improperi che avrebbero fatto impallidire addirittura Tarantino.
Caroline alzò gli occhi al cielo, risparmiandogli uno sbuffo esasperato. Capiva lo stress che stava vivendo Aiolos in quel periodo: non era facile per lui, dopo aver ricoperto un ruolo importante nella corporation della famiglia Hayes e aver lavorato fianco a fianco con Kanon Hayes, chinare la testa e sopportare di essere l'ultima ruota del carro in uno studio legale semi sconosciuto. Ciò che faceva perseverare il giovane era che presto, molto presto, avrebbe affrontato l'esame di abilitazione e, con le sue conoscenze, non avrebbe avuto problemi a trovare clienti.
La donna prese la tazza thermos e la riempì di caffè ancora bollente, quello che preparava apposta per lui, e l'appoggiò sul tavolo.
Aiolos non disattese le aspettative di Caroline: fissò quell'affare con la scritta Keep calm, it's only a coffee cup! su sfondo rosa pallido che detestava e grugnì qualcosa di irripetibile.
Per lei era un divertimento vedere come lui non fosse in grado di dissimulare certe sue reazioni. Lo osservò fare qualche resistenza, ma alla fine prendere il thermos, la giacca che aveva appoggiato poco prima sullo schienale della sedia e avviarsi verso la porta d'ingresso.
«Passo a prenderti stasera alle sette. Mia madre prepara lo stufato», le ricordò, mentre afferrava le chiavi dell'auto dallo svuota tasche sul mobile d'ingresso.
«Non vedo l'ora!» rispose Caroline con un sorriso. Amava lo stufato di pollo di Georgina Cooper quasi quanto quello di sua madre e le cene a casa dei genitori di Aiolos – che senza sapere come, erano diventate un appuntamento settimanale ormai fisso – erano animate e caotiche tanto che la facevano sentire in famiglia. All'inizio aveva sospettato che Aiolos la portasse con sé per mantenere un clima più disteso in casa ed evitare di litigare con il padre per via del suo orientamento sessuale, che Thomas non nascondeva di disprezzare, ma con il tempo si dovette ricredere, perché l'uomo alla fine lo aveva accettato e anzi, vedeva il figlio sotto una luce diversa, migliore, tanto da parlare di lui con orgoglio; e lei veniva coccolata e viziata da Georgina e Thomas come fosse una figlia.
Caroline fece un cenno di saluto con la mano e chiuse la porta, ma senza far scattare la serratura, perché tanto più tardi sarebbe dovuta andare nel seminterrato per fare il bucato. Tornò in cucina, prese una tazza pulita dal pensile e si versò dell'altro caffè d'orzo. La casa era di nuovo tutta per lei, ma invece di sentirsi finalmente libera e rilassata come sarebbe stato naturale, le prese una strana tristezza.
Da quando Aiolos si era presentato alla sua porta, con uno scatolone fra le mani e un borsone a tracolla, e aveva occupato la camera degli ospiti, non aveva avuto più un momento per pensare a sé e alla sua situazione. In un certo senso, quel ragazzo burbero e talvolta maleducato, era stato una manna per lei ed era riuscito a riempire i suoi vuoti. Non avrebbe creduto che un giorno lo avrebbe apprezzato e, perché no, che gli avrebbe voluto bene come ora voleva bene a Chris.
Aprì l'armadietto vicino al frigorifero, prese il flacone delle vitamine e fece cadere un paio di capsule sul palmo della mano. Se le mise in bocca e le mandò giù con un altro sorso di caffè d'orzo. Poi, con la tazza in mano, si spostò nella zona notte. Di colpo la luce che entrava dalle finestre si abbassò di intensità, avvolgendo la casa in una sorta di bolla grigiastra. La mattinata sembrava virare verso il brutto, un po' com'era stato per tutta la settimana. Quel tempo quasi novembrino, benché in realtà fosse già marzo, le rovinava l'umore e spegneva in lei ogni voglia di fare. Sapeva quindi che doveva sbrigarsi per fare le faccende di casa perché altrimenti, se le avesse tirate per le lunghe, probabilmente le avrebbe lasciate a metà.
Quando entrò nella sua camera, trovò Kitty, ben al centro del lettone, sdraiata sul fianco e immersa nel soffice piumone, che si stava stiracchiando, arcuando la schiena all'indietro. Il suo musetto spuntava appena fra le pieghe della stoffa e la fissava con i suoi occhietti color ambra. Era incredibile come in pochi mesi si era fatta grande. Le si avvicinò per farle una carezza, ma lei, per dispetto, scattò da parte e, esibendosi in una capriola, con un balzo silenzioso scese dal letto dall'altro lato, zampettando poi veloce fino in cucina con la sua codina dritta.
Caroline la seguì con lo sguardo e sbuffò, portandosi le mani sui fianchi. C'erano giorni che quella micia era tutta coccole e fusa e altri che invece faceva la sostenuta e concedeva i suoi favori solo quando le dava la pappa.
Tirò via il piumone, pensando con un certo sollievo che ancora pochi giorni e avrebbe potuto finalmente metterlo via, e stirò con le mani il lenzuolo sul materasso, quindi rimise il piumone, rassettandone la superficie. Prima di uscire dalla camera aprì la finestra per far arieggiare l'ambiente. Nel bagno annesso non c'era molto da fare, quel mattino non aveva sentito la necessità di farsi la doccia; quindi, con uno straccetto pulì lo specchio e il lavandino. Poi uscì con la biancheria sporca sotto il braccio e uno strano sorrisetto sulle labbra.
Passò davanti alla camera di Aiolos e tirò dritto. Come ogni mattina il suo socievolissimo coinquilino le faceva trovare un post-it con su scritto – a stampatello e in rosso – un categorico Non entrare!
Per i primi tempi si era chiesta cosa mai potesse nascondere e doveva ammettere che la curiosità era stata tanta, poi però ci fece l'abitudine, limitandosi a scrollare un poco la testa mentre ci passava davanti.
Kitty iniziò a seguirla nel suo percorso, attirata dal reggiseno che penzolava un poco dal mucchio di biancheria. Caroline se ne accorse quando la gattina le fece solletico con la zampetta. Era divertita da tanta vivacità dell'animale, la faceva sentire meno sola; ma, inevitabilmente, le faceva tornare in mente i momenti felici passati con Saga. Aveva smesso di piangere per lui e per come era finito il loro rapporto, ma non poteva evitare che la tristezza affiorasse sul suo viso. Era una ferita aperta la sua, che però doveva in ogni modo tenere nascosta: a sua madre e a suo fratello, quando si sentivano via skype e ad Aiolos, per non sentire la sua solita sfuriata.
«Su, su, Kitty, fai la brava», ridacchiò Caroline, vedendo la gattina spiccare un buffo salto e tentare di acchiappare la bretella del reggiseno, andando a vuoto perché lei l'aveva tirato via all'ultimo.
Percorse il corridoio con lo sguardo basso, intenta a scansare quell'ombra nera che correva avanti e indietro, che si fermava di colpo, si sdraiava a terra e sbatteva la codina e poi, quando veniva superata, si alzava di scatto e le zampettava fra le gambe, strisciando la sua codina sulla pelle. Era un vero amore vederla. Se non avesse avuto tanto da fare si sarebbe seduta a terra e avrebbe giocato con lei fino a sfiancarla, ma ora proprio non poteva darle retta.
La scavalcò con un lungo passo, passandosi il bucato da un braccio all'altro per vedere meglio e ridendo, ma quando Kitty si mosse per stiracchiarsi, arcuando la lunga schiena e allungandosi dove stava posando il piede, lo spostò d'istinto per evitarla. In quel momento incespicò nel tappeto e, senza accorgersene, andò a sbattere il fianco nello spigolo di un tavolino stretto con il piano in marmo rosa.
Caroline cadde a terra a pancia in giù, senza fare un fiato, o un grido, spargendo dappertutto la biancheria sporca.
Contemporaneamente, fuori, un tuono cadde vicino alla casa, facendo tremare i vetri delle finestre.
Caroline era incredula, sotto choc, mentre in casa tornava a regnare il silenzio. Kitty sbucò da dietro una porta socchiusa e si avventò su una calza di cotone, la prese fra i dentini e se la portò via.
La giovane si mise a sedere, lentamente, appoggiandosi con la schiena alla parete del corridoio. Provava un dolore lancinante al fianco, che quasi le impediva di respirare. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Due goccioloni che le caddero direttamente sulla camicetta color glicine che le piaceva tanto. Strinse il labbro inferiore fra i denti, fissando quel  tappeto tutto spostato verso sinistra, ripiegato su se stesso in grosse pieghe, pensando a quanto fosse stata stupida.
Più di una volta Aiolos le aveva detto che quel tappeto poteva essere pericoloso, che avrebbe dovuto toglierlo, o quantomeno mettere sotto dei gommini antiscivolo. Si era ripromessa di fare qualcosa a riguardo, ma poi se ne dimenticava.
Se solo avesse fatto più attenzione...
Il suo corpo fu scosso da un singulto di pianto. Provò a raccogliere le ginocchia al petto, ma una fitta la fece desistere e altre lacrime scesero lungo le guance. Non riusciva a capire come poteva essere accaduto; eppure... quella mattina era iniziata così bene. Lei si sentiva così bene, felice.
Rimase seduta lì, al semibuio del corridoio per un tempo indefinito, con il cielo che si era fatto ormai nero e la pioggia iniziava a cadere, dritta, pacata. Aspettava che quel dolore passasse. Ma non era il dolore fisico a tenerla a terra e a impedirle di muoversi, o ad alzarsi. Pensava con sgomento al bambino che cresceva dentro di lei. Non sapeva come stesse e questo le riempiva il cuore d'angoscia.
«Saga...» mormorò con la voce spezzata dal pianto.
Non osava immaginare come avrebbe reagito se avesse perso anche quel bambino. Forse... forse questa volta non sarebbe riuscita a riprendersi.
Aveva bisogno di aiuto e si sentiva più sola che mai. Sentiva la mancanza del suo Saga. Del suo principe azzurro che l'aveva tratta dai pasticci in più di un'occasione. Sentiva la mancanza di sua madre; lei di certo avrebbe saputo cosa fare, cosa dirle per rassicurarla e per spronarla. Sentiva la mancanza dello zio Phil, l'unica figura paterna che aveva avuto dopo la morte di suo padre.
Non c'era nessuno di questi. Era sola e doveva contare solo su se stessa, ma era così difficile.
Nascose il viso fra le mani e dette sfogo alla disperazione e alla solitudine che le gravavano addosso. Perché sarebbe dovuto esserci Saga al suo fianco. Lui l'avrebbe dovuta accompagnare alle visite di controllo, con lui avrebbe dovuto fare il giro per negozi e comprare il lettino, il fasciatoio, e arredare la cameretta del loro bambino.
«Saga»
Pronunciò quel nome con voce piena di disperazione, ma anche d'amore, perché nonostante lui l'avesse rifiutata, lei lo amava ancora.
Chiuse gli occhi, provando a fare un respiro profondo, ma le si fermò a metà. Riprovò, più lentamente, riempiendo bene i polmoni. Di quelle fitte lancinanti era rimasto solo un dolore sordo, pulsante, che poteva sopportare. Poteva tentare di alzarsi, ma preferì rimanere lì, in quella posizione, nel semi buio del corridoio, come in una sorta di caverna, che la teneva al riparo dal temporale.
Lo scalpiccio di passi pesanti arrivò da dietro la porta d'ingresso, che si spalancò pochi secondi dopo.
«Caroline, sono io, ho dimenticato il cappotto», disse Aiolos, entrando in casa con lo sguardo basso su di sé, impegnato a passarsi le mani sulla giacca imperlata di gocce di pioggia.
Si diresse a grandi passi verso la sua camera, perché il cappotto che aveva ritirato dalla lavanderia a secco qualche giorno prima l'aveva ritirato nel suo armadio e non nel guardaroba all'ingresso.
«Caroline? Ma che diavolo...» La giovane donna alzò la testa e lo fissò con occhi arrossati.
Aiolos non ebbe bisogno di terminare la frase. Si guardò attorno: il tappeto fuori posto, la biancheria sparpagliata a terra, la ciotola di cristallo sul mobiletto rovesciata e il pot pourri sparso sul marmo... Si accovacciò di fronte a lei. Era come se stesse avendo un déjà-vû. «Caroline, stai bene?» disse, questa volta con voce gentile e preoccupata.
«Aiutami, Aiolos. Ho fatto un gran casino», disse lei, stringendosi le braccia al ventre.

*****

Ancora una volta, Caroline e Aiolos si ritrovavano in una saletta di visita dell'ospedale. Lei indossava il camice di tessuto carta, era sdraiata sul lettino con entrambe le mani sulla pancia e teneva lo sguardo fisso su un poster che raffigurava una veduta innevata delle Berkshire mountains appeso alla parete alla sua sinistra. Forse doveva servire a far rilassare i pazienti, ma lei lo trovava cupo e triste.
Aiolos era appoggiato con la schiena in un angolo e stava facendo una telefonata. Nonostante parlasse a voce bassa, si capiva che era nervoso e stressato. Terminò con uno sbuffo spazientito. Solo allora, Caroline si voltò verso di lui e lo vide rabbuiato. Comprese che quella telefonata non doveva essere stata piacevole per lui e ancora una volta si rammaricò di essere ancora fonte di guai per lui.
Lo vide prendere la sedia di plastica, avvicinarsi al lettino e sedersi pesantemente.
«Mi dispiace averti creato problemi», disse in tono contrito.
«Non sei tu. È quel cretino del titolare dello studio. Si atteggia a grande avvocato ma non sa neanche preparare una semplice richiesta di rinvio.»
Fra loro calò il silenzio. Lei non aveva molta voglia di fare conversazione e lui probabilmente se avesse dato voce a ciò che veramente voleva dire, avrebbe detto qualcosa che di cui poi si sarebbe pentito.
Caroline tornò con lo sguardo sul soffitto, tamburellando con le dita sulla pancia. Era all'inizio del sesto mese e ancora si vedeva appena un accenno di rotondità. A volte si chiedeva se fosse tutto reale, non poteva credere di stare vivendo davvero quella gravidanza che tanto aveva sognato, ma quando sentiva i lievi movimenti del suo bambino dentro di lei, i suoi dubbi e le sue paure svanivano come per incanto.
Aiolos controllò l'ora sul suo orologio da polso: attendevano l'arrivo della ginecologa da più di venti minuti.
La giovane riprese a osservare il suo accompagnatore. Anche per lei era come vivere un déjà-vû. Ripensò al breve periodo a Philadelphia e a quel giorno in cui era stata tanto male da essere portata d'urgenza al pronto soccorso, dove scoprì di aspettare un bambino e dove, poco dopo, glielo strapparono via senza che lei potesse opporsi.
Anche in quell'occasione Aiolos era con lei. Aveva aspettato con lei l'arrivo di un medico e poi l'aveva ritrovato accanto a lei quando si era risvegliata. Probabilmente fu proprio da quel momento che le cose fra loro avevano iniziato a mutare.
Non erano mai stati amici, ma ora lo considerava come un fratello maggiore, un confidente, un buon coinquilino. Forse, con il tempo, sarebbero potuti diventare amici.
«Senti ancora dolore?» chiese lui, allentando il nodo della cravatta.
Caroline scrollò piano la testa.
Le fitte lancinanti erano solo un lontano ricordo, ma non voleva confessargli che continuava a sentire un dolore sordo in tutto l'addome. E poi, era da quando era caduta che non sentiva più il bambino muoversi. Certo, non erano ancora dei movimenti evidenti, ma lo stesso, quelle piccole sensazioni che nell'ultimo mesi si erano fatte più frequenti le davano un senso di conforto e le infondevano forza e coraggio per affrontare la vita giorno dopo giorno.
Perché non sentiva più nulla?
Chiuse gli occhi e si accarezzò la pancia con movimenti circolari della mano. Avvertì la mano di Aiolos posarsi sulla sua.
«Non ti preoccupare, andrà tutto bene.»
Caroline lo guardò e sorrise. In quel momento la porta della stanzetta si aprì e fece la sua entrata la dottoressa Celine McArthur.
«Buongiorno, Caroline», la salutò la dottoressa. «Il nostro appuntamento era programmato solo per la prossima settimana. È successo qualcosa per farla decidere di anticipare?»
Aiolos si alzò e fece spazio alla donna, ma ebbe la sgradevole impressione di essere invisibile, mentre la giovane si mise seduta sul lettino, tenendo lo sguardo basso. «Ho fatto una brutta caduta e adesso...»
La dottoressa McArthur fece un cenno di assenso, avvicinò il macchinario per le ecografie al lettino e posò la cartella clinica sul piano accanto alla tastiera. Poi, si sedette sullo sgabello e invitò la sua paziente a sdraiarsi di nuovo, battendo delicatamente la mano sul materassino. Da uno stipetto prese un lenzuolo bianco e lo aprì sulle gambe di Caroline, tirandolo fino alla vita. Poi, ne arrotolò una parte, per abbassarlo quel tanto che serviva e iniziò a tirare su il camice della giovane, scoprendole la pancia.
Si rimise di fronte al macchinario, accese il monito e iniziò a digitare qualcosa sulla tastiera. Infine, con una mano prese il flacone del gel, mentre con l'altra prese la sonda dell'ecografo.
«Lo sentirai un po' freddo, abbi pazienza», disse, e sorrise alla contrazione involontaria della pancia di Caroline.
Sembrava procedere tutto bene, ma la donna si bloccò all'improvviso, come se solo in quel preciso momento si fosse accorta di una terza presenza nella stanzetta. «Mi scusi, signore, lei è il marito? Venga più avanti, così vedrà meglio.»
«No, dottoressa, lui è... Aiolos Foster»
«Allora, se non è un parente, dovrebbe attendere fuori.»
«Sono il cugino e l'unico parente che ha in città», mentì Aiolos, ma lo fece con una tale sicurezza che la donna non ebbe dubbi e, dopo aver chiesto conferma a Caroline, lo invitò di nuovo ad avvicinarsi.
Poi, finalmente, iniziò la visita.
La dottoressa McArthur iniziò a spostare la sonda sulla pancia della paziente e sul monitor comparvero delle immagini un po' confuse e sgranate, ma fra quel chiaroscuro si poteva distinguere con chiarezza il profilo della testa, le spalle, le braccine e le manine tanto piccole e anche le gambine piegate. Sulla parte alta del monitor erano comparsi anche i dati biometrici, che rivelavano il battito cardiaco del feto e la pressione sanguigna.
«Sembra tutto a posto», disse la dottoressa.
«È sicura, dottoressa? È da quando sono caduta che non lo sento più muoversi.»
«Ha avuto perdite?»
Caroline scrollò la testa.
«Probabilmente non lo sentiva perché era indolenzita dal colpo», disse la dottoressa, con un tono comprensivo. «Guardi, Caroline, guardi qui. Si sta succhiando il pollice.» Le indicò con l'indice l'immagine del suo bambino.
A quelle parole, e a quella visione, Caroline si sciolse in un sorriso bagnato di lacrime.
Aiolos istintivamente le strinse la mano, anche lui catturato dall'immagine nel monitor.
«È proprio un bel maschietto. Sano e ben formato», concluse la dottoressa.
«È un... maschietto?» disse incredula Caroline.
La donna si accorse di aver commesso una gaffe. «Mi dispiace, non voleva saperlo?» Ma a Caroline ora non importava più che l'altra le avesse rovinato la sorpresa. Era solo felice che tutto fosse a posto, che il suo bambino era sano e non portava su di sé le conseguenze della sua avventatezza.
«Grazie, dottoressa McArthur.»
La donna pulì la sonda, risistemò il macchinario e diede dei fazzolettini di carta affinché Caroline potesse pulirsi. Poi, usci dalla stanzetta e diede appuntamento ai due nel suo studio, per leggere i risultati delle analisi del sangue e per dare le ultime raccomandazioni.
«Quella gattina è un pericolo per te, in questo momento», le disse Aiolos, che aveva capito fin da subito come avesse fatto Caroline a cadere nel corridoio. Vide la giovane che era pronta a giustificare, come sempre, il comportamento irrequieto di quella bestiola nera e le impedì di aprire bocca. «Non mentire. Ha tentato di far cadere anche me; e diverse volte!»
Sbuffò, aiutandola a scendere dal lettino e le diede le spalle per permetterle di rivestirsi.
«Un maschio...» mormorò, grattandosi dietro la nuca. Ora anche per lui le cose diventavano reali. Pensò a quel bambino e pensò a Saga. Di sicuro gli avrebbe assomigliato.
Avvertì il cuore battergli nel petto, nervoso.
Gli sarebbe piaciuto rivedere Saga, parlare con lui, per chiarirsi. Aveva contattato Kanon, sperando che potesse fare da mediatore, ma l'altro lo aveva scaricato, dicendogli che doveva cavarsela da solo. Probabilmente si era bruciato ogni possibilità di rimanere in quella famiglia quando si era dichiarato a Saga, in quel parcheggio sotterraneo.
Chiedere a Shura, dopo che si erano lasciati male, era improponibile. E comunque... dannazione! anche lui aveva il suo orgoglio! E poi, non aveva fatto nulla di male. Se proprio doveva esserci qualcuno che doveva sentirsi in colpa, questo era Saga.
«Grazie, Aiolos, per essere sempre al mio fianco nei momenti difficili», disse Caroline, distogliendolo dai suoi pensieri. Lei gli prese la mano e gli fece un sorriso gentile. «Andiamo a prendere la strigliata dalla dottoressa.»


   
 
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