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Autore: milla4    17/09/2018    2 recensioni
Non si guarisce nell'anima, ferite che non si rimarginano, segni sulla pelle che non potranno mai andare via. Alcuni devono essere, però, scritti per sopravvivere.
Punto di vista: Ariadna
Genere: Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ariadna Cascales, Berlino
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Freddo dentro la carne, freddo nel corpo, freddo.
Gettata sul letto accartocciata su stessa, nuda, il peso  della coperta sul corpo.
Occhi verdi aperti nel buio della camera, odore di vaniglia della crema per mani, pallido ricordo di una vita diversa, in cui aveva avuto la certezza di possedere il suo futuro.
 
Lo sentiva, era sempre ad un palmo dal suo naso, le mani che scivolavano  sul suo corpo, che le stringevano i seni, che afferravano i fianchi per farla aderire al suo bacino ed entrare in lei.
Non le chiedeva il permesso perché era stata la sua paura a darglielo; era caduta nella trappola della sua autostima, aveva creduto di aver capito il gioco ancora prima che fosse palese. Si era offerta come vittima sacrificale al suo leone, lei, uno stupido agnello.

E lui aveva creduto ad una favola che si era creato, l’aveva usata. Sì, sarebbe rimasto dentro di lei per sempre, nella sua testa, dentro ogni fibra del suo corpo. Dentro di sé.





Ariadna aveva dato tutto ciò che aveva per sopravvivere, ma Berlino le aveva lasciato qualcosa che sarebbe cresciuto dentro di lei sempre più. Forse avrebbe avuto i suoi occhi verdi, forse non sarebbe mai nato. Non ne era ancora sicura, non ancora; aveva tempo per decidere, lei non era come Monica, non avrebbe potuto convincersi che quello fosse amore.

Ne era sicura, prima o poi anche l’altra avrebbe aperto gli occhi nell’oscurità di una stanza e avrebbe visto il pezzo di vita che era stato rosicchiato fino al midollo, per poi essere staccato come una crosta da una ferita, la carne sottostante viva ma monca di un pezzo. Denver era un Berlino meno subdolo, ma sempre un aguzzino.  L’avrebbe capito ma per lei sarebbe stato troppo tardi.

No, Ariadna sapeva che il gemito seguito dall’affondo era dolore mascherato, sapeva che ogni sorriso era una smorfia di disprezzo eppure avrebbe continuato all’infinito; aveva tentato di liberarsi ma lui l’aveva trattenuta a sé. Forse aveva sbagliato tutto, forse avrebbe dovuto abbandonarsi, lasciarsi andare; avrebbe dovuto spingerlo a scappare insieme: se avesse giocato bene le sue carte ce l’avrebbe fatta.
Berlino si era sacrificato per i suoi compagni e Ariadna non ne aveva compreso il motivo, lo avevano ostacolato, lo odiavano; era un narcisista patologico, le aveva detto la polizia, secondo la sua scheda avrebbe dovuto lasciarli lì: il primo ad uscire e lei lo avrebbe dovuto seguire. Si sarebbe sentita gelare il sangue ma poi avrebbe ricordato il suo piano, il suo riscatto.

Avrebbe dovuto  spendere il resto della vita a usare i soldi di lui come risarcimento ed invece quel denaro era sparito con i suoi complici; la polizia ancora non conosceva tutti i retroscena di quella storia, i collegamenti tra i vari componenti e quell’indizio che le aveva lasciato il suo sequestratore che forse l’aveva amata, o almeno aveva creduto di avere una relazione con lei.
Ariadna  si mise seduta,  riusciva a sentire il peso del proprio corpo che le imponeva si ributtarsi sul letto, cercò un briciolo di forza per fare il movimento successivo.

Si allontanò lentamente verso lo specchio accanto alla scrivania della sua vecchia stanza da bambina, era buio ma  i suoi sensi ormai erano sempre in allerta e riuscì ad evitare i vari ostacoli disseminati per terra.
 
Tastò con la mano sul piano in legno per cercare l’interruttore della piccola lampada che si trovava accanto ad un blocco d’appunti. Alzò lo sguardo, quegli occhi verdi la osservavano dall’altra parte, evitò di guardare il proprio corpo; doveva aspettare ogni volta alcuni minuti ma poi la necessità le imponeva di farlo come anche di alzare il braccio sinistro per trovare quelle informazioni in poche lettere, suo unico scopo in quei giorni.
La penna le solleticava la pelle mentre Berlino le spiegava come avrebbe potuto contattare il Professore a cui avrebbe dovuto dire in caso non fosse sopravvissuto abbastanza da regolarizzare “la loro storia”che era sua moglie di fatto, e avrebbe dovuto avere la sua parte. In fondo gliel’aveva promesso.


Prese la penna e cominciò a ricopiare da dove aveva interrotto la sera prima; probabilmente era stato solo un gioco per Berlino, un modo perverso per divertirsi con lei eppure l’aveva lasciata vivere, l’aveva portata alle porte dell’Inferno ma l’aveva lasciata andare prima di caderci insieme e se anche non fosse vero quello che le aveva detto, che l’amava, che voleva vivere con lei, almeno aveva uno scopo, momentaneo che le impediva di pensare.
Era l’unico regalo che poteva fare a se stessa, non poteva negarselo.

 
   
 
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