Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Myrddin Emrys    18/09/2018    0 recensioni
Loris è innamorato di Ezio da quando era bambino, ma si guarda bene dal mostrarlo, perché Ezio non perde occasione per beffeggiarlo. Entrambi giocano nella stessa squadra di baseball e Loris è costretto a mettersi il cuore in pace quando si accorge che Ezio è innamorato di Ombretta. Per un caso del destino, però, scopre che Valerio, il ricevitore della squadra dei seniores, è gay. Decide di frequentarlo, di essere iniziato da lui al sesso, ma quando Valerio si comporta male, taglia i ponti con tutti e abbandona il baseball.
Anni dopo, in un locale di musica dal vivo, Loris incontra di nuovo Valerio e accarezza l'idea di riallacciare i rapporti; il ragazzo accetta, sebbene sia impegnato in una storia.
Poi, come un incubo, Ezio riappare nelle loro vite.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
            Sbuffò e alzò lo sguardo dal libro di testo, per lasciarlo cadere sull’orologio sopra la scrivania che scandiva i secondi con un monotono ticchettio.
            Appena vide che erano le quattro del pomeriggio scattò in piedi, chiuse con un colpo il libro e afferrò al volo il borsone contenente la divisa di allenamento, il guantone, l’accappatoio e il bagnoschiuma. Si precipitò verso la porta di casa e urlò:
«Vado al campo!»
«Il giubbotto!» esclamò sua madre di rimando.
Allora tornò nella sua cameretta, prese il giubbetto jeans e tappando le orecchie a qualsiasi altro richiamo si precipitò fuori casa.
            Era tardi! Era dannatamente tardi!
            Ora l’allenatore lo avrebbe bacchettato e già immaginava i ghigni dei suoi compagni di squadra. Per fortuna il diamante -il campo di baseball- non era lontano da casa, ma comunque sia sarebbe arrivato tardi.
Corse con il borsone sulle spalle che pesava un quintale e gli rimbalzava sulla schiena sferzandogli le costole. Con una mano tirò su gli occhiali da vista che gli calavano di continuo sul naso a forza di scossoni e con il fiato grosso superò il cancello che delimitava l’intera area sportiva.
«Ehi!» esclamò una ragazza agitando le braccia.
            Loris le lanciò un’occhiata e riconobbe Ombretta, una delle giocatrici di softball che conosceva da una vita. Fece un frettoloso cenno di saluto e proseguì con il fiatone. Alle orecchie già gli arrivava il suono dei suoi compagni che si allenavano e quei tonfi metallici, procurati dalla mazza quando colpiva la palla, gli fecero capire che avrebbe saltato il riscaldamento.
            Piombò nel dugout -la panchina- e tolse il borsone dalle spalle, iniziando a spogliarsi.
«Pallesecche è in ritardo come al solito!» lo beffeggiò un compagno mettendo la mazza sopra una spalla.
            Loris non lo degnò di attenzione e si sbrigò a togliere pantaloni e maglia per indossare la divisa da allenamento e posizionare la conchiglia nel sospensorio a copertura delle parti intime. Era prassi comune cambiarsi direttamente in panchina quando c’erano gli allenamenti. Come riparo avevano solo una fitta rete metallica che evitava rischiose collisioni con la palla.
«Loris!» urlò l’allenatore dal monte di lancio.
            Il ragazzo alzò lo sguardo e lo osservò attraverso le lenti.
            L’uomo, un ex giocatore professionista di baseball, se ne stava sul monte con un secchio pieno di palle accanto ai piedi e lanciava verso casa base dove i cadetti si alternavano per ribattere con la mazza.
«Se anche la prossima volta arrivi tardi non ti faccio allenare!» minacciò senza troppa convinzione.
            I ragazzi sghignazzarono divertiti e Loris si sbrigò a infilare i guantini, calare il berretto sui capelli e prendere una mazza per correre in campo.
«Lascia quella mazza e fatti due giri di corsa!» urlò l’allenatore.
            Loris sospirò e mestamente ubbidì, seguito dagli sberleffi dei compagni.
            Ormai ci aveva fatto l’abitudine e quasi non li sentiva più.
Sette anni prima, quando per la prima volta aveva visto il diamante e aveva preso in mano una mazza, era rimasto folgorato: amore a prima vista. Il baseball gli era entrato nel sangue e, sebbene con il tempo gli impegni scolastici fossero raddoppiati, si faceva in quattro pur di non mancare agli allenamenti.
Ma se il diamante aveva aperto un varco nel suo cuore, non poteva dire altrettanto dei suoi compagni di squadra. Tra loro non era mai scoccata l’empatia e ora che da bambini si erano trasformati in adolescenti inquieti, il divario era aumentato notevolmente. I suoi compagni avevano iniziato a occhieggiare le ragazze del softball, a tentare i primi approcci, mentre lui, a dispetto dei diciassette anni, continuava a preferire dedicarsi al gioco.
            A essere onesti, già da tempo aveva capito che le ragazze lo interessavano solo come amiche e ultimamente si era dovuto arrendere all’evidenza che quando faceva la doccia insieme ai compagni dopo gli allenamenti doveva costringersi a fissare le piastrelle, per non perdersi in pensieri pericolosi che avrebbero potuto metterlo in imbarazzo.
            Anche ora, mentre faceva di corsa il giro del campo per scaldarsi, lanciava occhiate a Ezio, il sedicenne più bello dell’intera squadra cadetti. C’erano stati momenti in quegli ultimi anni in cui aveva sognato che smettesse di chiamarlo “Pallesecche” e lo guardasse in maniera diversa, magari accorgendosi che esisteva non solo come adolescente allampanato e occhialuto, bensì come Loris, interbase. Ma era e sarebbe rimasto un sogno: Ezio aveva più volte dimostrato un certo interesse per Ombretta e Loris si era messo il cuore in pace.
«Occhio!»
            L’urlo lo riportò al presente e si girò verso l’allenatore, per individuare la palla ribattuta. La vide all’ultimo momento e riuscì solo a portare un braccio davanti al viso per ripararsi, prima che la palla lo colpisse allo stomaco.
Si piegò in due, il fiato gli venne meno, barcollò e cadde perdendo i sensi.
 
***
 
            Salutò i compagni di scuola e si diresse alla metro per tornare a casa. In cielo grossi nuvoloni neri si rincorrevano, pronti a riversare il loro carico di pioggia primaverile e Loris si consolò pensando che quel giorno il campo sarebbe stato impraticabile e a lui non sarebbe pesato rimanere a casa.
            Il medico del pronto soccorso gli aveva prescritto assoluto riposo per tre settimane, per dare tempo all’ematoma di assorbirsi e lui si era rassegnato a rinunciare all’attività fisica che tanto amava. Per alcuni giorni gli era rimasto il segno della palla sullo stomaco e ringraziò il cielo che il colpo non fosse stato più forte, altrimenti avrebbe potuto procurargli un’emorragia interna.
Il baseball era uno sport tranquillo, tuttavia in alcune occasioni poteva risultare letale, soprattutto se non si stava attenti. La prima regola che gli avevano insegnato era stata di non perdere mai la concentrazione e di stare attento anche a chi si allenava dall’altra parte del campo, per evitare collisioni con le palle lanciate a forte velocità. E lui aveva imparato subito. Ogni volta che si udiva urlare “occhio!” era segno evidente che una palla era stata lanciata o colpita male e rischiava di diventare pericolosa.
«Loris!»
            Il richiamo lo riportò al presente, vide Ombretta che lo rincorreva e si fermò per aspettarla. Ombretta era la sua migliore amica, abitavano nello stesso palazzo e avevano fatto le elementari insieme. Era stata lei, all’età di dieci anni, a portarlo sul diamante e da allora erano diventati inseparabili.
«Come stai?» domandò appena gli fu al fianco.
«Bene, mai stato meglio.» e accompagnò la risposta con un sorriso.
«Fantastico.»
            Ombretta era rimasta sconvolta quando aveva visto arrivare l’ambulanza al campo e si era precipitata sul diamante dove si allenavano cadetti e seniores, per scoprire che Loris si era fatto male. Aveva chiesto a Ezio cosa fosse accaduto e il giovane glielo aveva spiegato, commentando a corollario che solo a uno stupido poteva capitare un incidente simile. Lei non aveva replicato ma dentro di sé lo aveva mandato al diavolo.
Sapeva che Loris aveva un debole per il lanciatore della sua squadra, anzi, ne era innamorato perso, glielo aveva confidato un paio d’anni prima e lei gli aveva suggerito di lasciarlo stare, che era solo un pallone gonfiato e che meritava di meglio. Ma, a quanto pareva, i consigli che elargiva si perdevano nel vento.
«Andrai agli allenamenti oggi?» s’informò Loris ammiccando al cielo plumbeo.
            Lei alzò gli occhi azzurri verso le nubi e tirò indietro i capelli che il vento le ributtava sul viso.
«Se non piove.» rispose sconsolata.
«Cosa si dice al campo?»
«Niente. Ci prepariamo per il campionato.»
            Loris annuì appena, consapevole che sarebbe rientrato la settimana in cui avrebbero giocato la prima partita e sperò che quella sosta forzata non avesse minato la sua preparazione.
            Presero la metro e rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, fin quando Loris adocchiò un ragazzo seduto che ascoltava la musica e seguiva il ritmo con la testa. Era carino, somigliava vagamente a Ezio e pensò che gli sarebbe piaciuto portarselo a letto.
Sospirò a quel pensiero. Già, prima o poi doveva capitare. Prima o poi avrebbe trovato un ragazzo con il quale perdere la verginità. Era cosciente di non possedere attrattive, con quei capelli castani ondulati e sempre spettinati, quegli occhi a mandorla marroni come le foglie autunnali, il volto spigoloso e il corpo magro; eppure sapeva che un ragazzo, da qualche parte, era in attesa di lui, pronto a fargli scoprire il mondo del sesso. Era solo questione di tempo.
Ultimamente, però, mordeva il freno e si rendeva conto che masturbarsi non gli bastava più.
            Azzardò un’occhiata a Ombretta e la osservò. Chissà se lei aveva già compiuto il grande passo?
            Attese che uscissero dalla metro e mentre affrontavano l’ultimo tratto a piedi si schiarì la voce e azzardò:
«Posso... uhm... posso farti una domanda intima?»
            Ombretta sgranò gli occhi e rallentò l’andatura, portando le mani alle cinghie dello zaino che portava sulle spalle. Loris fece un gesto vago e riprese precipitoso:
«Ok, scusa. Fa’ conto che non abbia detto nulla.»
            Lei gli afferrò il braccio e lo costrinse a fermarsi.
«Cosa vuoi sapere?»
            Un po’ imbarazzato si guardò intorno, sistemò meglio lo zaino sulla spalla e umettò le labbra secche.
«Tu hai... hai già fatto... sesso?»
            Ombretta si irrigidì e dopo un secondo ribatté:
«Ma sei scemo? Che domande fai? Certo che no, altrimenti te lo avrei detto.»
            Loris sembrò rinsanguare e lei tirò indietro i lunghi capelli biondi, fissandolo con ostentazione.
«E tu?» rimandò circospetta.
            Scosse la testa in risposta e lei gli lasciò il braccio, studiandolo a lungo.
«Non è che vuoi fare sesso con me?» indagò preoccupata.
            Loris inarcò le sopracciglia e fece una smorfia, facendola sorridere.
«Potrei,» rispose divertito, «ma non garantisco il risultato!»
«Scemo!» esclamò lei dandogli una spinta.
In lontananza si udì il rombo di un tuono, segno evidente che la pioggia stava per arrivare e prima di bagnarsi ripresero a camminare verso casa.
 
***
 
Controllò che nel borsone ci fosse tutto, quindi salutò sua madre e si diresse al campo.
Tornava dopo venti giorni di assenza. Fosse dipeso da lui, sarebbe tornato già il giorno successivo all’incidente, ma né il medico né i suoi genitori glielo avevano permesso. A dire il vero, sarebbe potuto andare come spettatore, ma aveva preferito evitare le tentazioni; sapeva che se si fosse presentato sugli spalti prima o poi sarebbe sceso in campo.
            Chiaramente in quel frangente nessuno dei suoi compagni lo aveva chiamato per sapere come stesse, sottolineando -se mai ce ne fosse stato ancora bisogno- che loro non lo consideravano parte del gruppo. E non se l’era neppure aspettato. Solo Diego, l’allenatore, aveva chiamato un paio di volte per informarsi sulla sua salute.
            Entrò nel dugout e si accorse di essere arrivato in anticipo: la forzata e prolungata sosta gli aveva messo le ali ai piedi. Posò il borsone e si cambiò.
            Il sole caldo di aprile aveva fatto crescere l’erba al di fuori del diamante e qualche anima pia stava usando il tagliaerba per consentire l’accesso alle aree da picnic. Nel campo adiacente, le ragazze del softball si stavano già allenando e scambiò un saluto con Ombretta. Lei gli fece cenno che si sarebbero sentiti in seguito e lui annuì.
            Posizionò meglio gli occhiali sul naso e in quell’istante si accorse di un ragazzo che si stava avvicinando. Non era della sua squadra. Lo seguì con lo sguardo attraverso la rete metallica che circondava il diamante, fino a quando non entrò nel dugout.
«Ciao.» salutò il nuovo arrivato.
«Ciao.» rispose.
            Rimasero in silenzio, l’odore pungente dell’erba tagliata che stuzzicava le narici. Il ragazzo posò il borsone dell’Urbe Baseball e Loris capì che faceva parte della sua squadra. Doveva essere arrivato durante le settimane della sua assenza.
«Io sono Valerio.» si presentò il giovane.
«Ah... Loris.» si ritrovò a rispondere.
            Lo vide mettersi seduto e osservare il diamante prima di aprire il borsone e tirare fuori i guantini e il berretto. Allora, quasi con timore, domandò stupidamente:
«Fai parte dell’Urbe Baseball?»
«Sì. Anche tu.» rispose l’altro sorridendo, ammiccando alla sua testa.
«Eh, già.» rispose toccandosi di riflesso il berretto che portava i colori della squadra.
«Che ruolo?» incalzò Valerio.
«Interbase. E tu?»
«Ah, sei lo shortstop che si è fatto male?» chiese incuriosito.
            Loris si domandò come facesse a saperlo, visto che era convinto che nessuno dei suoi compagni ne avesse fatto parola. Poi il pensiero corse a Diego e suppose che gliene avesse parlato lui. Annuì e Valerio continuò:
«Io catcher
            Loris rimase sorpreso: loro avevano già il ricevitore, per quale motivo prenderne un secondo? Studiò il nuovo arrivato ma quando si rese conto che anche l’altro lo stava sondando, distolse l’attenzione.
«E ora come stai?» s’informò Valerio.
«Bene, grazie.»
            Si accorse che le mani gli tremavano e non seppe darsi una spiegazione. All’improvviso si sentiva a disagio sotto quegli occhi neri che continuavano a osservarlo con curiosità e si chinò per indossare gli scarpini con le lame. Quindi uscì sul campo. Respirò a pieni polmoni l’odore della terra e dell’erba e avvertì il caldo del sole sugli avambracci scoperti.
            In quell’istante, alla spicciolata, vide arrivare i suoi compagni della squadra cadetti insieme ai seniores e a Diego.
«Ah!» esclamò Ezio con un sorriso strafottente e una strana luce negli occhi. «È tornato Pallesecche.»
«Ehilà, chi non muore si rivede.» rincarò Luciano, il loro ricevitore.
            Loris non rispose, ma si accorse dello sguardo di Valerio fisso su Ezio.
«Come stai?» volle sapere Diego dandogli le chiavi del box dove era conservato il materiale.
«Benissimo.» rispose con un sorriso, prendendole.
«Ezio, dai una mano.» ordinò l’allenatore.
            Il ragazzo sbuffò e dopo aver lasciato cadere a terra il borsone seguì Loris. Questi lo osservò di sottecchi, ammirando quei lunghi capelli neri che al sole avevano riflessi azzurri e quegli occhi grandi dal colore indefinito tra il verde e il ceruleo.
Ezio Rossetti era semplicemente meraviglioso e Loris si era innamorato di lui fin da quando aveva messo piede sul diamante. Certo, all’epoca non poteva capirlo ma con il passare degli anni si era reso conto che non riusciva a staccare gli occhi da lui, che il suo cuore prendeva sempre la rincorsa quando si trattava di Ezio e che i suoi sogni erotici erano sempre concentrati su di lui.
E lui non lo vedeva neppure.
«Chi è il nuovo arrivato?» s’informò mentre portava fuori dal box la borsa con le mazze.
«Uno nuovo.» rispose Ezio prendendo i secchi pieni di palle.
Loris gli lanciò un’occhiata perplessa: non aveva risposto alla domanda. Forse non aveva capito o lui si era espresso male. Lo vide fermarsi e portare il peso su una gamba, grattandosi la nuca.
«È il ricevitore della squadra seniores.» spiegò infine.
            Loris prese il borsone contenente l’armatura del ricevitore, mentre Ezio prendeva i caschetti e richiudeva il box.
«È più grande di noi?» esclamò Loris sorpreso. «Non l’avrei mai detto. Pensavo facesse parte dei cadetti.»
«Sì, se non sbaglio dovrebbe avere ventidue anni.»
A fatica portarono tutto il materiale in campo e Loris cercò Valerio con lo sguardo, inquadrandolo sul diamante a parlare con Diego. Gli riusciva difficile credere che quel tipo avesse così tanti anni più di lui: lo aveva scambiato per un coetaneo.
«Ehi, ma ti sei imbambolato?» borbottò Luciano dandogli una spinta.
            Loris si girò a guardarlo e si accorse che erano tutti pronti per iniziare l’allenamento. Allora sistemò gli occhiali sul naso e insieme agli altri iniziò a correre.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Myrddin Emrys