Crossover
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Autore: Registe    20/09/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 21 - Vexen (VII)





I Keyblade di Roxas





Un resoconto lacunoso e confuso da parte del numero VIII, e una singola parola in una lingua sconosciuta, sfuggita alle labbra esangui del Superiore alla vista delle armi misteriose del loro membro più giovane.
Keyblade.
Dati decisamente approssimativi per condurre una ricerca soddisfacente. Vexen stesso aveva colto solo un lampo fugace delle due chiavi giganti – perché quello era l’oggetto a cui somigliavano di più, non c’erano altri termini di paragone – prima che quelle svanissero letteralmente dalle mani del loro proprietario.
Posò il rotolo di pergamena sul tavolo e si massaggiò le tempie con la punta delle dita. Inutile tentare oltre la fortuna tra i tomi della Biblioteca. Le probabilità di trovare informazioni utili con dati di partenza così scarni avrebbero fatto sembrare la ricerca del proverbiale ago nel pagliaio un gioco da ragazzi. Tuttavia, non vi erano altri posti in cui cercare.
Aveva interrogato il Superiore, naturalmente, e il giovane Roxas. Il n. XIII pareva sconvolto e stupito quanto loro. Era la prima volta che “quelle cose” gli comparivano tra le mani, giurava e spergiurava. Il suo spavento era genuino, e il ragazzo aveva dimostrato infinite altre volte di essere del tutto incapace di mentire. Vexen gli aveva domandato più e più volte i dettagli precisi di quanto era accaduto nelle Stanze della Memoria, ma il n. XIII non ricordava, o forse aveva troppa paura di provare a farlo. Aveva dovuto somministrargli un calmante per aiutarlo ad addormentarsi quella notte.
Il Superiore era un’altra storia.
“Nei diari dei miei antenati ci sono menzioni a quelle armi” gli aveva rivelato, in privato. La sua voce era ridotta a un sussurro, quasi volesse eludere uno spauracchio in agguato tra le ombre. “Le chiamano Keyblade, e sono connesse alla catastrofe di tremila anni fa. Ma non so molto altro. La mia teoria, e il mio timore, è che potrebbero essere una delle cause della rovina che ha colpito il nostro mondo.”
Tipico del Superiore, formulare ipotesi sulla base di dati totalmente inesistenti. Probabilmente al primo accenno alla parola “arma” era corso a rintanarsi tremolando nelle sue stanze, a offrire preghiere ai suoi antenati e a battersi il petto.
Vexen aveva chiesto e – sorprendentemente – ottenuto il permesso di esaminare i diari a cui Xemnas si riferiva. Non si trattava degli originali di tremila anni prima, probabilmente sbriciolati dall’usura del tempo o ingoiati dal labirinto della Biblioteca, ma di trascrizioni parziali, vecchie di cinque o sei secoli, da parte di altri avi di Xemnas. Nulla di particolarmente utile a parte un’illustrazione sbiadita e qualche nota approssimativa che non faceva che confermare quanto già detto dal Superiore (a parte le sue teorie fantasiose sull’apocalisse causata da un esercito di chiavi giganti).
Continuò a rimuginare sulla questione lungo tutta la strada per il laboratorio. Forse un tè e qualche ora di riposo lo avrebbero aiutato a guardare il problema con più lucidità. Se solo fosse riuscito a convincere Xemnas che il modo migliore per capire cosa fosse successo alle Stanze della Memoria sarebbe stato esaminare le Stanze stesse…
Aveva a malapena riempito il bollitore d’acqua che il familiare fremito nell’aria annunciò l’aprirsi di un portale oscuro nel bel mezzo del laboratorio. Con un certo disappunto constatò che non si trattava di Zexion di ritorno dalla sua missione con Xaldin.
“Emergenza! N. IV, deve venire subito!”
Aveva afferrato la borsa con gli strumenti medici ancora prima che l’agitato n. IX finisse la frase. Come unico medico del Castello dell’Oblio era fin troppo abituato a chiamate del genere. Il tè avrebbe dovuto aspettare.
“Che è successo?” domandò con un piede già nel portale.
“È Marluxia! Deve aver avuto un infarto!”
“Lascia le diagnosi a chi è competente in materia, n. IX.”
“Ma si è accasciato all’improvviso mentre gli portavo da mangiare e… “
I filamenti di tenebra si diradarono rivelando una fila di sbarre verticali, bianche come il resto del Castello. Dietro di esse si intravedeva un letto improvvisato su cui era adagiata una figura scura, le mani premute sul petto. Respirava in modo affannoso, con rantoli sordi che sovrastarono persino il cigolio del cancello che la n. XII aprì rapidamente per consentirgli di entrare nella cella.
“È successo neanche due minuti fa. Io e Demyx gli avevamo appena lasciato il vassoio del pranzo.”
Vexen non avanzò subito verso il letto. Al suo sguardo esperto non erano sfuggiti alcun segnali decisamente preoccupanti.
Ma non per la salute del paziente.
Il viso del n. XI era contorto dal dolore, gli occhi serrati, ma il colorito della sua carnagione si presentava roseo e sano, senza neanche una goccia di sudore a imperlargli la fronte. Senza contare il tempismo di sentirsi male proprio nei cinque minuti in cui qualcuno lo visitava per portargli il cibo.
O esattamente quando Zexion si trovava in missione lontano dal Castello dell’Oblio.
“Che razza di… “
In quel momento gli occhi di Marluxia si spalancarono. Occhi lucidi e vigili, non le pupille dilatate o arrossate di un malato. Cessò per un attimo di ansimare, e le sue labbra composero poche semplici, silenziose parole.
Devo parlarle. Per favore.
“N. IX, se vuoi puoi andare” stava dicendo intanto Larxen. “Penso io a proteggere il n. IV se questo traditore dovesse tentare brutti scherzi!”
Vexen prese una decisione all’istante.
 
Narratore: “Una decisione di merda, se posso dire la mia.”
 
“Demyx, informa il Superiore che Marluxia non dovrebbe essere in pericolo di vita. Farò un rapporto più preciso non appena conclusa la visita. Pregherei di non essere disturbato mentre lavoro, però.”
“Agli ordini, n. IV!”
I muscoli del n. XI si rilassarono non appena le spire del portale furono scomparse. Il suo respiro tornò regolare, e lentamente Marluxia si mise a sedere sul letto. Larxen scoccò a entrambi un sorrisetto divertito e andò a posizionarsi qualche metro fuori l’entrata della cella, dove il solito scalone bianco collegava il sotterraneo con i piani più alti.
Un silenzio incerto si trascinò per qualche istante nella cella bianca.
“Le chiedo scusa per l’abominevole pantomima, n. IV.”
“Dovresti rivedere le tue capacità drammaturgiche, n. XI.”
“Non avrei mai sognato di ingannare un occhio chirurgico come il suo. La messinscena era a uso e consumo di un sempliciotto come Demyx. Tutto ciò che chiedo è un’occasione per scambiare due parole con lei in privato. Se vorrà consentirmelo.”
Un fruscio della tunica e Marluxia era in piedi, percorrendo lentamente i pochi metri della cella da un lato all’altro. Aveva un modo posato e sicuro di occupare lo spazio, come un padrone di casa che lo stesse invitando ad accomodarsi in uno dei tanti saloni del suo castello.
“Mi dispiace di non poterle offrire nulla. Un buon calice di vino dorato dell’Arbor sarebbe il compagno ideale per una conversazione come questa.”
“Dimmi solo cosa vuoi.”
Vexen serrò le labbra, riducendole a una linea sottile. Si rimproverò mentalmente per essersi mostrato nervoso di fronte a quel traditore. La verità era che il Superiore o chiunque altro sarebbe potuto apparire improvvisamente per verificare le condizioni del n. XI. Marluxia colse il suo sguardo dardeggiare sospettoso oltre le sbarre bianche, e si affrettò a rassicurarlo.
“Può fidarsi di Larxen. Non dirà una parola di questo incontro.”
Nell’atrio, la n. XII ondeggiò una mano in segno di saluto e fece una linguaccia.
“La domanda è: posso fidarmi di te?”
“Sta pensando che avrebbe già dovuto denunciarmi al Superiore. Lo capisco. E non muoverò un dito per impedirle di farlo, se riterrà la mia offerta non vantaggiosa. Credo di comprendere perché ha deciso di assecondare la mia messinscena: lei è una persona curiosa. Una persona che non ha paura di guardare in faccia la verità.”
“E quale sarebbe questa verità, sentiamo?”
“Che l’Organizzazione si sta condannando da sola all’autodistruzione. Che avrebbe i mezzi per salvare il mondo, per costruirne uno migliore addirittura, e non li usa. Che taglia le ali a chi vorrebbe elevarsi al posto che merita e che gli spetta, e che si rinchiude in una tana fangosa ad aspettare la fine invece di combattere per un futuro radioso.” Sorrise, gli occhi scintillanti che cercavano comprensione, complicità. “So che lei la pensa come me, n. IV. Ma non siamo gli unici. E sicuramente meritiamo di più della vita grigia che il Superiore vorrebbe imporci.”
La retorica di Marluxia era calorosa, la sua voce capace di materializzare, nel suo timbro fermo, visioni promettenti di speranza, vittoria e rivalsa. Ma rimanevano visioni. Parole eleganti e profumate come i petali che spargeva la sua falce. Vexen, invece, aveva sempre preferito la lingua ordinata e inoppugnabile dei dati.
“Stai semplicemente ripetendo ciò che dico da una vita, come tutti in questa Organizzazione sanno. Ma non ho ancora sentito alcuna proposta.”
Marluxia sorrise. “Dritto al punto. È questo che ammiro di lei. Sin da quando ha proposto di combattere i demoni in quella fatidica riunione. Eravamo a un soffio dal cambiare le cose.”
La mano del n. XI si protese verso l’aria, le dita flesse, gli occhi blu concentrati su un obiettivo che soltanto lui poteva vedere.
“Abbiamo lottato, e abbiamo perso. Smuovere il Superiore dalle sue posizioni è come cercare di raccogliere l’acqua con le mani. E pensando a questo, mi chiedevo… come farebbe un alchimista?”
Vexen sbatté le palpebre: “Come farebbe in che senso?”
“A raccogliere l’acqua con le mani.”
“La trasformerebbe in ghiaccio.” Non c’era neanche bisogno di pensarci su. Ciò che non riusciva a comprendere era dove volesse arrivare il n. XI con le sue traballanti metafore alchemiche.
Di nuovo un sorriso, un lampo cospiratore negli occhi blu. “Una risposta che apprezzo molto. Un alchimista, una persona superiore, non si sottomette ai capricci della materia, ma la piega alla propria volontà. Credo che lei a questo punto abbia capito la natura della mia proposta. Glielo leggo negli occhi.”
Vexen si accorse solo in quel momento che il n. XI aveva interrotto da un pezzo il suo casuale passeggiare da un lato all’altro della cella. Era immobile di fronte a lui adesso, e sembrava intento a scrutare nella sua espressione risposte che ancora non si erano rivelate neppure alla mente di Vexen. Fu come riscuotersi da un torpore.
“Già. Cos’altro potevo aspettarmi da uno che ha massacrato a sangue freddo una ragazzina?” ribatté in tono secco.
Per la prima volta gli parve di intravedere qualcosa di diverso nello sguardo del suo interlocutore. Un bagliore duro, forse un sussulto di orgoglio rabbioso. Durò lo spazio di un istante. Quando tornò a parlare, la sua voce aveva la consistenza del velluto.
“Non cercherò di giustificare le mie azioni. Ritengo di averlo già fatto a sufficienza. Ma le domando solo una cosa: se qualcuno facesse del male al n. VI, lei riuscirebbe a perdonarlo?”
Sapeva colpire nei punti giusti. Ma non aveva torto. La famiglia del n. XI era stata sterminata, tutto ciò che aveva di caro gli era stato strappato via da un giorno all’altro. Unirsi all’Organizzazione era stata una decisione dettata più dalla necessità di salvarsi la vita che una vera scelta. E, come tutti loro, si era ritrovato prigioniero di un despota che li aveva reclusi in una dimensione sterile ad appassire lentamente di inerzia e abbandono. Nessuna meraviglia che nel suo cuore ribollisse una rabbia capace di far tremare i Sigilli delle Stanze della Memoria.
Vexen provava lo stesso sentimento.
“Non lo nasconda a se stesso. Io e lei siamo più simili di quello che potrebbe immaginare. È per questo che ho bisogno del suo aiuto.”
Adesso era lo scienziato a sentire l’urgenza di camminare su e giù. Era un gesto che lo aiutava sempre a concentrarsi, come se mettere in moto le gambe contribuisse a rendere più veloci anche gli ingranaggi della mente.
Marluxia gli lasciò il tempo necessario. Aveva comunicato il suo messaggio, non gli restava altro da aggiungere. Eppure, anche mentre gli voltava le spalle, continuava a sentire il suo sguardo trapassarlo da parte a parte come una punta di diamante.
Poteva denunciarlo al Superiore e farla subito finita. Non sapeva che sorte avrebbe riservato il n. I a un membro che lo aveva tradito due volte, ma non era questo a importargli.
“Scegliere significa rinunciare per sempre a una delle due possibilità.”
Non voluta, gli tornò alla mente una delle frasi preferite di suo padre. La citava spesso per riferirsi ai rischi che correva ogni giorno con le sue decisioni commerciali. L’aveva usata molte volte per mettere in guardia il figlio dalla via che aveva scelto di imboccare nel suo futuro.
“Io non sto rinunciando a qualcosa. Sto cercando di allargare lo spettro delle mie possibilità.”
Ricordò il primo incontro con il Superiore. Non sapeva se potesse fidarsi del tutto di quel Radigata strampalato, ma rifiutare la sua offerta in tronco gli avrebbe chiuso definitivamente una porta davanti, senza neanche lasciargli il tempo di sbirciare all’interno per verificare se il contenuto valesse davvero qualcosa.
Si accorse di avere molto caldo, e istintivamente si passò una mano tra i capelli.
Un alchimista non si sottomette ai capricci della materia, ma la piega alla propria volontà.
Prese un respiro profondo, e si voltò a fronteggiare Marluxia.
“Si può discutere. Ma ho delle condizioni.”
Stavolta, il n. XI non si sforzò di nascondere il proprio compiacimento.
“Eccellente. Sono sicuro che sapremo arrivare a un accordo da persone ragionevoli.”
 
  
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