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Autore: HeyAkkey    20/09/2018    0 recensioni
Hiroomi non è forte quanto vorrebbe far credere a tutti.
{ Hiroomi/Akihito | One shot | 1535 parole | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akihito Kanbara, Hiroomi Nase
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): sempre dell’opinione che questo anime sia da 4 e si salvi solo per la HiroAki e la Mitsurai.
 Il link alla storia originale è questo; dategli un’occhiata se il vostro inglese non è male! Buona lettura!










Touch is the Strongest Sense
di HeyAkkey




Hiroomi non è forte quanto vorrebbe far credere a tutti.

 Non perché non è forte fisicamente, o perché non è abile nel combattimento. Ora che ha diciannove anni ed è il capoclan ufficiale dei Nase, sa di essere tra i migliori cacciatori di spiriti al mondo. Lo è proprio perché è suo dovere esserlo: non può scusare in alcun modo le sue debolezze passate, e di certo non le può scusare adesso. Nonostante abbia significato ridursi a brandelli, allenandosi finché persino Mitsuki si è preoccupata…

 «Onii-chan…»

 …lui era conscio di dover farsi più forte, e allora lo è diventato. E sebbene non sarà mai sicuro di sé, non in un ruolo tanto importante, ormai può simulare quella risolutezza con facilità, al punto da convincersene, qualche volta. Be’, anche lui si può concedere il diritto di mentire a se stesso, ritiene, dato che è arrivato fin qui con le proprie mani, senza avere compiuto alcun sacrificio.

 Sa che è un traguardo ammirabile.

 Ma non è forte quanto vorrebbe far credere a tutti, e ciò si fa evidente una sera di marzo, quando il sole tramonta e Hiroomi è sdraiato sul letto di Akihito.




«Uhm…» Un paio di occhi verdi fissano impassibili un ragazzo biondo con la fronte aggrottata che picchietta la penna contro il naso. Hiroomi ha già previsto quello che sta per succedere, per cui sorride appena e solleva un sopracciglio quando l’altro si gira nella sua direzione. «Ehi, Hiroomi». Akihito assume un’espressione imbronciata e gli allunga un foglio di carta. «Spiegami».

 Hiroomi sospira piano, infastidito, e si mette a sedere, ma è tutta una messa in scena. Non potrebbe rifiutare nulla ad Akihito quando fa quella faccia, e Akihito lo sa. È per questo che l’ha fatta, è per questo se Hiroomi si trova qui, ed è ciò che rende la situazione familiare e bizzarra al contempo. In fin dei conti, però, le stranezze per loro sono una normalità. E la normalità una stranezza. Entrambi ne sono consapevoli, per cui Hiroomi afferra il foglio senza lamentale e l’osserva, battendo le palpebre.

 «Le formule di Werner» dice, e rivolge all’altro un sorriso un po’ esasperato. «È semplice trigonometria, Akkey. Non andrai mai all’università se non sei nemmeno capace di risolvere queste equazioni».

 Akihito si acciglia e si stravacca sui fogli. «Grazie per il sostegno, stronzo».

 Hiroomi ignora l’insulto e scivola via dal letto per avvicinarsi alla scrivania di Akihito. Gli prende di mano la matita e scarabocchia un’equazione su un angolo del pezzo di carta. «Usa questo per trovare x. E poi fai una sostituzione, okay?» Ridacchia e poi si china vicino all’altro. «Ancora non ci credo che tu voglia che ti aiuti con gli esercizi, Akkey. Dev’essere un gran brutto colpo alla tua autostima».

 Il biondo borbotta per un po’ mentre continua a risolvere l’equazione. «Sì, sì, mi hai davvero salvato, eh? Onii-chan».

 Hiroomi si incupisce leggermente alla frecciatina finale, gli occhi assottigliati. «Mi provochi?» Se la risposta è sì, allora Akihito sta giocando con il fuoco. Non dovrebbe farsi beffe di ciò che rende uniche le sorelle minori, e Akihito lo sa perfettamente così come lo sa perfettamente anche Hiroomi; hanno sempre portato un certo rispetto nei confronti dei fetish dell’altro, dopotutto, perciò rimbeccarlo in questo modo…

 Akihito alza lo sguardo e lo scruta con timidezza, e accenna a un sorriso, e allora Hiroomi capisce.

 …Ah. Sta cercando di distrarlo, vero? Hiroomi non comprende a cosa miri Akihito, considerato il fatto che gli ha telefonato e l’ha invitato a casa sua con assoluta serietà, chiedendo a Hiroomi di dargli una mano per studiare in vista degli esami di ammissione. E Hiroomi si è accorto con una nota di panico che Akihito ha davvero bisogno di aiuto: i suoi voti sono decisamente pessimi, e non ha la minima padronanza di concetti che Hiroomi ha imparato anni fa. Akihito non è stupido, ma…

 «Come avrei fatto a concentrarmi sulla scuola?»

 …Be’, niente giustifica il suo comportamento durante l’anno trascorso. «Sei un idiota?» Hiroomi lo guarda con occhi assenti. «Se non fai alcuno sforzo, finirai a lavorare in un minimarket per il resto della tua vita».

 Akihito sospira e si poggia sullo schienale della sedia. «Non sarebbe così male» mormora, «non mi dispiacerebbe un’esistenza mediocre».

Perché adesso Akihito è una persona normale.

 A questa riflessione, Hiroomi si congela e fissa Akihito con in volto una maschera perfezionata lungo gli anni. Prima la indossava solo per scopi professionali, ora è il suo abitudinario meccanismo di difesa, il camuffamento con cui fronteggia ciò che vorrebbe evitare.

 Perché l’idea che Akihito sia mediocre è assolutamente inaccettabile.

 Akihito è tutto fuorché mediocre, lo è sempre stato, sin dalla prima volta che Hiroomi lo ha incontrato e tuttora, le palpebre abbassate e una mano con cui Akihito si ravvia le ciocche di sole. Hiroomi si approfitta di questo istante in cui è invisibile all’altro per studiargli con bramosia la faccia.

 Anche se sono passati quattro anni da allora, il viso di Akihito possiede ancora un’evidente morbidezza: un’aria di onestà e gentilezza, gli espressivi occhi color ambra, un nasino un po’ all’insù. Hiroomi non gliel’ha mai detto apertamente – nasino – perché sa che l’altro non si riprenderebbe mai del tutto dallo shock. In fondo Akkey, dopotutto, è sensibile. Solo che non sarebbe mai disposto ad ammetterlo.

Preferirebbe isolarsi piuttosto che fingersi una persona diversa da quella che è.

 Hiroomi si domanda tra sé e sé se Akihito sappia quanto lui è importante per Hiroomi.

Akihito si domanda la stessa cosa tutti i giorni.

 Senza pensarci sopra, Hiroomi si protende in avanti e dà all’altro un colpetto sulla fronte. «Idiota» bofonchia. «Tu vali molto più di così».




Si fa evidente una sera di marzo, quando il sole tramonta e Hiroomi è sdraiato sul letto di Akihito. Hiroomi non è forte quanto vorrebbe far credere a tutti, e quando sul letto si accorge di un peso accanto a sé e una fonte di calore gli si avvicina, diventa teso per una ragione che non vuole affrontare. Il suo collo suda, e la camicia gli si appiccica fastidiosamente alla pelle: si rende conto che si è addormentato e che ha sognato.

 Ha sognato un sole che tramonta e un cielo color ruggine, l’erba alta e marrone e un peso su di sé, qualcosa che gli frantuma la testa contro il terreno.

Sapeva cosa sarebbe capitato prima ancora che avvenisse. Quando quella cosa lo atterrò di pancia con una rincorsa, il pugno che gli ghermì la giacca da dietro, sapeva che le cose erano destinate a finire così. Mordendosi forte il labbro inferiore, si accinse a morire. Niente avrebbe potuto prepararlo al dolore incandescente che lo lacerava internamente, però, la caratteristica sensazione che degli artigli gli stessero scorticando le ossa. L’unico suono che riusciva a udire erano le proprie urla, l’unica visione che riusciva a scorgere era il colore rosso.

 Rimpianse molte cose: la sua incapacità di ringraziare, non aver detto a Mitsuki “Va bene”.


 «Hiroomi?»

 Akihito gli poggia una mano sulla spalla. Si è addormentato in posizione prona, e ora, per un istante, Hiroomi ha di nuovo l’impressione di essere inchiodato. Inspira bruscamente e costringe se stesso a concentrarsi, ma l’esercizio non lo aiuta; gli sembra di aver perso le funzioni motorie.

 «…Ehi, stai bene?» La voce del biondo di solito ha un effetto calmante, eppure Hiroomi avverte solo gli echi delle proprie grida. «Avevi l’aria di star facendo un brutto sogno». L’apprensione di Akihito aleggia nell’atmosfera che li circonda, e Hiroomi inspira ancora, tenta di respirare.

«Respira» gli disse Izumi quando Hiroomi arrivò ore dopo, steso sul fianco, all’ufficio dell’infermiera oppure forse al pronto soccorso, non li distingueva. Non si ricordava molto del lasso di tempo che aveva trascorso tra la vita e la morte, solo il dolore, e la sensazione che Izumi-neesan gli stesse premendo qualcosa contro il viso, ripetendo in continuazione di respirare, respira e basta.

 Allora pensò di aver percepito una nota di allarme nella voce di sua sorella.

 Quando si risvegliò ore dopo, però, concluse di aver solo delirato.


 La mano di Akihito stringe la spalla a Hiroomi. Il calore che si propaga da essa affonda nella pelle di Hiroomi e lo scalda nelle ossa. Si accorge che il biondo lo sta scuotendo leggermente, incoraggiandolo a mettersi a sedere, ma lui non vuole, non vuole fronteggiarlo in questo stato.

 Ha paura di quello che vedrà se lo guarda adesso.

 Akihito è tutto tranne che mediocre, e il suo calore è familiare a Hiroomi in tutti i sensi. Gli penetra la pelle e lo scalda nelle ossa, e nella maggior parte dei casi, non è un problema. Nella maggior parte dei casi, ricorda a Hiroomi le calde notti d’estate e la curva pulita delle ascelle di Akihito. Ma Hiroomi non è forte quanto vorrebbe far credere a tutti.

 «Sto bene» arriva finalmente a mormorare, tuttavia è a malapena convincente, dato il modo con cui affonda il volto nel materasso. Per un momento esistono solo il silenzio e la consapevolezza che Hiroomi è sdraiato e ansante, poi però, lentamente, la pressione scompare dalla schiena di Hiroomi, e ritiene che anche Akihito abbia capito cos’è appena accaduto.

 Sebbene siano passati quattro anni da quando è successo, sa che il suo corpo non dimenticherà mai il dolore del tocco di Akihito.

   
 
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