Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    22/09/2018    17 recensioni
Dewrich e Herich sono i due figli di re Evertas. Il primo è un guerriero forte e deciso, abituato a farsi obbedire e ad aprirsi la strada combattendo, il secondo è invece timido e intorverso, ed è certamente più a suo agio in una biblioteca che con una spada in mano.
La successione sembrerebbe scontata, ma ecco che inaspettatamente le cose non vanno secondo le previsioni e come erede al trono viene designato il topo di biblioteca. Il primo decide allora di risolvere la questione con mezzi drastici, accordandosi con una banda di pericolosi predoni, ma non ha fatto i conti con un soldato dal passato oscuro...
Prima classificata al contest "In viaggio" indetto da Emanuela.Emy79, a pari merito con "Dies Irae" di Yonoi
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Resen-Lhaw 2 Salve gente!
Secondo capitolo del mappazzone orrendo. Ringrazio tantissimo tutti quelli che sono passati da queste parti, mi hanno messo in qualche lista o sono stati così gentili da lasciarmi un loro parere.






Capitolo 2

L’aquila si posò con uno strido, arruffò le penne sul collo, si scrollò e fece scorrere lo sguardo grifagno tutt’intorno. Res, che stava trasportando un sacco di provviste, si fermò per un istante a fissarla: non era un’aquila di quelle parti, aveva penne più chiare ed era più piccola di quelle che si vedevano nel Daishrach.
Il rapace si voltò nella sua direzione e dall’alto del ramo su cui si era posato sembrò guatarlo con sdegno.
In quel momento, un colpo di verga sulla schiena lo fece sussultare. “Ancora a guardare le nuvole, specie di fannullone?” abbaiò un graduato.
Res fu attraversato da un fremito, ma non rispose. Si limitò a bilanciarsi meglio il sacco sulla spalla e a proseguire verso i carri fermi al centro della piazza d’armi.
Vieni qua, muoviti!” lo incitò uno dei soldati che stavano allestendo i carichi. “Non abbiamo tutto il giorno.”
L’altro depose il sacco di granaglie, di almeno centoventi libbre, su uno dei pianali.
Non qui! Su quello dei cucinieri, imbecille.”
Senza parlare, il soldato sollevò di nuovo il sacco, se lo caricò in spalla e procedette verso l’altro carro. Aveva colto uno scambio di sguardi di intesa fra i due equipaggi, ma preferì far finta di niente.
Prevedibilmente, quando arrivò a destinazione, il cuoco protestò: “Chi ti ha detto di portare qui questa roba? Rimettila dove l’hai presa.”
Res non disse una parola. Raccolse nuovamente il suo fardello e si allontanò.
Lo fermò un sottufficiale: “Si può sapere dove stai andando?”
Il cuoco mi ha detto di riportare questo sacco dove l’ho preso,” fu la risposta.
E tu ti fai dare ordini da un cuoco, razza di idiota? Che accidenti vuoi che ne sappia un cuoco? Mettilo sul carro delle provviste e fila a prenderne un altro!”
Il soldato obbedì senza replicare e mentre si allontanava sentì il graduato che diceva: “Per i volti di Dras, cosa dovrei farmene di quel deficiente? Questo ormai non è più un esercito, è un ospizio per mentecatti.”
Strinse i denti e si allontanò in direzione dei magazzini. Si terse gocce gelide dalla fronte: stava sudando più del solito, e non era una buona cosa: significava che il suo problema stava tornando a farsi sentire. Si chiese se sarebbe mai riuscito a liberarsene.
Si appoggiò con le spalle contro un muro e inspirò profondamente ad occhi chiusi, cercando di ignorare i segnali di bisogno che il suo corpo gli stava mandando. Si passò fra i capelli una mano tremante e la ritrasse fradicia. “Non ci siamo,” mormorò fra sé e sé.
Una voce irata lo riscosse: “Datti una mossa, non abbiamo tutto il giorno!”
Res strinse i denti e tornò al lavoro.

All’alba del giorno dopo, la colonna era pronta a partire. Nessuno gli aveva detto dov’era diretta, ma Res aveva capito abbastanza presto che si trattava della scorta per il principe Herich che andava al Primo Tempio. Quello che lo stupiva era che anche lui era stato scelto per farne parte: con l’aria di non capacitarsi della cosa, un graduato gli aveva detto di raccogliere la sua roba, indossare la lorica e unirsi alla scorta.
Mentre prendeva posto in fondo al plotone, notò di nuovo l’aquila. Gli parve che fosse la stessa del giorno prima, o perlomeno che fosse delle stessa razza. Pensò che il rapace avesse deciso di seguire la spedizione nella speranza di recuperare qualche avanzo. Se lo facevano i gabbiani con le navi, era plausibile che lo facessero anche le aquile con le carovane.
Si disinteressò dell’uccello e lasciò vagare lo sguardo sulla colonna: il generale Kierev aveva mandato addirittura il capitano Arahad, che passava per essere il suo miglior ufficiale, a comandare la spedizione. Il plotone di soldati, a parte lui, era composto da elementi scelti, e anche sui carri c’erano solo veterani dai nervi saldi.
Il principe Dewrich, in armatura completa, stava girando su e giù in sella al suo intrattabile roano, che impaziente di partire frustava l’aria con la coda e scalpitava sul selciato. Il ragazzino, gli pareva di ricordare che si chiamasse Herich, montava una snella puledra grigia. Accanto a lui, su un mulo di proporzioni commisurate al suo fisico, c’era un imponente chierico di Dras.
Seguivano le truppe una serie di carri con i bagagli pesanti e le salmerie. In fondo c’era un carro più piccolo e completamente coperto. Il veicolo era di foggia civile e proveniva direttamente dal palazzo reale.
A un segnale del principe Dewrich, la colonna si mise in marcia. Dalla piazza d’armi percorse tutta la Via d’Onore tra due ali di folla esultante, quindi uscì dalla porta orientale e prese quella che nei tempi antichi, quando il Daishrach era ancora un territorio vasto e potente, veniva chiamata la via di Dras.
Da allora erano passati decenni e le sempre più frequenti incursioni dei predoni di As’del avevano reso pericolose le regioni di confine. A parte chi doveva recarsi agli antichi templi, erano pochi i coraggiosi che si avventuravano in quelle zone ormai selvagge.
Il cielo era terso, solcato da poche nuvole. Una lieve brezza faceva ondeggiare le messi ormai pronte per la mietitura. Res si rallegrò che il caldo non fosse ancora quello della piena estate, perché altrimenti marciare sotto il sole con l’armatura d’acciaio e lo scudo sarebbe stata una pena.

Nello stesso momento, Herich si guardava intorno, vagamente intimidito dagli enormi spazi aperti che di colpo si trovava davanti. Fino a quel momento era uscito poche volte dalla città, e sempre verso le regioni occidentali, dove i monti Kelis creavano piccoli declivi, foreste e anfratti ombrosi.
Quella pianura che si perdeva all’orizzonte gli dava una strana inquietudine.
Che meraviglia, vero?” disse Dewrich al suo fianco. Aveva la testa alta e un’espressione spavalda sul volto pallido. Il vento scherzava appena con i suoi capelli scuri e con la criniera del suo cavallo. “Vuoi fare una corsa?” gli propose.
Ma io...” istintivamente si voltò verso Cresdan.
Il fratello notò il gesto e disse: “Non essere sempre così fifone, Herich. Come farai a diventare re dopo nostro padre, se non hai nemmeno il coraggio di galoppare un po’ su questi prati?”
Questi non sono prati, sono campi,” obiettò il più giovane, “e se li roviniamo?”
L’altro alzò gli occhi al cielo come di fronte a un puntiglio assurdo. “D’accordo,” sospirò, “allora sulla strada?”
Herich si morse il labbro inferiore: a quel punto non poteva più esimersi. “Va bene.”
Ah, ottimo. Fino alla quercia là in fondo, d’accordo? Cresdan, dà tu il segnale di partenza!”
La puledra sembrava aver capito cosa si aspettavano da lei, perché aveva cominciato a scalpitare nervosa, con le orecchie dritte e le froge dilatate. Herich faticava a tenerla. Fissò con apprensione il nastro grigio della strada, il cui lastrico gli appariva quanto mai scivoloso e malsicuro, e si pentì di aver acconsentito alla corsa. Già si vedeva a terra in qualche curva, magari anche con un osso rotto.
Poi l’animale scattò in avanti. Cresdan doveva aver dato il famoso segnale, perché Dewrich era al suo fianco e stava facendo del suo meglio per superarlo. Strinse convulsamente le redini e le ginocchia, con l’impressione di trovarsi in groppa a un dragone di Iarrim. Il vento gli faceva lacrimare gli occhi e gli rendeva difficile respirare. Per quel poco che riusciva a vedere, la quercia solitaria si stava avvicinando a velocità vertiginosa.
Arrivarono all’albero. Il cavallo di Dewrich, addestrato da guerra, girò stretto intorno al tronco e ripartì nella direzione opposta, ma la puledra rischiò di scivolare e Herich dovette aggrapparsi alla criniera per non essere sbalzato a terra.
È bello, vero?” esclamò Dewrich al suo fianco, spronando il cavallo per fargli aumentare ulteriormente l’andatura.
Concentrato nel compito di rimanere in sella, il ragazzo non rispose.

Lentamente i campi coltivati si trasformarono in una steppa incolta. Le case coloniche, prima disseminate un po’ ovunque, divennero sempre più rare e poi scomparvero del tutto, lasciando il posto a qualche rudere abitato dai corvi. Dopo il crocevia di Luktavn, la strada lastricata venne sostituita da una larga pista di terra battuta.
Sorsero rilievi montuosi, dapprima appena dei corrugamenti del terreno, poi pian piano tali ondulazioni si alzarono fino a diventare una parete montuosa scabra e rossiccia, ai cui piedi si muoveva la spedizione.
Herich si voltò verso il fratello: “Che monti sono questi?”
La Cresta di Kenegan, la seguiremo fino alla gola di Os’lak.”
Dove c’è il Primo Tempio?”
Esatto. È strano pensare che una volta la Capitale fosse qui, non è vero?”
Già.”
Il ragazzo si guardò intorno. A parte il sibilo del vento, c’era un silenzio raggelante. Cosparsa di duri fili d’erba, la pianura sembrava disabitata e inospitale. La falesia che stavano costeggiando si faceva più incombente a ogni passo.
Di tanto in tanto si vedevano in lontananza pezzi di muro, a volte anche qualche arco. Il candore dei blocchi di marmo che spuntavano dalla terra faceva pensare a vecchie ossa consumate dalle intemperie. Herich non poté fare a meno di notare che la pietra era la stessa con cui era stato edificato il palazzo reale di Dyat.

Era pomeriggio inoltrato quando il capitano Arahad diede l’ordine di allestire il campo per la notte. La luce stava scemando rapidamente, il freddo cominciava a farsi sentire. In lontananza si udivano i richiami rochi dei tanroth-ath.
Res fece scorrere lo sguardo sull’orizzonte. Animali strani non se ne vedevano, ma la cosa non lo tranquillizzò per nulla. Peraltro, gli animali erano probabilmente il problema minore di quelle regioni inospitali, battute in lungo e in largo dalle bande di predoni che sconfinavano dalle steppe di As’del.
Di sicuro la voce del loro passaggio era già arrivata alle orecchie di chi di dovere, e presto avrebbero dovuto prestare molta attenzione alle incursioni notturne.
Si voltò verso il capitano Arahad, che stava parlando con il principe Dewrich e pareva piuttosto sicuro di sé. Sapeva che aveva combattuto, ma era troppo giovane per aver preso parte a qualcosa di più serio di scaramucce di confine. Si augurò che fosse almeno un uomo di buon senso.
Alzò lo sguardo e vide che nel cielo roteava un rapace. Si fece ombra con la mano per vedere meglio e notò che si trattava di un’aquila.
In quel momento si fece sentire una voce irata: “Tu, laggiù! Credi di essere in taverna a fine servizio? Datti una mossa!”
Il soldato raggiunse gli altri.
Presto sorse una palizzata tutt’intorno all’accampamento e furono organizzati posti di guardia. La tenda dei principi fu allestita al centro del campo, in mezzo a quelle dei soldati. Venne distribuito il rancio.
Seduto in un angolo in disparte a consumare la sua razione, il soldato lasciava vagare sul campo uno sguardo stanco. Come sempre verso quell’ora, il suo problema si faceva sentire e i crampi gli facevano dolere tutti i muscoli. Si portò il cucchiaio alla bocca, ma la mano gli tremava talmente forte che quasi gli cadde per terra il suo contenuto. Lo ripose nella gavetta.
In quel momento notò che il giovane principe gli si stava avvicinando. Represse un’imprecazione: non era il momento.
Del tutto inconsapevole del suo malessere, il ragazzo lo raggiunse e lo salutò. “Posso stare un po’ qui con te?” gli chiese.
Res strinse i denti. “Sei il principe, puoi stare dove vuoi.”
Il ragazzo lo fissò incerto, poi si sedette su un sasso poco distante. Per un po’ rimase in silenzio, poi gli chiese: “Sei stanco, Res?” Notò che il recipiente che aveva in mano era ancora pieno a metà. “Non ti va di mangiare?”
Il soldato emise un sospiro. “Principe...”
Il ragazzo assunse un’espressione preoccupata. “Ti disturbo, per caso?”
Res scosse la testa. “Questo non è il tuo posto, principe. Non è opportuno che tu stia in mezzo ai soldati semplici.”
Il ragazzo sgranò gli occhi. “Perché?”
Prima che l’uomo potesse rispondere, si udì un brusco richiamo: “Herich!”
Il giovane principe si girò di scatto, poi tornò a voltarsi verso l’uomo. “È Dewrich,” disse, quasi in tono di scusa.
Ti vuole dire, principe, che non è opportuno che tu stia qui. Il tuo posto è in mezzo ai nobili.”
Herich!”
Il ragazzo corse via.
Res rimase a seguirlo con lo sguardo. Lo vide raggiungere il fratello e sentì il maggiore dirgli qualcosa alzando la voce. Il più giovane ritirò la testa fra le spalle ed egli dovette distogliere lo sguardo mentre un fremito di rabbia lo invadeva. “Non è il caso,” si disse a mezza voce, “gli creeresti più problemi che altro.”
Riprese la gavetta e ricominciò a mangiare, portandosi il recipiente vicino alla bocca per evitare che il tremito della mano, nel frattempo diventato più intenso, gli facesse rovesciare il contenuto del cucchiaio.

§

Herich riaprì gli occhi indolenzito dappertutto. Non aveva mai dormito su un letto da campo e gli sembrava di essere stato tutta la notte sulla dura pietra. Il sole stava sorgendo, da una fessura della porta penetrava un raggio dorato, che faceva brillare i fregi della sua veste da cerimonia.
Si guardò intorno: da dietro una tenda proveniva il russare regolare di Cresdan, ma il letto di Dewrich era vuoto. Da fuori provenivano voci e ordini gridati.
Emise un sospiro e si passò una mano fra i capelli arruffati dal sonno. Aveva sognato di nuovo Resen-Lhaw. Questa volta il guerriero, sempre girato di spalle, gli era apparso così vicino che per un breve attimo aveva creduto di poterlo finalmente toccare. Ricordava ancora le proprie dita che quasi sfioravano la rossa cotta d’arme dell’eroe.
Si mise a sedere sul letto, e in quel momento i lembi dei teli che chiudevano la tenda si sollevarono ed entrò Dewrich. “Hai dormito bene, fratello?” gli chiese.
Sì, benissimo,” disse subito il ragazzo.
Allora vieni, il cuoco ha preparato la colazione.”
Herich si alzò un po’ perplesso. Nella sua breve vita non gli era mai capitato di alzarsi dal letto e andare a mangiare così com’era. Di solito la colazione era preceduta da lunghi preparativi, e da una scrupolosa vestizione. Uscire così lo faceva sentire nudo.
Ti muovi?” lo richiamò il fratello.
Ma io...”
Forza! Se fa tanto di alzarsi anche Cresdan, per noi non rimane più neppure una briciola.”

La giornata trascorse così uguale alla precedente da far credere a Herich che fosse esattamente la stessa: il paesaggio era talmente monotono che se non fosse stato per i rumori della colonna in marcia, avrebbe pensato di essere sempre fermo nello stesso posto. Il cielo si era fatto bigio, lattiginoso, e nemmeno il movimento del disco solare dava un’idea del passare del tempo.
Talvolta si incontravano scheletri abbandonati lungo la via, più spesso di cavalli o bovini, ma ogni tanto anche umani, a testimonio dei numerosi pericoli di quella desolata contrada.
La sera venne di nuovo allestito l’accampamento, con l’unica differenza che Herich non tentò più di avvicinare il soldato. A prescindere da ciò che l’uomo gli aveva detto su quale fosse il posto più opportuno per lui, aveva la sensazione di dargli fastidio, o forse di metterlo a disagio. Si mantenne accanto alla tenda e la abbandonò solo quando il capitano Arahad lo invitò accanto al fuoco a condividere con lui e Cresdan un po’ di vino col miele.

Il giorno successivo cadeva una pioggia battente. La visibilità era ridotta a poche centinaia di piedi, l’aria era opaca, immobile e fredda, la falesia era una vaga ombra scura che incombeva sulla spedizione. L’acqua impregnava e appesantiva ogni cosa.
I cavalli scuotevano di tanto in tanto la criniera, lanciando spruzzi tutt'intorno.
Avvolto in una mantella cerata, il cappuccio tirato fin sugli occhi, Herich procedeva in silenzio.
Stava quasi sonnecchiando in sella, ipnotizzato dallo scrosciare della pioggia e dai monotoni rumori della colonna in marcia, quando un grido lo riscosse bruscamente: “Tanroth-ath!”
Si guardò intorno: la colonna aveva immediatamente assunto una formazione di difesa e i soldati stavano scaricando dai carri le armi lunghe. Un paio di balestrieri approntarono le loro armi.
Dewrich estrasse la spada e gli disse: “Resta vicino a Cresdan e non muoverti per nessun motivo.” La voce aveva un tono di apprensione che costrinse Herich a deglutire spaventato.
Passarono angosciosi secondi, poi vide due figure avvicinarsi rapide: erano quadrupedi che procedevano a balzi, grandi come un cavallo, con una lunga coda irta di aculei e i corpi coperti di squame sul bruno-verde.
Il muso, lo vedeva sempre meglio man mano che le bestie si avvicinavano, era una specie di cranio allungato e scarnificato, appena coperto da uno strato di pelle. Avevano chiostre di zanne seghettate lunghe almeno quattro dita.
Per i volti di Dras,” mormorò Herich.
Sono della razza che non vola,” constatò Cresdan al suo fianco. Poi, in tono rassicurante: “Resta accanto a me, ragazzo. Conosco qualche incantesimo difensivo che può fare al caso nostro.” Subito dopo cominciò a salmodiare in tono monocorde in una lingua sconosciuta.
La puledra alzò la testa e appiattì le orecchie. Tentò di scartare.
Buona,” le raccomandò Herich.
Le due bestie intanto si stavano avvicinando. I balestrieri scaricarono le loro armi, ma i dardi rimbalzarono sulle squame dorsali delle creature.
Negli occhi o nella gola!” urlò una voce, e Herich fu quasi certo che fosse quella di Res.
Cresdan continuava a salmodiare e presto il ragazzo ebbe l’impressione che ciò che stava succedendo gli giungesse ovattato, come da una grande distanza. I suoni si erano fatti flebili, l’aria era immobile. “Che cos’hai fatto?” chiese.
L’altro alzò le spalle. “Solo un piccolo cerchio di protezione, così quei due mostri non si accorgeranno nemmeno di noi.”
Non potevi farlo per tutti?”
Nemmeno il Grande Sacerdote potrebbe, mi dispiace.”
Ma così tanti soldati moriranno!” E nel dire ciò, si accorse di aver rivolto il pensiero a Res.
La risposta lo gelò: “Sei tu quello che deve rimanere in vita, ragazzo mio. Ai soldati spetta di morire per proteggerti.”

I soldati nel frattempo si erano attestati in posizione difensiva, puntando i calzuoli delle picche sul terreno e rivolgendo le punte in direzione dei due tanroth-ath. Il più piccolo dei mostri, forse più giovane e inesperto, non riuscì a interrompere la carica e se ne piantò parecchie nel corpo, ma l’altro scartò all’ultimo momento e balzò sul fianco della formazione per attaccare in posizione di vantaggio.
Chiuso nella sua bolla magica, Herich seguiva lo scontro con l’impressione di assistere a qualcosa che si svolgeva a miglia e miglia di distanza.
Vide il tanroth-ath più grosso torcersi nell’aria come una specie di serpente, poi assestare una zampata a un soldato, fargli perdere l’equilibrio e intercettarlo a metà della caduta con un morso. Lo vide sollevarlo di peso, scrollarlo e lanciarlo da una parte come uno straccio.
Poi il mostro diede una seconda zampata, facendo saltare la testa di un altro soldato. Una picca gli penetrò nel fianco, la bestia urlò di dolore, scartò e menò una sferzata con la coda, ma già un’altra picca era in posizione.
Il mostro più giovane frattanto, pur sanguinando copiosamente, si era rimesso in piedi e stava di nuovo minacciando gli uomini.
Cresdan alzò le sopracciglia e disse: “Già con uno di questi è dura, ma con due...”
Poi videro arrivare Dewrich a cavallo. Imbracciava una picca e si stava dirigendo a tutta velocità verso il più piccolo dei due mostri. Spronò il destriero da guerra e caricò, piantando l’arma in una coscia del tanroth-ath. Questi si girò fulmineo menando una zampata, ma Dewrich era già passato oltre. Il principe scartò, fece una conversione e di nuovo si mise in posizione di attacco. Sfoderò la spada.
Oh, no!” gemette Herich. “Ma che cosa vuole fare?”
Poi vide un soldato che imbracciava con la sinistra il grande scudo rettangolare, e nella destra aveva una spada corta. Aveva il ginocchio destro appoggiato a terra e sembrava che si stesse sostenendo sulla spada. La cresta scarlatta dell’elmo spiccava nel grigiore della pioggia come una pennellata di sangue.
Impassibile si alzò in piedi lentamente e batté la lama sullo scudo per attirare l’attenzione dei mostri.
La bestia più grande si voltò fulminea verso di lui, emise un ruggito che a Herich giunse flebile, ma che faccia a faccia doveva essere assordante. Spalancò le fauci insanguinate e partì in carica.
Quello non ha più voglia di campare,” commentò il chierico osservando la situazione.
Il tanroth-ath travolse il soldato, che cadde all’indietro proteggendosi con lo scudo. Quando furono in corpo a corpo, l’uomo strinse la spada e gliela piantò fino all’elsa nel ventre. La bestia saltò all’indietro con un ululato di dolore. Il soldato si rimise in piedi, di nuovo la invitò all’attacco.
Il tanroth-ath si fermò. I fianchi gli battevano rapidi, segno che stava ansimando. Frustò l’aria un paio di volte con la coda, ma rimase immobile a studiare l’avversario.
Il soldato fece un passo avanti, di nuovo batté la spada sullo scudo, ora segnato da profonde intaccature.
La belva scattò. Afferrò l’uomo a mezzo corpo, ma era indebolita e il morso non fu poderoso come il primo. Le zanne scivolarono sulle fasce d’acciaio della lorica. Il soldato le piantò la spada nel collo una volta, due volte, il sangue prese a schizzare, ricoprendolo nonostante la pioggia. Il mostro si torse ululando di dolore, cercò di colpire con la coda, ma infine si accasciò e rimase immobile.
Il soldato si svincolò dalla sua presa, poi si raddrizzò e si sfilò l’elmo, rivelando capelli di un biondo chiarissimo. Piegò la testa all’indietro e lasciò che la pioggia gli cadesse sul volto e lo lavasse.
Res!” esclamò Herich.
Sai chi è?” chiese Cresdan stupito.
So solo il suo nome,” rispose avvilito il ragazzo.
Ha coraggio,” osservò il chierico, “ma combatte come se volesse morire.”
Herich lo fissò stupito. “Cosa?”
Ma Dras evidentemente non lo vuole ancora fra i piedi,” continuò pacifico il sacerdote, seguendo il filo del suo ragionamento, “si vede che quaggiù ha ancora qualcosa da fare.” Poi dissolse la bolla di protezione. Subito i suoni tornarono normali e l’aria riprese a muoversi. Herich rabbrividì stringendosi nel mantello.
Avrebbe voluto andare da Res, ma era sicuro che il soldato non gli avrebbe permesso di parlargli. Lo vide raccogliere lo scudo e allontanarsi come se non fosse successo niente, con l’andatura ingobbita che ormai aveva imparato a conoscere.
Mentre lo stava ancora seguendo con lo sguardo, si sentì mettere in mano qualcosa di freddo e viscido: abbassò gli occhi e vide che si trattava di un lacerto di carne rotondeggiante e sanguinolento. In un moto di ribrezzo lo buttò lontano da sé, poi cercò di pulirsi contro la cerata fradicia.
Perché l’hai fatto?” gli disse Dewrich al suo fianco, ridendo di gusto, “Quello era un trofeo del mio primo tanroth-ath.”
Che cos’era?”
Un testicolo. Ora vado a prendere l’altro e stasera dirò al cuoco di cucinarlo, dicono che doni forza e virilità. Vuoi assaggiarlo?”
Herich chinò la testa. “Fratello, e tutti i soldati che sono morti? E i feriti?”
L’altro lo guardò come se non capisse. “Che intendi dire?” gli chiese.
Non sei triste per loro?”
Sono soldati, fa parte del loro dovere. Dras li accoglierà e li ricompenserà per il loro sacrificio.”
Ma fratello...”
Quando sarai re dovrai prendere anche decisioni che comporteranno la morte dei soldati. Come farai allora?”
Il ragazzo chinò la testa. Ecco di nuovo la sensazione che Dras gli avesse giocato uno scherzo crudele: perché aveva scelto lui? Non aveva nessuna delle doti che si richiedono a un re, mentre suo fratello le possedeva tutte dalla prima all’ultima. “Cresdan?” mormorò.
Sì, principe?”
Gli dei non sbagliano mai?”
L’altro emise un sospiro. “Gli dei fanno cose che noi non abbiamo gli strumenti per capire.”
E allora perché facciamo quello che ci ordinano, se non ne capiamo il motivo?”
Forse perché gli dei sono come dei genitori e noi come bambini piccoli. Quante volte tuo padre ti ha fatto fare qualcosa che non capivi? Poi crescendo si comprende il motivo di ciò che da bambini ci pareva assurdo.”
Ma noi non cresceremo mai, rispetto agli dei,” rispose il ragazzo, poi spronò la cavalla e si allontanò prima che il chierico potesse replicare.
Girò per un po’ ai margini della carovana, osservando i soldati che raccoglievano i caduti e scavavano buche per seppellirli, ascoltando distrattamente le parole di Cresdan che distribuiva erbe e incantesimi curativi. La pioggia portava via il sangue, quello degli uomini e quello dei mostri, lo faceva penetrare nella terra, dove forse avrebbe fornito nutrimento per delle nuove vite.
Osservò un rivolo rosso che serpeggiava nel fango, diventando via via più sbiadito mentre la pioggia lo diluiva.
Forse era quello in significato finale di essere dei sovrani: diventare parte attiva in quel grande ciclo, decidere dove si sarebbero spente delle vite e dove ne sarebbero state generate altre. Avere la saggezza di capire quando e dove ciò dovesse accadere.
Strinse le dita sulle redini mentre i soldati finivano di ricoprire le buche che avevano scavato per i compagni. Non si sentiva pronto per questo, era un peso troppo grande.
Cercò con lo sguardo Res e notò che il soldato lo stava fissando. Aveva un’espressione cupa, consapevole. Sembrava quasi che gli stesse leggendo nel pensiero.
Gli fece un cenno con la mano, ma l’uomo gli voltò le spalle e si allontanò.

§

La spedizione proseguì giusto quanto bastava per allontanarsi adeguatamente dal luogo del combattimento, poi Arahad diede l’ordine di erigere la palizzata, piantare le tende e accendere i fuochi da campo. Fece raddoppiare le sentinelle.
Aveva smesso di piovere. La luce stava scemando e tutto si confondeva in una nebbia che andava facendosi sempre più densa.
Le tende furono piantate, il rancio cotto e distribuito. Chi era ferito fu visitato dal chierico.
Calò la notte.
Attorno a un fuoco, alcuni soldati consumavano la razione e intanto parlavano fra loro. Forse per l’euforia di essere ancora vivi nonostante l’attacco dei due tanroth-ath, erano tutti piuttosto vivaci.
Uno saltò su e propose: “Che ne dite di una canzone?”
Giusto!” approvò un altro, “Va bene quella del Leone Rosso?”
Sì, sì! Il Leone Rosso del Waerund!” esclamarono altre voci.
Venne intonato il canto. Tutti coloro che non avevano compiti particolari da svolgere si unirono al coro, alcuni battendo il tempo con il bicchiere di latta contro qualcosa di duro.
In disparte come sempre, Res prestò solo un orecchio distratto a quei vigorosi vocalizzi. Finì di mangiare, aggrottò le sopracciglia alla salva di acclamazioni che fece seguito alla conclusione dell’ultima strofa, poi lentamente si alzò e si avvicinò al fuoco.
Tre urrà per il Leone Rosso!” stava proponendo uno dei più eccitati.
Res li fissò serio per un po’, infine con durezza proferì: “A me risulta che le cose siano andate in modo diverso.”
Per quanto avesse parlato con un tono di voce neutro, la frase ebbe il potere di far calare il silenzio. Tutti si voltarono nella sua direzione. “Che intendi dire?” chiese uno dei soldati.
La storia dell’eroe è una montagna di frottole, che solo allocchi creduloni come voi posso prendere per buona.” Parlava a denti stretti, ogni parola era un sibilo rabbioso. Prima che gli altri avessero modo di replicare, proseguì: “A metà della Guerra Orientale, Resen-Lhaw, o se preferite Tjeran Sonse, venne ferito da una freccia mewen. Il guaritore gli somministrò del tau’zeel per aiutarlo a sopportare l'atroce dolore della sua punta avvelenata e lui, invece di rifiutarlo come avrebbe dovuto fare un vero guerriero, ci si attaccò come un infante al seno della madre. La sostanza si impadronì di lui, cominciò a influire sulle sue decisioni tattiche e sul suo comportamento. Il leggendario Leone Rosso divenne pavido e debole.”
Si interruppe, fece scorrere lo sguardo sui compagni seduti intorno al fuoco. Il silenzio si era fatto carico di aspettativa e tutti lo fissavano immobili.
Il massacro di Brielar sarebbe stato una grande vittoria, se Tjeran Sonse non fosse sceso in battaglia imbottito di tau’zeel: mentre i suoi uomini combattevano e morivano, il Leone Rosso del Waerund farfugliava ordini insulsi con la bocca impastata e l’unica preoccupazione che aveva, in mezzo alla carneficina che lui stesso aveva provocato, era salvare la sua miserabile pelle e andare a recuperare la fiala di droga che aveva nascosto tra gli scogli di Brielar.” Fece un’altra pausa, quindi a voce più bassa soggiunse: “Quando tutto fu concluso, re Elkingar gli inflisse giustamente la più terribile delle punizioni: non la morte, quella sarebbe stata un castigo troppo pietoso per gli atti ignobili che aveva compiuto. Lo condannò a vivere con la consapevolezza di ciò che aveva fatto. Lo spogliò delle sue insegne e lo scacciò, e per tutti coloro che avevano creduto in lui, e che non meritavano di scoprire la miseria di ciò che era veramente, fu creata la leggenda che sopravvive ancora oggi.”
Quando Res smise di parlare, per parecchi secondi l’unico rumore che si udì fu il crepitare del fuoco. Infine, un soldato chiese: “E tu come lo sai?”
Lo so.”
Ma figurarsi! Eri là, per caso?”
Sì, c’ero.”

   
 
Leggi le 17 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned