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Autore: Saigo il SenzaVolto    23/09/2018    1 recensioni
AU, CROSSOVER.
Prequel de 'La Battaglia di Eldia'
Boruto Uzumaki, il figlio del Settimo Hokage di Konoha. Un prodigio, un genio. Un ragazzo unico nel suo genere.
Un ragazzo il cui sogno verrà infranto.
Una famiglia spezzata. Una situazione ingestibile. Un dolore indomabile. Una depressione profonda. Un cuore trafitto.
Ma, anche alla fine di un tunnel di oscurità, c'è sempre una luce che brilla nel buio.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. La sua crescita, la sua famiglia, il suo credo, i suoi valori.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. Un prodigio. Un ninja. Un traditore. Un Guerriero.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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TEMPESTA DI SABBIA
 




06 Novembre, 0015 AIT
Terra del Vento
Deserto
16:27

Fu dopo tre giorni che Boruto, Mikasa, Sora, Gray, Mitsuki, Juvia e Shirou decisero di ripartire da Tottori, avventurandosi nelle sabbie implacabili del deserto della Terra del Vento. Camminavano a passo lento sull’immensa distesa di dune di sabbia dorata, proteggendosi con delle cappe bianche dai raggi ustionanti del sole cocente che ardeva sopra questo Paese.

Avevano assunto una guida, che alla fine era finita per essere Kuro, l’uomo allegro della carovana che avevano conosciuto in quei giorni precedenti. Era uno dei pochi uomini, avevano scoperto, che conosceva il deserto come le sue tasche. Tuttavia i sette ragazzini trovavano ancora piuttosto disturbante la sua peculiare allegria e spensieratezza. Nessuno era così felice. Forse solo lui. Immaginare una vita perennemente felice e spensierata come quella di Kuro era difficile. Boruto non era mai stato felice per molto, molto tempo. La sua vita aveva ritrovato la luce solo grazie alla sua nuova famiglia.

Boruto prese un lungo sorso d’acqua dalla sua borraccia. Era calda e non soddisfaceva la sua sete, ma lui sapeva che se voleva restare in vita nel deserto doveva mantenersi perennemente idratato. I suoi stivali affondavano nella sabbia mentre camminava, creando piccole nuvole sabbiose ad ogni passo. Adesso il biondino capì davvero perché la gente della Terra del Vento cavalcava i cammelli e i dromedari. Camminare nella sabbia per lunghe distanze era uno sforzo inutile. E estenuante. Anche usando il chakra, era un processo lento e noioso come il camminare sull’acqua. Se non di più, a causa del caldo. Era difficile concentrarsi su qualcosa quando il proprio cervello veniva bollito nel cranio a causa del calore indescrivibile.

Boruto guardò a Nord, scrutando le falesie rocciose e le dune di sabbia che formavano calanchi nel deserto. Questo era l’unico paesaggio di questa Nazione. Infinite distese di deserto e ammassi sporadici di roccia. Completamente vuoti. Non c’era niente, nessun uomo o animale, che fossero visibili per chilometri e chilometri. Non c’era altro che sabbia, calore e morte. La città-tendopoli di Tottori era stata l’unica eccezione che lui e i suoi compagni avevano visto finora. Spesso i ladri si spostavano da un posto all’altro, a volte attraverso i calanchi, ma sempre in zone piuttosto abitabili. Questo deserto non lo era. Ma era la strada più rapida e diretta verso il confine della Terra del Vento con quella della Terra.

Era quello il posto doveva dovevano andare. Il loro obiettivo, il Ragno della Sabbia, operava proprio lì nel Nord, secondo le voci che avevano sentito e le informazioni ottenute.

“Avremmo dovuto comprare dei cammelli,” disse Gray con un sospiro affaticato.

“No,” ribatté immediatamente Boruto. In precedenza, anche lui aveva accettato di acquistare dei cammelli per il viaggio. Poi però uno di essi gli aveva dato un morso sulla spalla talmente forte da farlo sanguinare. Quella era stata la fine delle trattative. Maledette creature. Le odiava. Avrebbe preferito attraversare a piedi il deserto piuttosto che portare con sé quelle bestie rognose.

“Sarebbe comunque stato meglio che camminare,” brontolò il Signore del Gelo. Lui era della Terra dell’Acqua, e soffriva moltissimo il caldo. Il suo corpo non era costruito per il calore. Il sudore gli usciva dal corpo come onde.

“Che cos’è quello?” domandò all’improvviso Mitsuki, tenendosi una mano sopra gli occhi per ripararli dal sole. Indicava verso Ovest.

Boruto socchiuse gli occhi mentre si voltò verso quella direzione, posando lo sguardo su un immenso muro marrone di sabbia che torreggiava in lontananza. I suoi occhi si sgranarono di botto.

“Una tempesta di sabbia!” urlò Kuro, scattando in una corsa disperata.

Boruto imprecò e seguì la loro guida, imitato a ruota da tutti gli altri ragazzini. Kuro li condusse verso una delle falesie rocciose che punteggiavano i calanchi. Era un imponente monolite di pietra rossa e brunastra che eruttava dalle dune. Massi e rocce più piccole erano disseminati attorno alle falesie, e Kuro prese subito a raccoglierle e impilarle una ad una. Il Nukenin si rese subito conto di quello che voleva fare: un riparo di fortuna.

“Sora, aiutalo!” esclamò il biondino, correndo verso una roccia vicina grande quanto il suo torso. L’afferrò saldamente con entrambe le braccia, mentre il suo chakra si muoveva tra le sue membra per permettergli di sollevare il masso. Il suo amico non esitò, unendo le mani in una complessa serie di sigilli e formulando una Tecnica a bassa voce. Poi, tutte le rocce sparpagliate attorno alla sabbia presero ad avvicinarsi le une alle altre, unendosi assieme attorno ai ragazzi e creando un piccolo rifugio di fortuna. Per fortuna che una delle affinità di Sora era la Terra. Se la sarebbero vista brutta senza di lui.

Fecero appena in tempo a sospirare di sollievo. Boruto poteva sentire il vento ululare con rabbia, anche in lontananza. Lui e tutti gli altri si tennero stretti e vicini all’interno della ‘casetta’ di pietra, sudando copiosamente per il caldo e lo sforzo. Non c’era molto spazio, ed erano in otto. Se prima non si trovavano a loro agio, adesso avrebbero dovuto imparare a convivere con il disagio perenne. Il giovane Uzumaki non era abituato a condividere il suo spazio personale con altre persone. Specialmente quando tutti erano sudati e accaldati.

Poi, la tempesta li colpì. Mikasa gridò mentre un viticcio di sabbia filtrò all’improvviso attraverso un piccolo spazio vuoto nella pietra e le sfiorò una spalla. Le lacerò la pelle con facilità, lasciando una scia insanguinata lungo il suo braccio. Lei indietreggiò col busto, collassando addosso a Boruto. Shirou allora si mosse, sbattendo il suo avambraccio addosso al varco nella roccia, chiudendolo col suo corpo.

Boruto imprecò sottovoce appena vide un’espressione di dolore attraversare il volto del samurai. Premette rapidamente un dito sul suo avambraccio ed evocò un pennello, dell’inchiostro e quattro frammenti di pergamena. Non aveva molto spazio per lavorare, e le sue mani tremavano per il sudore. Sora, Gray, Juvia e tutti gli altri fecero del loro meglio per non muoversi, in modo da non far vacillare la sua calligrafia mentre scriveva. Dietro di lui, Mitsuki stava incastrato tra Boruto e la parete di pietra.

Il risultato fu scadente. Boruto non aveva il tempo di dare ritocchi al sigillo vista la situazione, ma non se ne curò più di tanto. Attaccò i quattro fogli lungo le pareti del loro rifugio, uno in ciascuna delle quattro direzioni cardinali. Unì le mani nel sigillo del Bue e invocò il suo jutsu. “Uzu shōheki no Jutsu!” (Barriera Uzumaki) esclamò.

Le etichette brillarono di una luce blu gelida. Poi, chakra vorticoso e scattante prese a coalizzarsi attorno a tutti loro, avvolgendoli in una sfera. Era come essere racchiusi in una bolla d’acqua. La sfera di energia si muoveva e ruotava come se fosse generata da diversi vortici. Boruto fece un sospiro di sollievo quando il vento si spense e la sabbia smise di imperversare nel rifugio.

Shirou rimosse il braccio da dove aveva bloccato la fessura nella pietra. La sabbia aveva tagliato in profondità nella sua carne. Fino all’osso. Mikasa sibilò per il dispiacere e si mosse rapidamente verso di lui per riparare i suoi danni. Le sue mani brillavano di luce verde mentre le faceva scorrere su e giù lungo la ferita del samurai. A poco a poco, la carne si ricucì. “Grazie,” Boruto sentì la nera sussurrare mentre finiva di guarire il castano. Sorrise, le sue mani tremanti per lo sforzo di mantenere attiva la barriera.

Era un’impressa ardua. Fu sorpreso dall’immane quantità di energia e dallo sforzo che consumava per mantenerla attiva. “Quanto durano di solito queste tempeste?” chiese allora lui a denti stretti.

Kuro si divincolò appena da dietro i corpi di Juvia e Sora. “Oh, una tempesta del genere potrebbe durare giorni. Settimane, anche. Non ne ho vista una così potente da anni. Non c’è modo di dire quanto tempo durerà,” rispose.

Boruto mormorò silenziosamente una preghiera all’Eremita delle Sei Vie. Di questo passo sarebbe morto a causa dell’esaurimento del chakra prima che la tempesta si calmasse. Era una prospettiva poco piacevole.

Passò un’ora. Poi due. Poi tre. Poi quattro.

Alla quinta, Boruto stava tremando violentemente. Non sentiva più le gambe, e crollò in ginocchio. Mikasa lo afferrò d’istinto, reggendolo su di sé. Era praticamente seduto in grembo alla sua amica. La nera lo tenne stretto a sé, ricadendo a sua volta addosso al petto di Sora. Gray, Juvia, Shirou e Mitsuki li sorressero a loro volta con le braccia. “R-Ragazzi?” sussurrò Juvia, tesa.

“N-N-Non so quanto potrò reggere ancora,” esalò Boruto. Le sue dita erano intorpidite e gonfie per lo sforzo di mantenere il sigillo del Bue attivo per così tanto tempo. Il suo petto bruciava a causa del chakra che stava abbandonando sempre più gradualmente il suo corpo.

Mikasa gli porse una pillola da soldato alle labbra. Senza parlare, Boruto la ingerì subito. Sentì i suoi muscoli doloranti sospirare di sollievo mentre l’energia della pillola scorreva dentro di lui. Era temporanea, durava poche ore al massimo, ma era un lusso che avrebbe accettato volentieri. Avrebbe preferito di gran lunga drogarsi con quelle pillole piuttosto che lasciar cadere la barriera ed esporre sé stesso e i suoi amici alla furia degli elementi. Fuori, la tempesta imperversò con nuova intensità.

Un ruggito spaventoso echeggiò in lontananza, rimbombando attraverso i calanchi e attraverso il fragore del vento e della sabbia. Boruto sentì Mikasa rabbrividire per la paura contro di lui. Il biondino si morse la lingua per impedire che le sue membra tremassero, sebbene la sua stanchezza rendesse inutile lo sforzo.

“Per gli dei,” esclamò Kuro. “Che cos’era quello?”

Boruto non lo sapeva. E, a dire la verità, non voleva scoprirlo. Compatì qualsiasi anima potesse trovarsi difronte alla causa di quel rumore; fosse esso un ruggito o il deserto che giocava brutti scherzi. Pregò che fosse quest’ultimo caso. La sua testa affaticata ciondolò sulla spalla di Mikasa mentre la tempesta si intensificava. La sabbia stava divorando la roccia, scavandola poco a poco. Se non fosse stato per la sua barriera, lui e i suoi amici sarebbero morti.

Boruto serrò i denti. Non poteva far cadere la barriera. Ne andava della vita di tutti loro.
 


Gaara cavalcò sopra un nimbo di sabbia mente sfrecciava nel deserto attraverso i calanchi. Davanti a lui, vide un gigantesco muro di sabbia e vento che torreggiava sopra la sua testa per migliaia e migliaia di piedi verso il cielo. Uno dei suoi ANBU gli aveva riferito in precedenza che una tempesta di sabbia si stava diffondendo e imperversando sopra i calanchi a Nord. Non era un evento raro. Certamente non così raro da giustificare il fatto che lo stesso Kazekage dovesse agire.

Ma quando la tempesta prese a crescere e ad infuriarsi ancora di più, Gaara comprese che non era un semplice atto della natura. I suoi sospetti furono confermati quando gli ANBU iniziarono a segnalargli avvistamenti di un’enorme ombra in agguato all’interno della tempesta. E lui sapeva benissimo chi era.

Shukaku.

I ruggiti furiosi dell’Ichibi (Monocoda) potevano essere uditi per miglia e miglia in ogni direzione. Questa zona del deserto era un alveare di ladri e uomini malvagi e meschini, ma erano pur sempre cittadini della sua Nazione. Gaara non poteva lasciarli morire per la rabbia di Shukaku. Era suo dovere, come ex jinchuuriki (Forza Portante) del Demone e come suo amico, cercare di calmarlo.

Il Kazekage guardò verso il cielo. Il sole stava iniziando la sua discesa verso il basso e la luna poteva cominciare ad intravedersi. Era una luna piena. Sukaku sembrava essere più incline ai suoi attacchi di pazzia durante la luna piena. Lui stesso aveva vissuto questa ‘malattia’ per oltre un decennio quando era una Forza Portante, e comprendeva benissimo quella sensazione. Poteva capire la rabbia del suo amico. Ma, nonostante ciò, non poteva permettere a Shukaku di sfogare la sua rabbia in quel modo. La tempesta di sabbia che stava generando avrebbe fatto esplodere i calanchi e distrutto città e villaggi. Avrebbe ucciso migliaia e migliaia di altre persone, proprio come aveva già fatto in precedenza. E avrebbe prosciugato i preziosissimi pozzi d’acqua che sostenevano la gente.

Gaara allungo una mano, le sue dita divaricate mentre entrava nella tempesta di sabbia. La sabbia attorno a lui si aprì come acqua. Formò una bolla d’aria intorno al suo corpo, rendendo più facile vedere e respirare. Poté scorgere l’ombra di Shukaku che incombeva in lontananza. Non era altro che un’indistinta macchia di nero nel mezzo della sabbia brunastra. “Shukaku!” gridò, talmente forte da far spezzare la sua voce.

Tutto ciò che gli rispose fu un ruggito di rabbia e furia. Gaara unì assieme le mani, entrando nell’occhio del ciclone. Il Demone era lì, ruggente verso il cielo. Intorno a lui, diverse dozzine di uomini e donne giacevano morti nella sabbia oppure rantolavano in ginocchio, in procinto di morire a loro volta. Alcuni stavano trascinando i loro amici verso una speranza inesistente lontano dal Bijuu, e altri ancora rimanevano disperatamente in piedi mentre affrontavano la morte per mano dell’Ichibi.

Gaara si accigliò appena vide dei mercenari che tentavano di uccidere il suo amico. Nel suo cuore, sapeva che non poteva biasimarli. Probabilmente, gli abitanti di un villaggio povero li aveva assunti coi loro pochi risparmi perché temevano la furia di Shukaku e li avevano assoldati per difenderli. Doveva ammettere che, semplicemente, stare vicino alla torreggiante creatura di sabbia necessitava una volontà di ferro. Anche dopo tutti questi anni, persino lui sentiva un pizzico irrazionale di timore quando vedeva Shukaku.

Gaara sospirò, alzando un braccio e serrando il pugno. A terra, la sabbia si sollevò e schiacciò i pochi mercenari rimasti. Il loro sangue macchiò la sabbia di rosso, e il Kazekage sperò che questo potesse placare un po' la rabbia del Demone. “Shukaku! Calmati!” gridò ancora nel vento impetuoso.

La sua unica risposta fu un ruggito assordante.

Gaara si raddrizzò, sollevando entrambe le braccia sopra la sua testa. Cominciò a soggiogare la furiosa tempesta prima che potesse esplodere ed espandersi verso il resto del Paese. Era talmente immerso in quel gesto che non vide neanche l’enorme muro di sabbia prima che si schiantasse contro di lui. Fu sbalzato dal suo nimbo di sabbia e cadde sulle dune sottostanti. Un rapido jutsu evocò un viticcio sabbioso che scattò in alto e lo catturò, ammorbidendo il colpo mentre atterrò pesantemente sulla schiena.

Si rimise in piedi lentamente quando un colpo di tosse lo squassò da dentro. Gaara si portò le mani alla bocca mentre sentiva qualcosa di caldo ricoprirgli i palmi. Quando si tolse le mani, si rese conto che erano ricoperte di sangue. Imprecò mentalmente. La sabbia gli era entrata nei polmoni, già da diverso tempo. Avrebbe peggiorato considerevolmente le sue condizioni di salute.

Gaara sapeva che non avrebbe potuto vivere ancora lungo. Lo sapeva, ma non lo aveva mai detto a nessuno. I dottori gli avevano detto che gli erano rimasti pochi anni da vivere. Un decennio, almeno. Forse due, se si fosse preso cura di sé stesso. Ma lui non era sicuro di voler vivere così a lungo. Il suo corpo stava lentamente morendo dall’interno. La Tecnica che Chiyo-baachan (Nonna Chiyo) aveva usato in passato per riportarlo in vita, per quanto potente fosse, non era abbastanza forte da garantirgli una vita lunga. Lui era morto in passato. Davvero morto. Non sapeva dire per quanto tempo, ma era morto.

Il corpo non reagiva bene alla morte. Era un miracolo che non avesse sofferto più danni celebrali di quelli che già aveva quando era giovane. Ed era ancor più un miracolo che fosse stato riportato alla vita. In un certo senso, Gaara avrebbe voluto non essere mai ritornato. La morte era pace. Era così facile scivolare via nell’oblio. Dormire e sognare per sempre. Non sarebbe dovuto tornare nel mondo del dolore e dell’agonia.

Ma lui era tornato. Era tornato e aveva affrontato quel dolore e quell’agonia che l’Akatsuki aveva inflitto a lui e a Shukaku.

Gaara si rimise in piedi mentre il vento lo colpiva. Raddoppiò i suoi sforzi per dissipare la tempesta, anche se Shukaku stava lottando per rafforzarla. I minuti passarono. Poi passarono le ore. La luna piena si alzò, alta nel cielo, e la follia raggiunse Shukaku come sempre. Gaara sapeva che non ci sarebbe stato alcun modo per tentare di ragionare col suo amico in quel momento, sempre se si potesse chiamare ‘amico’ quando era in preda ai suoi attacchi di follia. La luna piena aveva cominciato da settimane a contorcere e deformare la mente del Demone, rendendola irriconoscibile. E nessuno sembrava capirne il perché.

Il sole stava cominciando a spuntare dalle montagne in lontananza quando Gaara riuscì finalmente a soggiogare la tempesta. E mentre la luna tramontava, Shukaku sembrò calmarsi. Quindi, senza dire una parola, la massiccia e pesante bestia di sabbia si inoltrò nel deserto.

Gaara crollò in ginocchio, tossendo altro sangue. I suoi capelli e i suoi vestiti erano intrisi di sudore. Sapeva che aveva abbreviato ulteriormente la sua breve vita combattendo la tempesta. Ma lui era il Kazekage. Era il suo dovere. Se risparmiare alla sua gente la sofferenza gli sarebbe costato la vita, lo avrebbe fatto volentieri. Dopotutto, non era nemmeno la prima volta.

Gaara osservò la figura di Shukaku mentre scompariva oltre le dune.

Allora non lo sapeva, ma quella sarebbe stata l’ultima volta che il Bijuu e il suo ex jinchuuriki si sarebbero incontrati.
 


07 Novembre, 0015 AIT
Terra del Vento
Deserto
06:33

Mikasa cullò disperatamente Boruto tra le braccia. Era rigido come una tavola, ma tremava come se avesse una febbre mortale. I suoi occhi erano chiusi, ma le sue mani stringevano ancora il sigillo del Bue che manteneva eretta la barriera. Era l’unica cosa che li manteneva in vita. Fuori, la nera sentiva il vento che ululava con una furia innaturale. Il suono basso e stridente della sabbia che mangiava la pietra le rimbombava nelle orecchie. Se la barriera fosse caduta, lei era certa che sarebbero morti. Una morte rapida, ma dolorosa. Alla fine non ci sarebbe rimasto niente di loro. Neanche le ossa. Solo polvere.

Accanto a lei, Sora era irrequieto. Sedeva accanto al corpo afflosciato di Boruto assieme a Gray, Shirou e Mitsuki, mentre Juvia stava dietro di lei assieme a Kuro. Tutti quanti aprivano e stringevano i pugni furiosamente, le loro nocche bianche. Fissavano il biondino tra le sue braccia con timore e preoccupazione, coi denti serrati e la mascella stretta. Sì, Mikasa poteva capire la loro sensazione. La sensazione di impotenza. Essere in una situazione disperata e non poter fare niente per uscirne fuori. Erano alla mercé della tempesta, e tra tutti e otto solo Boruto aveva la capacità di salvare le loro vite.

Non per la prima volta, Miksa sentì l’acida bruciatura della gelosia e della frustrazione arderle nello stomaco. Sapeva di essere forte, sapeva di essere abile, ma in quel momento non poteva fare nulla per aiutare il suo amico. Ancora una volta, proprio come era successo durante l’invasione e la lotta con gli Otsutsuki, Boruto era costretto a mettere in gioco la sua vita per proteggerli. E lei non poteva fare niente per impedirlo.

Una piccola lacrima di disperazione le colò sulla guancia mentre osservava il corpo tremante ed esausto del biondino. Ricordava ancora quanto fosse stato più debole di lei appena si erano conosciuti, quasi sei anni prima. Ma lei lo aveva visto allenarsi incessantemente, senza mai arrendersi, e alla fine lo aveva osservato giungere a nuove vette. Vette che nemmeno lei o Sora avevano ancora raggiunto. Boruto era il più forte, il più intelligente, il più veloce di loro. Era il leader, quello su cui tutti facevano affidamento. Lei invece, per quanto fosse amaro, non era come lui. Non ancora.

Ma le cose non sarebbero rimaste così per sempre, giurò con sé stessa. Anche lei doveva migliorare, anche lei doveva allenarsi. Così da poter aiutare il suo biondino preferito. Così da non dover accollare ogni peso su di lui. Così da potergli restare accanto a testa alta.

Immersa in quei pensieri, Mikasa trasalì appena si rese conto di una cosa. Il vento stava scemando. Il basso suono della sabbia battente che si era riverberato nelle sue orecchie per così tante ore si stava acquietando. Kuro emise un sussulto di sollievo. La loro guida era stata praticamente fuori di sé dalla paura. La nera supponeva che, essendo un abitante della Terra del Vento, avesse molte ragioni per temere le tempeste di sabbia. Esse distruggevano e buttavano caos e morte sulla sua gente. E questa era stata particolarmente potente.

“La tempesta sta passando,” sussurrò Sora, intimorito. Mikasa roteò gli occhi appena sentì Gray esultare volgarmente a bassa voce.

La ragazza attese qualche minuto. Il vento si placò e si stabilizzò nello schema naturale e nella sua forza originaria. Poi, quando la sabbia si fu calmata e sgombrata, Mikasa poté capire che non si trovavano più in pericolo. “Adesso puoi rilasciare la barriera, Boruto,” gli sussurrò dolcemente.

Boruto annuì con fervore e staccò le mani. Le sue articolazioni schioccarono mentre stringeva e apriva i pugni, cercando di riacquisire sensibilità. Attorno a loro, la barriera vorticosa di chakra blu-verde si dissipò con un suono etereo. Un vento piacevolmente fresco soffiò attraverso le fessure del loro rifugio di pietra. Juvia sospirò di sollievo. Era stata così spaventata dalla tempesta che la sua paura l’aveva spinta a pensare a quanto fosse diventato caldo lo spazio ristretto del rifugio. Shirou, in particolare, era bollente come una fornace vivente.

Mikasa sentì il corpo di Boruto afflosciarsi nelle sue braccia mentre cadeva in un sonno meritato ed esausto. Rimase per un secondo preoccupata che potesse aver subito danni nelle riserve del chakra per via della barriera che aveva mantenuto per quasi un giorno intero, ma una rapida controllata la fece rassicurare subito. Stava bene. “Dovremmo muoverci,” disse allora, cullando il corpo di Boruto mentre si alzava, come una mamma con il suo bambino. Lui aveva protetto tutti loro, perciò lei si sarebbe presa cura di lui. “Dove si trova il villaggio più vicino?”

Sora e tutti gli altri si alzarono a loro volta ed uscirono dal rifugio. La nera trasalì appena sentì le loro ginocchia schioccare in modo udibile. Doveva essere stato molto scomodo per tutti loro restarsene fermi in una posizione per tutto quel tempo. Eppure, avevano sopportato il dolore.

La loro guida respirò una boccata d’aria fresca mentre un ghigno allegro contornava i suoi lineamenti. “Ah, amici miei, siamo finalmente liberi! Il villaggio più vicino si trova-” fece una pausa, osservandosi attorno con attenzione. “-a poche miglia in quella direzione!”

Kuro indicò una direzione apparentemente casuale. Non c’erano punti di riferimento. Nessuna stella, nessun grafico o bussola. Nemmeno una mappa. Ma lui indicava e basta. La cosa fece balenare una sensazione di frustrazione nella testa dei ragazzi, ma non avevano scelta che fidarsi. Boruto aveva deciso di assumerlo come guida, e loro avrebbero dovuto fidarsi del fatto che avesse compiuto la scelta giusta.

Il gruppo avanzò sulle dune. Con il peso di Boruto tra le braccia, per Mikasa il livello di concentrazione necessario per camminare sopra la sabbia e non affondare fino alle ginocchia era raddoppiato. Camminarono per ore. Il calore aumentò a dismisura, fino a quando la nera ebbe la sensazione di cominciare a cuocere come un uovo sulla pietra. Tra tutti, Gray pativa il caldo peggio degli altri. Il suo elemento principale era il Ghiaccio. Odiava il calore. La Terra dell’Acqua non era mai stata così calda, nemmeno in piena estate. Anche nelle isole a sud nei tropici, la fresca brezza marina confortava sempre la sua terra natia. Qui invece non c’era sollievo per il caldo disumano.

Poi, il destino sembrò finalmente sorridere loro. Appena i giovani crestarono una torreggiante duna di sabbia, videro alla base un vasto villaggio di capanne di fango. E, con loro enorme gioia e gratitudine, un piccolo fiume scorreva attraverso il bordo del centro abitato. Lungo le rive, piccoli ciuffi d’erba guizzavano nel fango. Persino alcuni rarissimi alberi erano cresciuti attorno ad esso, gettando ombre meravigliose sull’acqua.

Mikasa sospirò, le sue spalle che si rilassarono visibilmente. Acqua, infine. Dolce, fresca, benedetta acqua. Raggiunsero il villaggio dopo dieci minuti. Gli abitanti li fissarono con chiara sfiducia e sospetto, assieme anche a paura, timore e un po' di stupore. Mikasa e gli altri si diressero immediatamente sulla riva del fiume, inginocchiandosi ed osservando l’acqua. Era cristallina. Potevano vedere i loro volti riflessi in essa. Perciò, senza esitare, tutti quanti presero a bere avidamente e con foga. L’acqua era calda, ma rispetto al caldo del deserto era fresca come il ghiaccio.

Appena ebbero bevuto tutti, Mikasa si alzò. “Vado a cercare degli alloggi,” disse. “Badate a Boruto per me.”

Non aveva bisogno di chiedere, ma lo fece comunque. Shirou si portò davanti al corpo privo di sensi del biondino, le sue mani serrate attorno all’elsa di una spada lunga e il suo sguardo serio. Aveva preso sul serio la richiesta. Era quasi spaventoso il livello di dedizione che mostrava. Mikasa pensò che doveva essere qualcosa che aveva a che fare con la relazione tra maestro e samurai.

Il villaggio era piccolo e non aveva né locande né taverne. Fortunatamente però, Mikasa riuscì a contrattare un alloggio presso una famiglia locale. Erano marito e moglie, e i figli erano partiti da casa per cercare fortuna all’estero. I due anziano genitori furono felici di ospitare i giovani… ad un buon prezzo.

Boruto si svegliò brevemente durante il pomeriggio. La coppia di anziani presso cui si trovavano presero ad adorarlo, dicendo che era ’incredibilmente simile al loro ultimo figlio, se avesse avuto i capelli neri’. Gli offrirono una zuppa di cactus, e Mikasa e Sora si divertirono parecchio nel vederlo contorcersi per l’imbarazzo durante le cure dei due anziani. Tuttavia lo lasciarono riposare dopo la cena, e il biondino crollò di nuovo a dormire subito dopo. Era ancora stanco e spossato per le energie che aveva perso, ma si sarebbe rimesso presto.

Mikasa e tutti gli altri si addormentarono beatamente quella notte, grati di essere riusciti a sopravvivere alla tempesta e pregando che il peggio del loro viaggio fosse terminato.

Sapevano tutti che era inutile pregare, però. I problemi sembravano seguirli ovunque andassero. E, seriamente, quando Boruto era intento a guidarli verso i guai, era difficile evitarlo.
 


08 Novembre, 0015 AIT
Terra del Vento
Deserto
10:00

Boruto si svegliò la mattina dopo sentendosi molto meglio. I suoi muscoli gli dolevano ancora un po' sulle braccia e le gambe, ma era prevedibile dopo aver mantenuto la stessa posizione per quasi un giorno intero, stretto tra una roccia e i corpi dei suoi amici, letteralmente. Aveva dormito, però, e dormire in un letto e mangiare un pasto caldo aveva fatto il necessario per migliorare il suo umore. Non aveva nemmeno avuto incubi quella notte, con suo sommo tripudio.

Ringraziò la coppia di anziani che li avevano ospitati, evitando di fermarsi più a lungo di quanto fosse strettamente necessario ed educato. Non voleva che la vecchietta gli pizzicasse di nuovo le guance. Aveva tredici anni, era ancora giovane, ma aveva più sangue lui sulle sue mani di molti altri uomini adulti del doppio della sua età. Odiava essere trattato come un bambino.

I sette amici e la loro guida partirono la mattina presto. Kuro riteneva che fosse vantaggioso viaggiare durante la mattinata, riposare nel pomeriggio e continuare ancora la sera prima di fermarsi per la notte. Massimizzava il tempo di viaggio e li teneva lontani dal caldo torrido del giorno e dal freddo gelido della notte. Il deserto era un avversario troppo potente e volubile per poter essere preso con leggerezza.

Ma Boruto poté dire che non avrebbero fatto molto viaggio quella mattina. Erano appena arrivati a poche miglia a Nord del piccolo villaggio quando sentì il suo occhio destro pulsare. Aveva la sensazione di essere spiato da qualcuno. Qualcuno poco amichevole. Comunicò il suo disagio coi suoi sei amici attraverso dei gesti corporei impercettibili che solo loro capivano: sguardi fugaci, colpi di tosse e tic delle dita. Kuro invece era beatamente all’oscuro della situazione, cosa che era probabilmente normale dato che era un mero brigante e non un ninja.

Chiunque li stesse spiando però era decisamente un ninja. Anzi, più di uno. Boruto se ne rese conto subito dal modo in cui il loro inseguitore o i loro inseguitori fossero abili a celare il proprio chakra. Fu tentato di attivare il suo Dojutsu (Arte oculare) e costringerli a uscire fuori, ma scelse di aspettare. Sapeva di essere seguito, ma non sapeva da chi. Se fossero stati dei cacciatori di taglie, rivelare il suo occhio avrebbe ulteriormente dato loro conferma di essere il bersaglio che cercavano. Ma se avesse atteso, forse e solo forse, i loro inseguitori li avrebbero lasciati in pace.

Quella speranza fu distrutta quando un punto nero comparve dinanzi a loro nella sabbia. Appena lo videro, Boruto e il suo gruppo smisero di camminare di botto. Il punto era in lontananza, ma non si muoveva. Poi, venne raggiunto da altri tre. Insieme, i quattro puntini neri avanzarono verso di loro. Una volta giunti abbastanza vicini, il biondino poté vedere le fattezze del loro capo. Era un uomo alto con una fronte ampia e un grande naso. Indossava un completo di stoffa nera che gli copriva la testa con un cappuccio, sopra cui erano stati ricamati due occhi bestiali. La sua faccia era abbronzata, ma era tatuata con dei simboli violacei di guerra sotto gli occhi, sulle guance.

Boruto aveva visto abbastanza volte il Kazekage Gaara per poter affermare che quell’uomo era il suo fidato consigliere e fratello: Kankuro della Sabbia. E il biondino riconobbe anche i tre ragazzi che lo seguivano a ruota. Ricordava di aver intravisto Shinki durante gli Esami di Selezione Chuunin, durante uno scontro preliminare prima del suo. La minacciosa nuvola turbinante di sabbia ferrifera che indossava sulle spalle come un mantello confermava che era proprio lui. I suoi compagni di squadra stavano alle sue spalle, un ragazzo con un cappotto leggero brunastro e con una pallida imitazione delle maschere da cacciatore della Nebbia sul volto, assieme ad una ragazza coi lunghi capelli biondi e graziosi occhi grigiastri. Portava un grande ventaglio sulla schiena.

Un imprevisto inaspettato. Boruto non si aspettava di incontrare dei ninja alle loro calcagna così a Nord. Supponeva avesse senso, comunque. Suo padre era un grande amico del Kazekage. Non faceva fatica a credere che gli avesse chiesto di mandare uomini a cercarlo per tutto il Paese.

“Boruto Uzumaki,” disse Kankuro, la sua voce dura. Riecheggiò sulle dune di sabbia con forza. “Come favore nei confronti di tuo padre, il Kazekage ci ha incaricato di catturare te e i tuoi amici e di rispedirvi a casa. Gradiremmo la vostra collaborazione.”

Il Nukenin lo fissò con disprezzo. Non aveva nessuna intenzione di collaborare con un uomo che lo avrebbe condotto in una cella della prigione di Konoha, lontano dai suoi amici. Posò una mano dentro alla sua borsa da viaggio, estraendone il suo coprifronte sfregiato e legandoselo sulla testa. Le sue labbra si incurvarono in un cupo sorriso mentre vedeva gli occhi dei suoi inseguitori indurirsi e farsi freddi. Kankuro, in particolare, s’irrigidì quando vide il taglio sulla fascia del coprifronte.

“Capisco,” disse quest’ultimo, estraendo un rotolo lungo quanto il suo avambraccio. Boruto lo osservò, affascinato dall’esibizione di una Tecnica di Sigillo straniera. Kankuro appoggiò una mano sul sigillo del rotolo ed una nuvola di fumo esplose da esso.

Il fumo si dissolse, rivelando una marionetta dai capelli rossi che non indossava nient’altro che un mantello nero sbrindellato. Boruto assottigliò gli occhi con ferocia appena la vide. Riconobbe subito quella marionetta. Era il corpo di Sasori, un membro dell’Akatsuki. Come osava quel tipo affrontarlo con la marionetta creata dal corpo di un criminale? Sasori poteva anche essere un mostro, ma era stato pur sempre un uomo un tempo. Usare il suo cadavere come un burattino quando invece avrebbe dovuto essere sepolto con rispetto era un insulto verso la sacralità del corpo umano.

Boruto non avrebbe lasciato impunito un crimine del genere.

“Lasciate a me quello vestito di nero,” ordinò ai suoi amici. Mikasa e Sora annuirono, posando la loro attenzione sui ragazzi dietro l’uomo. Gray e Juvia fecero lo stesso, assumendo delle pose di attacco, mentre Shirou e Mitsuki si portarono d’istinto ai lati del gruppo, creando una formazione a punta di lancia. “Kuro, mettiti al riparo,” ordinò Boruto. La guida si allontanò da loro nascondendosi dietro una duna sabbiosa.

Kankuro emise degli ordini a bassa voce. Due dei suoi studenti, Araya e Yogo, se il biondino ricordava bene, girarono intorno a lui. Shinki rimase affianco all’uomo, il suo mantello di sabbia ferrifera che aleggiava in un campo magnetico che Boruto non riusciva a vedere senza attivare il suo occhio destro. Le due fazioni si osservarono in silenzio.

“Mi prenderò il corpo di Sasori, dissacratore,” sputò velenosamente il biondino, rivolgendosi al maestro del Team avversario.

Un’espressione fugace di sorpresa, rabbia e… timore si contornò sui lineamenti di Kankuro all’udire quella frase. Boruto la ignorò. Si sarebbe preso quel cadavere in ogni caso. Era il minimo che poteva fare per donare pace e rispetto al corpo di un uomo maledetto come lui. “Io non credo proprio,” disse invece Shinki, evocando un burattino di ferro dalla sua cappa di sabbia grigia. Aveva l’aspetto di un orribile abominio scheletrico.

Boruto sentì degli stivali sollevare la sabbia alla sua sinistra e alla sua destra. “Saremo noi i tuoi avversari,” disse Sora, affiancato da una fredda e gelida Mikasa. Poteva vedere Araya posizionarsi dinanzi a Gray e Juvia ed estrarre una spada lunga quasi come lui da un fodero dietro la schiena. Mitsuki e Shirou invece si erano messi dinanzi a Yodo, fissandosi a vicenda con degli sguardi freddi.

Boruto rivolse di nuovo lo sguardo verso Kankuro e Shinki. Poi sorrise. “RAITON: Rakurai!” (Scia di Fulmini) sussurrò. Una cappa di chakra gli bruciò attorno prima di accendersi completamente in una tempesta di fulmini arcuati. L’elettricità saltò dal suo corpo e sfregiò la sabbia, lasciando bolle di vetro fuso con il suo tocco. Ci fu un lampo di panico che pervase i volti dei loro avversari.

Questo fu tutto l’avvertimento che ricevettero.

Boruto balzò in avanti, sollevando sabbia mentre correva diritto. Getti di sabbia rossi come il fuoco brillarono nella scia lasciata dal calore elettrico generato dalla sua cappa di fulmini. Con una velocità inaudita, si portò dietro a Kankuro prima che l’uomo potesse anche solo muovere le dita per far spostare la marionetta di Sasori.

Ma Shinki non era stato preso così alla sprovvista. Un muro di sabbia ferrifera lo circondò mentre il pugno di Boruto sfrecciò verso di lui. Un lampo si levò dalle dita del biondino addosso al ferro, ma il muro non si crepò. Poi il burattino scheletrico dell’avversario si mosse, con gli artigli scoperti per colpirlo. Boruto se ne andò da lì come un lampo, apparendo dinanzi a Kankuro, che ora si era voltato per guardare dove era stato attaccato in precedenza.

Era palese che, nonostante fosse il fratello del Kazekage, quell’uomo non aveva mai combattuto qualcuno veloce come lui. Ma non aveva bisogno di farlo. Boruto vide le sue dita contrarsi e Sasori tornò in vita. Le braccia del burattino dai capelli cremisi si portarono davanti ad esso, mentre dai suoi palmi uscirono dei piccoli tubi. Fiamme rosse eruttarono in una grande esplosione di calore e luce.

Boruto abbandonò l’attacco, osservando mentre un inferno di fuoco cancellava la sabbia su cui si era abbattuto. Restò solo del vetro fuso. Scoccò un’occhiata rapida ai suoi amici. Gray stava duellando abilmente con Araya con una spada ghiacciata, affiancato da Juvia che lanciava aghi d’acqua addosso al nemico. Yodo invece stava tenendo lontano da lei Shirou e Mitsuki con delle raffiche di vento generate dal suo ventaglio da guerra. I due avversari sembravano in difficoltà, e Boruto era certo che i suoi amici potessero uscirne vittoriosi.

Altrimenti… beh, lui avrebbe potuto ucciderli grazie alla sua velocità. Adesso era pronto a fare una cosa del genere. Non stava più combattendo sua sorella e Sarada. Non avrebbe compiuto lo stesso errore di quella volta.

No, stavolta non avrebbe esitato ad uccidere se necessario.

Boruto si rilanciò in avanti, sollevando globuli di vetro fuso. Evitò del tutto il burattino scheletrico di Shinki, bloccando con la sua spada un viticcio di sabbia ferrifera e una raffica di kunai che il corpo di Sasori gli aveva lanciato. Gocciolavano di un liquido colorato di viola: veleno. Boruto sapeva che anche il minimo taglio di una di quelle armi sarebbe stato spiacevole.

Poi, si lanciò di nuovo contro Kankuro. L’uomo era debole nel corpo a corpo, ma era un abile marionettista. Shinki era attualmente distratto con Mikasa e Sora che lo stavano assalendo con attacchi frontali, ma il giovane fu comunque in grado di evocare un muro di sabbia ferrifera per difendere Kankuro. Il biondino stava iniziando a infastidirsi. Affondò gli stivali nella sabbia e cambiò traiettoria, scontrandosi con prepotenza contro il muro di sabbia nera con un pugno. Il suo chakra, potenziato dalla Scia di Fulmini e dall’elettricità, esplose dal suo pugno con uno scoppio udibile. Il muro di sabbia ferrifera si dissolse come niente, divenendo poco più che una nuvola di sabbia scossa da archi elettrici di tanto in tanto.

Boruto ghignò ferocemente. Il Fulmine era il punto debole del Jiton (Arte del Magnetismo).

Kankuro venne investito a quel punto da una scossa elettrica potentissima. Era fin troppo facile scivolare in avanti in mezzo alle nuvole di sabbia. La marionetta di Sasori però si contrasse di scatto con un suono legnoso raccapricciante, e una lama seghettata simile ad una falce spuntò fuori dai suoi avambracci. Boruto si abbassò e si divincolò, evitando le lame intrise di veleno. Posi sferrò un pugno verso la marionetta che schizzò addosso al petto di Kankuro con prepotenza, centrandolo in pieno. L’impatto risuonò con un tonfo sordo e vuoto.

Boruto sgranò gli occhi. “Una seconda marionetta!” realizzò mentalmente. Si voltò di scatto appena vide un secondo Kankuro sbucare fuori da una duna di sabbia e spalancare la bocca con un suono legnoso. Una raffica di aghi schizzò verso di lui dalla marionetta, ciascuno gocciolante di veleno. Il Nukenin imprecò, deviando gli aghi con colpi precisi di spada. Mentre lo faceva, attivò momentaneamente il suo occhio destro senza essere visto, cercando di capire dove si era nascosto il vero Kankuro. Lo trovò immediatamente. L’uomo si era, ad un certo punto, sostituito con una terza marionetta, ma il suo occhio lo aveva percepito mentre si nascondeva dietro una duna ad appena qualche centinaio di metri di distanza.

Appena ebbe finito di deviare gli aghi, Boruto alzò il braccio sinistro e puntò il dito verso il punto dove il suo avversario si nascondeva. Un fulmine azzurro schizzò fuori dal suo braccio e si lanciò in avanti. Infilzò la duna di sabbia, sollevando una nuvola di polvere che brillò di rosso per il calore. Kankuro sbucò fuori dalla sabbia a sua volta, il suo viso contratto in una smorfia.

Boruto trasalì. Un possente pugno di sabbia ferrifera si stava scagliando addosso a lui. Sfrecciò via con la sua velocità soprannaturale, e l’attacco centrò la sabbia con un tonfo sordo. Shinki si portò accanto a Kankuro, visibilmente spossato e ansimante. Mikasa e Sora si avvicinarono a loro volta al biondino.

L’Uzumaki sentì una punta di rispetto nascergli nella mente per quei due avversari. I marionettisti erano considerati deboli, ma lui sapeva che non era vero. Combattere con le marionette richiedeva un’attenta pianificazione, ed era uno scontro che si basava di più sull’astuzia che sulla forza. Quei due stavano combattendo per catturarlo in una prigione di sabbia o per avvelenarlo, il tutto mentre si difendevano contro la potenza di Mikasa e Sora combinata alla sua velocità impareggiabile. Era un’impresa impressionante.

Ci fu un urlo di dolore che fece sussultare le orecchie di tutti. Araya giaceva nella sabbia, il suo cappotto macchiato di rosso da un lungo taglio che percorreva il suo corpo da una spalla all’altra. Gray e Juvia si ergevano sopra di lui, i loro volti soddisfatti dalla vittoria. Era stato semplice per loro, come si era aspettato Boruto. “Juvia! Gray! Aiutate Shirou e Mitsuki,” ordinò. I due annuirono e si unirono agli altri due.

“Shinki, vai anche tu!” esclamò Kankuro.

Il giovane lo guardò con timore ed evidente preoccupazione. “Ma-” protestò.

“Vai!” comandò l’uomo.

Shinki non esitò oltre. Volò verso la sua compagna, Yodo, alla massima velocità. La ragazza stava mandando folate di vento sia a Shirou che a Mitsuki, senza però riuscire a colpirli.

“Andate anche voi due,” disse Boruto ai suoi amici. Mikasa e Sora schizzarono alla carica immediatamente dopo senza la minima esitazione.

Il giovane Nukenin sogghignò. Ora erano solo lui e Kankuro. Poteva farcela. Ma non avrebbe sottovalutato quell’uomo. Non dopo quello che sua sorella e Sarada gli avevano fatto passare. Unì le mani fino a formare un sigillo familiare. Due nuvole di fumo scoppiarono accanto a lui, rivelando due copie identiche del biondino. “Bombe fumogene,” ordinò subito con un ghigno.

“Agli ordini,” echeggiarono i cloni.

.

.

.
 
Kankuro imprecò sottovoce quando due cloni si unirono al Boruto originale. Fantastico. Semplicemente fantastico. Era come combattere contro un Naruto più giovane. Uno che aveva la velocità di un fulmine e che non aveva paura di tagliarlo a fettine con la sua spada. Stava già iniziando a infastidirlo parecchio mentre cercava di evitare i suoi attacchi e sferrargli un colpo – un colpo che non sapeva nemmeno se potesse andare a segno, visto che quel biondino usava una specie di cappa elettrica come quella dei Raikage.

Le sue dita si mossero impercettibilmente, e le sue marionette reagirono. Karasu comparve dinanzi a lui con uno scoppio di fumo, mentre Sasori si piazzò alle sue spalle. Per una qualche ragione, Boruto sembrava deciso a rubargli la marionetta dell’ex membro dell’Akatsuki. Era piuttosto disturbante che un ragazzino giovane come lui fosse a conoscenza non solo di chi era Sasori – alla Sabbia non piaceva nemmeno ricordare della sua esistenza – ma persino che quel burattino era il vero ‘corpo’ dell’ex criminale. Come aveva fatto a scoprire quelle cose?

Poi arrivarono le bombe fumogene. Boruto venne inghiottito completamente da una nuvola di fumo blu fluttuante. Un attimo dopo, il fumo si dissipò come se fosse spazzato via da una folata di vento. Il biondino schizzò in avanti da esso, sebbene Kankuro non sapeva se fosse l’originale o un clone. Le sue dita si contrassero, preparando Karasu ad entrare in combattimento corpo a corpo.

Fu allora che qualcosa si schiantò su Karasu, mandando in frantumi la marionetta e distruggendola completamente. Frammenti di plastica indurita da chakra gli furono gettati in faccia dalla potenza del colpo. Kankuro sentì che qualcosa di invisibile sfrecciava davanti a lui come una folata di vento. Ma Boruto comparve dinanzi a lui, e il marionettista non aveva alcun desiderio di scoprire cosa facesse esattamente il Pugno Gentile al suo corpo. Reagì all’istante, muovendo le dita e facendo volare Sasori verso il ragazzino, colpendolo con le falci seghettate sulle braccia. Boruto le schiaffeggiò via.

Per un momento, Kankuro pensò di aver vinto. L’arsenale di armi di Sasori era completamente ricoperto da un potente veleno paralitico che avrebbe lasciato anche il più forte dei ninja in uno stato quasi comatoso. Ma, a quanto pareva, il veleno non aveva effetto sul quel ragazzino. Come diavolo era possibile? Come aveva fatto a divenire immune ad un veleno simile?

Rasengan!”

Kankuro alzò lo sguardo e posò gli occhi sulla Morte stessa. I suoi occhi si sgranarono. Una vorticosa, ruggente sfera di chakra era appena a qualche metro di distanza dalla sua faccia. Boruto – uno dei suoi cloni, dedusse – era disceso dal cielo con un Rasengan nel palmo della sua mano. Quel ragazzino stava cercando di ucciderlo. Ucciderlo qui, nella sabbia del Paese che lui chiamava casa. Il figlio di Naruto, un uomo che lui considerava e chiamava amico, stava cercando di ucciderlo.

Non c’era niente che poteva fare. Kankuro balzò all’indietro in un disperato tentativo di evitare il colpo mortale. Boruto schizzò verso il basso con ferocia, mancandogli il petto con il Rasengan per un paio di millimetri, e si schiantò nella sabbia. Ci fu un’esplosione di pressione e luce biancastra che accecò ogni cosa. Il marionettista non poté evitare di essere investito da essa, e il suo corpo venne pesantemente travolto e lanciato prepotentemente giù dalla cima della duna su cui stavano combattendo.

Appena si riprese, l’uomo ammiccò diverse volte, incredulo di essere riuscito a sopravvivere. Spingendosi in ginocchio, Kankuro alzò lo sguardo. Boruto – quello vero, dedusse – era inginocchiato sulla marionetta di Sasori. I suoi due cloni tenevano fermo il burattino con le mani, mentre l’originale stava tessendo una serie complessa di sigilli con una velocità soprannaturale. Le sue mani sembravano sfuocate per la rapidità con cui si muovevano. Poi, con uno scoppio di fumo, il burattino di Sasori sparì nel nulla, sigillato via, senza essere più rivisto.

Kankuro imprecò, barcollando in piedi. Prese il rotolo che teneva nascosto dietro la schiena, dove erano nascoste le sue altre marionette. La battaglia non era ancora finita. Nemmeno per sogno. Il suo orgoglio di marionettista non gli permetteva di lasciarsi sconfiggere dopo aver perso ben due delle sue marionette. Aprì il rotolo, lasciando che il suo chakra la attraversasse. “Kurohigi,” (Tecnica Segreta Nera) esclamò ad alta voce, mentre dieci marionette spuntarono fuori con delle esplosioni di fumo. Ognuna di esse era stata creata personalmente da lui stesso e veniva controllata da un suo singolo dito.

La più grande di tutte, un fantoccio con un’armatura a botte sul petto, scattò verso il corpo ferito di Araya. La marionetta lo afferrò e lo ingerì con la bocca, proteggendolo al suo interno e scattando verso la direzione del Villaggio della Sabbia. Con un po' di fortuna, sarebbe riuscito a salvarlo e il Villaggio avrebbe potuto mandare dei rinforzi.

Boruto spostò lo sguardo su di lui, fissandolo con due occhi azzurri freddi e glaciali. Se doveva essere sincero, quello sguardo lo spaventò un po', anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce. Gli ricordava vagamente lo sguardo freddo e pieno di odio di Neji che aveva visto durante gli Esami Chuunin nella Foglia molti anni prima.

I cloni del biondino si dissolsero con uno scoppio di fumo, e Kankuro sentì la morsa della paura azzannargli l’anima mentre il loro chakra ritornò nell’originale. La Scia elettrica che lo avvolgeva prese a sibilare con ancora più intensità di prima. Vide gli occhi del ragazzino guizzare freddamente su ognuna delle sue marionette, irrigidendo il corpo d’istinto. Fece contrarre le dita, posizionandole in formazione di attacco.

Poi, gli occhi azzurri e glaciali di Boruto tornarono a posarsi su di lui, e Kankuro dovette reprimere un brivido. Il chakra attorno al corpo dell’Uzumaki s’intensificò, esplodendo d’elettricità con un rombo tonante. I suoi capelli dorati si rizzarono e i segni sulle sue guance si fecero più scuri e pronunciati.

E, in quell’istante, l’uomo esitò. In quel terribile momento, Kankuro vide davanti a lui un Naruto molto più giovane. Un Naruto ammantato di chakra cremisi con occhi ferali e cicatrici animalesche sulle guance.

Poi, tutto finì.

I suoi burattini erano stati distrutti, e il marionettista sentì l’oscurità strisciare sui bordi della sua visione mentre cadeva sulla sabbia.

“Sensei!” sentì gridare Shinki.

Infine, il buio lo avvolse. E lui non sentì più nulla.

.

.

.
 
Boruto posò gli occhi su Shinki. Il ragazzo abile nell’Arte del Magnetismo si era letteralmente infuriato nel momento in cui Kankuro era stato sconfitto. Quella distrazione però era tutto ciò che era occorso a Mikasa per passagli accanto e abbattere un pugno sullo sterno di Yodo. La ragazza dai capelli biondi crollò in ginocchio reggendosi con le braccia e ansimando. Poi, lo stivale di Mitsuki la centrò sul cranio, e lei non si rialzò più.

Il Nukenin biondo poteva vedere il momento in cui la chiarezza ritornava nella mente di Shinki mentre si rendeva conto di essere circondato da tutti i lati. Privo di alleati e fronteggiato dai sette criminali più ricercati sulla terra. Non aveva speranza di vittoria adesso, ma neanche ora lui poteva abbassare la guardia. La potenza di quella sabbia ferrifera era enorme, e un solo passo falso avrebbe potuto rovinare tutto.

Shinki era in piedi sopra la figura prona di Yodo, una cortina di sabbia di ferro che lo circondava. Il suo pupazzo scheletrico stava respingendo Sora che lo bloccava con colpi di bastone. “Hai perso, Shinki,” dichiarò Boruto. Era abile, certo, ma non avrebbe potuto farcela contro sette avversari contemporaneamente.

Gli occhi del ragazzo della Sabbia erano spalancati e ricolmi di paura mentre guizzavano tra Boruto e il corpo di Kankuro. Il biondino poté vedere il momento in cui l’avversario raggiunse la sua decisione. Era un istinto di base. Combatti, e se non puoi, fuggi.

Ma quel ragazzo non sembrava capire che c’erano nemici da cui non si poteva fuggire. Anche un topo sapeva mettere a nudo le zanne quando il gatto lo metteva all’angolo. Esattamente come si accingeva a fare lui adesso. La sua sabbia grigia si divise in due grossi viticci che si insinuarono addosso a Sora e Gray. I due ragazzi scattarono via dal loro raggio, balzando lontano dagli attacchi. Poi, Shinki caricò verso Boruto.

“Che sciocco,” sospirò mentalmente il Nukenin. Schizzò in avanti come una saetta, preparandosi a finire il suo avversario con una raffica di colpi del Pugno Gentile, ma si fermò di botto quando una massiccia zampa artigliata del pupazzo scheletrico di prima gli roteò addosso. I suoi riflessi allenati gli permisero però di evitarla con facilità.

Shinki era ormai a una manciata di metri di distanza quando Boruto tranciò con la spada la marionetta, distruggendola e riportando la sua attenzione su di lui.

Il ragazzo della Sabbia tentò un ultimo, disperato attacco scattando a sua volta verso il biondino e sputando dalle labbra una portentosa folata di vento e sabbia. Il Nukenin però la percepì in anticipo grazie ad una pulsione del suo occhio destro, e si preparò mentalmente e fisicamente a rispondere a tono.

SUITON: Mizurappa!” (Tromba d’Acqua) esclamò, rigettando dalle labbra una scrosciante massa d’acqua salata.

Le due Tecniche si scontrarono con un boato fragoroso e possente, facendo tremare l’aria con un getto di energia visibile ad occhio nudo. Tuttavia, l’acqua prese a poco a poco a surclassare e dissolvere il vento e la sabbia dell’avversario a causa della sua densità maggiore, e Shinki non poté fare niente se non sgranare gli occhi per il terrore appena vide che il suo jutsu stava per essere sconfitto. Era talmente preso dal tentativo di resistere che non fu nemmeno in grado di vedere che era caduto in trappola.

Le braccia di Mitsuki schizzarono fuori dalla sabbia sotto ai suoi piedi in quell’istante, avvolgendogli completamente il corpo come se fossero due serpenti. Il ragazzo trasalì con sgomento per l’attacco repentino, ma anche stavolta fu troppo lento. Mikasa gli balzò addosso con ferocia e rapidità, sferrandogli un possente cazzotto sulla guancia destra. Il colpo lo centrò in pieno con un suono secco e raccapricciante, e Shinki venne scaraventato con forza e prepotenza addosso ad una duna a venti metri di distanza, sollevando un polverone di sabbia a causa dell’impatto.

Boruto disattivò la sua cappa di fulmini e si avvicinò a passo lento verso il corpo di Shinki assieme a tutti gli altri ragazzini. La battaglia era terminata. E loro avevano vinto.

Si fermarono dinanzi alla figura del ragazzo buttata in mezzo alla sabbia. Shinki era completamente esausto e dolorante, grondante di sudore e sangue sul volto sfigurato, ma era vivo. Fissava i sette ragazzini con uno sguardo misto alla rabbia e al terrore. “M-Mio padre ve la farà pagare per quello che avete fatto,” sibilò dolorosamente, i suoi occhi ricolmi di rabbia e frustrazione.

“Hai perso,” ribatté Boruto, incurante. “Torna a casa. I tuoi amici hanno bisogno di cure.”

Shinki lo fissò con disprezzo. “Mi fai schifo, Uzumaki!” continuò a dire, il suo tono pieno di risentimento e ferocia. “Sei la feccia della peggior specie! Una disgrazia nel nome dell’Hokage! Un traditore come te meriterebbe solo la morte!”

Boruto lo fissò con disinteresse. Mikasa invece non gradì per niente quella dichiarazione, portandosi dinanzi al corpo di Shinki e fissandolo con un’espressione di pura rabbia e ferocia capace di far tremare anche il più coraggioso degli uomini.

L’ultima cosa che Shinki vide prima di sprofondare nell’oblio fu lo stivale della ragazza puntato sulla sua faccia, seguito da un dolore lancinante e dal rumore di denti che si rompevano.

Poi, tutto divenne buio.





 
   
 
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