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Autore: Daleko    23/09/2018    1 recensioni
Era bella, tra le più belle delle nobili della Svevia e forse anche dell'Allemagna tutta, eppure il suo viso era pensoso e intristito. Le lunghe ciglia fremevano nella brezza di fine estate e le gonfie labbra rosee mandavano, sussurrando, dolci parole alla Foresta Nera. Una voce d'uomo la colse d'improvviso, inducendola a voltarsi senza perdere l'equilibrio.
Genere: Fluff, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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6.
 
 
Non vi fu alcuna uscita in città e Katharine trascorse quei pochi giorni chiusa nella sua stanza. Quando tornarono a casa non vi fu nulla di diverso; corse nella sua camera e lì rimase, per due giorni interi, senza mostrarsi a nessun familiare e ammettendo, come uniche visite, quelle delle sue dame di compagnia. Esse avevano il compito di nutrirla, lavarla, vestirla e null’altro, osservando la giovane Hohenstaufen sprofondare in un sempre maggiore mutismo. Katharine divenne estremamente silenziosa, pallida ed emaciata. Rifiutava il cibo, rifiutava la compagnia e piangeva ogni giorno e ogni notte il bel Heinrich che non le andò più a fare visita per i mesi seguenti.

Arrivò l’inverno, e con esso le cose più belle e più tristi dell’anno: i camini si accendevano, la foresta si ricopriva di neve, le persone si coprivano con pellicce e abiti pesanti, l’umore era estremamente allegro o estremamente triste. Le dame di Katharine s’impegnavano a pettinarla nei modi più belli e sensuali che conoscessero, mentre la ragazza evitava finanche di specchiarsi. Novembre giunse e terminò, i giorni di dicembre si susseguirono in fretta uno uguale all’altro, e la vigilia di Natale finalmente arrivò, annunciandosi con un battito di nocche contro la porta.

Il mattino era ancora gelido, Katharine era stava vestita e ora sedeva alla scrivania; era intenta a leggere, approfittando dei primi, veri raggi solari della fredda giornata invernale, e non rispose a quel rumore. Sapevano tutti che quando non voleva essere disturbata si limitava a non rispondere: era così fiduciosa di poter continuare la sua lettura senza altre fastidiose interruzioni. Fu costretta a ricredersi quando la maniglia si abbassò e qualcuno fece il suo ingresso in camera, costringendola ad alzare lo sguardo.
Alla porta vi era il motivo del suo più profondo dolore! Katharine rimase senza parole, dopo tutti quei mesi trascorsi senza vedere il fratello; era sicura che avrebbe dimenticato non solo i sentimenti che le animavano il cuore, ma anche i lineamenti del suo viso. Fu la seconda, errata convinzione da cancellare in pochi secondi; nel momento esatto in cui Heinrich attraversò la soglia, la giovane comprese senza ombra di dubbio di essere perduta.
«Felice vigilia, Kathe» la salutò Heinrich. Alla ragazza sembrò essere diventato ancora più alto, ancora più bello, ancora più affascinante; pareva brillare di luce propria, come una stella. L’osservò nei suoi occhi azzurri, vi ci specchiò in lontananza riconoscendosi in un puntino; il suo riflesso affogava nelle iridi del fratello, terribile quanto precisa metafora della sua vita. Schiuse le labbra pallide per rispondere a quell’augurio, ma non ne uscì alcun suono. Heinrich sembrava imbarazzato, e l’espressione era molto più dura rispetto quella che ricordava rivolgergli: una brutta sensazione annodava lo stomaco della ragazza. «Si approssima il tuo compleanno, Kathe, e spero che tu abbia avuto modo di riflettere sugli avvenimenti degli ultimi tempi. Hai quasi sedici anni ormai, ed è ora che tu ti assuma le tue responsabilità verso la nostra illustre casata. Il nome degli Hohenstaufen non si regge da solo e ognuno di noi è chiamato a mettere a servizio della casata la nostra stessa vita», le spiegava con voce inflessibile. Katharine non sapeva cosa pensare, e l’unica impressione che ebbe fu quella di un discorso imparato a memoria. Dov’erano i sorrisi? Dove, gli abbracci? Perché improvvisamente parlava di casate e responsabilità? Lo vide sospirare, un barlume di affetto represso lampeggiare sul suo volto. «Ci stiamo di molto impoverendo, mia cara sorella, ed è giusto che tu ormai lo sappia, anche se non concerne i tuoi doveri familiari. Ma sei giovane, e sei bella, e come noi tutti dovrai lavorare per la gloria della nostra famiglia» dichiarò. La voce era sì ferma e forte, ma il cuore di Katharine tremava: non riusciva a comprendere cosa Heinrich volesse dirle, e forse in fondo sapeva di non desiderarlo nemmeno. Provò a riaprire la bocca ormai secca e inaridita, ma ancora una volta non riuscì a proferire suono. Heinrich socchiuse gli occhi, il suo volto ebbe un fremito, poi tornò a guardare fisso la pelle giovane e chiara di sua sorella, fermando lo sguardo sul suo viso e sugli occhi già lucidi di spavento. «È per questo motivo che alla vigilia del nuovo anno, fra una settimana, andrai in isposa al duca Hermann von Lothringen. È già tutto pronto» si affrettò ad aggiungere alla fine.
Katharine fu colta da un turbinio di emozioni; era sorpresa, confusa, spaventata, affranta. La testa le girava terribilmente e quando si alzò di scatto ebbe un forte capogiro, rischiando di cadere. Si resse al legno pregiato della scrivania, graffiandolo con le unghie, e vide Heinrich indietreggiare. La porta si stava richiudendo e lei sapeva che non l’avrebbe più rivisto se non con un abito nuziale indosso. «NO! HEINRICH!» urlò fuori di sé; il viso era viola per lo sforzo delle lacrime trattenute e corse verso la porta a braccia protese; conosceva il fratello da così tanto tempo ch’era come se potesse leggerne i pensieri. Già sapeva, nell’istante in cui batté i pugni contro il legno della porta, ch’era stata chiusa a chiave. Sapeva anche che lui non avrebbe riaperto nonostante le urla, i pianti, il suo sfinirsi contro l’uscio colpevole d’essersi richiuso. Continuava a urlare: «Non farmi questo!», e per l’intera notte si udì solo: «Non punirmi così!». La piccola Katharine aveva pregato ogni giorno di quei lunghi mesi, nella speranza del perdono di Dio e del fratello, ma non aveva ottenuto nessuno dei due; così pregò con più forza, più lacrime e più disperazione, con il viso sul tappeto e il corpo stremato per tre giorni interi. Le dame avevano l’autorizzazione a entrare solo accompagnate da Violante, la persona più odiata da Katharine in quelle ore; era sicura, era davvero sicura che quella del matrimonio fosse stata una sua idea per allontanarla da casa, per allontanarla da Heinrich, per punirla di colpe non sue! Così tirò e tirò la scrivania fino a porla davanti alla porta, rendendone impossibile l’apertura. Non mangiò e non bevve per tre giorni, addormentandosi risvegliandosi coi brividi del mattino. All’alba del quarto giorno sentì la febbre scuoterla come una metamorfosi, per un attimo pensò che Dio l’avrebbe presa con sé quel giorno stesso ma poi udì il castello in fermento, solo poche ore dopo, alle prese con i preparativi. Pianse ancora, batté la testa contro il pavimento, urlò dalla disperazione come un animale in gabbia, ed era esattamente ciò che sentiva di essere e ciò che temeva di diventare: un nuovo animale esotico nella collezione Von Lothringen, da esporre in giardino ai visitatori. Poi venne la neve, all’alba del quinto giorno, e Katharine non poté non piangere per la sua foresta. La grande, immensa Foresta Nera che governava da lassù, affacciata a un davanzale che non avrebbe rivisto mai più.
Fu così che la giovane Katharine von Hohenstaufen si ritrovò nuovamente in piedi sulla balaustra che dava all'esterno, protendendosi pericolosamente in avanti. L'espressione triste dipinta sul volto giovanile avrebbe stretto il cuore a chiunque, ma la servitù era intenta nei preparativi per il matrimonio e così il resto della famiglia; inoltre, non è da dimenticare, questa volta la porta di camera sua aveva un lucchetto speciale, fatto di legno massiccio e impossibile da forzare. Era un giorno molto freddo e tutto era ricoperto di soffice neve. Le lacrime le si asciugavano pungenti sul volto pallido e magro, la neve s’impigliava tra le ciglia e le labbra e i capelli; gli occhi restavano aperti nonostante il vento leggero, fissi sulla Foresta Nera ironicamente bianca, ricoperta di neve; Katharine non poteva lasciarla andar via, lei non poteva andar via. Decise così, d’un tratto, che non sarebbe mai stata un animale in gabbia, né dei Von Lothringen né dei suoi stessi Hohenstaufen: aprì le braccia e le tese a mo’ di ali. «Non voglio, mi lascio andare» ripeté con aria trasognata; pensava a Gerald, alle sue parole appena quattro mesi prima. Quella volta il suo caro, caro fratello era riuscita a fermarla sfruttando il suo amore per Heinrich: ma in quel momento, pensò ancora Katharine, non c’era Heinrich a sorriderle e stringerla a sé… Per preservare intatto il suo cuore non le restava che volare. 



 
Note dell'autore
La storia di Katharine termina qui, ma se l'hai apprezzata potrebbero piacerti anche Amore Proibito, Quelle ore buca all'Università, Queste non sono le mie memorie, Quella volta che Michi si è rovinato la vita. Sì, mi piacciono gli aggettivi dimostrativi.

Alla prossima,
D.

 
   
 
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