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Autore: CHAOSevangeline    24/09/2018    4 recensioni
[Banana Fish ]
C’erano questi giorni, in cui i suoi risvegli erano piacevoli.
E c’erano i giorni in cui erano poetici.
Ash sembrava quasi una tela nella cornice perfetta, controluce, i raggi caldi dell’alba ad arrossare i suoi contorni: la punta dell’orecchio, le ciocche dei suoi capelli, le labbra carnose…
Eiji lo vedeva stagliarsi contro il sole e metterlo addirittura in ombra. Sembrava che l’aura intorno ad Ash fosse sua, solo sua e che quell’astro di fuoco capace di scaldare il mondo intero fosse un’insignificante globo freddo e privo di luce alle sue spalle.
Era tutta di Ash, quella luce
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Inserisco delle brevi note introduttive come in ogni mia fanfiction su Banana Fish per rassicurarvi: questa storia è in missing moments che non fa riferimento ad avvenimenti particolari, anche se consiglio di aver visto l'anime fino all'episodio undici per capire l'ubicazione di Ash ed Eiji. In ogni caso, sono assenti spoiler di ogni sorta.
Buona lettura!





 
Aware
(giapponese) - la sensazione agrodolce data da un fugace momento di rara bellezza



 
I risvegli di Eiji sapevano essere piacevoli di tanto in tanto.
Se non erano bruschi, se Kong e Bones non gridavano nella stanza accanto, se non c’era qualche brutta sorpresa e aveva una particolare presenza vicino a sé, ecco, Eiji aveva tutto ciò che gli serviva e li trovava stupendi. Si svegliava la mattina e nel letto accanto c’era Ash, se non aveva scelto di essere mattiniero, addormentato e avviluppato nelle lenzuola. Eiji capiva subito quando era riuscito a godersi una notte di sonno, senza incubi. Quelli erano gli inizi di giornata migliori, quelli che lo facevano canticchiare sottovoce per non svegliare Ash mentre Eiji preparava la colazione in cucina, prima di andarlo a chiamare.
C’erano questi giorni, in cui i suoi risvegli erano piacevoli.
E c’erano i giorni in cui erano poetici.
Ash sembrava quasi una tela nella cornice perfetta, controluce, i raggi caldi dell’alba ad arrossare i suoi contorni: la punta dell’orecchio, le ciocche dei suoi capelli, le labbra carnose…
Eiji lo vedeva stagliarsi contro il sole e metterlo addirittura in ombra. Sembrava che l’aura intorno ad Ash fosse sua, solo sua e che quell’astro di fuoco capace di scaldare il mondo intero fosse un’insignificante globo freddo e privo di luce alle sue spalle.
Era tutta di Ash, quella luce. Gli stipiti della finestra la cornice perfetta per quello spettacolo, con la spina dorsale di Ash che aderiva alla parete.
Aveva un ginocchio raccolto al petto e adesso, Eiji lo vedeva, lo stava guardando.
Ash non aveva più occhi per l’alba, per la sua New York: guardava lui.
Non uno spettacolo, ma un semplice giovanotto che della vita delle bande sapeva poco e nulla, ma quanto bastava di quella di Ash. Un giovane giapponese che cercava di capire cosa farne della sua, di vita, e che aveva trovato al fianco di Ash la propria casa.
Ash aveva scelto di guardarlo prima ancora di averlo sentito muoversi fra le lenzuola – ed Eiji era certo di non aver fatto rumore, tanto era abituato a svegliarsi nel cuore della notte e a guardare Ash senza farsi scoprire.
Il biondo vedeva quel viso addormentato, le palpebre di poco calate sugli occhi e i capelli corvini e arruffati, e pensava che Eiji fosse adorabile.
Non era andato a dormire, Ash, due profonde occhiaie sotto gli occhi.
Eppure trovò la forza di sorridere.
Eiji si chiese in quell’istante se mai avrebbe potuto assistere ad uno spettacolo più bello e umano di quello, perché persino con quelle ombre scure sotto le iridi verdi Ash era stupendo, perfetto nell’imperfezione. Eiji si chiese se fossero quelli i sentimenti, i pensieri che nascono quando l’amore ti carezza il cuore, quando la vera gioia ti travolge perché sei nel posto giusto. Non di chiunque, ma solo tuo; un luogo che per tutti può essere sbagliato, ma in cui tu ti senti bene, a tuo agio. Un posto di cui ti scordi la pericolosità, la crudezza, solo perché c’è quella persona accanto a te. Solo perché lì con lui c’era Ash.
Si chiese se Ash, nel vedere il suo timido sorriso di risposta, avesse provato lo stesso.
Si chiese se quello che sembrava un angelo senz’ali adagiato sul loro balcone potesse riuscire a sentirsi così grazie a lui, un semplice umano.
Si chiese se anche il suo cuore tremasse per un sorriso.
« Ti ho svegliato io? »
E la sua voce, maledizione, era quella che Eiji avrebbe voluto udire come primo suono ad ogni risveglio.
Scosse il capo, stordito, ma non per il sonno: Ash era riuscito a risvegliarlo completamente e a gettarlo in un baratro di confusione, quasi la sua bellezza, il suo sguardo, il suo tono vellutato fossero una droga capace di inebriare e confondere ogni suo senso. Ma era dolce essere ottenebrato a quel modo; Eiji ci avrebbe trascorso la vita in quel torpore.
Mise i piedi fuori dal letto sotto gli occhi vigili di Ash, che scelsero di dargli tregua quasi a concedergli i giusti spazi per scegliere dove muoversi, come farlo. La bestia feroce era domata con Eiji, non doveva temere che calcolasse ogni movimento, che scappasse o diventasse ostile in sua presenza, senza ragione. E anche se lo fosse diventata, ostile, non l’avrebbe ferito. Mai.
Eiji si avvicinò a lui.
E lo faceva sempre, Eiji. Si avvicinava sempre ad Ash perché amava stargli vicino. Amava bearsi della luce che Ash credeva di non avere, figlio delle tenebre; amava godersi il calore che – Eiji questo non lo sapeva – Ash aveva iniziato a emanare da quando lui e soltanto lui aveva iniziato a stargli vicino. Amava dimostrare di essere lì per lui, Eiji, solo per lui, e che poteva riuscire a stargli accanto contro ogni aspettativa di Ash e anche se, come in quel momento, si sentiva schiacciato da una perfezione disumana.
No, era sbagliato.
Quella perfezione era umana.
Ash era perfetto proprio perché umano e la sua bellezza pareva di un altro mondo, discesa dal cielo in un corpo che per molti era divenuto maledetto. Perché Eiji non pensava solo ai suoi occhi di giada, ai suoi capelli d’oro e alla pelle diafana. Eiji pensava a tutto. Sciocco era chi attribuiva tutta la bellezza di Ash all’aspetto fisico: Ash era bello nel carattere ferino, nella testa. Era bello perché fiero, pronto a proteggere. Aveva il fascino pericoloso del predatore, sì, ma anche quello del premuroso capobranco pronto a proteggere dai pericoli sempre in agguato, a sacrificarsi. Ed Eiji questo lo sapeva bene, perché Ash, quell’angelo adagiato sul balcone, lo aveva protetto con le proprie ali milioni e milioni di volte, anche quando non era necessario, anche quando serviva nascondere di aver accusato il colpo. Se esistevano gli angeli della guerra, Eiji credeva Ash fosse uno di loro.
E questo Eiji lo vedeva ed Ash, con la propria intelligenza sopraffine, lo sapeva. Era troppo scaltro per non riuscire a comprendere di essere del tutto nudo e indifeso di fronte a quelle pozze d’ardesia.
Così Eiji si accostò alla cornice della finestra.
« C’è un po’ di posto anche per me? »
Ash parve sorpreso da quella domanda, come se Eiji potesse pensare che starsene seduto sulla balaustra della finestra a guardare l’alba, a guardare sorgere il significato del proprio stesso nome – e a metterlo in ombra, almeno secondo lui – potesse essere una cosa sciocca.
Ed era una contraddizione in questo, Ash, una contraddizione che prevedeva tutto, meno ciò che più andava contro le sue convinzioni. Poteva sapere quanto Eiji lo capisse, poteva esserne conscio e non opporsi, ma da alcune idee non si muoveva: erano le sue insicurezze, i suoi punti deboli.
Nemmeno gli disse che avvicinarsi alla finestra era pericoloso.
Ash aveva già un ginocchio raccolto al petto; occupava poco spazio, ma si spostò quanto bastava per permettere ad Eiji di sedersi contro lo stipite opposto della finestra.
Adesso sembravano un quadro complementare; seduti così, uno di fronte all’altro.
Eiji aveva questa particolarità: quando vedeva qualcosa di bello pensava subito a quale nome assegnargli se avesse potuto immortalarlo in uno scatto. Gli piaceva chiudere gli occhi, reggersi il mento con una mano e pensare ad una propria mostra di fotografia. Quella mostra, nella mente di Eiji, era tappezzata di foto di Ash. Perché era la sua ispirazione, ciò che di più bello credeva esistesse al mondo.
Ash seduto su quel balcone lo avrebbe chiamato “Alba”. O forse “Angelo”. Forse “Salvezza”, ancora, perché Ash gli sapeva di tante cose e anche di questo.
Significati che lui non si sarebbe attribuito.
« Da quanto sei qui seduto? » indagò Eiji.
« Un po’ », gli rispose Ash. « Riposerò più tardi. »
Ad Eiji bastava avere garantito questo, la sua salute, per non insistere. Ancora una volta, Ash lo sapeva.
Così presero a guardare entrambi la New York dorata delle cinque del mattino, il timido sbocciare della vita in strada e il riflesso imponente dei raggi solari sui vetri dei grattacieli.
Eiji si pentì.
Si pentì di aver smesso di guardare Ash e si chiese se avrebbe potuto farlo anche da lì. Poteva guardare Ash, lui? Lo avrebbe perdonato se anche gli avesse rivelato che voleva guardarlo perché lo trovava stupendo e lo scaldava più del sole? O avrebbe pensato che fosse come tutti gli altri?
Si sentiva un intruso in quel quadro perfetto, quasi non potesse avvicinarsi ad Ash e nemmeno al suo splendore.
Ed era vero, dopotutto.
Ma Ash non lo pensava.
Ash guardava il sole all’alba perché pensava che lui di sole ne aveva un altro. Alle cinque del mattino dormiva nel letto accanto a quello in cui riposava lui e quando si stancava del sole, quello vero, ferito anche da lui, prepotente con i propri imponenti raggi rossi, Ash guardava il volto addormentato di Eiji.
Guardava il sole per ricordarsi di un sole che aveva molto più vicino, ma che non voleva consumare, intaccare, corrompere con i propri occhi avidi.
Ash era l’alba di Eiji. Eiji era il suo sole.
Smise di pensarlo sentendo gli occhi di Eiji su di sé. Lo fissava con quelle iridi d’ebano, lo scrutava e sembrava sereno di quella serenità che provi quando stai cercando qualcosa, ma in parte sai di averlo già trovato.
« Cosa succede? »
Come poteva Ash accettarlo tanto vicino a sé?
« No, nulla… »
Come poteva Eiji accettarlo tanto vicino a sé?
Ancora silenzio, ma solo perché Ash aspettava. Cauto lo era con tutti, ma con Eiji solo in quei momenti. Attendeva, come una belva che deve atterrare sulla propria preda. Ma lui non voleva questo. Lui attendeva che Eiji si aprisse. Che per una volta si facesse ascoltare e non ascoltasse lui.
« Ogni tanto ti guardo e mi sento così fortunato a stare accanto a te. »
Ash avrebbe riso. Sfrontato, forse insensibile. Avrebbe riso in faccia ad Eiji di un genuino sarcasmo; perché dopo sparatorie, dopo morti, dopo sangue e orrori vissuti nel presente e raccontati tenendo vivo il passato, Eiji non aveva alcun motivo di rivolgergli simili parole.
« E me lo dici come se mi fossi grato? » domandò Ash con uno sbuffo di risata. « Ti sei forse scordato cosa abbiamo passato… cosa ti ho fatto passare negli ultimi mesi? »
Fare un complimento ad Ash era difficile, perché si sentiva carico di responsabilità che non aveva o forse che Eiji non voleva riconoscergli. « Appuntatelo », pensò Eiji tra sé mentre le guance si gonfiavano in un broncio.
« Ti stavo solo dicendo qualcosa di carino… ti stavo dicendo cosa penso e tu mi ripaghi così? » borbottò. « E poi non è colpa tua, che potevi farci tu?! »
Stava brontolando Eiji, ma Ash parve prenderlo insolitamente sul serio.
« Eiji… » lo chiamò, quasi fosse un passaggio fondamentale per mettere a fuoco i propri pensieri, riconoscerli, analizzarli e raccoglierli in un discorso di senso compiuto. « Chi mi guarda con ammirazione fa sempre una brutta fine. Mi segue ciecamente e viene ferito, oppure non capisce che causo solo guai. Ma tu sei diverso. »
Eiji aveva le labbra schiuse. Ash prese un respiro. Un respiro profondo, che sapeva di lunghi discorsi e fiumi di parole. Un respiro che faceva capire quanto a lungo avesse trattenuto, arginato, seppellito quei pensieri.
« Tu accetti la parte di me che io non accetto e combatti quella che mi ferisce o che ferisce gli altri. Ti ho sempre chiesto se avessi paura di me, ma mi hai affrontato come nessuno ha mai osato fare. Ed era una scusa la mia, sai? Forse speravo mi dicessi che avevi paura. Che ti allontanassi, perché solo così avrei smesso di sentirmi come se la mia sola presenza al tuo fianco potesse corromperti. » Ash si passò una mano sul viso. « Sono patetico, vero? Sono… » Era l’alba che tingeva di rosso le sue gote o era la pelle di Ash ad aver cambiato tonalità? « Sono così felice di averti accanto a me, mi sento così fortunato da volerci sabotare. »
Ash spesso si imbarazzava, ma altrettanto spesso sceglieva la verità. Quella che nella sua purezza sa di non dover provare vergogna in nessuno, né in chi ascolta, né in chi parla.
La mente di Eiji aveva smesso di essere lucida un momento prima, velata di gioia e commozione. Ma quelle parole gli fecero capire cos’era giusto fare: prendere la mano di Ash e stringerla, dargli coraggio.
Ricordargli, insegnargli che stava andando nella direzione giusta.
Perché alle volte le parole non sono sufficienti, alle volte i gesti vogliono dire tutto. Ma alla volte, ancora, hanno bisogno di viaggiare insieme, mano nella mano. C’è bisogno di dire e di fare, di toccare e di far sentire.
Ed Eiji le sentì, quelle dita. Sentì quelle dita sussultare nella propria presa, ma non fu per dispiacere; era tutta l’innocenza di Ash, quella che gli era rimasta nel non aver mai ricevuto simili gesti, a scuoterlo come un fuscello nel vento.
« No, Ash… non ci stai sabotando. E non sei patetico, non lo sei mai », mormorò. « Hai solo paura, perché non sai tante cose, perché il mondo ci è contro. E ne ho anche io. Ma siamo insieme, siamo io e te. E quando penso questo so che tutto andrà bene. »
Eiji gli regalò un sorriso, il più bel sorriso che Ash avesse mai visto. Un sorriso di luce, di conforto. L’unico sorriso che lo avesse mai reso davvero felice.
E con la mano stretta a pugno sotto quella di Eiji, Ash lo vide farsi vicino. Forse si era avvicinato Eiji, o forse si era avvicinato lui per primo.
Le dita di Eiji aprirono il sasso in cui si era chiusa la sua mano, allargarono le falangi a ventaglio e carezzarono il suo palmo, tastando e massaggiando gli incavi a mezzaluna lasciati dalle unghie aggressive.
Vedeva le sue labbra, Ash, rabbrividiva al pensiero del suo respiro caldo. Lo desiderava. Ed Eiji osservava le ciglia bionde calate sugli occhi di giada di Ash. Percepiva la sua esitazione.
Ma quel gesto voleva dire tanto per entrambi. Voleva dire tutto.
Era necessario.
Eiji aveva la dose di timidezza che ad Ash mancava e Ash aveva la dose di ritrosia di cui Eiji era privo.
Il timido ragazzo giapponese prendeva l’iniziativa. Lo spietato killer di New York era un codardo.
Ma smise di esserlo contro quelle labbra. Non ebbe paura, perché lui non aveva paura di Eiji così come Eiji non aveva paura di lui. Erano al sicuro e lo sapevano, in quella cornice perfetta.
Le labbra si muovevano piano, schiuse, i respiri si infrangevano uno contro l’altro come una calma marea.
Le dita di Eiji cercarono il viso di Ash. Dio, quel viso. Anche con gli occhi chiusi lo immaginava, lo vedeva con le dita e non poteva fare a meno di toccarlo.
Ash aveva già baciato. Le sue labbra erano già state violate come il suo corpo da tocchi che si rifiutava di chiamare baci perché lui non li voleva.
Non aveva mai desiderato delle labbra come aveva desiderato quelle di Eiji, non aveva mai desiderato di sentire una lingua danzare con la propria come quella di Eiji. Perché non c’era violenza in lui, c’era solo tutto il desiderio di farlo stare bene.
Ash non aveva mai baciato davvero, prima di quel momento. E quella sua prima volta, quel primo bacio d’amore, lo stava dando alla persona che sapeva di amare. Nessun esitazione in quel pensiero: lui lo sapeva. E lo sapeva perché era stata quella persona, era stato Eiji ad insegnargli come si facesse. Come si amasse, accettando e ricambiando.
E mentre si spingeva su di lui, mentre si gettava fra quelle braccia che lo stringevano come se fosse un dono del cielo mentre lui ascendeva dagli inferi, Ash si sentì al sicuro.
Capì, capì perché amava Eiji: per un lungo, interminabile attimo, Ash si convinse che nulla lo avrebbe mai ferito e che ciò che lo aveva ferito prima non contava più. Eiji gli donava la serenità che non era mai riuscito ad afferrare. Eiji lo curava.
Il cuore impazzito nel petto di entrambi, il sangue nelle labbra e nelle orecchie, pulsante.
Baciati dal sole dell’alba in quel quadro perfetto.
I polpastrelli di Eiji erano ancora sul suo viso, un braccio aggrappato alla schiena e Ash era su di lui, il corpo che lo premeva contro la parete e le dita fra i fili di mogano di Eiji.
Era così innamorato, Ash. Era così innamorato, Eiji.
Lo erano così tanto che quel bacio dato senza esitazioni li aveva fatti tremare, li faceva ancora tremare. Perché si leggevano dentro, ma quando un desiderio è troppo forte, quando senti di volere una sola cosa, confondi ciò che può volere l’altra persona con ciò che vuoi tu e allora ti senti egoista fin quando non scopri che vi completate anche in questo.
E in quel bacio forse spinto per la paura, per la frustrazione, animato come il discorso che avevano portato avanti, c’era solo dolcezza.
Ash la sentiva tutta, la sentiva scorrere dalla propria bocca in tutto il corpo, come il succo dolce di un frutto. Ed Eiji si sentiva vibrare, perché tutto ciò che voleva era lì, fra le sue braccia, sulle sue labbra.
I visi ad un palmo l’uno dall’altro, i petti che si alzavano irregolari e senza fiato mentre ancora le labbra si incontravano, fugaci, insaziabili di nient’altro se non amore.
Ash guardò Eiji negli occhi, ogni difesa abbassata. Se lo avessero colpito allora Ash non sapeva se si sarebbe lasciato uccidere perché ormai aveva tutto, o se avrebbe resistito per questo stesso motivo. Gli scostò i capelli dalla fronte, innamorato anche di quelle ciocche scure, ed Eiji sfiorò le sue labbra sincere con il pollice.
« Se fossimo una fotografia, proprio ora, la chiamerei Amore. »
Non lo pensò, lo disse e basta. Si dichiarò in quell’istante e il cuore palpitò ancor più forte.
Avrebbe voluto entrambi in quella galleria del futuro. Avrebbe voluto Ash che ammirava una loro foto insieme, gli occhiali che indossava quando doveva essere elegante e un cappotto di cachemire che Eiji stesso lo avrebbe accompagnato a comprare. Avrebbero intrecciato le dita e dopo cinque, dieci, vent’anni avrebbero ricordato il loro primo bacio su quella finestra di New York. Se ne sarebbero scambiati un altro per l’occasione.
E Ash gli sorrise. Gli sorrise sincero. Forse un po’ spaventato, ma sincero.
« Pensare a una fotografia in questo momento… » biascicò Ash. « Certo che sei proprio strano », lo prese in giro.
Ma andava bene, era solo per far scemare l’imbarazzo.
Ash si accoccolò contro il suo petto e chiuse gli occhi. Poi alzò il capo.
« Amore. »
Ed Eiji capì.
Capì che Ash si era confessato, che allora non servivano parole e gesti.
Capì che il suo cuore non sarebbe mai stato solo.
Si liberò piano del peso di Ash, i suoi occhi confusi spaventati. Se ne voleva andare?
Eiji non parlò, non serviva, ma lo baciò ancora e Ash si calmò, gettando uno sguardo fuori dalla finestra.
Fu in quell’istante che Eiji gli rubò una foto.
Sincera, limpida, pura. Gli occhi di Ash in pace con il mondo, con se stesso, un istante dopo aver provato la paura più grande: essere lasciato da Eiji.
E quando lo sguardo sorpreso di Ash incrociò il suo, solo occhi a discorrere, Eiji abbandonò la macchina fotografica come fosse un giocattolo rotto e tornò vicino alla finestra, un ginocchio accanto al piede di Ash.
Prese il suo volto fra le mani e lo guardò negli occhi per un momento infinito. Gli disse ti amo solo con gli occhi.
Era tutto così perfetto nei pochi metri quadri di quella finestra, in vetrina davanti a New York, che Eiji aveva male al cuore. Perché ora sapeva cosa non avrebbe mai voluto perdere: lo stringeva fra le dita, respirava il suo respiro. Ash lo guardava e sentiva quel dolore, lo provava.
Ma di tutto il dolore che aveva sentito quel malinconico timore era la spina più dolce fra mille aghi.
Nella gioia e nel dolore erano insieme. Erano forti. Impauriti scacciavano via la paura, dandosi coraggio.
E si unirono ancora le loro labbra, forse le loro anime, in un bacio dalle striature rosse come l’alba.






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Le prime bozze di questa storia sono nei memo del mio telefono dall'otto agosto. Poi la mia ispirazione ha subito una battuta d'arresto ancor peggiore di quella che stavo attraversando quando ho buttato giù le prime idee e mi sono dedicata a tanti progetti diversi per riprendermi fra cui, infine, anche a questo.
Ho già pubblicato due storie nel fandom di Banana Fish e forse potrà non sembrare essendo tutte slegate l'una dall'altra, ma nella mia testa sto seguendo un filo logico che trovo molto importante, perché mi sta permettendo di scrivere tutte le "tappe" che reputo importanti per Ash ed Eiji.
Ci tenevo a postare oggi questa storia e ci sono riuscita. Così finalmente potrò pensare al mio prossimo progetto per Banana Fish. Perché sì, ho in mente di tornare.
Spero intanto che questa storia vi sia piaciuta e che vi vada di dirmi che cosa ne pensate: anche poche righe mi farebbero davvero felice!
Metto un po' in luce il titolo, che ho trovato grazie al cielo su google. Mi ha dato l'ispirazione all'ultimo per toccare un aspetto particolare su cui non mi ero soffermata. Adoro le parole intraducibili!
Senza intasare esageratamente le note autore di fine capitolo, vi lascio il link alla mia pagina FB dove fra le altre cose sproloquio dei progetti futuri. Se vi va di tenervi aggiornati, ve la consiglio <3
Grazie ancora per aver letto fin qui e sperando vogliate leggermi ancora, alla prossima!
   
 
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