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Autore: SOULVATORE    24/09/2018    3 recensioni
Elena Gilbert stava girando il sugo quando le squillò il telefono.
Sì, il sugo.
Ed era strano, curioso, perché lei non cucinava mai, aspettava sempre che fosse lui a farlo, con il suo grembiulino bordeaux e quel sorriso che sapeva di primavera.
Lei lo guardava, seduta su una sedia, dopo aver apparecchiato la tavola, e lui le parlava della sua giornata, di quanta gente era entrata nella sua piccola libreria, di tutte le storie che gli avevano raccontato, del sogno che aveva fatto la notte precedente o di quel film che dovevano obbligatoriamente andare a vedere.
Ed Elena lo ascoltava, sorridendo, dava ad ogni sua parola un peso enorme, perché non basta una vita intera per conoscere una persona, si diceva sempre, ma lei voleva imparare ad amare ogni piccola parte di Stefan.
Per questo si disse che forse era stato un segno del destino il fatto che avesse scelto, proprio quella sera, di cucinare, per fargli una sorpresa.
Perché nessuno avrebbe mai mangiato quell'orrenda lasagna.
Damon/Elena/Stefan
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine, Elena/Stefan, Katherine/Stefan
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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CIAO AMICI VOLEVO DIRVI CHE HO REALIZZATO IL TRAILER DELLA FF, SE VI VA DI DARE UN'OCCHIATA LO TROVATE QUI
ily,
Liz
Image and video hosting by TinyPic Atlanta, Febbraio 2010
“Hai intenzione di piantarla, Signor so tutto io?”
“Niente affatto, Signorina Branson.”
“Me lo merito, ti ho detto!”
“Come no. Avevi copiato tutto il compito da me, non credere che non ti avessi vista.”
Lexi rise, trascinando le sue scarpe da ginnastica e ruotando gli occhi al cielo. I codini biondi le oscillarono quando si voltò a guardarlo, stava pochi passi più indietro, portava lo zaino su una spalla sola e camminava un po’ ingobbito. Il solito Stefan.
“Comunque sia, dovremmo festeggiare. Sai, la mia prima e probabilmente ultima A in storia si merita una birra, non c’è un bar, a una decina di minuti da qui?”
“Sì, insomma…mi ricordo che mio fratello ne parlava spesso, ma non credo ci faranno entrare, non abbiamo l’età.” Storse leggermente un labbro, mentre si lasciava possedere dai ricordi. Damon se n’era andato da poco, eppure la sua mancanza premeva sul cuore di Stefan con tanta di quell’insistenza da fargli credere che potesse rompersi in mille pezzi da un momento all’altro. Sospirò.
“Dobbiamo tentare.” Lexi non sfiorò l’argomento, continuando a sorridere. “Non abbiamo nulla da perdere.”
“A parte la dignità, dici?”
Comunque si lasciò convincere, come accadeva sempre. Non sapeva dirle di no, perché le voleva troppo bene, perché era l’unica amica che gli fosse rimasta, e perché, doveva ammetterlo, la maggior parte delle volte le sue idee si rivelavano geniali. Ma non fu quello il caso.
Bree li vide subito, non appena i loro nasi si furono infilati al di là della porta. Lei era già schizzata in avanti, con la mascella rigida ed un passo che non prometteva nulla di buono. Stefan non la conosceva ancora, ma avrebbe imparato a farlo; la barista, invece, sapeva già tutto.
“Non potete stare qui.” Sentenziò, in un tono che non ammetteva repliche.
“Ma noi abbiamo-” Provò Lexi, ma venne subito interrotta.
“Quindici anni, ragazzina. Non venti, né tantomeno ventuno, perciò, sapete, qui di fronte c’è una caffetteria niente male. Io non servo cioccolate calde.”
“B, andiamo, non essere così severa. Dopotutto, se lasci entrare me, possono rimanere anche loro. Non è corretto fare favoritismi.” Stefan riconobbe quella voce, seppur gli fosse arrivata di spalle e non la sentisse da settimane e settimane, l’avrebbe distinta tra mille. Si girò, sapendo esattamente quale volto avrebbe trovato dinnanzi al proprio, ma non si sarebbe mai immaginato di provare tanta rabbia.
“Hai anche il coraggio di parlare in mia presenza?” Sputò, nonostante quell’aggressività non gli appartenesse.
“Scusami?” Katherine inarcò un sopracciglio, posando la bottiglia di vetro verde sul tavolino. “Ti ricordavo più mansueto, Salvatore Junior.”
“Sei una stronza.” Stefan non riuscì a fermarsi, stava stringendo i pugni fino a farsi penetrare le unghie nella pelle. “Mio fratello se n’è andato per colpa tua! Non so cosa tu gli abbia fatto, ma ti odio con tutto le mie forze, mi hai capito? E non ti azzardare a rivolgerti così a me, mai più.”
“Ho detto fuori di qui.” Ripeté Bree, facendogli un segno con la mano.
“No.” Li fermò Katherine, di nuovo. “Non ancora.” Si alzò in piedi, raggiungendoli, anche se a dire il vero barcollava un po’. Era alta quanto Stefan, sempre bellissima come lui la ricordava, ma non sembrava avere una buona c’era. E puzzava di alcool. “Credi di sapere tutta la storia, non è vero, piccoletto? Be’, indovina un po’? Non sai un bel niente. Non ho chiesto io a Damon di trasferirsi Dio sa dove o di lasciare la città, l’ha deciso da solo. Lui ti ha abbandonato, Stefan. Ha abbandonato tutti noi.”
Bree vide qualcosa incrinarsi nelle iridi del fratellino di Damon, prima che si voltasse e se ne andasse correndo e trascinando la sua amica per la manica del cappotto.
“Ma che cosa ti dice la testa? È un bambino, ed è devastato, non l’hai guardato bene?”
“Non ci vedo un granché.” Alzò le spalle Katherine, ghignando.
“Già, forse perché sei ubriaca alle cinque di pomeriggio.” La sgridò la donna dalla pelle scura. “Vai a casa.”
“Vuoi cacciare anche me? Cazzo, non facevo sul serio con quella storia dei favoritismi. Calmati, B.”
“Non importa, hai bevuto abbastanza per oggi. Non ti servirò altro, perciò va, prima che ti faccia venire a prendere da tuo padre.”
Katherine alzò le mani in segno di resa, e, una volta che se ne fu andata, Bree tornò finalmente alla sua postazione e scrollò la rubrica alla ricerca di un numero che si era salvata da poco.
“Sì?”
“Ei, sono io.”
“Bree? Porca puttana, è tutto okay?”
Lei sospirò. “Sì, ma mi avevi detto di tenerlo d’occhio e poi aggiornarti, ed io lo sto facendo. Mi è capitato di seguirlo da lontano in macchina in questo periodo, e mi è sempre sembrato a posto, triste, certo, ma era normale che lo fosse. Oggi però è stato qui.”
“Lì? Lì dove? Al bar? Merda, c’era…c’era lei?”
“Sì, c’era. Appena è entrato Katherine ha iniziato a provocarlo, gli ha detto delle cose orribili, e Stefan ha gridato come un pazzo, dopodiché se n’è andato piangendo. Lui ha bisogno di te, Damon.”


“Avevi chiesto a Bree di tenerlo d’occhio?”
“Sì. Ed era l’unica a cui avevo lasciato il mio nuovo numero, mi fidavo solo di lei.”
Elena si leccò le labbra, che sapevano ancora di lui, dopodiché si strinse nella coperta che gli aveva portato quando era salito sul tetto ormai parecchie ore prima. La sua mente vorticava da morire, così tanto che le pareva che il mondo intero avesse preso a girare all’inverso.
Tutto era diverso, ora.
Persino respirare, battere le palpebre, ogni cosa.
Perché si erano baciati, e sapeva che quel bacio avrebbe messo in discussione tutta la sua vita.
Eppure era ancora lì, ad ascoltarlo svelare altri particolari sul solito vecchio mistero irrisolto.
Come? Non riusciva a rispondersi nemmeno lei.
“Lo sa?”
“Che cosa?”
“Stefan sa che Bree lo proteggeva per conto tuo?”
Damon scosse la testa. “Non c’è mai stata occasione di dirglielo, suppongo.”
“Non è così, sono sicura che ce ne sarebbero state un milione, in tutti questi anni, è solo che tu non volevi. Non vuoi.” Lo guardò più a fondo, cercando di leggergli nell’anima. “Perché non vuoi che gli altri vedano che c’è del buono in te?”
“Perché se vedono il bene si aspettano il bene. Ed io non voglio dover soddisfare le aspettative di nessuno.” Sembrava così triste mentre pronunciava quelle parole, così malinconico e pensieroso, Elena non riusciva a vederlo in quello stato.
“È impossibile che qualcuno si aspetti qualcosa da te, sai? Tu sei la definizione di imprevedibilità.”
“Parli così solo perché sono apparso dal nulla con un atto di proprietà al 50% della casa in cui vivi.” Scherzò Damon, alzando un angolo della bocca.
“Idiota, certo che no.” Gli diede un piccolo schiaffo sul braccio. “Ti rendi conto di aver cambiato tutto quanto per me, in così poco tempo?”
Lui fece spallucce, fissando le prime luci del mattino dinnanzi a sé. “Non è detto che l’abbia fatto in meglio.”
“Sei pentito? Di essere tornato a Mystic Falls, di avermi incontrata e…tutto il resto?”
“Come?” Tornò finalmente a voltarsi nella sua direzione, scuotendo la testa e dipingendosi sul volto un’espressione più che esterrefatta. “Davvero credi che io possa pentirmi di tutto ciò? Non mi sentivo così da…Dio, forse da mai. Ed è per questo che ti dico che io non sono l’eroe, non sono quello buono. Mi prendo ciò che voglio e faccio quello che voglio. Abbandono mio fratello, mi innamoro della sua ragazza. Non faccio mai la cosa giusta. Eppure, per quanto tutto sia sbagliato, io non riesco a pentirmene. Perché averti conosciuta è stata la cosa migliore che mi sia mai capitata, Lena.”
Si sentiva gli occhi bagnati e il respiro mozzato, mentre prendeva una delle mani di Damon tra le proprie e la guidava fino al suo petto, per fargli ascoltare quanto forte le battesse il cuore in quell’istante. “Questo ti sembra sbagliato?” risalì con la propria fino a sfiorargli lo zigomo. “Ti sembra sbagliato?”
“Ma tu mi hai sentito? Io sono innamorato di te, capisci? Come può essere giusto?” Soffiò lui, a corto di fiato. Elena chiuse gli occhi ed annuì. Certo che l’aveva sentito. Certo che era cosciente di essere una persona orribile, ed incredibilmente incoerente, quasi cattiva, perché grazie a lei la storia si stava ripetendo, ma…come poteva ignorare quelle sensazioni?
“Non sto dicendo che questa sia il momento ed il modo corretto, o che io e te dovremmo essere dei modelli da seguire, è solo che non puoi correggere il fato, Damon. È andata in questo modo, e noi ora siamo qui, su questa dannata bicicletta, e ci tocca pedalare.”
“Ma tu ami Stefan.” La voce gli uscì rassegnata e più roca del solito. “Sceglierai Stefan, sarà per sempre Stefan.” Elena scosse la testa, totalmente incapace di mandare oltre quella conversazione in quel momento. Sapeva che tutta quella era solo una questione di scelte, ma non poteva ancora sbilanciarsi. Scegliere avrebbe significato, in entrambi i casi, perdere qualcuno, perdere una parte della sua vita, e, seppur suonasse terribilmente egoista, non era pronta a farlo.
“Come hai detto tu, sono qui con te, adesso. Mentre sorge il sole, mentre sorge un nuovo anno, io ho scelto di essere al tuo fianco per cercare di capire e di capirmi.”
Damon fece un segno di assenso e le sorrise, sembrava comprensivo. Poi si alzò, offrendole la mano come quando ballavano insieme. “Vuoi vedere dove vivo?”

“L’hai comprata?”
“Mhmh, mutuo di centovent’anni circa.”
“Che idiota.” Rispose lei, guardandosi attorno. Era l’appartamento di Damon, sì, decisamente. Un divano bordeaux con di fronte un tavolino pieno di alcolici, un televisore enorme, una decina di tappeti, tutto tenuto in ordine maniacale. Ormai Elena l’aveva imparato: era un perfetto uomo di casa e detestava il disordine.
“In realtà, non sono così ricco da potermi permettere questo ben di Dio a Manhattan. Quando sono arrivato a New York, alla fine del 2009, non avevo idea di come avrei fatto a mantenermi. Ho provato di tutto, lavare i piatti, fare il fattorino, il ragazzo del Mc Donald’s, ma i soldi finivano subito, tra affitto, bollette e spesa. Fu Alaric a salvarmi, lui stava bene di famiglia, lo conobbi per caso una sera, indovina dove?”
Elena rise di gusto, accomodandosi su di un puff. “Vediamo, in un bar? Mentre bevevi Bourbon?”
“Bourbon come?”
“Liscio.”
“Corretto, hai superato il test. Ti premierò con una caramella.” Scherzò Damon, dandole un buffetto sul naso. “In ogni caso, lui aveva i soldi, io la voglia di spaccarmi la schiena. Diventammo buoni amici e decidemmo di unire queste due cose, lui comprò il bar, io iniziai a dirigerlo e a farlo fruttare.”
“Aspetta, lo stesso bar in cui vi eravate conosciuti?”
“Esatto. E questo appartamento, be’, è suo. L’ha ereditato da non ricordo neanche chi, mi fa un prezzo di favore con l’affitto. Ma ei, non sono un parassita, sto mettendo da parte piano piano i soldi per comprarglielo, prima o poi.”
“Non sto pensando che tu sia un parassita, Damon. In ogni caso il tuo amico è proprietario dello stabile, ma se ci lavori principalmente tu, siete pari.”
“Sì, insomma, Ric viene solo qualche volta. È stato però molto presente durante i mesi in cui io sono venuto a Mystic Falls.”
“Capisco.” Elena abbassò lo sguardo. Certo, Mystic Falls per lui era stata solo una parentesi, la sua vita era lì, lei lo sapeva. Però aveva detto di amarla, doveva pur contare qualcosa.
“Ho una domanda da farti da mesi, ma non abbiamo mai affrontato la cosa.” Damon la distolse da quei pensieri, lei inarcò le sopracciglia. “Quando sono arrivato” Proseguì, “Una delle prime cose che hai fatto è stata recriminare la mia assenza al funerale di Giuseppe. Com’è andata, esattamente?”

Mystic Falls, 2015
“È assurdo, così da un momento all’altro. Non gli resta più nessuno, mi dispiace così tanto.” Matt abbassò gli occhi sul pavimento della chiesa, stringendo ad Elena una spalla. Lei annuì, consapevole della realtà di quelle parole e del fatto che Stefan d’ora in poi avrebbe avuto ancor più bisogno di lei.
“Non ha sofferto, per lo meno. Voglio dire, l'infarto l’ha fatto morire sul colpo, non c’è stato niente da fare.” Spiegò, a voce bassa, senza forze. Matt annuì, prima di raggiungere gli altri alla loro panca. Anche lei si diresse verso la sua, in prima fila, accanto al ragazzo con gli occhi gonfi e rossi e due gigantesche occhiaie a scavargli il volto. Sapeva come ci si sentiva a rimanere orfani, potevi letteralmente sentire la mancanza di gravità, era come se qualcuno premesse il tasto pausa su ogni cosa e rimanesse spazio solo per il dolore e tu restassi fermo a galleggiare, fluttuare, sopravvivere senza vivere davvero.
Prese la mano di Stefan, lui la strinse e non la mollò per tutta la funzione, finché il prete non smise di recitare preghiere e lui stesso dovette salire al suo posto.
“Parlerò solamente io, perché papà non aveva molti amici.” Cominciò, tossicchiando per scacciare l’evidente groppo che aveva in gola. “Non era affettuoso, paziente, comprensivo, o il genitore perfetto. Ma era mio padre. L'uomo che ho sempre tentato di rendere orgoglioso di me, e ogni volta che ci riuscivo mi sembrava di aver vinto la coppa del mondo. Quello che faceva la voce grossa solo per farmi capire come va la vita, quello che mi ha insegnato a guidare e a cucinare. Mio padre, la mia famiglia. E-” Strinse le labbra e fece un lungo sospiro. “E lo sarà per sempre.”


“Perché…perché dicevi che aveva bisogno di me?”
“Perché era solo, Damon.” Elena si sporse in avanti, fino a potergli sfiorare uno zigomo. “Io ho vissuto quel dolore, lo vivo ogni giorno, e Jeremy è tutta quanta la mia forza, ciò per cui so che vale la pena continuare a reagire.”
“Stefan non era solo. Aveva te.”
“Non è lo stesso, e lo sai. So che lo sai, perché, come me, sei il fratello maggiore. E i fratelli maggiori farebbero di tutto per proteggere dal dolore i più piccoli, io ho cercato di essere lo scudo di Jer più che potevo, e Stefan necessitava di questo, di te. Così come tu di lui.” Parlava in tono dolce, perché non gli andava di rimproverarlo, semplicemente sapeva che gli avrebbe fatto bene rendersi conto di quelle cose.
“Ormai è tardi, sai. Gli ho già incasinato tutto un’altra volta.”
“Damon, tu-” Ma quella frase restò in sospeso, per sempre.
Il cellulare di Elena ruppe quel momento, e quando, recuperandolo in borsa, lesse sul display il nome della dottoressa Fell, per poco non sputò il cuore sul parquet.
“Meredith?”
“Elena, si può sapere che fine hai fatto?”
“Io-ma è successo qualcosa?”
“Stefan si è svegliato.”
   
 
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