Fanfic su artisti musicali > Altri
Ricorda la storia  |      
Autore: Usamljeni Vuk    24/09/2018    0 recensioni
[Worship Paese d\\\\\\\\\\\\\\\'origine Germania Germania Genere Funeral doom metal Periodo di attività musicale 1999 – 2001 2004 – in attività Album pubblicati 2 Studio 2 Modifica dati su Wikidata · Manuale I Worship sono un gruppo funeral doom metal tedesco formatosi nel 1999 a Monaco di Baviera.]
Questo racconto vuole essere un tributo al cantante/batterista (Maximilien "Fucked - up Mad Max" Vernier), della band tedesca dedica ad un Funeral Doom molto pesante ed introspettivo. Racconta in modo romanzato il suicidio di Max, realmente avvenuto mentre si trovava in Canada in tour con la sua band, i Worship!
Ho immaginato che fosse una band italiana in concerto in un locale sperduto tra le colline Slovene.
Di conseguenza ho italianizzato i nomi dei membri della band e ho tradotto le loro canzoni.
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L’ULTIMO SHOW PRIMA DEL GIORNO DEL GIUDIZIO

- TRIBUTO A Maximilien “FUCKED – UP MAD MAX” Varnier -,

 

 

 

Addio ai campi verdi e agli uccelli in volo.

Sognano sulle rive dell’estate oltre le bellezze del mondo.

Quando la gelosia oscurerà la tua triste piaga.

Brucia la pestilenza colta dalle lacrime dei bambini morenti.

Non sono nulla in questa estatica trance.>

I.

 

La radio del caravan vomitava questa canzone mentre Domenico guidava in modo nervoso e assonnato; gli succedeva spesso quando doveva stare al volante del mezzo per molte ore per portare lui e la sua band in trasferta per le varie serate dove dovevano esibirsi.

Non avevano nè un manager né un roadie che li accompagnasse nelle varie tournèe in giro per l’Europa.

Erano un gruppo indipendente e di nicchia, erano abituati ad occuparsi di tutti gli aspetti della band da soli; sia per quanto riguardava gli spostamenti e le trasferte che per la parte della logistica e dell’organizzazione dei tour e dei singoli show.

Ormai il loro gruppo esisteva da diversi decenni; erano abituati a fare questa vita spossante e snervante, anche se a volta la stanchezza, l’abuso di alcool e di droghe varie si faceva sentire, rendendoli stressati e affaticati, spesso facendo ricadere il loro esaurimento nervoso sull’intera band, creando non poche volte artriti e tensioni tra di loro.

L’unico che beveva poco e solitamente alla fine degli show e non faceva uso di sostanze stupefacenti era Domenico; di conseguenza toccava quasi sempre a lui guidare il mezzo per portare tutto il gruppo nei locali dove dovevano tenere i loro concerti.

Ormai guidava da troppe ore, era stanco e assopito, ma non poteva fermarsi a riposare per evitare di arrivare in ritardo al locale.

L’ultima volta che si erano fermati per riposare per qualche ora, avevano dovuto annullare la serata perché alla fine avevano dormito per praticamente tutta la giornata, arrivando al locale dove dovevano esibirsi con una mezza dozzina di ore di ritardo.

Inconcepibile per una band della loro caratura.

Avevano dovuto recuperare la sera seguente, con un pubblico estremamente incazzato che a momenti finirono linciati dai loro stessi fan.

Questa volta non doveva ripetersi, alla fine i fan erano quelli che li davano da vivere, senza di loro e senza condurre quella vita che si erano scelti quando erano ancora ragazzini, dovevano trovarsi un lavoro noioso come la gente comune e vivere una vita apatica e squallida aspettando che la vecchiaia li logorasse in attesa del meritato riposo della terza età e così diventando schiavi del sistema, vittime dell’ipocrisia del sistema umano. Era condurre un’esistenza da prigionieri di una realtà che loro non riconoscevano.

No, il loro scopo era quello; fare musica estrema e di nicchia, non per tutti, tenere concerti e cercare di stare a galla in questa monotona ed effimera esistenza o, come loro chiamavano la vita comune, inesistenza.

Per loro la musica e lo stile di vita che avevano deciso di seguire era tutto il loro mondo, il vero scopo della loro esistenza. Era uno sfogo per evadere dal loro dolore interiore, da questa grigia realtà per sentirsi vivi, sentire di avere una missione da compiere, una terapia per tenere le loro menti libere e serene dal cancro del male di vivere.

Se non avessero intrapreso questa strada molto probabilmente sarebbero diventati dei tossicomani nullatenenti, con tutti i problemi derivati dalla vita da tossico o, ancora peggio, sarebbero finiti in un vortice di totale apatia e vita dissoluta tale da portarli a compiere l’ultimo gesto, il più estremo, la strada del non ritorno: lasciare questo modo per raggiungere un’esistenza migliore, priva di sofferenza, miseria e affanni che la vita terrena egoisticamente dona.

 

è il realismo della morte!

Come potremmo dimenticare

il dolore che abbiamo causato alla natura?

Ora dobbiamo pagare con le nostre vite

ucciditi e adora...>

 

Così recitava il testo di una loro canzone e così pensavano davvero che fosse la vita.

Volevano non essere mai nati, ma con la musica avevano trovato un antidolorifico che li facesse andare avanti senza cadere nella più nera e glaciale apatia.

Daniele, seduto sul lato del passeggero del caravan guardava sonnacchiosamente fuori dal finestrino. Cercava di stare sveglio per evitare che Domenico si addormentasse al volante.

Dietro, nella zona abitativa del loro mezzo, Martino dormiva su una delle tre brandine del caravan e Massimiliano dormiva sul piccolo e logoro divano; erano come in coma. Inermi e completamente assopiti dal viaggio e dall’alcool ingurgitato la sera precedente. Come al solito avevano entrambi esagerato.

Ogni volta che erano in tour era così; sopratutto Massimiliano abusava di tutte le droghe che riusciva a trovare, martoriandosi il corpo e avvelenandosi la mente, rendendo la sua vita scialba e indigente, più di quanto non lo fosse di già.

Ogni giorno sembrava che da un momento all’altro potesse lasciare tutti; rischiando l’overdose o peggio, il coma.

Era fatto così, la filosofia di vita che si era scelto era quella. Vivere il presente in modo dissoluto senza preoccuparsi del futuro e dare importanza alla sua esistenza.

Però, quando non erano impegnati con gli interminabili viaggi della band, beveva poco e non prendeva quasi mai sostanze narcotizzanti; si dedicava solo alla scrittura dei pezzi musicali, a trovare nuove idee per portare avanti la band, a leggere fumetti dell’orrore e a collezionare memorabilia e pezzi di antiquariato della II Guerra Mondiale; quest’ultima una passione che aveva coltivato da quando aveva abbandonato la scuola.

Ma quando erano in tour cambiava radicalmente; per sentirsi vivo e per sopportare quella vita fatta di interminabili tour e stancanti concerti in giro per l’Italia e l’Europa, si dava al consumo di sostanze stupefacenti, al tabagismo e all’abuso sfrenato di alcolici.

Forse era proprio quello stile di vita che conduceva a fargli male; dovevano smetterla di suonare dal vivo per dedicarsi solamente alla registrazione degli album e a collaborare con le altre band per formare sodalizi artistici.

Domenico aveva già tirato fuori quel discorso diverse volte quando arrivavano alla fine di snervanti tournèe ma, alla fine, avevano deciso tutti insieme di continuare fino a quando avessero retto, i fan avevano bisogno di loro e loro avevano bisogno dei loro fan; erano il loro pubblico, quelli che li supportavano comprando i loro dischi e andando ai loro concerti, quelli che li facevano vivere senza doversi trovare un lavoro per sopravvivere; non potevano di certo tradirli.

Oramai quello era lo stile di vita che avevano scelto…

Il caravan percorreva una piccola strada di campagna che si insinuava serpeggiando tra le basse colline carsiche della regione che stavano attraversando. Il posto che dovevano raggiungere per suonare si doveva trovare tra quelle alture.

Era la prima volta che suonavano in quel locale; solo Daniele diceva di conoscerlo perché ci era andato anni prima con una ragazza con cui usciva anni prima per vedere una band di suoi amici che suonava proprio in quel locale.

“Mi stanno venendo i crampi alle chiappe” disse Domenico rivolto a Daniele.

“Dovremmo essere quasi arrivati”. “Mi ricordo che dovrebbe essere vicino ad un fiume. Dovremmo passare sopra un cavalcavia stradale e poi ad un bivio ci dovrebbe essere un cartello con l’indicazione per l’Exentia” rispose Daniele.

“Mi sembra sulla destra, in mezzo a dei campi e vicino al fiume, se non ricordo male”. “Sicuro di non volere un cambio alla guida?”

“Nono.” “Stai tranquillo” rispose Domenico. “Tanto stando al navigatore siamo quasi arrivati; credo di resistere”.

“Appena arriviamo dormiamo un po’”. “Per una volta siamo in anticipo”. Disse Daniele con la voce ancora impastata dal sonno.

Domenico annuì e continuò a guidare concentrandosi per riuscire a tenere gli occhi aperti e non addormentarsi al volante. Non gli era mai capitato, ma era sempre meglio non rischiare, se si fossero schiantati non se lo sarebbe mai perdonato.

La piccola strada costeggiava i versanti delle colline colorati dall’autunno inoltrato e in lontananza si stagliava una collina più alta delle altre con delle casupole sparse lungo tutta la costa e sulla cresta. Forse era un borgo o un piccolo paesino stagliato in mezzo a tutto quel verde; in quella regione era pieno di antichi borghi e paesini dimenticati da Dio.

“Ok, siamo quasi arrivati”. “La montagnetta là davantime la ricordo”. Disse Daniele.

“Perfetto!” “Allora sveglia gli altri”.

Daniele scavalcò il sedile del passeggero e si insinuò nella zona abitativa del caravan.

“Forza ragazzi!” “Svegliatevi, siamo quasi arrivati”. Disse scuotendo Massimiliano e Martino.

Martino si svegliò quasi subito. Si sedette sul letto e si strofinò gli occhi sbadigliando.

“Siamo arrivati?” “Che ore sono?” Chiese con la voce ancora assonnata.

“Le due e stranamente siamo in atticipo”. Disse ridendo. “Cerca di svegliare Max; l’ultima volta che avevo provato a svegliarlo mi aveva tirato un pugno nello stomaco; per poco non facevamo a botte”

“Ok”, rispose Martino. “Se tira un pugno a me lo ammazzo” Disse con voce seriosa.

“Max, dai, siamo arrivati!.” “Muovi il culo e alzati!”.

Max aprì gli occhi, si mise a sedere sul divano dove dormiva e mise la testa tra le sue mani.

“Porca puttana!” “Che fottuto mal di testa!” esclamò con voce tremante.

“Se ti sbronzi tutte le sere è normale, prima o poi andrai in coma etilico” disse Domenico con voce ironica mentre guidava.

“Ma vaffanculo!” “Pensa a farti gli affari tuoi e a guidare!”

Domenico si girò un attimo verso di lui e gli mandò un’occhiataccia.

“Che fottuto stronzo!”. Pensò tra sé.

“Ragazzi, tranquilli!” esclamò Martino. “Non litighiamo prima di suonare, altrimenti facciamo un’altra figuraccia con la gentaglia che ci viene a vedere”.

Scese il silenzio. Martino e Max si presero a spintoni per raggiungere il bagno per darsi una rinfrescata e per cambiarsi gli abiti sudici della sera precedente con i quali avevano dormito.

Alla fine di ogni concerto si ubriacavano e passavano la serata a divertirsi, scherzare e parlare fino a notte fonda; finché non erano troppo stanchi e fatti per rimanere in piedi.

Solo Domenico e ogni tanto Daniele erano i più salutisti del gruppo; solitamente si divertivano con le loro fan, chiacchieravano un po’ e poi andavano direttamente a riposare senza fare troppo le ore piccole.

Se la sera dopo dovevano suonare da un’altra parte andavano a dormire prestissimo, altrimenti qualche eccesso se lo concedevano. Erano i più responsabili del gruppo, senza di loro molto probabilmente la band non sarebbe andata avanti fino a quel punto; non avrebbero mai raggiunto il livello che avevano adesso.

“Oh, ragazzi?” “Ma siamo arrivati o no?” Chiese Massimiliano uscendo dal bagno.

“Sembra mancare poco” Rispose Daniele.

“Secondo il navigatore mancano ancora una decina di kilometri”.

“Che palle!” Esclamò Massimiliano lasciandosi cadere sul divanetto verde sbiadito.

Prese con sé il suo portatile e si mise a navigare su internet.

 

Mentre il viaggio proseguiva, la strada che stavano percorrendo si faceva meno tortuosa e da un lato finalmente faceva capolino in lontananza il cavalcavia che diceva Daniele, quello che passava sopra il fiume.

“Ok, dovremmo essere arrivati” Disse Daniele rivolto a Domenico.

“Finalmente!” Esclamò Domenico. “Non ce la facevo più”.

Il caravan prese a percorrere il cavalcavia sopra il fiume.

Dall’alto di esso si osservava un paesaggio bucolico e selvaggio, quasi arcaico.

Da una parte si osservavano le verdeggianti collinette con qualche cascina e piccole costruzioni sparsa qua e là e, al di là di esse, si vedeva ergersi in lontananza il profilo di alte e granitiche montagne.

Dall’altro lato, verso il fiume, si apriva un paesaggio vallivo dove si perdeva a vista d’occhio una distesa di campi agricoli e di qualche macchia boschiva di castagni, faggi e qualche quercia solitaria che divideva i vari terreni per delimitarne le diverse proprietà.

Era una vista che donava serenità e pace a tutto il gruppo; a gente come loro che erano abituati alla vita grigia e alienante di una grande città.

Il fiume passava quasi perpendicolarmente sotto il ponte stradale; una trentina di metri più in basso a dove si trovavano con il caravan.

Non era grandissimo, ma sembrava essere molto tortuoso e si vedeva sparpagliata sulla propria superficie, qualche masso che emergeva dalla superficie, rendendo il suo fluire intenso e violento verso la valle. L’acqua era di un colore azzurro acceso come il cielo nelle giornate estive, con increspature molto nette data dai detriti presente nel proprio greto e lievi riflessi del paesaggio circostante.

Massimiliano rimase attaccato alla finestrella del caravan ad osservare quel paesaggio idilliaco.

Amava la natura, l’amava più di se stesso. Se avesse potuto sarebbe andato a vivere in campagna o in montagna per condurre una vita semplice e solitaria, distaccata dal caos della città e dall’inquinamento.

Però, gli impegni con la band e la perenne mancanza di soldi non poteva aiutare a realizzare i propri sogni.

“Prima o poi mi prenderò una baita in Valtellina e fanculo a tutto e a tutti.” Pensò tra sé.

“Già mi vedo a bere birra circondato da immensi alberi sulla riva di qualche ruscello”.

Preso dai suoi pensieri, per poco non finì a faccia a terra. Una frenata brusca del caravan lo destò dal suo fantasticare.

“Ma come cazzo guidi!?” Disse rivolto a Domenico.

“Siamo arrivati!”. “Parcheggio e potete scendere”.

 

 

II.

Tutta la band scese precipitosamente dal mezzo per sgranchirsi un po’ le gambe e respirare l’aria frizzante e pulita della campagna.

Avevano viaggiato tutta la mattinata e gran parte del primo pomeriggio; avevano bisogno di riposare e svagarsi un attimo prima di prepararsi per il loro evento.

Domenico si mise a dormire un po’ su una brandina del caravan mentre Massimiliano, Daniele e Martino si dirigevano lentamente verso il locale. Erano ancora rintontiti dal lungo viaggio, dal sonno e dalla sbronza della serata precedente.

Il posto che avevano raggiunto era formato da una grande costruzione situata ai margini di un boschetto di faggi, di fianco al quale si trovava un grande parcheggio non asfaltato. Alla sua destra scorreva il fiume che scendeva tortuosamente dalle colline che facevano capolino tutt’intorno.

La costruzione sembrava costituita da due unità; una era formata da una grande vetrata coperta dall’interno da spesse tende nere, l’altra sembrava essere una cascina, era una piccola casupola in mattoni rossi.

Sembrava più una fattoria che un locale per concerti.

Sulla piazzetta dell’ingresso videro due ragazze che li correvano incontro urlando come delle ragazzine.

Una di queste, che sembrava essere la più carina, si lanciò a braccia aperte su Massimigliano.

“Maaaxxx!” Urlò.

“Alenka!”. Esclamò Massimiliano. “Che piacere rivederti!”.

I due si scambiarono un bacio affettuoso tenendosi abbracciati.

Era la sua fan preferita, nonché groupie e maniaca ammiratrice; cercava di seguirli in tutte le date dei loro show e acquistava avidamente ogni cosa della band; dischi, magliette, DVD e gadget vari. Era una fanatica della loro musica ed era perdutamente innamorata di Massimiliano.

Anni prima era riuscita a cadere tra le sue braccia e da quella volta Massimiliano le faceva avere i pass per tutti i concerti e la faceva stare con loro nel camerino.

Faceva comodo a tutta la band avere una presenza femminile alle loro serate, li teneva compagnia e li aiutava nelle piccole cose, come portare da bere, passare gli strumenti musicali e tenere un po’ in ordine i loro effetti personali.

Dopo essersi salutati e cambiati baci e abbracci entrarono insieme dall’ingresso principale del locale.

Alenka camminava abbracciata a Massimiliano.

Entrando si trovarono davanti ad un grande bancone da pub, dietro al quale c’era un omone grosso e barbuto seduto su uno sgabello intento a lavorare su un portatile.

“Buonasera ragazzi!” Salutò l’uomo. “Io sono Bojan, il proprietario di questa baracca.”

“Fatto buon viaggio?” Chiese.

Dopo essersi scambiati i soliti convenevoli, l’uomo li fece fare un giro del locale, li consegnò le chiavi del camerino e si offrì di darli una mano a scaricare la strumentazione dal loro caravan.

Dovevano scaricare il loro mezzo, montare la strumentazione sul palco, fare il soundcheck e solo dopo aver fatto tutto questo avrebbero potuto godersi il loro gruppo spalla suonare prima di loro e riposare un po’ prima di iniziare a suonare.

Si misero subito al lavoro, dovevano fare le prove prima dell’apertura del locale.

Mentre preparavano il palco vennero raggiunti dal loro gruppo spalla.

Era la seconda volta che suonavano con loro, ormai si conoscevano bene; visto che si sentivano spesso anche per telefono e si scambiavano mail.

Volevano fare anche una collaborazioni insieme, ma la cosa non era mai decollata; erano tutti e due difficili e perfezionisti, ci mettevano troppo tempo a metter su qualcosa di concreto insieme.

Dopo essersi salutati e scambiate strette di mano e abbracci, ritornarono a sistemare la loro strumentazione e iniziarono le prove.

 

il legno grezzo mi ha graffiato la schiena.

Un meraviglioso silenzio cadde sulla folla,

mentre le braccia erano distese,

cadendo dolcemente contro le unghie arrugginite

che sporgono dalle braccia della croce>

 

Così cantava Massimiliano per provare il microfono e l’audio della saletta da concerto.

Una canzone che aveva scritto anni prima, ma che avevano registrato solo da poco. Era una delle sue preferite, era soddisfatto del suo operato.

Le prove erano state più veloce del previsto. Al termine si ritirarono nel camerino per riposare un po’, bere qualche drink e socializzare con il loro gruppo spalla prima del loro grande evento.

 

Il locale piano piano si stava riempiendo di gente; orde di fan prendevano posto sotto il palco per poter occupare le prime file, alcuni si sedevano sui tavolini della saletta bar a parlare e per bere qualcosa, qualcuno si era fermato fuori per fumare e aspettare qualche amico o conoscente, altri invece si ammassavano verso i banchetti del merchandaise delle band a cercare rarità ed occasioni da comprare.

 

Nel camerino Domenico e Daniele stavano un po’ in disparte a chiacchierare tra di loro, Martino camminava avanti e indietro per scaricare la tensione prima dello show e Massimiliano rideva e scherzava con Alenka; stranamente Massimiliano era più felice del solito, non si era ancora ubriacato e non aveva assunto ancora nessuna droga.

Stava bene con Alenka, la sua amica, la sua fan numero uno, la sua groupie, come la chiamava.

Forse era innamorato e quella ragazza che era entrata nella sua vita, così per caso, l’aveva colpita così tanto da renderlo felice e spensierato?

Era riuscita ad anestetizzare il suo dolore e renderlo una persona completa?

Alenka era una ragazza sulla trentina; non tanto alta ma aveva un corpo magro e sodo, un viso un po’ squadrato ma circondato da una bella chioma castana scura, folta e lunga fino al sedere; due occhi sottili e grigi sormontati da due sottilissime ciglia castane, una naso piccolo e fine e una bocca con due labbra sottili, pittate da un rossetto nero.

Era una bella ragazza e Massimiliano lo sapeva.

Ne aveva avute tante di ragazze e di groupie, ma mai così belle come lei.

Ne era rimasto infatuato già dalla prima volta che si erano visti.

 

“Noi scendiamo tra il pubblico”. Avvisò Martino.

“Fra poco iniziano a suonare i nostri amici, ce li guardiamo dalla platea”.

“Ok”, rispose Massimiliano. “Fra poco mi sa che vi raggiungiamo anche noi”.

Riprese a parlottare e scherzare con la sua amica.

 

 

III.

Martino, Domenico e Daniele uscirono fuori dal locale a prendere una boccata d’aria.

La sera stava calando, il primo buio inghiottiva piano piano il parcheggio davanti al locale, l’aria era fredda e frizzante, con una leggera brezza che spazzava le foglie secche cadute al suolo.

Martino si accese una sigaretta, Daniele sorseggiava la sua birra e Domenico si guardava in giro nervoso.

“Che hai?” Chiese Martino rivolto a Domenico.

“Sembri un po’ strano!.”.

“Non ho nulla” Rispose. “Ho solo una strana sensazione”, “Max non vi sembra strano?”

“Per una volta è felice” Rispose Domenico.

“Dovrebbe essere un bene. Perchè ti sembra strano?”

“Non so” Rispose. “Non lo vedevo così felice da un sacco di tempo. Ho una strana sensazione”.

“Ma di che ti preoccupi!” Rispose Daniele.

“Meglio che sia felice. No?”.

“Sì, è meglio per tutti noi”. “Però ho un brutto presentimento”.

“Ma che brutto presentimento?” Rispose Daniele.

“Si sbronza e ti arrabbi se lo fa, prende l’eroina e rischiamo di far saltare le serate, non fa nulla di tutto ciò e ti preoccupi.” “Dov’è il problema?”

“In effetti… hai ragione” Rispose Domenico.

“Dai, rientriamo che ora iniziano a suonare i nostri amici” Disse Martino.

 

I tre rientrarono ordinatamente nel locale.

La notte stava inghiottendo tutto; il freddo stava scendendo, abbracciando nella sua morsa le poche persone che erano rimaste fuori; il vento stava aumentando, andando ad avvolgere dolcemente le chiome degli alberi, facendole oscillare dolcemente, come culle spinte da amorevoli mani materne.

In lontananza si sentiva lo scroscio del fiume che regalava una armoniosa melodia; l’aria si era riempita di odore di legna bruciata, quella che si usano nelle case con i camini e il vento ululava sempre più forte, facendo tremare le verdi colline.

 

I tre si fermarono a parlare con alcuni fan seduti su degli sgabelli davanti al bancone del locale bar.

Ricevettero strette di mano, pacche sulle spalle e un sacco di complimenti.

Li piaceva conversare con loro, non erano come la maggior parte delle band che si sentivano superiori e trattavano i fan con distacco; si sentivano parte di loro, sullo stesso livello, non erano elitari o snob.

Erano cresciuti andando ai concerti e cercando di conoscere personalmente le loro band preferite e ora che avevano raggiunto una certa notorietà non si erano dimenticati che anche loro, prima di aver fondato i Kulto, erano dei semplici appassionati che andavano ai concerti e acquistavano dischi.

Parlarono del più e del meno, elargivano consigli a chi suonava in qualche gruppo, si scambiavano informazioni su futuri concerti loro e di altre band e sopratutto di festival musicali in giro per l’Europa.

 

Nel frattempo, nella saletta dove era posizionato il palco, si sentirono degli urli che inneggiavano al loro gruppo spalla. Subito si precipitarono per vederli.

Le luci si spensero e il gruppo prese posizione sul palco.

Lo show stava per cominciare.

 

Massimiliano e Alenka stavano pomiciando sul divanetto di pelle color porpora del camerino.

I loro vestiti erano sparsi lungo tutto il pavimento, avevano appena finito di fare l’amore.

“Forse è meglio se ci rivestiamo” Disse Alenka sorridendo.

“Non vorrei che i tuoi amici ci vedessero così, nudi come dei vermi!”.

I due scoppiarono a ridere insieme.

Raccolsero i vestiti e si rivestirono e sistemarono un po’.

Nel frattempo qualcuno busso alla porta.

“Un attimo!” Disse Massimiliano precipitandosi verso la porta.

“Oh, piccioncini!” Disse Martino ridacchiando.

“Fra poco tocca a noi suonare”.

 

 

 

IV.

Mi sentii chiamare.

Era Daniele che mi diceva di muovermi a prepararmi, che fra un quarto d’ora saremmo dovuti entrare in scena. Loro mi avrebbero aspettato dietro le quinte del palcoscenico, poi, come da copione, sarebbero entrati senza di me, avrebbero imbracciato gli strumenti e avrebbero iniziato a suonare una nostra canzone strumentale, poi successivamente sarei dovuto entrare io e iniziare a cantare.

“Ancora cinque minuti e sono pronto”. Risposi mentre appoggiavo la bottiglia di vino rosso sul tavolino davanti lo specchio posto su una parete del camerino.

Mi guardavo i tagli sulle braccia. Cicatrici che raccontano una vita vissuta fino in fondo, senza mezzi termini, ma con coraggio e sempre a testa alta.

Le mie cicatrici disegnavano una fitta ragnatela sul mio braccio sinistro; solchi di lame, rasoi, taglierini e coltelli vari.

Ricordi di ogni dolore provato, ogni smacco subito, ogni perdita avuta, ogni amore perduto.

Il mio braccio sinistro invece era meno devastata; soltanto qualche leggero graffietto e qualche bruciatura di sigaretta.

Chissà cosa significava.

Antonio, lo psicologo che mi seguiva quando ero ragazzino mi aveva spiegato perché chi è autolesionista si accanisce di più su una certa parte del corpo rispetto ad un’alta.

Ora non ricordo più; ricordo pochissimo del mio passato in generale.

L’eroina mi ha aiutato a rimuovere certi ricordi spiacevoli.

E’ un bene. Meglio che affrontarli da solo e rischiare di impazzire.

Se non avessi affogato i miei pensieri nell’alcol, se non avessi cancellato certi traumi con le droghe, se non avessi scaricato la tensione tagliandomi i polsi, se non urlato al mondo il mio dolore tramite la musica, molto probabilmente oggi non sarei qui.

L’oggi non sarebbe mai arrivato.

Mi sarei lasciato affogare nelle fogne della mia città, mi sarei appeso al lampadario di camera mia o mi sarei dato fuoco nell’officina di mio padre.

Mio padre, quell’uomo che non c’era mai per me. Mi ha moralmente abbandonato dopo che sono nato. Non l’ho mai considerato un padre; solo un semplice genitore.

Come è un genitore un cane che ingravida una cagna.

Mia madre, lei si che è una vera donna.

Se non fosse stato per lei avrei lasciato la mia casa natale quando ero ancora un bambinello.

I dolori di quei ricordi, sempre affioravano; nessuna droga che avevo provato era riuscita ad affievolirli.

Eterni dolori che porterò per sempre dentro di me.

Forse, per cancellare completamente quei dolori, dovevo farla finita.

Per raggiungere la pace dovevo cercare un mondo migliore, un mondo che non è su questa terra.

Solo la morte poteva darmi pace…

Alenka sonnecchiava beata sul divanetto in fondo alla stanza; era bella come la luna piene nelle notti d’estate.

Forse dovrei svegliarla. Se si perdesse il mio show non me lo perdonerebbe mai.

No, non ora. Devo prima finire il vino e tagliuzzarmi un altro po’ l’avambraccio.

La fredda lametta del mio temperino scivolava sulla mia pelle solcata dall’odio per questa vita come un coltello sul burro caldo.

Le ferite si aprivano una ad una, lasciando scorrere il sangue scuro contenuto nelle mie vene marce.

Era una bella sensazione; mi teneva la mente libera e serena.

Chi non ha mai vissuto nel dolore non può capire cosa si prova.

Da un senso di sollievo e ti ricorda che sei ancora vivo, anche se stai morendo lentamente dentro.

Il vino era quasi finito. Avevo promesso a Daniele che non mi sarei ubriacato prima di entrare in scena.

Dovevo mantenere la promessa, visto che stanotte sarà la mia ultima notte.

 

E nulla è cambiato

Nessun motivo da cercare

E da trovare>

 

Forse era vero, ero arrivato troppo lontano, mi ero spinto troppo oltre, nella lunga strada della sofferenza. Non era cambiato nulla e mai nulla cambierà.

Un eterno ritorno, cercare qualcosa per anestetizzarmi, ritrovare la noia e ritrovarmi come all’inizio; vuoto dentro, senza un futuro, uno scopo, una cura alla mia malattia interiore.

Un’epidemia di follia che si sprigiona tutta nella mia testa, che contagia le persone a me vicine, che uccide il mio orgoglio di essere arrivato a dove sono adesso.

Che senso ha vivere nell’eterna oscurità e non esserne capace di uscirne?

Che senso ha vivere se ogni cosa che si fa si trasforma in una maligna inutilità?

Che senso ha seguire un sentiero tortuoso, irto e pieno di pericoli e non raggiungere mai la fine?

Ma ora è troppo tardi, lo show deve cominciare.

Questo sarà l’ultimo, l’ultimo show prima del mio giorno del giudizio.

Finalmente potrò andare a vendere cocaina agli angeli…

 

Domenico mi stava chiamando, dovevo fare il mio ingresso sul palcoscenico.

La band dipendeva da me…

 

Dal palcoscenico si vedeva poco, era buio e le luci stroboscopiche mi impedivano di vedere chiaramente il pubblico.

Sotto al palco Madonne addolorate vestite di nero erano accompagnate da carcasse ambulanti di uomini; vestiti solo di giacconi di pelle e grandi anfibi ai piedi.

Il colore nero regnava sovrano, la luce non era la benvenuta nei nostri show.

Doveva essere tutto più lugubre e oscuro possibile.

Mi piaceva come atmosfera, mi piaceva l’assenza di luce, mi piaceva la totale assenza di qualsiasi tonalità che andasse al di là del nero o del grigio.

Doveva essere come entrare in un buco nero; dove qualsiasi cosa di vagamente luminose dovesse sparire completamente, inghiottito dalla più oscura tenebra che il cuore umano potesse produrre.

Più scuro del cuore di Albert Fish, più oscuro della mente di Ed Gein, più cupo dell’animo di Joh Wayne Gacy.

I serial killer, che essi memorabili!

L’umanità li ha trattati male, li ha umiliati, sfruttati, distrutti interiormente e loro si sono presi una rivincita. Una efferata rivincita su tutta la razza umana.

Loro si che hanno imparato a difendersi dai mali della società, dalla durezza della vita, dalle ipocrisie del mondo.

Il pubblico davanti a me era ammassato sotto il palco in attesa della mia voce, in attesa che io iniziassi a salmodiare le mie canzoni, le nostre canzoni, le canzoni dei Kulto.

Oramai avevo deciso, questa sarà l’ultima notte, l’ultimo show prima del giorno del mio giudizio, la notte della mia morte.

Il fiume sarà la mia tomba, il cavalcavia il mio patibolo, per espiare le mie colpe, i miei peccati, il mio dolore, per sempre…

 

Dall’eternità

E lei mi ha mostrato la fine

Come era giunto il momento

Per affogare il mondo

Nella sua eterna oscurità.

 

Le malattie si riproducono nella mia solitudine

La fine ha graffiato i miei occhi

La melodia di tutto ciò che ho perso

Nello spumeggiante dolore

Nell’emozionante fato supremo>

 

Finalmente ho cantato, lo show ha avuto inizio.

Il pubblico era visibilmente emozionato.

Orde di nero vestiti, vampiri contemporanei si spintonavano e saltavano per cercare di vederci meglio, per farsi vedere da noi, per farsi vedere che erano felici di esserci.

Un tempo ero orgoglioso di tutto ciò, ma negli ultimi anni questo orgoglio era scemato piano piano, inesorabilmente, fino ad aprire un abisso nella mia anima.

Ho sempre combattuto per nulla, il mio destino era già segnato.

Proprio sotto il palco, tra il pubblico e le transenne che dividevano il palco da quella massa di esseri umani informi, vedevo Alenka sorridente che cantava le mie canzoni.

Mi spiace abbandonarla così, ma saprà capirmi prima o poi.

Forse sono innamorato, ma non posso condurre una vita scialba con lei.

So di essere senza futuro, non cambierò mai e lei è ancora giovane, ha bisogno di un futuro, a bisogno di una vita libera e felice, a bisogno di costruirsi qualcosa con qualcuno che li dia tutto quello che si merita.

Io non posso darle tutto questo, io sono già morto da troppo tempo.

Finalmente una botta di vita, stava facendo effetto la cocaina, il cuore mi batteva all’impazzata, la stanchezza era passata, ora dovevo dedicarmi completamente allo show e regalare una cura ai miei fan, una panacea alle loro vite monotone e solitarie.

 

Tra dolore e disperazione

La nostra travolgente solitudine

La nostra vita senza domani

Nè speranza né divenire

Un unico desiderio di morire

Sublimata misantropia

Utopica misantropia>

 

Si, solo quell’unico desiderio mi assillava, quel desiderio di morte.

Lasciare tutte le sofferenze di questo mondo, tutte le ipocrisie della società, tutto il cancro dell’umanità, per vivere felicemente nell’eternità.

Bastava farlo velocemente senza pensarci, doveva essere veloce ed indolore.

Pausa, la canzone era terminata.

“Siete pronti!” Urlai al microfono.

La massa nera davanti a me pulsava estaticamente; cori inneggianti a noi uscivano da quelle cloache che avevano al posto della bocca, vomitavano letame come se fossero vacche in fila per essere macellate.

Un tempo li adoravo i nostri fan, i miei fan; ora mi avevano stancato anche loro.

Non aveva più senso continuare; ora solo il fiume avevo in mente, il mio letto dove riposerò per sempre.

 

Attraverso il sentiero della distruzione

Non ci sono altri modi per guardare indietro

L’oscurità è già qui…

Condanna e perdono

Tra le braccia del nulla

Rinascita nell’agonia

Non abbiamo modo di fuggire

Vorremmo vivere ancora un giorno

Per provare il dolore ancora per un giorno>

 

Basta! Il dolore provato finora doveva assopirsi per sempre.

Solo così potrei essere completamente libero da me stesso, dalla mia amare agonia, dalla mia perenne nebbia, dal mio arido cuore.

Non sto più bene, non lo sono mai stato.

Pensavo di aver trovato un antidoto alla mia sofferenza nella musica, ma mi sbagliavo.

Si, la musica. Mi ha accompagnato per tutti questi anni, ha sopito un po’ la mia disperazione, ma non l’ha curata completamente.

Era giunta la mia ora.

Pausa, altro pezzo finito.

“Questo sarà in nostro ultimo show!” Vomitai al microfono.

Daniele e Domenico si dissero qualcosa nell’orecchi.

Non era il nostro copione, ma solo il mio.

La massa pulsante rimase attonita.

Non riuscivo a capire esattamente quello che dicevano, ma dai loro volti si capiva che non si aspettavano una notizia del genere.

Daniele mi si fece vicino e mi tirò un leggero calcio sulla caviglia.

“Che cazzo stai a dire?” Mi chiese.

Lo rassicurai dicendogli che stavo scherzando; si trattava di marketing.

Come il cantante di quella band che aveva inscenato la sua morte per tutta la durate della tournèe e all’ultima data è apparso sul pubblico, con lo stupore di tutti.

Dopo quella scenata le vendite dei loro dischi era aumentata ancora di più.

 

Sono troppo debole per andare avanti

Le mie ossa lottano al suolo

Conosco la fine

So che tutto è a posto

Per la mia partenza

Il mio sacrifico

Sono alla fine

La rovina di un tempo>

 

Si, sono alla fine del mio sacrificio.

Mi sono arreso alla vita, al peccato, ai falsi valori umani, alla sofferenza della mia anima.

Non continuerò a vivere in queste vita; ne cercherò un’ altra, una vita priva di sofferenza e libera dal peso del mondo.

Sono stanco, fottutamente stanco!

Stanotte sarà la mia ultima notte, sarà la mia liberazione eterna.

Addio anime perse, addio amici, addio Daniele, Domenic, Martino. Siete stati degli ottimi amici e compagni. Grazie a voi sono arrivato fin qui.

Addio Alenka. Anima bella, giovane donna, ti porterò sempre dentro di me.

Non dimenticarti e pensa a raggiungere la tua felicità.

Non credere ai falsi valori, alle ipocrisie di questa società; credi solo in te stessa e, ricordami.

Ricorda il giorno che i nostri sentieri si sono incrociati, ricorda le effimere gioie che abbiamo passato insieme, ricorda le litigate al telefono, ricorda le sbronze che ci siamo presi nei vari concerti.

Ricordami, come un amico, non come il tuo cantante preferito.

Ricordami come un amante fidato, non come un puttaniere che va con tutte; negli ultimi anni ho avuto solo te.

Lo so, non te l’ho mai detto, ma non potevo.

Tu sei la mia fan numero uno, la mia unica amica, la mia unica amante.

Addio Alenka!

Ti amo e forse ti ho sempre amata, dalla prima volta che ci siamo visti.

“Siete pronti?” Urlai ancora al microfono.

 

Aiutate a spargere lo Zyklon B sulle masse

Continuo a vendere cocaina agli angeli

Sperma sterile nella tua vagina

Continua a vendere cocaina agli angeli

Schiaccio il feto appena nato per la gloria nichilista.

 

Azione terroristica sul genere umano

Non credere alle bugie della filantropia

Continua a vendere cocaina agli angeli

Iniezione di napalm nelle tue vene

Continua a vendere cocaina agli angli>

 

Si, finalmente potrò andare a vendere davvero la cocaina agli angeli

Cara droga che mi hai accompagnato per quasi tutta la vita.

Anestetico chimico che mi ha tenuto in vita per tutto questo tempo.

Amica della mie nottate solitarie, panacea del mio dolore, spalla che mi sosteneva durante i mie esaurimenti, amica che mi spingeva al limite quando ero stanco.

Grazie di tutto!

Ora, potrò venderti agli angeli.

Grazie anche ai miei, ai nostri fan, che ci hanno supportato a lungo.

Mi spiace che non ci sarò più, ma se la band continuerà senza di me continuate a seguirla.

Noi viviamo grazie a voi e i Kulto non vi deluderanno.

Presi dalla tasca posteriori dei pataloni il mio temperino portafortuna e mi aprii altri tagli sulle braccia e sul petto.

Lo show doveva ancora continuare…

 

Troppa polvere

Un evento di ieri

Rilasciami dalla disperazione

Questo è il mio bene>

 

Finalmente era tutto terminato; ancora qualche ora e me ne sarei andato per sempre.

Ritornando verso il camerino Alenka mi corse incontro e mi abbrcciò.

Sarà l’ultimo abbraccia, faremo l’amore per l’ultima volta, mi ubriacherò per avere il coraggio di lasciare il mondo e le fredde acque del fiume mi doneranno un eterno abbraccio e nella loro gelida morsa mi lascerò trasportare verso un posto migliore, aldilà della vita e della morte, aldilà di ogni sofferenza, aldilà di ogni cosa.

Finimmo sul divanetto del camerino; Alenka mi tolse i pantaloni e iniziò a leccare le miei cicatrici.

Lappava il sangue che mi sgorgava dai polsi e dal petto.

Un sublime trattamento all’umo morente.

“Ti amo!” Le dissi sottovoce.

“Max, anch’io ti amo tanto”

Una lacrime le scese lungo il viso

“Grazie per avermelo detto”

“Andiamo a prendere una boccata d’aria?” Le chiesi.

“Qui ci sono tutti, non possiamo fare le nostre cose”.

Mi vestii velocemente, la presi per mano e insieme scappammo fuori dal locale, verso il bosco a lato del locale.

L’aria fuori era gelida; il vento sferzava impavido le fronde degli alberi, le verdi colline si erano tinte di cupo, il cielo e tutto intorno il buio regnava sovrano.

Nel bosco consumammo un rapporto sessuale; l’ultimo della mia vita, l’ultimo con Alenka.

Restammo un po’ appoggiati su un grosso tronco d’albero, a baciarci teneramente come due ragazzini e a parlottare.

“Devi farmi una promessa” Le chiesi.

“Promettimi che mi terrai nel tuo cuore e non mi dimenticherai mai!”

“Ma certo che te lo prometto!” Rispose con sguardo interrogatore.

“Perchè me lo chiedi?”

“Perchè ti amo!”

Prese il mio volto tra le mani e mi diede un bacio passionale.

“Anch’io ti amo!” “E ti amerò per sempre”.

Prese a leccarmi il collo, scese giù sul petto e prese a lappare le mie cicatrici.

Mi faceva impazzire. Era una delle cose più eccitanti che avessi provato.

Solo una ragazza prima di lei mi baciava le ferite; ma non era così brava ed esperta come Alenka.

Rifacemmo l’amore ancora una volta quella sera; la cocaina aiutava a non averne ancora abbastanza, potevo continuare fino al giorno dopo, senza interruzioni.

Finito di fare l’amore ci rivestimmo velocemente, faceva un freddo cane; e tornammo mano nella mano verso il locale.

Ora avevo bisogno di una sbronza.

Appena dentro alcuni fan mi notarono e corsero verso di me.

“Che palle!” Pensai tra me

“Non ho voglia di intrattenermi con loro”.

Nonostante la noia che mi causarono li salutai e li ringraziai per essere venuti.

Presi da bere dal bancone del bar e mi fiondai nel camerino.

Daniele era sul divanetto con una ragazza rimorchiata tra il pubblico.

Salutai, mi presentai e me ne andai, lasciandoli soli.

Dissi ad Alenka di stare un po’ nel locale che io dovevo andare un attimo sul caravan a sistemare una cosa.

Uscii di corsa e mi precipitai verso il fiume.

Mi sedetti su un piccolo masso che sporgeva dal terreno vicino ad un argine e mi misi a sorseggiare la mia bottiglia di vino rosso.

“E’ bello venire a suonare da queste parti. Hanno dell’ottimo cibo e del buon vino”.

Pensai.

La mente mi si stava schiarendo; fra poco sarei stato per sempre libero.

Guardai il letto del fiume che ora era diventato scuro grazie alla notte.

Riuscivo a distinguere lo scorrere impetuoso della corrente, il fluire della linfa della terra, l’odore umido dell’acqua fresca, il rumore delle onde infrante su delle rocce che affioravano da esse.

Era tutto così poetico.

Non so per quanto tempo rimasi lì immobile a bere, ma ad un certo punto fui destato dalla voce di Alenka e Domenico che mi chiamavano.

Cercai di nascondermi tra le rocce della riva del fiume; per poi proseguire acquattato risalendo il suo corso per raggiungere il cavalcavia.

L’ora era giunta, dovevo sparire prima che loro mi vedessero, prima che loro cercassero di fermarmi.

Il terreno era saturo di umidità; era un’impresa raggiungere il punto predestinato, scivolavo ad ogni passo sulle rocce bagnate.

Ma, finalmente, dopo non so quanti minuti di cammino, ecco che raggiunsi i pilastri che sostenevano il cavalcavia.

Sotto di loro si apriva il nero fiume.

Era questioni di secondi, dovevo farlo.

Ora o mai più.

Addio per sempre abominevole vita.

Guardai sotto di me; l’abisso stava per accogliermi tra le sue braccia, stava per inghiottirmi nelle sue più fredde e oscure viscere.

Chiusi gli occhi e mi lascia cadere in avanti.

 

Custodiscimi come un santo

Con gli occhi iniettati di sangue

Sono da macellare.

Croce familiare

Nell’odio divino

Ti do il benvenuto

Nel matrimonio>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Altri / Vai alla pagina dell'autore: Usamljeni Vuk