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Autore: LanceTheWolf    24/09/2018    3 recensioni
Ma come poteva sapere “lui” se dargli credito o meno?
C’era di mezzo Lance e tutto quello che riguardava quel pilota era sempre esagerato e scenico, sempre “troppo esagerato e troppo scenico” per pensare davvero che avesse un qualunque valore.

Questa storia partecipa al contest “In Vino Veritas” a cura di Fanwriter.it!
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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★ Iniziativa: Questa storia partecipa al “In Vino Veritas” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 1122
★ Prompt/Traccia: Prompt 15 (A e B si ubriacano insieme, ma a uno dei due prende la sbornia triste) con accenno al Prompt 12 (A sbronzo e le telefonate moleste)
★ Beta: Donnasole
 

I Fondamentali


«Hunk, amico, rispondi».
 
Era notte tarda. Keith si era alzato per un bicchiere d’acqua quando sentì quella voce.
Il ragazzo si trovava nella cucina attigua alla Hall dei locali comuni riservati al team Voltron sulla Terra.
“Lance?” valutò e doveva essere per forza lui, aveva udito la sua voce sin troppe volte per non riconoscerla, eppure il tono non era il solito.
Si affacciò all’arcata che dava sulla sala in tempo per scorgere il Paladino Rosso gettare la giacca su una sedia senza alcuna premura, slacciarsi la cravatta e lasciarsi cadere seduto sul divanetto con il cellulare piantato all’orecchio.
Sembrava devastato: barcollava e gli occhi gonfi trattenevano a stento le lacrime.
L’istinto suggerì a Keith di allontanarsi, non erano fatti suoi e sicuramente lui era l’ultima persona che Lance volesse che lo vedesse in quello stato.
 
«Sei in camera, Bello? Ho bisogno di te», supplicava nel telefono con voce sempre più bassa. «Ti prego, rispondi a questa cazzo di segreteria. Sto male Hunk, Lei… mi ha usato. Avevi ragione. Ti prego, amico…»
Piangeva, Lance piangeva. Le lacrime avevano rotto gli argini e Keith aveva assistito al momento esatto in cui il dolore aveva abbattuto ogni suo tentativo di reprimerle.
I piedi scalzi riportarono il capitano della Voltron Force in cucina: Hunk sarebbe sicuramente arrivato a breve ed era meglio per tutti loro che non lo vedessero lì.

Lance era uscito per quello che doveva essere un appuntamento romantico, ricordò il giovane capitano, mentre gli tornavano alla mente alcune chiacchiere dei giorni passati: era un po’ che Lance usciva con una ragazza, “Elie”, così si chiamava. Keith conosceva il suo nome, lo aveva sentito, non avrebbe saputo dire quante volte, uscire dalle labbra del compagno di squadra.
 
«Hunk, sono di nuovo io. Rispondi, questi bip mi stanno facendo impazzire. Sono mezzo ubriaco, mi sono scolato non so cosa mentre tornavo e… ho bisogno di bere ancora! Hunk...» La voce sommessa del pilota, nel silenzio della base, giungeva alle orecchie di Keith sempre più incerta, sempre più sofferente. «Ho bisogno di te. Ho… Avevi ragione… ti prego amico…».

Keith poggiava con le spalle contro il muro che divideva i due ambienti. Si morse un labbro, ascoltando quel lamento, ricordando quanto aveva visto quella stessa mattina, quando Pidge e Hunk avevano preso Lance in disparte. Keith, poco distante, aveva sentito più per errore che per reale interesse che i due erano entrati su un canale social: per gioco avevano cercato il profilo di Elie e l’avevano trovato. “Non è una seria. Vuole solo divertirsi”, questo avevano detto a Lance. Il Pilota era andato in escandescenza, prendendo le difese della ragazza e trattando malissimo i due amici.
Agli occhi di Keith quello era stato solo uno dei mille fatti accaduti che avevano avuto come protagonista il Paladino Rosso a cui, come suo solito, non si era degnato di dare troppa importanza.
Ma come poteva sapere “lui” se darvi credito o meno?
C’era di mezzo Lance e tutto quello che riguardava quel soldato era sempre esagerato e scenico, sempre “troppo esagerato e troppo scenico” per lasciar pensare che avesse realmente un qualunque valore.


«... Ancora questo dannato bip... Hunk, Hunk ti prego… Le ho parlato, Hunk. Le ho chiesto se era vero e lei… lei mi ha confermato tutto… Cazzo, ho bisogno di bere! Non voglio pensare… Hunk, non lasciarmi solo, per favore, non… ce la faccio». La voce suonava sconfitta dal dolore.
«... Ha detto che non pensava m'importasse, che credeva fossi come lei... solo divertimento, nessun impegno... che non le interessava un rapporto serio e se non mi andava bene... se non mi andava bene ne aveva già un paio per sostituirmi». Un lamento mal trattenuto, come se qualcosa faticasse a uscire. «Pronto, Hunk… capisci? Ne aveva già un paio. A quel punto sarebbe stato meglio mentire. Avrebbe potuto dire che ci teneva a me, che ero speciale non solo uno di quelli che si portava a letto. Sto male, Amico… cazzo, l’amavo! Pensavo di amarla davvero... Non lo so, non so più niente…»
Keith a viso basso si scostò dalla parete.
 
«Hunk… ti prego… Sto uno schifo… Ti…» Le lacrime scendevano copiose, mentre Lance, arreso, allontanava il telefono dal volto.
Lo sguardo gli sussultò udendo altro, oltre il suo affanno, in quel silenzio: dei passi.
«Hunk», chiamò con un filo di voce e una nota di speranza, voltandosi, ma… c’era solo lui, Keith.
Lui, davanti a quegli occhi sgranati e a quel respiro mozzato. Lui, con una bottiglia di vino in una mano e una di whisky nell’altra.
Vide Lance perdere colore, mentre riprendeva a respirare. Poteva leggere chiaramente in quello sguardo liquido quanto si sentisse umiliato, quanto avrebbe desiderato non essere mai nato pur di non farsi vedere in quelle condizioni da nessuno che non fosse il suo migliore amico, eppure… «Ho sentito che avevi bisogno di bere e… beh, ho pensato di portare i “fondamentali”», disse Keith, con tono sprezzante, avvicinandosi e posando una delle bottiglie sul tavolino.
Lance lo osservava paralizzato, mentre lui gli si sedeva accanto. Le lacrime sembravano l’unica cosa che non avesse perso mobilità sul suo volto, continuando a scendere copiose, senza sosta.

Non aggiunse null’altro, Keith, preferendo alle parole il suono della bottiglia di liquore che si stappava.
Lance lo fissava muto, gli occhi e le spalle fremevano scossi da respiri troppo dolorosi per rimanere contenuti ancora a lungo.

«Non sono il compagno di sbronze migliore che si possa avere, ma…», riprese il capitano, porgendo la bottiglia aperta al suo tiratore scelto, «…Sono qui».
Un fremito più violento scosse il petto e le spalle di Lance, arricciandogli i lineamenti del volto nell’istante prima che Keith si ritrovasse stretto nel suo abbraccio; nell’istante prima che scoppiasse in un pianto dirotto, dando finalmente libero sfogo a lacrime e a singhiozzi da troppo trattenuti.

Keith, colto alla sprovvista, rimase imbambolato: il collo della bottiglia ancora stretto nella mano, il tappo finito chissà dove su quel divano.
Qualche secondo, poi chiuse le braccia intorno alle spalle dell’amico, senza dire nulla. E infondo, cosa c’era da dire che Lance già non sapesse?

«Era… Dopo Allura... Lei era… credevo di aver trovato…» La voce del paladino era rotta dai singhiozzi. Non era facile capire quel che diceva, eppure… «Volevo… per una volta… sola… Volevo… sentirmi normale» …Eppure Keith aveva capito.


Anche lui aveva desiderato essere come tutti quelli della sua età. Si era domandato spesso come sarebbe stato non essere stato gettato in una guerra assurda con un pugno di ragazzini “come lui”, orgogliosi e spaventati “proprio come lui”, costretti a comportarsi d’adulti “esattamente come lui”. Talmente feriti e deviati nelle loro emozioni da poter sopportare il peso di centinaia di morti sulle spalle, ma non la singola presa in giro di una donna.
 

Note: Ahhh, non so che mi è preso! Ho letto all’ultimo minuto di questo contest e mi è piaciuto da impazzire tanto che ho dato di matto e ho tirato sta cosina giù in poche ore, spero non si riveli troppo deludente. Sigh! T_T
 

20/01/2019
Finalmente ho trovato il tempo di correggere queste poche righe. Grazie a Donnasole per avermi dato una mano nell'ultima stesura aiutandomi ad allegerire di molto il carico emotivo del testo. Sono stata molto combattuta fino all'ultimo se togliere la figura del bambino o meno, ma alla fine ho pensato che fosse la scelta giusta onde evitare di appesantire eccessivamente un evento già di suo molto triste.
   
 
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