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Autore: RaidenCold    25/09/2018    3 recensioni
Il giovane Kaspar vive in un mondo sfigurato dagli orrori di una guerra che, stando ai mass media, avrebbe coinvolto i leggendari "Cavalieri di Atena"; vive la sua vita normalmente, cercando come può rifugio dalla decadenza e dalla brutalità, ma un giorno una vecchia conoscenza gli si presenta davanti, chiedendogli di seguirlo verso qualcosa che cambierà per sempre la sua vita...
(Seguito spirituale della storia "Fear of the Dark", e come essa parte del canone "L-Iconoclast")
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Violate
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata di sole, molto calda, quasi afosa; neanche l’avvicinarsi del tramonto dava sollievo, tra i cementi della città.

Di verde ne era rimasto poco o niente: le piante erano morte per le radiazioni, le persone stavano subendo una sorte più simile, ma molto più lentamente.

 

Un giovane ragazzo minuto dai capelli canuti ed arruffati, vestito semplicemente, con blue-jeans ed una maglietta nera, camminava solo sul grigio marciapiede, accompagnato soltanto dal canto crepuscolare delle cicale.

 

“Ehi Kaspar!”

Si voltò sorpreso, trovando una ragazza dai lunghi capelli rosati, con due grandi occhi castano chiaro incastonati in un viso delicato e leggermente tondeggiante; vestiva con una tuta sportiva bianca, con i dettagli e i bordi rosso scuro.

 

“Sylph, che sorpresa…” - la salutò con un po’ di imbarazzo.

“Stavi andando a casa?”

“Sì.”

“Ti va di fare un po’ di strada assieme?”

“M-ma certo.” - balbettò arrossendo.

“Che ci fai in giro a quest’ora?”

“Niente di ché, facevo due passi… tu?”

“Ho finito adesso gli allenamenti di pallavolo.” - rispose mostrando un borsone che portava a tracolla.

“E torni a casa da sola?”
“Lo faccio sempre.”

“Ma non è pericoloso?”

Sylph ridacchiò divertita:
“Potrei farti il culo… sei tu quello che rischia girando da solo!”

“Hai ragione…” - sorrise lui senza allegria.

“Su non buttarti giù, ti stavo prendendo solo un po’ in giro, ma lo sai che per me sei un amico eccezionale!”

Un amico, già: forse quando erano ancora piccoli, ma negli ultimi anni i suoi sentimenti per lei erano cambiati in qualcosa oltre l’amicizia.

Erano quasi giunti presso la casa di Kaspar, quando notarono dall’altra parte della strada quattro ragazzi più grandi dall’aspetto trasandato e strafottente, che li guardavano ghignando in modo poco rassicurante.

I due aumentarono la velocità dell’andatura, ma subito quel gruppetto di ragazzi dagli abiti intenzionalmente sgualciti gli si portò accanto circondandoli:
“Ciao, ti va di venire con noi?” - disse uno rivolgendosi a Sylph.

“Ci divertiamo!” - aggiunse un altro.

“Lasciateci in pace.”

Lasciateci in pace!” - le fece il verso un terzo, causando le risa di tutti gli altri.

“E tu che vuoi?” - disse l’altro del gruppo rivolgendosi minaccioso a Kaspar - “Via dai coglioni frocio!”

“Non parlargli così!” - lo ammonì Sylph, mentre Kaspar tremulo rimaneva in silenzio per la paura.

“Sto frocio si fa difendere dalla tipa!” - gridò uno e tutti scoppiarono a ridere di gusto.

“S-smettetela di importunarci, per favore.” - balbettò timidamente Kaspar, al ché uno di loro gli afferrò il collo della maglietta con violenza.

“Ti ammazzo figlio di troia.” - ruggì sputacchiandogli in faccia.

“Lascialo!” - gridò Sylph, al ché due la immobilizzarono,ed un altro le abbassò la cerniera della felpa, sghignazzando compiaciuto e con la bava alla bocca.

 

“Vedete di piantarla.”

Una giovane donna dai lunghi capelli corvini con indosso una giacca nera di pelle, se ne stava appoggiata a braccia conserte su di un palo della luce.


“S-sorellona?” - la salutò stupito Kaspar - “Sei davvero tu?”

“E chi altri dovrei essere?” - rispose la ragazza sorridendo.

 

“Che cazzo vuoi stronza?”

Con un gesto fulmineo la ragazza si portò sull’energumeno e gli torse un braccio facendolo piegare a terra urlando per il dolore:
“Mollate quei due, o gli spezzo il braccio.”

“Ma che cazzo vuoi?” - rispose uno ridendole in faccia, e lei senza esitazione piegò l’arto del suo compare rompendoglielo di netto.

“Troia maledetta!” - esclamò avventandosi su di lei facendo per tirare un pugno; ma lei non solo lo intercettò, ma gli prese il braccio, se lo appoggiò sulla spalla, dopodiché con un violento strattone ruppe anche il suo.

A quel punto uno dei due che bloccava Sylph tirò fuori un coltello a serramanico e lo puntò alla gola della giovane:

“L’ammazzo!”

La ragazza dai capelli neri sorrise allettata, e prima ancora che quello riuscisse a rendersene conto, gli si portò esattamente dietro, gli afferrò il polso piegandoglielo all’indietro, ed infine gli conficcò il suo stesso coltello nella gamba.

A quel punto l’ultimo rimasto si dileguò, correndo via in preda al terrore.

 

 

Allontanatisi dal vialetto dove i tre malintenzionati ancora agonizzavano doloranti, Kaspar andò in contro alla ragazza e l’abbracciò:
“Sono così felice di rivederti, sono passati così tanti anni dall’ultima volta che ci siamo visti!”

“Già, e tu sei cresciuto molto” - rispose accarezzandogli con delicatezza la chioma bianca - “anche se sei rimasto un tappetto.”

“Ho temuto per il peggio… grazie per averci salvato!”

“Devi stare più attento quando vai in giro verso sera, lo sai che gira brutta gente: questo mondo è come una giungla, e le sue bestie sono pronte a divorarti.”

Il giovane la guardò contrito:
“Scusami…”

Faceva tenerezza, col suo viso fanciullesco ed i suoi grandi occhioni color carminio, che certe volte lo facevano assomigliare ad un coniglietto, tutto bianco e soffice; Kaspar aveva sedici anni, era un tipo tranquillo e ingenuo, ma anche poco sveglio, e spesso finiva senza rendersene conto in situazioni più grandi di lui, come quella a cui stava per andare in contro.

“Sylph” - disse alla ragazza - “lei è Violate!”

“Piacere, io sono Sylph…Kaspar mi ha parlato molto di te.”

“Oh, ma davvero?” - si voltò verso il ragazzo guardandolo con un sorrisetto ammiccante, facendolo arrossire imbarazzato.

“Che cosa ti porta qui a sud di Asgard, sorellona?” - domandò incuriosito a Violate a cui, pur non avendo effettivi legami di parentela, voleva davvero bene come una sorella.

“Tu.”

“Io?”

“Seguimi.”

“M-ma non posso lasciare Sylph da sola…”

“Sono quasi arrivata, casa mia è dall’altra parte della strada; sta tranquillo, sono solo un po’ scossa, ma cose del genere bene o male le vedo accadere tutti i giorni.”

“Va bene, sta attenta.” - la salutò per poi voltarsi ed andare assieme alla ragazza mora.

 

“Sta attento tu…” - sospirò, preoccupata.

 

Violate condusse Kaspar in un parcheggio coperto, dove aveva lasciato un’elegante automobile sportiva completamente nera e dai vetri oscurati.

“C-caspita, ma quando hai preso una macchina del genere?”
“Non è mia.”

“Te l’ha prestata qualcuno?”

“Un mio amico; su avanti, sali.”

“Ma dove stiamo andando?”
La ragazza sorrise in modo ammiccante:

“Lo scoprirai strada facendo.”

 

L’auto sfrecciava lungo le campagne fuori dalla città: il paesaggio si presentava sotto forma di sconfinati campi di terra brulla e sterile, ricoperti dalle macerie dei palazzi di periferia distrutti dalle esplosioni.

“La zona esterna della città ha subito pesanti bombardamenti per l’ultima guerra” - spiegò Kaspar - “nessuno ha mai capito cosa c’entrassero queste zone con la guerra ai cavalieri…”

“In verità c’entravano, ma non con i cavalieri che pensi tu.”

“Come?”

“Immagino tu sappia che a causare questa guerra, stando ai media, sono stati i cavalieri di Atena, quella misteriosa organizzazione greca dotata di poteri sovrannaturali.”

“Certo che lo so… al TG non si è parlato d’altro per mesi! Dicevano che avevano dirottato le nostre bombe e ce le avevano rispedite contro…”

“Tu che ne pensi?”

“Mio padre pensa siano tipo dei massoni che hanno governato il mondo in segreto e che abbiano causato i più grandi e famosi complotti della storia, che gestiscano in segreto il flusso monetario mondiale, e che ora che sono stati smascherati pubblicamente abbiano rivelato il loro vero volto da farabutti.”

“D’accordo, ma ti ho chiesto che cosa ne pensavi tu.”

“Ecco…” - sbuffò poggiando la testa sul finestrino - “Io sinceramente non lo so, so solo che qualcuno si è messo a lanciare bombe nucleari in giro per il mondo, e noi stiamo morendo come formiche per una guerra senza senso… come tutte le guerre, d’altronde.”

“Che ne pensi dei massacri?”

“Ho visto i video… quei bastardi sono senza pietà, e in effetti mi sembra plausibile che degli invasati simili possano bombardare tutto il mondo con armi nucleari.”

Nei filmati a cui Kaspar faceva riferimento si vedevano bande di uomini vestiti con armature scarlatte attaccare, senza un apparente motivo, persone a caso in luoghi pubblici, massacrandole brutalmente con le loro spade affilate; sembrava un incubo venuto da un passato lontano, e nessuna pistola sembrava avere effetto su quegli uomini, che sembravano essere immuni alle pallottole.

“E se ti dicessi che quelli non sono cavalieri di Atena?”

“L’ho sentito dire, ma su internet ho letto molti dire che era una fake-news messa in giro dai cavalieri stessi per convincerci che non erano loro i responsabili delle morti; mio padre dice che cercano di ingannarci per renderci vulnerabili e distruggerci tutti.”
“Ancora una volta non mi stai dicendo il tuo pensiero.”

“Io non so…”

“Accidenti Kaspar, mica ti mangio, voglio solo sapere la tua opinione, sta tranquillo.”

“Dico davvero, non ci ho mai pensato su, avrei dovuto informarmi per avere un’opinione imparziale, ma non ho avuto voglia.”

“Pigrone…”

“Lo sai che non mi piace troppo pensare!”

“Meno male che sei carino, perché se fossi brutto non ti vorrebbe nessuno, scemo come sei…”

Kaspar era sul punto di protestare, ma si bloccò perché non era riuscito a capire se quella fosse stata un’offesa o un complimento, e alla fine non disse niente; si limitò a sbuffare, dopodiché poggiò nuovamente il capo sul finestrino.

Osservò il sole calare su quelle terre desertiche e senza vita, ricordando come qualche anno prima esse fossero campi verdeggianti coperti di fiori; a un certo punto era arrivato davvero a pensare che il mondo stesse per finire, e che l’umanità si sarebbe estinta con esso.

Invece erano vivi, la guerra sembrava cessata, poiché sia i cavalieri sia gli eserciti di tutto il mondo sembravano spariti dalla faccia della terra, da quasi due anni ormai: in qualche modo ora l’umanità doveva ricominciare da capo, e Kaspar stava vivendo la sua adolescenza proprio in quell’epoca di transizione.

Fortunatamente il suo quartiere non era stato colpito dai bombardamenti, e alla fine aveva vissuto, fino a quel giorno, una vita normale, stando con i suoi genitori, andando a scuola, giocando con gli amici: era probabilmente una dei pochi al mondo a non essere stato tanguto direttamente dagli orrori di quella guerra totale.

“Non mi hai ancora detto dove mi stai portando… dimmi almeno se faremo tardi, che avverto la mamma.”

“Lascia perdere il cellulare e ascoltami.”

Kaspar mise via il telefonino – ma non prima di aver comunque mandato un SMS alla madre avvertendola che probabilmente avrebbe tardato.

“Quelli che hai visto non erano cavalieri di Atena, ma di Ares.”

“Ares?”
“Un altro antico dio greco.”
“Fantastico, un’altra setta di fanatici.”

“Sono stati loro a compiere tutti quei massacri.”

“E che differenza fa, sono sempre cavalieri no?”

“No, è come se fossero due cose completamente diverse; ad ogni modo, i bombardamenti che vi hanno colpito miravano a sconfiggere una drappello di cavalieri che si stava rintanando da queste parti.”

“E ci sono riusciti?”

La ragazza non rispose, ed iniziò ad accostare la macchina: erano in aperta campagna, nel mezzo del nulla.

“Andiamo.”
“M-ma non è pericoloso?”
“Kaspar” - disse stringendogli la mano - “ho bisogno che tu faccia una cosa… la faresti per me, per la tua sorellona?”

Il ragazzo la guardò negli occhi scuri perplesso, e rimuginò per qualche istante.

 

“Va bene…”

“Seguimi.”

 

I due scesero dall’auto, e si fecero strada nel buio con delle torce, fino a ché non si imbatterono in una specie di casolare in pietra dall’aspetto fatiscente:
“Ho scoperto un terribile segreto: qui dentro albergano degli esseri maligni.”

“Ti prego smettila di scherzare, adesso sono veramente terrorizzato, andiamo a casa!”

“Come sai io ho sempre posseduto della abilità… particolari; volevo affrontare quegli esseri e sconfiggerli con i miei poteri, ma da sola temo di non farcela.”
“Ed io in che modo potrei aiutarti, scusa?”
“Forse non lo sai, ma dentro di te c’è qualcosa di speciale e unico, che ti rende differente dalle altre persone… non hai mai percepito niente di strano?”
“Ora che mi ci fai pensare, è come se a volte mi sentissi scomparire, altre invece mi sembra di avere un fuoco dentro, ma non saprei come descrivertelo…”

“Capisco perfettamente che cosa intendi.”
“Quindi secondo te io potrei aiutarti a sconfiggere queste misteriose creature?”

“Sì, e ti chiedo scusa per averti coinvolto in questa faccenda, poiché tu sei l’unico che possa aiutarmi… ma mi rendo conto che tutto sia improvviso per te, e se vuoi posso riportarti a casa.”

Kaspar chinò il capo ed iniziò a pensare, ma dopo alcuni istanti lo risollevò sorridendo e prese dolcemente le mani della ragazza:
“Mi fido di te, e so che non permetteresti mai che mi accada nulla di male!”

“Oh, Kaspar…”

Violate gli accarezzò la chioma canuta, dopodiché gli fece cenno di seguirlo nel casolare:

come entrarono nella costruzione si trovarono dinnanzi ad una botola aperta, le cui scale sembravano scendere molto in profondità.

I due iniziarono a percorrere la via per le buie viscere della terra, e quando dopo un po’ Kaspar vide una fioca luce rossa in brillare in lontananza, gli sembrò di stare precipitando verso l’inferno.

Ad un certo punto, iniziò a sentire una musica, che si faceva man mano più intensa e sincopata: tamburi dardeggianti e flauti che soffiavano impazziti, sembravano attirarlo versa quella luce come un magnete.

In breve, senza essersene neppure reso conto, Kaspar si ritrovò completamente immerso nel bagliore cremisi: quando la sua vista si adattò, vide che si trovava in un salone dall’aspetto antico, sorretto da colonne marmoree simili a quelle di un tempio.

In tutto la sala, illuminata solo da torce appese sulle colonne che ardevano di quell’intensa luce rossa, vi erano uomini e donne vestiti con armature brillanti del medesimo colore delle fiaccole, intenti a farsi coinvolgere dal trascinante ritmo degli strumenti che alcuni di loro stavano suonando.

Kaspar guardò con più attenzione, e notò che al centro della danza vi era un uomo riverso a terra in una pozza di sangue: e come le note si impennavano i danzatori si avventavano sul poveretto con piccoli coltellini, facendolo urlare disperato di dolore.

Paralizzato dalla paura, Kaspar ruotò lo sguardo verso Violate, constatando che la ragazza non fosse più accanto a lui.

D’improvviso partì l’ultima altissima nota e tutti quanto contemporaneamente piombarono sulla vittima, pugnalandola e facendone a pezzi le carni, per poi bagnarsi del suo sangue.

A quel punto uno dei presenti si voltò verso Kaspar e lo guardò con un ghigno inquietante dipinto in viso:
“Ecco la prossima vittima per la resurrezione di Ares!”

E come ebbe detto ciò tutti fecero per avvicinarsi al ragazzo, il quale fece per indietreggiare, ma si trovò bloccato da altri energumeni in armatura che gli erano scivolati dietro senza che se ne fosse accorto.

 

Ripensò alle parole che gli aveva detto poche ore prima Violate: gli sembrava davvero di essere finito in una giungla, come preda, ghermito da decine di cacciatori affamati.

 

E mentre loro si avvicinavano e la musica si faceva più intensa, Kaspar sentiva il proprio cuore battere impazzito, e allo stesso tempo percepiva la mente annebbiarsi, come se si stesse allontanando dal corpo:

e a un certo punto, si trovò davvero in un posto diverso dal salone dov’era convinto di trovarsi fino ad un momento prima.

 

Si trovava in un bosco, da solo, al buio, in una notte in cui neppure la luna aveva il coraggio di mostrarsi, ed il cielo era dominato da fosche nuvole cariche di tempesta.

Sentì un frusciare tra gli alberi, e lentamente si voltò: davanti a sé vi era un enorme lupo dal manto cinereo e gli occhi scarlatti, che gli ringhiava in faccia mostrando le zanne aguzze.

Lì per lì Kaspar si sentì nuovamente attanagliato dal terrore, ma poi si accorse che il lupo non si muoveva, limitandosi a fissarlo minaccioso; per qualche strana ragione, ebbe l’istinto di provare a carezzare la fiera, nonostante ogni singola cellula del suo corpo gli stesse gridando di scappare.

E incredibilmente la mano giunse sulla folta pelliccia dell’animale, e Kaspar iniziò ad accarezzarlo, facendo salire una nuvoletta di cenere dal suo capo: sotto quella coltre, la belva presentava una livrea bianca, esattamente come la sua chioma.

 

In quel momento Kaspar capì tutto, ed una stella prese a brillare in quel cielo oscuro.

 

Di colpo, fu di nuovo nell’antro scarlatto, nell’esatto momento in cui i suoi avventori stavano per piantare nel suo corpo diversi coltelli.

Molti gridarono di dolore, quando si trovarono infilzati dalle lame dei loro stessi compagni: eppure Kaspar non si era mosso di un centimetro.

Il ragazzo sorrise, e si incamminò, oltrepassando coloro che lo circondavano, diventando improvvisamente intangibile.

“Mi ricordo” - disse lui mentre quelle persone continuavano a cercare di colpirlo, attraversando tuttavia il suo corpo inconsistente - “che da queste parti si raccontava una leggenda riguardante gli antenati dei lupi e dei licantropi: enormi bestie feroci con lunghe zanne affilate, che gli antichi chiamavano warg… dicevano che da secoli uno warg tormentasse la zona, poi cadeva in letargo in una caverna sotto terra, dove dormiva per secoli prima di tornare a portare il terrore.”

Si portò dinnanzi alla parete sul fondo del salone, davanti a quello che aveva l’aria di essere un piccolo altare sacrificale:
“Ed ora, beh, credo di aver finalmente trovato la tana del lupo.”

Tornò tangibile e con un pugnò distrusse la parete, rivelando un’anticamera dietro di essa, al cui interno scintillava sinistra, una statua lupina color ossidiana.

 

Un bagliore accecò tutti i presenti e, subito dopo, Kaspar si presentò loro vestito di un’armatura, che non era nient’altro che la statua scomposta in un tetro paramento nero.

 

“E’ uno specter…” - commentò uno.

 

“Io sono Kaspar di Warg, stella del cielo aiutante.”

 

“Ma è fantastico!” - esclamò un altro - “Il nobile e Ares ed il potente Ade sono da sempre alleati, con il ritorno degli specter diverremo più forti!”

“No.” - gli disse Kaspar in risposta.

“No?” - domandò confuso.

“Il vostro dio è morto, e voi siete solo dei brutali assassini.”

“Stai scherzando vero? Il tuo dio è il signore dell’oltretomba!”

“Molte cose sono destinate a cambiare, poiché il sommo Ade intende donare la salvezza all’umanità.”

“Ma di quale salvezza parli?”

Kaspar sorrise, mostrando un ghigno sadico e due occhi sottili ed iniettati di sangue che fecero rabbrividire persino i seguaci di Ares:
“Voi avete perso la vostra occasione!”

Detto ciò iniziò ad attaccarli furente con le mani armate dei lunghi artigli dell’armatura, colpendo i suoi nemici ad una velocità tale che diversi di loro caddero prima ancora di rendersi conto che erano stati ingaggiati in combattimento.

Tutti i guerrieri a quel punto si avventarono su Kaspar, ma questo li affrontò e li sconfisse nel giro di alcuni istanti, come un turbine artigliato che senza sosta distruggeva una dopo l’altra le loro corazze: in pochi minuti, tutti giacevano a terra riversi nel proprio sangue, eccetto Kaspar, che con ancora quel ghigno isterico dipinto in viso, torreggiava imperioso sulla propria ecatombe.

 

“Sei stato bravo, Kaspar.”

 

Violate fece la sua comparsa dall’ingresso che dava sulla scalinata; indossava anche lei un’armatura, simile alla sua, ma dall’aspetto più compatto e meno affilato.

Assieme a lei però vi era un’altra figura, vestita anch’essa con una corazza nera, munita di un paio di ali e di un elmo dalle corna appuntite, con tre gemme ambrate incastonate sopra la fronte: aveva un aspetto intimorente ma al contempo possedeva una sorta di possente regalità.

 

“S-sorellona…” - balbettò il giovane mentre, ancora ghignante, copiose lacrime gli solcavano il volto.

 

“Shh, va tutto bene…” - gli disse abbracciandolo.

“Io ho… ucciso…”

“Se non lo avessi fatto molte persone sarebbero morte: costoro infatti progettavano di attaccare il tuo paese, e forse avrebbero anche ammazzato la tua famiglia o chissà cos’altro avrebbero fatto ai tuoi cari, se non li avessi fermati.”

 

A quel punto l’uomo con l’armatura alata si fece avanti:
“Molti sono solo feriti e probabilmente sopravvivranno, anche se con l’armatura e lo spirito in frantumi, non penso verrà più loro voglia di importunare nessuno, e per quanto riguarda quelli a cui hai tolto la vita, ti devo fare i miei complimenti: nonostante il furore li hai attaccati in punti vitali uccidendoli all’istante, donando loro una morte giusta, equa, ed indolore.”

 

“Ma tu… chi sei?”

 

“Il mio nome è Eaco, sommo giudice infernale, e questa era la mia sentenza.”

 

“Lui è il nostro comandante” - gli spiegò Violate - “ci guiderà verso la salvezza promessa dal divino Ade.”

 

Kaspar a quel punto si inginocchiò:
Guidami dunque, mio comandante, verso un mondo dove coloro che amo non debbano più temere i malvagi che si proveranno ad ammorbarli, e dove il nostro cammino non è minacciato dalla tirannia di uomini ingiusti che non hanno alcun rispetto per le vite altrui.”
“Faremo calare su di loro la nostra vendetta.” - rispose Eaco aiutandolo a rialzarsi.

“Benvenuto nella giungla, Kaspar.” - sentenziò Violate compiaciuta.

 

 

***

 

 

Il mattino sorgeva placido, e Sylph camminava immersa nei suoi pensieri, rivolti in particolare a Kaspar, di cui non aveva più avuto notizie dal giorno precedente; si stava recando a scuola, dove sperava che, una volta in classe, lo avrebbe trovato appisolato sul suo banco come ogni mattina.

 

Di colpo si bloccò per la paura:
“Bene bene, ecco la stronzetta…”

 

Uno dei quattro del dì precedente, quello che era riuscito a scappare, sbucò da un vicolo, assieme ad una dozzina di altri ragazzi sghignazzanti dall’aria malintenzionata.

“Scopiamola.” - sentenziò il redivivo, e tutti gli altri fecero per portarsi attorno a Sylph, quando, d’improvviso, apparve una chioma canuta.

“Alt alt alt…” - disse Kaspar facendo loro cenno con la mano di fermarsi.

“Ma quando sei arrivato?” - gli chiese stupita Sylph.

“Oh, sei tornato frocio? Adesso ti ammazzo mentre ci scopiamo la tua amica!”

In tutta risposta Kaspar ridacchiò divertito.

“Che cazzo ridi?!”

“Sapete, una persona mi ha detto che questo mondo è come una giungla, e fino a ieri pensavo di essere una preda in questa giungla selvaggia…”

In quel momento tre dei presenti si avventarono su Kaspar, ma lui li colpì in meno di un secondo sotto gli occhi di tutti, facendoli crollare a terra svenuti.
“… ma vedete, oggi mi scopro per la prima volta un predatore.”

 

Lesto e inarrestabile, Kaspar iniziò ad attaccare tutti i ceffi.

 

Il capetto della banda a quel punto tirò fuori una pistola, ed in preda al panico iniziò a sparare a Kaspar: ma i colpi lo attraversarono, colpendo i suoi compagni.

 

“Sei contento di ciò che hai fatto?” - disse Kaspar comparendogli davanti, e quello terrorizzato gli sparò in testa, ma anche quel proiettile si limitò ad attraversare il corpo intangibile del ragazzo, il quale gli afferrò l’arma e la frantumò con la sola forza della mano, per poi sferrargli una capocciata che lo fece crollare a terra dolorante.

 

“Sparite, e giuro che si vi rivedo da queste parti non sarò clemente come quest’oggi.”

 

Ringhiando rabbiosi gli energumeni raccolsero i compagni ridotti peggio, e se la svignarono di corsa sparendo tra le calli da cui erano arrivati.

 

“Kaspar…” - commentò Sylph con un’espressione sgomentata sul volto.

“Scusami, non volevo spaventarti…”

“N-no ma… sei davvero tu?”

Il ragazzo le si portò davanti e sorrise dolcemente come suo solito:
“Ma certo, chi altri dovrebbe essere?”

“E’ che sembri in qualche modo diverso rispetto a ieri…”

“Sono sempre io” - disse facendole l’occhiolino - “andiamo, non vorrai fare tardi a scuola!”

“Aspetta, quel tipo ha tentato di spararti, sicuro di star bene?”

“Benissimo!”

“Eppure sono sicura che ti abbia sparato alla testa a un certo punto…”
“Ci ha provato, ma aveva una mira talmente penosa che mi ha mancato persino da quella distanza!”

“Uh, ok…”

Sylph si fece andare bene quella risposta, per il momento; eppure era sicura che il proiettile lo avesse colpito in testa.

Poi da quando il fragile Kaspar possedeva tutta quella forza?

Eppure, a parte quelle abilità sorprendenti sembrava davvero il solito e gioviale Kaspar che conosceva fin da quando erano bambini.

 

Mai Sylph avrebbe potuto immaginare che il suo amico era uno dei centootto servi del signore degli inferi Ade, e che si stava preparando ad una nuova guerra che avrebbe deciso le sorti dell’umanità; ma per il momento il giudice Eaco aveva congedato Kaspar, dicendogli di vivere la sua vita di tutti i giorni, fino a quando non fosse giunto il momento di scendere sul campo di battaglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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