Catene

Nessuno aveva mai creduto in lui.
Tutti erano convinti che con un quirk come il suo, il lavaggio del cervello, non potesse realizzare il suo sogno, che quel potere era destinato a farlo diventare un criminale molto potente.
Non era molto da eroe convincere le persone a fare qualcosa contro la propria volontà.
Ma non era colpa sua se da piccolo si era manifestato proprio quel potere in lui.
Lui aveva sempre voluto intraprendere la carriera dell’eroe, fin da bambino, e si era convinto che ci sarebbe riuscito anche con quel quirk così inusuale e, forse, poco ortodosso.
Ma a furia di venire deriso per il suo sogno, vedere le persone che cercavano di convincerlo che con quel potere avrebbe fatto faville come malfattore e che non sarebbe mai stato credibile come eroe, aveva perso un po’ fiducia in se stesso e nel suo sogno.
Quelle parole, quegli sguardi, quei pregiudizi erano come pesanti catene che gli impedivano di sentirsi libero di inseguire il suo obiettivo.
Quando era finalmente riuscito ad entrare alla UA e aveva visto che, però, non si era guadagnato l’accesso alla sezione da lui desiderata bensì al dipartimento generale, per lui era stato un duro colpo. Era come ricevere la risposta ufficiale dal mondo e dalla società che no, lui non sarebbe mai stato un eroe.
Ma, nonostante ciò, entrando in quella scuola aveva sentito quelle catene tanto opprimenti allentarsi.
Non solo i suoi compagni di classe ma anche gli insegnanti avevano fiducia in lui e ammiravano il suo quirk affermando che sarebbe stato un potere davvero utile per un eroe professionista.
Per questo motivo, Hitoshi entrò nel campo di atletica in cui a breve si sarebbe tenuto il festival sportivo deciso a far vedere alle persone che non lo avevano ammesso al corso di eroi che si sbagliavano, che il suo posto era quello e che nonostante tutto e tutti lui ce l’avrebbe fatta.
Quelle catene non lo avrebbero più trattenuto.