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Autore: Manto    25/09/2018    2 recensioni
"L'amore non è cosa che nasce con l'età: diventi grande e così ti innamori, inizi a comprendere e allora puoi sentire anche ciò che il tuo cuore vuole... no, non è proprio questo il suo modo di funzionare.
Non potrei mai dirti quando è iniziato il mio: forse, dentro me, già sapevo ciò da cui mi volevi proteggere, oppure forse in qualche modo ti avevo già conosciuto, e a priori avevo deciso di restare al tuo fianco.
Io l’ho chiamato l’amore dei ragazzini, sprovveduto, incosciente e intenso quanto loro; ma, ora lo so, in verità è molto più di questo."
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Agape





{ I ♦ Dipingi il Cielo, e una Stella }




25 Giugno 1996, sera.



È conoscenza certa che le popolazioni più antiche credessero nelle stelle: si affidavano a esse per determinare il proprio destino, le chiamavano protettrici e guide, le ritenevano eterne; le adoravano.
Cleo una simile devozione riesce a comprenderla, anche se millenni e secoli la separano da quelle genti e seppure la luce che da sempre l’attrae non appartenga agli astri, ma al pianeta che li accompagna: tanto è il suo amore che, da anni, sulla parete opposta al letto brilla — e lo farà per sempre, le idee sono ben chiare — un enorme adesivo a forma di mezzaluna, graziosissima decorazione divenuta presto scudo contro i terrori del buio e gli incubi; inoltre abiti, scarpe e perfino le mani sono sempre ricoperte da disegni lunari, ornamento capace di scatenare sia i borbottii dei parenti che gli apprezzamenti degli altri bambini.
Tuttavia, ciò che più ama della luna non è una semplice raffigurazione o la replica del suo chiarore: solo quello vero, ancor meglio se unito al riflesso che danza sul mare, può davvero farle valicare ogni distanza e sentire libera, in completa pace.
«Non c’è dubbio: qualcuno deve aver rapito la mia bambina dalla culla e messo al suo posto un adorabile alieno con la nostalgia di casa», scherza sempre il padre quando, appena fuori dalla loro abitazione, la porta con sé tra le strette vie del borgo e verso le terrazze panoramiche, sulle torri che affrontano le onde e dentro la notte.
L’aria profuma di sale e pietra, l’antico e il nuovo soffiano nei suoi capelli e le fanno alzare lo sguardo sulla lucerna del cielo: ogni volta lei chiede che quei momenti non abbiano mai fine, che il papà continui a parlarle del “signor Armstrong e del suo amico Buzz”
[1] e la gonna della veste si agiti in un girotondo che la luna di certo gradirà.
Questa non si nasconde, si lascia rimirare e a propria volta osserva: i suoi occhi grigi sostano sui palazzi e scivolano su balconi e finestre, ricamando il marmo con merletti d’argento e ricoprendo il vetro di un’armatura d’acciaio, inseguendo i passi di tutti… o guidandoli?
Perché è proprio grazie a lei che, in una sera d’inizio estate, Cleo scopre la biblioteca nascosta tra le vie basse del borgo, in mezzo a un vecchio teatro e una villa ricoperta d’edera: le sue porte sono aperte, così lei corre dentro e immediatamente si perde nell’ammirazione del pavimento su cui fioriscono rose dei venti e costellazioni, per poi alzare lo sguardo e notare come le vetrate blu donino al lucore una sfumatura sognante, ma discreta. Mappamondi e strumenti geometrici segnalano i pochi ma lunghi banconi in cui è possibile sedersi e consultare i volumi che li circondano, mentre stelle e pianeti di metallo pendono dal soffitto, scontrandosi con l’ergersi degli scaffali; ma è la parte più vicina all’entrata che subito l’attrae. Astrolabi e bussole, un complesso sistema di lenti e tre piccoli telescopi, oltre che uno strano congegno simile a un elmo con un monocolo
[2], una sfera armillare[3] e altri strumenti che non conosce, riposano in un’enorme teca in disparte; non passano che secondi prima che la bimba tenti di aprirla per prendere la sfera, che da sempre vuole toccare dal vero.
«Attenzione, piccola scienziata, sono molto delicati.»
La voce che all’improvviso le sussurra all’orecchio e le blocca dolcemente la mano non la spaventa, tuttavia un’ombra le attraversa lo sguardo; e con riluttanza lei indietreggia dalla teca, gli occhi verdi fissi sulle sue prede e già con una stilla di lacrime a bagnarli.
L’uomo che le sta accanto si abbassa fino alla sua altezza e le sorride, rivelandole uno sguardo gentile e pervaso da una luce particolare: è la saggezza di un maestro quella con cui la fissa. «Conosci tutti questi strumenti?», chiede, e Cleo annuisce lentamente. «Qua-quasi tutti», si corregge poi, «papà dice sempre che diventerò un’astronauta, e mi prende molti libri sull’universo: li leggo tutti almeno quattro volte, non mi stanco mai… è lì che li ho visti. Mi piacciono in particolare i libri sulla luna…»
Ancor prima che lei abbia finito, l’uomo si alza e apre la teca: le sue dita si chiudono sul più grande dei tre telescopi e lo estraggono. «Vieni», dice, dirigendosi verso il bancone a loro più vicino; Cleo non se lo fa ripetere, saltando di propria volontà tra le braccia dell’adulto e trattenendo il fiato quando viene posata vicino allo strumento.
A uno a uno, il gentile signore glieli mostra tutti e spiega quelli che lei non conosce, insegnandole il funzionamento e l’utilizzo; con la sfera armillare ben stretta tra le braccia e l’espressione rapita, l’aspirante studiosa ascolta senza perdersi una parola, rendendosi conto delle ore passate solo quando alza il capo e vede il buio filtrare nella sala.
«Vai pure», le dice allora l’altro, notando la sua improvvisa ansia e sorridendo di più, «immagino che i tuoi famigliari ti stiano aspettando.»
«Posso… posso venire ancora?»
«Questo luogo è sempre aperto: vieni ogni volta che lo desideri. Siccome ti piace così tanto l’astronomia, la prossima volta ti mostrerò la sezione scientifica e tu potrai leggere tutti i libri che vorrai.»
Cleo sorride e saluta vigorosamente, quindi corre fuori dalla biblioteca; ed è qui che la luna l’attende, rifulgendo sul capo del mare. Non è sola: un ragazzino alto e bruno la sta fissando con la sua medesima meraviglia, staccando lo sguardo dalla sua bianca forma solo quando la piccola gli passa vicino. Questa scorge i suoi occhi chiari, e immediatamente nota la dolcezza che alberga in loro: e si ferma per un attimo a contemplarli, sorridendo appena l’altro lo fa.
«Ciao», le dice quest’ultimo, lanciando uno sguardo ammirato ai suoi lunghi capelli mori e allargando il sorriso; lei arrossisce e abbassa il volto, improvvisamente e senza una ragione apparente. «Ciao», risponde prima di scappare via sotto la galleria di archi che la porterà a casa, correndo leggera e veloce come un’onda — ma non così rapidamente da evitare di sentire un: «Signor Galileo, sono qui!» pronunciato dallo stesso giovinetto, non così tanto da sfuggire alla sensazione che la voce le dà.





8 Agosto 1996, pomeriggio.



«Scegli un nome diverso dal tuo.»
«… Perché?»
«È un gioco che abbiamo deciso io e il signor Galileo: un nome che sappiamo solamente noi, un segreto e un codice.»

«Ma se lo stai dicendo a me non è più così segreto.»
Il ragazzino sorride, ma non è una canzonatura quella che gli illumina il volto; e Cleo lo guarda senza comprendere, rimanendo in attesa.
«E noi che volevamo farti entrare nel patto…»
Il pomeriggio è caldo e lascia scivolare le dita anche tra quelle mura, l’estate piena che si intreccia con il loro respiro.
Lei ha mantenuto i suoi propositi e ha iniziato a frequentare con regolarità la biblioteca, e ogni volta qui l’attendono gli occhi caldi dell’altro, dal quale non riceve che parole gentili e un nome buffo: Socrate, il nomignolo che lui stesso si è dato — un suono che legato al corpo robusto, troppo alto e già sviluppato, dona un’idea di unicità che Cleo non riesce a spiegare, ma che non le dispiace.
È stato lui a raggiungerla quando si è presentata su quella soglia per la seconda volta: le si è parato davanti come per impedirle di avanzare, per poi prenderle la mano e stringerla con vigore. «Tu devi essere la bambina che ama le stelle! Il signor Galileo mi ha detto tutto. Vieni con me, ti faccio vedere quanti libri ci sono qua dentro», le ha detto con entusiasmo, guidandola dentro; e lei non ha sentito alcun bisogno di replicare, colpita dalla cortesia con cui è stata accolta e ricambiando con tutta la sua allegra spontaneità.
Socrate non ha mentito: quel luogo si è rivelato ricolmo di conoscenza — non solo scientifica, ma anche letteraria e artistica: un tempio del sapere, ecco cos’è quella biblioteca — oltre ogni aspettativa, e del giusto sentimento per apprenderla nella sua interezza; e lei non riesce a rinunciare a nessuno dei pomeriggi che può passare lì, con una buona compagnia e tante cose da scoprire.
«Non ti va come gioco?»
Socrate la guarda in attesa, attirando la sua attenzione al di qua dei ricordi di quelle ultime settimane; e Cleo lo guarda un attimo confusa, prima di abbassare il capo sui libri aperti in grembo.
«Non ho la tua fantasia», si scusa, « non so come chiamarmi.»
«Socrate non è un nome inventato; è quello di un filosofo greco.»
«Cos
è un filosofo?»
«È
… complesso da spiegare; pensa a una persona che ricerca la verità nel mondo e vuole aiutare la gente a comprenderla, e quindi a trovare la felicità, e avrai un possibile filosofo.»
«Quindi è una persona che fa del bene? Come i medici o gli insegnanti?»
«Pensa, molti di loro sono stati proprio scienziati e maestri.»

Cleo chiude i volumi e li appoggia sul tavolo di fianco a lei, quindi si sporge verso il giovane, una luce di spontaneo interesse nello sguardo.
«Perché ti piace così tanto questo Socrate? Parlami di lui», chiede, preparandosi ad ascoltare.
Ben poche cose possono distogliere Cleo da un libro; ma da quando il ragazzino le ha raccontato la sua versione della fiaba di
Biancaneve, facendole dimenticare la quotidiana lettura serale per ripensare alle parole che lui le ha lasciato, anche le migliori pagine sull’allunaggio tremano al confronto con la capacità narrativa del nuovo amico. Una sconfinata immaginazione e la Storia vivono nel sangue di Socrate come lo spazio riempie il suo; e quando le si siede davanti per spiegarle qualche battaglia, personaggio storico o leggenda, lei non può fare altro che accoccolarsi contro lo schienale della sedia e iniziare a respirare nel lontano Rinascimento o tra le spade fedeli a Re Artù, mentre anche il tramonto muore e le stelle di metallo rifulgono al pari delle sorelle notturne. Non è come quel giovane capace di rendere vivo il Passato, più forte e vicino, e che trasforma le proprie parole in una ricchezza che per molto tempo lei ha ignorato; è diverso, e quello è divenuto presto un rituale che calma la frenesia di un intero giorno, la sua migliore realizzazione.
«Parlami di Socrate», ripete quindi Cleo, «che cosa ha fatto?»
«Ha cercato di dare il meglio alla sua città, discutendo di morale e conoscenza con chiunque volesse ascoltarlo; ha parlato di amore e giustizia, ha insegnato ai giovani come essere corretti ed è sempre stato umano, anche quando le leggi della sua città lo hanno condannato.
Ha avuto tanto coraggio, accettando serenamente la propria sorte anche quando il mondo gli si è rivolto contro e lui ha dovuto abbandonare anche la vita… sono tanti i motivi per cui vorrei assomigliargli.»
Per la prima volta in quel giorno, le parole del ragazzino si intridono di una nota triste, simile alla malinconia ma più intensa; Cleo la sente immediatamente e vorrebbe chiedere il perché, tuttavia qualcosa le dice di non farlo: non è il momento, e forse non può neppure capire — anche se, come dicono in molti, sa ascoltare e comprendere più del normale. «Doveva essere una persona bellissima», mormora invece, prima di fare un lieve sorriso, «… e ti prometto che un nome lo avrò anch’io, appena troverò chi potrei diventare.»
È appena caduta la sera quando, dopo alcuni attimi, entrambi distolgono lo sguardo dal volto opposto e osservano il residuo chiarore che filtra dalle vetrate; e Cleo sospira, restia ad alzarsi dal tavolo nonostante l’accordo fatto con la famiglia: rincasare non oltre il tramonto, e abbracciare la notte solo in compagnia di qualcuno della famiglia.
«Oh, è già ora», si rende conto il ragazzino, guardandola levarsi in piedi e stringersi al petto gli ennesimi libri presi in prestito; lei annuisce, quindi abbozza un sorriso. «Non disperiamo: domani sarò di nuovo qui, dopotutto», risponde.
L’amico ricambia il sorriso, quindi si alza a sua volta. «Vuoi che ti accompagni? Ti devo ancora raccontare la tua storia serale.»
Cleo acconsente subito e istintivamente lo prende per mano. La sente salda e sicura, la sua presa le dona una bella sensazione di calore. «Certo che sì, se te la senti: dobbiamo salire in cima al borgo, ma si fa presto. Tu dove abiti? Non ti ho nemmeno mai visto, qui…»
Mentre quasi lo trascina fuori dalla biblioteca e lungo le vie, Cleo si rende conto che è la prima volta che gli fa quelle domande: i loro discorsi si sono sempre soffermati per lo più sulle rispettive conoscenze e sui molti interessi, così che praticamente non sa nulla del perché sia lì o i motivi per cui lo abbia conosciuto solo quell’estate, o anche solo di quanti anni abbia.
Già lo sai che lui è diverso, Cleo. Qualunque età abbia, sembrerà comunque più grande… è unico, ed è bello così.
«Sulla parte alta, come te, dove abitano i miei nonni; sono in vacanza da loro per la prima volta, ecco perché non mi hai mai visto.»
«Dove vivi tu c’è il mare?»
«È una città enorme, quasi non ci sono nemmeno parchi. È praticamente impossibile trovare un luogo libero da pietra o asfalto; ed ecco perché questo posto mi è piaciuto fin da subito, ma mi ha fatto anche sentire un estraneo. Pensa, non so neppure nuotare…»
«Aspetta, davvero? È una delle cose più belle che si possano fare, devi imparare assolutamente!» I riccioli d’ebano si agitano come onde, gli occhi brillano ancor più del solito per la decisione. «Devo cercarti un insegnante.»
«Non ce n’è bisogno, Cleo!»
«Ma ti potrebbe piacere…»
«Lo credo anch’io, ma… ma non credo che ne avremo la possibilità. Questi saranno gli ultimi giorni per me, qui.»
Lei si ferma, lo guarda di nuovo con intensità. «Non lo sapevo», la voce improvvisamente più bassa, «… spero che tu rimanga almeno fino alla notte di San Lorenzo. Dalle torri il cielo è uno spettacolo, e almeno avresti un bel ricordo di questo posto.»
È Socrate a trattenerle la mano ancora legata alla propria, questa volta; e l’espressione dolce con cui la guarda la costringe ad arrossire. «Più di uno, direi», risponde, prima che lei ricominci ad avanzare.
La voce dell’altro l’accompagna per tutto il resto del tragitto; ma questa si infila dentro la sua mente con minor forza del consueto, anche se la testa non è attraversata da alcun pensiero e il vuoto è l’unica presenza.
Perché?
La presa non si scioglie fino a quando la casa della piccola non compare davanti a loro; ed è qui che Socrate abbandona la sua mano per accarezzarle un ricciolo ribelle, trattenendola ancora per un momento. «Sei diventata silenziosa. Qualcosa non va?»
Cleo scuote la testa, ma non riesce a mentire del tutto: né a sé stessa, né all’altro. «Solo… credevo che saresti rimasto qualche giorno di più, ecco», mormora infine lei, realizzando solo in parte quello che davvero sente; ciò che è rimasto silente e ancora oscuro forse si mostrerà nel tempo, e chissà per quale motivo.
«Hey, non ho detto che devo partire ora! Abbiamo ancora del tempo, quindi cerchiamo di divertirci il più possibile.»
La mora annuisce, fa una smorfia che vorrebbe essere un sorriso; in risposta, il ragazzino le arruffa i capelli e le si avvicina di più. «Ti prometto che una di queste notti, che sia quella di San Lorenzo o la precedente, vedremo insieme le stelle; sul mare, magari. Che ne dici?
Possiamo farci accompagnare da qualcuno dei grandi, così le nostre famiglie saranno tranquille.»
«Sì, va bene, mi piace come idea», sorride lei, ora con più foga e rinnovata serenità, mentre si alza sulle punte per arrivargli più vicino, «e ora, rimani ancora un attimo: devi raccontarmi una storia, ricordi?»





12 Agosto 1996, mattino.



Cleo guarda il piccolo molo, e l’aurora che tinge il mondo con i colori del nuovo giorno. Socrate è partito nella notte, l’ha salutata poche ore prima; di lui le sono rimaste tante immagini di giorni spensierati e compagnia, oltre che un ultimo abbraccio e una confessione finale.
Mi chiamo Luca, Cleo; ma tu continua a chiamarmi Socrate, va bene? Ci rivedremo presto, piccola amica.
È malinconica e non lo nasconde: l’estate che corre verso la propria fine le ha mosso il cuore e, almeno in una parte di esso, l’infanzia è scomparsa.
«Tornerà, non ti preoccupare. Un anno passa in fretta, non avrai nemmeno il tempo di accorgertene che lui sarà di nuovo qui, con te», le ha mormorato il signor Galileo quando ha notato la sua espressione, e la mora le ha ripetute anche nel suo letto, fino a quando la stanchezza non l’ha costretta a cedere e le ha fatto sognare un altro mattino.
La mezzaluna diminuisce la propria luce insieme a lei, l’accarezza appena senza raggiungere i pensieri; solo una nuova primavera potrà risolvere certe verità, renderle più profonde o mutarle, e solo nell’estate una parte del cuore — quella che già porta un altro nome — ritornerà a sentire.







NOTE



[1] Neil Armstrong e Buzz Aldrin, astronauti della missione spaziale Apollo 11, primi uomini a toccare il suolo lunare. Una delle foto più memorabili dell’impresa (forse la più nota) ritrae proprio quest’ultimo: https://it.wikipedia.org/wiki/Buzz_Aldrin#/media/File:Aldrin_Apollo_11_(3x5_crop).jpg


[2] Si tratta del celatone, strumento inventato da Galileo per osservare i satelliti di Giove e poter, tramite questi, misurare la longitudine in mare. Si tratta di una sorta di elmo metallico, alla cui visiera è fissato un cannocchiale.


[3] Sfera formata da anelli metallici, le armille, ognuna delle quali rappresenta uno dei circoli della sfera celeste (sfera immaginaria sulla cui superficie sono proiettati tutti gli astri).

   
 
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