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Autore: Shireith    26/09/2018    1 recensioni
(Ladynoir // post Sandboy)
Per un attimo, Ladybug esitò. Tuttavia, quando Chat Noir si girò di spalle e fece per andarsene, l’istinto agì prima della ragione e chiamò il nome del collega.
Chat Noir volse lo sguardo e lo indirizzò nelle iridi azzurre di lei.
«Pensi che io sia come la Ladybug che vedi nei tuoi incubi?» domandò la giovane, qualcosa nella sua voce che tradiva la malinconia che provava dentro.
«Certo che no» ribatté Chat Noir senza la benché minima esitazione. «Tu sei la ragazza dei miei sogni» volle ulteriormente rassicurarla, accompagnando quest’ultima affermazione con un inchino.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Anche — è solo una parola


 Per un attimo, Ladybug esitò. Tuttavia, quando Chat Noir si girò di spalle e fece per andarsene, l’istinto agì prima della ragione e chiamò il nome del collega.
 Chat Noir volse lo sguardo e lo indirizzò nelle iridi azzurre di lei.
 «Pensi che io sia come la Ladybug che vedi nei tuoi incubi?» domandò la giovane, qualcosa nella sua voce che tradiva la malinconia che provava dentro.
 «Certo che no» ribatté Chat Noir senza la benché minima esitazione. «Tu sei la ragazza dei miei sogni» volle ulteriormente rassicurarla, accompagnando quest’ultima affermazione con un inchino. Dopodiché si volse una seconda volta ed effettuò un grande balzo con l’ausilio del suo bastone. L’istante successivo, la sua figura era già scomparsa nel buio della notte.
 Ladybug sorrise per via delle sue ultime parole e lo osservò andare via con il cuore rasserenato. La sua attenzione tornò poi sul bambino che avevano strappato alle grinfie di Papillon, che era ancora così scosso e confuso dagli ultimi avvenimenti da essere rimasto tutto il tempo abbracciato alle sue gambe. Ladybug s’inginocchiò di fronte a lui e chiese: «Come ti chiami?»
 «Henri» rispose il bambino.
 «E dov’è che abiti, Henri?»
Seguendo le istruzioni di Henri, Marinette se lo caricò in braccio e lo riportò a casa, dove i suoi genitori, ora più terrorizzati del bambino, la accolsero porgendole una svariata serie di ringraziamenti. Ladybug ripeté più volte che era semplicemente il suo lavoro e riuscì a dileguarsi appena in tempo per ritrasformarmi in un posto sicuro.
 «C’è mancato davvero poco, questa volta» gemette dopo che fu tornata a essere Marinette.
 «Sì, abbiamo rischiato molto» convenne Tikki nel frattempo che la sua portatrice agguantava un biscotto con le gocce di cioccolato e glielo porgeva. Lo rosicchiò in poco tempo, e, riacquistate le energie, Marinette si trasformò una seconda volta.
 Come prima cosa, Marinette e Tikki si recarono dal Maestro Fu per scusarsi di aver agito alle sue spalle; l’anziano, tuttavia, non si dimostrò particolarmente arrabbiato, e li perdonò subito, limitandosi ad ammonirli per non averlo avvisato. L’aspetto interessante era che, oltre a Fu e ovviamente Wayzz, questa volta c’era anche Plagg, che era il kwami di Chat Noir. Marinette pensava che, quando e se avesse avuto la possibilità di incontrarlo, non sarebbe avvenuto così presto. Allo stesso tempo, tuttavia, non poteva negare che l’attizzava l’idea di poter finalmente associare il kwami del collega un nome, un volto e soprattutto una personalità.
 Poco più tardi, da quell’esperienza poté imparare che Plagg era tutto l’opposto di Tikki: avventato, sarcastico, spavaldo e senza peli sulla lingua. I due, tuttavia, non ebbero tempo per interagire faccia a faccia, perché, oltre a essere contro le regole, Plagg a un certo puntò si dileguò senza nessun preavviso. Poco dopo, Marinette chiamò a sé i poteri di Tikki per la terza volta nell’arco di una sola giornata e lasciò anche lei la casa del Maestro Fu.
 Lungo la strada, in assenza di qualsiasi umano e kwami a tenerle compagnia, si perse nel flusso dei suoi pensieri. Rifletté con più lucidità sugli avvenimenti delle ultime ore, e si stupì ancora di più che l’incubo peggiore di Chat Noir fosse quello di essere detestato da lei. L’amava davvero fino a quel punto, il collega? Doveva essere così, si disse, e ancora una volta si rese conto che i sentimenti d’amore che Chat Noir aveva per lei erano ancora più forti di quanto credesse. Appurato ciò, non poté non paragonare la situazione che il collega viveva con la sua controparte eroica a quella che viveva lei con Adrien, e sentì il cuore che veniva avvolto in una stretta morsa al pensiero di essere lei stessa la causa delle sue delusioni amorose. E solo ora capiva che a far male non era solo l’essere rifiutati, ma anche trovarsi dalla parte di chi, volente o nolente, è costretto a mettere in atto il rifiuto.  Era una consapevolezza più profonda di quanto potesse sembrare, ragion per cui finora non vi aveva dato troppo peso.
 Ma ora non faceva che pensarci, e la cosa continuò anche una volta tornata a casa, avvolta nel caldo delle sue coperte. Tikki dormiva profondamente, senza che lei riuscisse a fare lo stesso. Perciò, pensando che una boccata d’aria fresca potesse fare al caso suo, sgusciò fuori dalle coperte in silenzio e aprì lentamente la botola, salendo in terrazza e richiudendola dietro di sé. Si abbandonò contro il parapetto emettendo un sospiro profondo, osservando le luci della sera proiettare su Parigi uno scenario suggestivo degno dell’appellativo di ville lumière.
 Fu allora che si rese conto di star vivendo una sorta di déjà-vu: quella situazione era simile a quella sera in cui, delusa dall’ennesimo fallimento con Adrien e rifugiatasi sempre sul piccolo terrazzino di casa sua, Chat Noir le aveva fatto visita. Era stato in quell’occasione che l’eroe parigino le aveva confessato di amare Ladybug, una rivelazione che l’aveva scossa nel profondo, e che anche ora, ripensandoci, non mancava di far sussultare le corde del suo cuore. Pensò che sarebbe stato bello vederlo arrivare una seconda volta, come un angelo inviato dal cielo con il compito di farle compagnia in momenti come quelli, quando si sentiva più sola di quanto in realtà non fosse. Tuttavia sapeva che una coincidenza del genere non poteva avverarsi solo perché lo desiderava.
 «Marinette?»
 Immersa nei suoi pensieri, la giovane sussultò. Gettò lo sguardo alle sue spalle e intravide la figura minuta di Tikki levitare a mezz’aria. «Ti ho svegliata?» domandò.
 «No, mi sono svegliata da sola e ho visto che non c’eri, così ho pensato di venirti a cercare quassù» la tranquillizzò il kwami. Svolazzò verso di lei, si fermò a pochi centimetri dal suo volto e chiese: «Va tutto bene?»
 Marinette scrollò le spalle. «Non riesco a dormire» rispose, e più che una bugia era una mezza verità. Era vero che non riusciva a prendere sonno, solo non voleva svelargliene il motivo per una ragione a lei stessa ignota. Forse avevano affrontato l’argomento così tante volte che non le andava di farlo ancora, conscia, tra l’altro, del fatto che le conclusioni finali non sarebbero cambiate. Marinette amava Adrien, e, se anche l’avesse voluto, non avrebbe potuto semplicemente schiacciare un bottone e far sì che quei sentimenti fossero rivolti invece a Chat Noir, cosicché nessuno dei due dovesse più soffrire il dolore di un amore non corrisposto.
 «Resto qui a farti compagnia» s’offrì Tikki.
 
 
***
 
 Adrien si rigirò nel letto per un’incalcolabile quantità di tempo, senza che riuscisse a prendere sonno. Non si era trattato che dell’effetto collaterale dell’ennesima vittima di Papillon, eppure l’incubo vissuto a causa sua ancora gli rimbombava nella mente, rifiutandosi di concedergli un po’ di pace. E non si trattava della paura di perdere Ladybug, che pure lo terrorizzava, ma dell’incubo di cui era stato protagonista quando ancora si trovava nei panni di Adrien, un incubo che l’aveva completamente denudato agli occhi dei suoi due timori più grandi – la solitudine e la prigionia. Erano, almeno per lui, due malesseri intrinsechi, che non potevano esistere se l’altro non esisteva a sua volta: la prigionia lo faceva sentire solo, e la solitudine lo faceva sentire più imprigionato che mai, come se ci fossero delle catene a ghermirgli i polsi e le caviglie.
 E la cosa peggiore era che non sembrava esserci via di uscita.
Era così turbato che quella notte non sarebbe riuscito a prendere sonno se non dopo ore. Tuttavia, poiché rimuginare e ancora rimuginare non lo faceva di certo stare meglio, Adrien chiamò a sé i poteri di Plagg, che era ancora sveglio, e per l’ennesima volta li sfruttò per evadere dalla sua prigione.
 Vagò per un po’ fra i tetti della città che gli aveva dato i natali, senza prestare attenzione al panorama circostante, che ormai conosceva bene. Qualche minuto prima era vicino casa, ora più lontano, poi di nuovo s’avvicinò. Era un’attività rilassante che l’aiutava a svuotare la mente, e, nel peggiore dei casi, forse sarebbe anche riuscito a sventare qualche crimine notturno.
 Continuò così finché non s’imbatté nell’ultima persona che si sarebbe aspettato di trovare lì a quell’ora – Ladybug. In precedenza, una sera, gli era già successo di incontrare Marinette, e anche di persone che non conosceva ne incontrava tante – chi portava il cane a fare una passeggiata, chi come lui non riusciva a prendere sonno, e altri. Ma mai si sarebbe aspettato di incontrare Ladybug. Da quando la conosceva, non l’aveva mai vista far uso dei suoi poteri per una semplice uscita notturna. Che anche lei non riuscisse a dormire? Non lo sapeva, ma voleva scoprirlo.
 Con quell’idea in mente, Chat Noir superò un paio di tetti e raggiunse quello sul quale si era appostata Ladybug, arrivandole alle spalle senza che questa se ne rendesse conto. Motivo per cui, quando la chiamò, Ladybug fu così sorpresa che emise un urlo e indietreggiò di qualche passo.
 «Chat Noir!» esclamò quando lo riconobbe, ma costui era troppo impegnato a ridere per darle ascolto. Ladybug s’imbronciò. «Lo trovi tanto divertente?»
 «In verità sì, milady.»
 «Mi hai spaventato a morte» protestò, ma neanche questo servì a farlo sentire in colpa. «Che cosa ci fai tu qui, poi?»
 «Potrei farti la stessa domanda.»
 «Be’, abito qui vicino, in teoria.» Si rese conto troppo tardi di quello che aveva detto e si tappò la bocca con entrambe le mani, come se ciò servisse a rimangiarsi l’ultima sua affermazione. «Dannazione, che idiota che sono…» disse, affondando il volto tra le mani.
 Adrien ne rimase stupito: davvero, in una città grande come Parigi, lui e Ladybug abitavano così vicini? Forse si erano anche incontrati e non lo sapevano neanche. Tuttavia, sapeva che Ladybug se l’era fatto sfuggire per errore, e l’ultima cosa che voleva era infierire ulteriormente. Pertanto, riflettendo un attimo, giunse alla conclusione che forse c’era un modo per porvi rimedio. «Se vuoi ti dico dove abito io, così siamo pari.»
 Ladybug riacquistò un po’ di contegno. «Peggioreremmo solo le cose, così. Devo forse ricordarti che non dovremmo sapere nulla dell’altro?»
 «Come vuoi» disse Chat Noir con un’alzata di spalle.
 Marinette si sarebbe presa a schiaffi per questo, ma era in verità tentata all’idea. Sì, sapeva che era meglio per tutti se le loro identità rimanevano un segreto anche tra di loro, ma ora che il dado era stato tratto, ristabilire l’equilibrio con un’informazione sulla vita privata di Chat Noir non le sembrava un’idea così orribile. Inoltre, regole o non regole, la curiosità aveva vita propria, soprattutto se si trattava di una curiosità come la sua.
 Chat Noir sembrò leggere i suoi pensieri, perché sorrise con quel suo modo di fare furbo e insinuò: «Lo vuoi sapere, eh?»
 «Chi, io? Assolutamente no!»
 L’altro rise. «Faccio fatica a crederti.»
 Marinette sbuffò: non poteva credere che stesse per farlo. Eppure…
 «Spara, prima che me ne penta.»
Lo sguardo di Chat Noir scattò su di lei con sorpresa. «Io stavo solo scherzando, Ladybug.»
 «Lo so, lo so,» replicò, «ma ora non riesco a pensare ad altro, lo ammetto.»    
 «Ne sei proprio sicura?»
 «Sì. Avanti, spara.»
 «Be’, in verità abito anch’io in questa zona» snocciolò, ottenendo in risposta due occhi sgranati puntati su di lui.
 «Questa non me l’aspettavo» ammise la ragazza.
 «Neanch’io.» Chat Noir si stiracchiò e si abbandonò di schiena contro il tetto quasi sdraiandosi, le braccia allacciate dietro la nuca. Guardò in alto, gli occhi rivolti alle stelle, che costellavano il blu scuro della sera come tanti piccoli puntini luminosi disposti accuratamente sulla superficie della volta celeste. «Forse ci siamo già incontrati.»
 Marinette ripensò agli stormi di gente che incontrava ogni giorno – in metro, o nei negozi, o nei pressi di uno dei numerosi monumenti parigini. «Più che probabile, direi.»
 Adrien si sentiva come all’interno di una bolla di cui facevano parte solo lui e Ladybug, ma non l’avvertì come la solita prigionia che tanto temeva, piuttosto come un paradiso terreno dal quale non avrebbe voluto uscire mai più. Perciò, desiderando che la magia non s’interrompesse lì, domandò: «Perché sei venuta qui, comunque?»
 «Non riuscivo a dormire» rispose, franca. «Tu?»
 «Stessa cosa. L’akumizzato di oggi ci ha dato parecchio filo da torcere, eh?»
 «Già,» convenne Ladybug, «soprattutto perché i kwami non erano con noi, all’inizio.» Ed era stata una sensazione orribile, quella di sapere che Parigi si trovava in pericolo e non potervi porre rimedio perché privi dei loro soliti poteri. «Il tuo poi ti ha spiegato perché era assente, vero? Tikki mi ha detto che all’inizio non l’aveva fatto.»
 «Già, si era sostituito con un calzino» raccontò, ridendo ancora solo al pensiero – aveva provato più terrore che divertimento, ma preferiva non ricordarlo.
 Ladybug sembrò essere dello stesso avviso, perché rise a sua volta – una risata bellissima, che si fece strada nella mente e nel cuore di Adrien risuonando come la più dolce delle melodie. «Un calzino, davvero?»
 «Sì, giuro» ribadì Chat Noir. «Plagg è fatto così.»
 «Oggi l’ho incontrato – be’, più o meno, più che altro l’ho visto e sentito parlare – e sì, mi ha dato più meno questa impressione. È molto diverso da Tikki.»
 «Non saranno lo yin e lo yang per niente, no?» osservò Chat Noir. Poi, tutto d’un tratto si fece più serio e aggiunse: «Ha un carattere difficile, è vero, ma oggi, quando non l’ho più visto, ho temuto di averlo perso per sempre. È stato terribile.»
 Marinette lo osservò in silenzio. Eccolo, il lato di Chat Noir che si era rivelato ai suoi occhi solo di recente e che aveva fatto sì che la sua stima per il collega crescesse ancora di più. «Mi è successo lo stesso con Tikki, ma immagino che per te sia stato ancora peggio, non sapendo dove fosse andato né che sarebbe tornato.»
 Adrien non era una persona che si piangeva addosso, o a cui piaceva essere compatito. Al contrario, mostrarsi debole agli occhi degli altri era difficile, per lui. Eppure, in quel momento, gli sembrò giusto farlo – era il cuore a suggerirglielo, e davvero si poteva sbagliare, se si seguiva il proprio cuore? «Lo è stato. Vedi, Plagg spesso è l’unico amico che ho. Non voglio perdere anche lui.»
Anche – una parola che risuonò nelle orecchie di Marinette come una nota stonata che interruppe la soave melodia protrattasi fino ad allora.
Anche – una parola che implicava la presenza di un’altra persona. Plagg, il soggetto dell’affermazione di Chat Noir, non era l’unico che il collega aveva rischiato di perdere. C’era un’altra persona – o, meglio, c’era stata. Adesso era fuggita via, probabilmente lassù, dove il suo animo e il suo spirito non potevano più essere riacchiappati.
Anche – una parola che le fece capire che le persone, che sembrano così banali, sono in realtà l’incognita più grande dell’intero creato. Le persone ti sorprendono. Le persone non le conosci mai come credi di conoscerle. A volte basta una parola, un gesto o uno sguardo a comprendere questa banale ma profonda verità.
Anche – una parola che infine gli rivolse affinché tornasse a sognare.
 «Anche io tengo molto a te, Chat Noir, e non vorrei perderti per nulla al mondo. Sono la ragazza dei tuoi sogni, come potrebbe essere altrimenti?»
 Chat Noir le sorrise. Era un sorriso caldo, che proveniva direttamente dal cuore, e che per questo portava con sé tutta la bellezza di cui è fatto l’amore. Un amore romantico, quello di lui, e un amore platonico, quello di lei, ma amore.
 Quelle catene che prima gli ghermivano polsi e caviglie non le sentiva neanche più, Adrien.

 
 


Qualcuno lassù (non Emilie che belle le battute sui personaggi che muoiono) mi vuole bene e mi ha dato l’ispirazione necessaria a scrivere questa storia di sana pianta. Che sia perché i feels dovuti all’ultimo episodio non si sono ancora placati? Probabile.
E niente, a questo giro le note sono abbastanza inutili, le inserisco soltanto per chiarire che Henri non è il nome ufficiale del bambino akumizzato (che comunque sembra il figlio illegittimo di Luka), ma me lo sono inventato io sul momento.
   
 
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