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Autore: wanderingheath    27/09/2018    0 recensioni
Norwall, Connecticut.
Melanie Prescott, nata e cresciuta tra le grandi vie di scorrimento in periferia, diventa l'obiettivo preferito di Cindy Butler e delle sue sottoposte. Abbandonata a se stessa nella scuola più prestigiosa della città, osserva con dolore legami ormai strappati e l'instabile equilibrio raggiunto dalla madre.
Dall'altro lato del vetro c'è Daphne Barnett, con gli storici amici Logan e James, che non riesce a trovare la propria voce e si aggrappa ad ideali di amori fittizi. E mentre lei si consuma per Ethan Sallinger, ragazzo travolto dalla corrente di eventi drammatici, Isaac Barnett finisce nella rete di criminali che opera nel "Black Market"; rete che coinvolge anche gli abitanti della società dabbene, baluardo di una finta integrità.
In questo labirinto sporco ed intricato si snodano le vite di comuni adolescenti, equilibristi in bilico tra prime esperienze amorose, relazioni interpersonali danneggiate, un passato ombroso e un futuro sbiadito. Soli in balìa di forze esterne, i ragazzi si ritroveranno annodati alle vicende di Norwall e alla migliore detective da poco tornata in città: Ellen Ward.
Otto drammi diversi ma non distanti, otto vite parallele che troveranno un punto di incontro per conoscersi e riconoscersi negli altri.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Prologo.
 
 
 
Le luci al neon dello spogliatoio ronzavano con prepotenza.
Da quando le precedenti lampadine erano state rimpiazzate, era impossibile accedere a quell’ala della palestra senza rimanere accecati da un bagliore trafiggente.
Davano all’ambiente un’aria di assoluta impersonalità e, per qualche inspiegabile motivo, di poca igiene. Una sensazione di disagio assaliva i visitatori – in prevalenza allievi che frequentavano le attività sportive pomeridiane – non appena vi mettevano piede.
Quello che veniva spacciato per spogliatoio femminile stonava con il profilo alto che la Arcadian Ginger High School,  una delle scuole più prestigiose del quartiere, cercava di mantenere.
Fin dalla cancellata d’ingresso gli studenti venivano risucchiati in un’atmosfera di sontuosità che aveva un qualcosa di pretenzioso: il giardino rigoglioso, la facciata di un bianco marmoreo su cui capeggiava a grandi lettere il nome dell’istituto, i lunghi corridoi lindi e ordinati, le innumerevoli targhe di cui la preside poteva vantarsi.
Qualunque ospite, dall’esterno, sarebbe rimasto affascinato da un simile biglietto da visita. E pensare che una breve visita in quegli spogliatoi avrebbe potuto ribaltare le carte in tavola. Radicalmente.
«Ottimo lavoro oggi, ragazze.»
La coach Britts fece capolino dal corridoio.
Era trascorso meno di un mese dall’inizio degli allenamenti, ma l’istruttrice si era già fatta riconoscere per i suoi modi decisi ed asciutti, che non escludevano del tutto un lato umano, pur favorendo fermezza e severità.
«La prossima volta esigo il doppio di quello che avete dato stasera.»
Con un’occhiata eloquente abbracciò l’intero spogliatoio, per poi ritirarsi nel proprio ufficio.
Le piaceva, quella donna. Finalmente la loro squadra aveva qualche possibilità di entrare in uno dei tornei cittadini e non essere squalificata all’istante. Il mister che le aveva seguite lo scorso anno aveva fatto un lavoro disastroso, riuscendo soltanto ad alimentare faide interne e a perdere iscritti.
Melanie finì di cambiarsi e prese ad allacciarsi le scarpe, appoggiata alla panca di legno.  
Le voci lamentose, monotone e cantilenanti, delle sue compagne di squadra la raggiunsero.
Erano in sei o sette, se ne stavano raccolte in un angolo, all’altro capo della stanza, a confabulare con un tono volutamente chiaro ed alto.
Ormai le conosceva da un paio d’anni, con alcune di loro aveva un trascorso ben più lungo, e nel corso del tempo aveva imparato ad ignorare qualunque occasione di socializzazione le si presentasse: loro non volevano avere niente a che fare con lei e viceversa; il loro rapporto consisteva in una convivenza forzata dalle circostanze, nulla di più.     
Stavano sparlando della coach, di nuovo.
«Mi richiama ad ogni bagher. Ce l’ha con me, per qualche motivo.»
«No, Ronnie, stai tranquilla. È così di natura.»
Una terza voce si unì al coro di lamentele: «Una stronza perfezionista, ecco che cos’è.»
Ronnie Marbles, una cascata di onde scure ad incorniciarle il viso, si portò una mano alla tempia, teatralmente.
Melanie avrebbe potuto giurare di non averla mai vista sudare, in ben tre anni di conoscenza. Sempre perfetta nella sua uniforme bianca e blu, con il numero fortunato stampato sulla schiena, doveva aver venduto l’anima al diavolo per non farsi colare il trucco durante gli allenamenti.
Stava riprendendo il discorso del bagher, come se sapesse davvero eseguirne uno. Rimaneva tutto il tempo in panchina perfino l’anno scorso, quando era la preferita di Mister Lee, eppure si sentiva in diritto di predicare la vera arte della pallavolo.
«Perfezionista? A me sembra un’incompetente. Mi ha colpito la testa due volte oggi!»
Continuava a massaggiarsi la tempia con un’aria grave. «E poi, ha i suoi favoritismi.»
«Su questo puoi giurarci.»
Era stata Cindy Butler a parlare.
«C’è troppa parzialità, in questo gruppo. L’ho detto a papà e mi ha assicurato che farà il possibile perché entri nella squadra di cheerleading.»
Una delle ragazze si produsse in un’esclamazione di stupore. «Ma ti fanno cambiare ora? Pensavo potessi farlo solo ad inizio anno.»
«Per me faranno un’eccezione», replicò l’altra con un sorrisetto. «Sono stanca di stare con certa gente
Melanie scosse appena il capo,  nel silenzio che l’avvolgeva. Allacciate le scarpe, fece per recuperare il borsone e lasciare lo spogliatoio, quando una frase la bloccò sul posto.
«Avete notato che Prescott non viene mai ripresa?»
Da quando si erano conosciute, non l’aveva mai chiamata solo per nome. Era sempre stata “Melanie Prescott” - o semplicemente “Prescott”- per lei.
Le altre assentirono, un gruppo di liceali soggiogate al potere del leader di turno.
Chissà quando e come era divenuta il loro capo, Cindy. Probabilmente fin dalla sua entrata alla Arcadian.
Era nata con un marchio di fabbrica d’eccellenza, quello dei Butler, e chi non avrebbe desiderato entrare nelle grazie della figlia di un politico?
Cresciuta sotto la stella di leader, quel futuro ce l’aveva cucito addosso.
«Beh, è chiaro che sia una privilegiata», concordò Ronnie Marbles. «Lo è sempre stata.»
Melanie ruppe la propria immobilità e, resistendo al desiderio di voltarsi nella loro direzione, si diresse verso l’uscita dagli spogliatoi. Attraversò a grandi falcate il corridoio, fino ad imboccare il grande portone che conduceva all’esterno, nel cortile semibuio. Scese in fretta le scalinate di granito, notando quanto le giornate si stessero accorciando.
Non si era accorta di avere compagnia. Alle sue spalle, la gaia comitiva l’aveva inseguita e proseguiva con le frecciatine a lei dirette, in un elegantissimo passivo-aggressivo.
«Non capisco perché deve sempre ricevere un trattamento diverso.»
«Ma Ronnie, perché lei è diversa. Povera stellina.»
Una delle tante voci si sentì in dovere di assurgere a paladina dei più deboli. «Ragazze, bisogna avere compassione delle persone disadattate.»
Fu Cindy Butler, però, a scagliare la stoccata finale: «Oh, ma io sono compassionevole. La gente come Prescott mi fa solo una gran pietà.»
Melanie fece dietrofront, risalendo due a due i gradoni. Si piazzò davanti a Cindy, lei contro sei o sette persone, sovrastandola in altezza di almeno un paio di spanne.
L’altra si mantenne impassibile, sollevando appena un sopracciglio.
«Hai qualche problema, Prescott?»
Per quanto cercasse di mantenersi calma, Melanie non poté fare a meno di digrignare i denti.
«Mi stavo domandando cosa in me ti ispiri pietà.»
Un fascio di luce proveniente dalla palestra spezzava il buio che le avvolgeva, accentuando la spigolosità dei lineamenti di Cindy. Non era una bella ragazza, ma per qualche motivo riscuoteva grande successo tra la popolazione maschile.
«Beh, dico soltanto che non deve essere facile vivere come te.»
«Come me
Cindy si strinse nelle spalle, scambiandosi un’occhiata d’intesa con le proprie amiche.
«Non c’è bisogno di vergognarsi, Prescott.»
L’altra teneva le braccia attaccate al corpo, respingendo l’idea di sferrare un pugno alla propria collega.
«Continuo a non seguirti.»
Ronnie Marbles giunse in soccorso del leader, determinata a rendere più chiaro il quadro in cui avevano inserito e catalogato “quella strana”.
«Vieni da Lowhood…la gente senza un soldo bucato non entra nelle scuole del nostro quartiere. Se ti permettono ancora di frequentare questa è perché tuo padre sta in marina e…beh, per tutta la storia di tua madre.»
A Melanie sfuggì un sorrisetto amareggiato.
«È questo che pensate di me?»
Cindy le restituì un sorriso, sprezzante e altera. «Che sei una privilegiata? Che ti viene riservato un trattamento speciale rispetto agli altri?»
Si sistemò qualche invisibile piega del maglioncino, per poi aggiungere: «Proprio così».
Desiderava colpirla, in quel momento; sferrarle un destro in pieno viso, sfigurarle quel naso appuntito e gustare la reazione di completa sorpresa e spaesamento che avrebbe ottenuto. La stavano apertamente provocando, facendo leva su di un tasto molto più che dolente: il fatto che tutti a scuola conoscessero la sua situazione familiare, non dava loro il diritto di parlarne – o sparlarne.
«Cos’è, hai finito le parole?»
A parlare era stata una delle ragazze che faceva da spalla a Cindy. La stava osservando con aria di sfida, come a dosare ogni attimo che l’avrebbe portata ad una definitiva rottura. La verità era che attendevano tutte un cedimento da parte sua, avvoltoi di soli sedici anni con i maglioncini lindi e le converse ai piedi. 
Melanie aveva involontariamente accorciato le distanze e adesso si trovava ad un palmo dal volto aguzzo della compagna di squadra, che la scrutava con sguardo celestiale.
Oh, ne aveva eccome di parole.
Si morse un labbro, stringendo ancora più forte i pugni finché le nocche non si scolorirono quasi del tutto.
Ma non poteva. Non lì, in ambiente scolastico. Non poteva permettere che si ripetessero eventi passati.
«Va tutto bene?»
La coach Britts si frappose fra le due giovani. Una mano posata sulla spalla di Melanie, con l’altra allontanava le opponenti, mettendo un’accurata distanza di sicurezza fra le sue allieve.
«Certo, coach.»
Cindy Butler mise su il miglior sorriso infiocchettato della sua breve vita. «Stavamo solo chiacchierando.»
«Bene, allora vi do una nuova notizia di cui potrete discutere.»
Con un cenno del braccio fece avvicinare un’altra ragazza al gruppo.
«Alexandra sarà il vostro nuovo capitano.»
Le altre rimasero interdette per qualche istante, poi fu Ronnie a parlare: «Ma, coach, pensavo che il ruolo sarebbe stato mio.»
«Non mi sono mai espressa in merito.»
Il volto dell’adulta restava freddo e distaccato, lei inamovibile sulle proprie posizioni.
«Per una questione di anzianità!», rincarò un’altra allieva.
Alexandra non spiccicò una parola per tutto il corso della lunga discussione.
Se ne stette immobile accanto alla trainer, le braccia allacciate al petto, gli occhi castani svegli e attenti a seguire ogni replica come davanti ad una partita di tennis.
Dopo dieci minuti, la conversazione era terminata con una sentenza incontrovertibile: la scelta del nuovo capitano si basava su una valutazione che andava al di à di questioni di anzianità o preferenze individuali; era stata presa e non sarebbe mutata.
«Ci rivediamo giovedì», le liquidò sbrigativamente. «Vi voglio tutte puntuali e già in posizione sul campo.»
Melanie si raddrizzò il borsone sulla spalla e  si avviò verso il cancello d’uscita.
Finalmente poté sciogliere i pugni e rilassare le braccia. Osservandosi i palmi delle mani, si rese conto solo allora delle piccole gocce rosse che li solcavano, quasi vi fossero cadute per caso.
Anche le unghie erano di un color carminio.
Almeno era riuscita a resistere alla voce nella testa che le ripeteva di finire quella stronza.
Per un’ultima volta, si bloccò sul posto.
 «Melanie, aspetta.»
La coach Britts la raggiunse rapidamente, piantandole entrambe le mani sulle spalle. «Prima…hai avuto qualche problema con le altre?»
Il silenzio si insinuò fra le due, lasciando spazio solo al suono del vento che sussurrava distante fra qualche arbusto. Il cigolio della cancellata accompagnò quella quiete precaria.
«Sai che puoi parlare liberamente con me.»
Melanie, con il suo sguardo sfuggente e le cuffie sempre calcate sopra le orecchie, per qualche motivo la preoccupava. Ne aveva visti tanti di allievi che sprofondavano nel buio, senza che lei potesse afferrarli prima della caduta.
Quando tornò a guardarla, Melanie non mostrava alcun segno di cedimento.
«Va tutto bene. Grazie, coach. »
E si allontanò a passo sostenuto, le mani affondate nelle tasche, il capo chino, fino a quando non svoltò l’angolo e l’oscurità la risucchiò del tutto.
   
 
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