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Autore: FreddyOllow    28/09/2018    0 recensioni
Il cielo casca sul mondo ignaro dell'imminente distruzione. La musica del silenzio prepara l'ascesa al caos. Case, strade, città, tutto viene distrutto, bruciato dalle fiamme, disintegrato dalle bombe. L'odio affligge i sopravvissuti e la speranza rincuora i forti. Il cielo dipinge colori tetri, anneriti dal dolore e dal canto di mille tuoni. La terra muore, lacerata dall'uomo avido, corrotto. Sorge una nuova Era, come un alba splendida tra le fessure del male...
Genere: Avventura, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nathan si sedette vicino a Julien, mentre la gente attorno camminava e chiacchierava. C'erano cinque bambini poco distanti da loro che giocavano ad acchiapparella. Spensierati, felici e ignari di come fosse il mondo fuori dalle mura.

"Tutto bene?" disse Nathan.

"Sto bene" rispose Julien, mentre i suoi occhi dicevano tutt'altro. 

"Perché hai addestrato gli uomini con armi primitive?"

"Che vuoi dire?"

"So che hai trovato delle armi. Grosse armi".

"Non so di cosa parli" Julien si girò confusa verso Nathan. 

"Colbert mi ha quasi ucciso per questo. Voleva sapere a tutti costi delle armi, ma tu ora mi dici che non sai niente?".

"Infatti. Non so di cosa stai parlando". Julien lo guardò dritto negli occhi. In lei vigeva una forte confusione.

"Se le armi non c'è l'hai tu, allora chi c'è l'ha?" Nathan si stranì. Perché Colbert l'aveva quasi ucciso per una bugia? Forse aveva sbagliato persona? Comunità? O semplicemente era pazzo?

"Ascoltami" disse Julien "se avessi quelle armi, avrei addestrato gli uomini con quelle. Sai bene che non possiamo permetterci di sprecare pallottole. Le poche armi che abbiamo sono in gran parte usurate e la manutenzione non serve a un granché. Dovremmo farci bastare quello che abbiamo". 

Nathan annuì, senza dar peso alla risposta. Ormai era perso nei suoi ricordi, nella vaga speranza di ricordare qualche traccia, qualche frammento che lo potesse aiutare. Poi Julien si alzò, e senza salutare, andò via. Nathan rimase lì per mezz'ora, con la testa un po' inclinata all'indietro, braccia allargate sullo schienale della panchina e fissando il cielo plumbeo. In lontananza osservava fulmini che cadevano all'orizzonte. Nessun tuono, niente di niente. Solo un infinità di fulmini muti. 

Stava diventando sempre più buio, quando una guardia, appostata sopra al muro, diede l'allarme generale. Gli uomini si riversarono immediatamente vicino al portone di legno, senza alcuna arma. Donne, bambini e anziani si rinchiusero nella mensa - L'edificio più grande della comunità - Fuori dalla mura cominciarono a sentirsi strani gemiti che diventavano man man più forti. Nathan corse sulle mure assieme a Julien e altre tre guardie armate di fucili da caccia usurati. Non videro nessuno tra gli alberi morti e i secchi arbusti alla loro destra, mentre sulla sinistra, c'erano molti alberi con delle folte chiome di foglie nere che coprivano il terreno. 

"Mirate in quella direzione!" ordinò Julien. "Verranno da lì!"

Gli uomini puntarono le armi all'unisono, mentre gli uomini rimasero appiccicati al cancello. Il silenzio regnò sovrano, sovrastando la tensioni e mettendo a dura prova i nervi. Nathan seguì Julien verso una specie di cabina posta al di sopra del cancello. Il cielo si oscurò definitivamente, lasciando sprazzi di luce ai fulmini che in lontananza illuminavano in intermittenza la comunità. Le torce furono accese lungo le mura e sulle stradine, assieme a qualche lampada ad olio. Julien diede una arco e una faretra con 40 frecce a Nathan. Anche lei ne preso uno. I gemiti si diffusero verso il bosco, scomparendo dapprima da una parte e poi da un altra, per poi riapparire sempre più forte. Infine non si udì più niente. Gli uomini cominciarono a guardarsi tra loro, ansiosi, impauriti e indecisi sul da farsi. Trenta secondi dopo riapparvero ancor più forti.

"Mantenete la calma!" gridò Julien "Non fatevi prendere dal panico! Siamo al sicuro qua dentro!" ma la verità era un altra. Julien si sentiva molto esposta e insicura. Questa logorante attesa gli ricordò Rockstod; distruzione, morte e sofferenza. Non voleva e non poteva far riaccadere tutto questo. Non un altra volta. Un forte grido di dolore fece rabbrividire gli uomini, che si guardarono tra loro impauriti. Ad alcuni tremavano le mani, ad altri veniva istintivamente di fuggire, ma non potevano e cercavano di farsi forza. Julien lì conosceva bene e sapeva che non erano soldati addestrati, ma semplici persone; agricoltori, operai, pescatori e alcuni minatori. Improvvisamente un fulmine silenzioso si schiantò a terra, fuori dalle mura, poco distante dal portone d'ingresso, illuminando per un tratto la parte buia. Visi apparentemente umani, solcati da grosse vene nere sul viso. Pupille verde accesso con l'iride insanguinato. Indumenti logori, marci, strappati e alcuni quasi in perfetto stato. Erano quasi ammassati; un centinaio. Guardavano in direzione opposta alla comunità, verso la cittadina abbandonata, ma il fulmine aveva attirato la loro attenzione. Gli infetti si accorsero solo in quell'istante degli uomini appostati lungo le mura. Questi, che avevano sospettato che ci fosse qualcuno la fuori, avevano sperato con tutto il cuore che si fossero allontanati, ma invece, gli infetti erano a soli trenta metri da loro. Ci fu qualche secondo di silenzio, mentre gli infetti li osservavano, come quando si osserva qualcosa di nuovo e mai visto. La tensione crebbe velocemente, i nervi stavano quasi per cedere quando Julien intervenne.

"Calma!" gridò "Non fate niente di avventato! Aspettate il mio ordine"

Gli infetti si avvicinarono in massa, i loro sguardi erano incuriositi, quasi ciechi, sembrava non vedessero aldilà di tre metri, così come l'udito. Alcuni, lungo il corpo, erano percorsi da insistenti tremolii, altri invece, da una specie di tic; la testa si muoveva freneticamente da una parte all'altra. Nel camminare, sbattevano tra di loro, gemendo, come se fossero infastiditi dall'urtarsi. Non era raro vedere due infetti prendersi a pugni o a graffi. Poi si fermarono a cinque metri dal cancello. Nathan guardò Julien, ma questa non gli prestò attenzione. Aveva intuito che i gemiti non erano prodotti per via della comunità, ma perché nel marciare come un piccolo esercito, si urtavano tra di loro. Gli uomini a ridosso del portone erano ignari a quello che stava accadendo fuori. Mai avrebbero pensato che fossero a pochi passi dagli infetti e che solo il portone li divideva. 

"Stringetevi nello stretto corridoio dell'ingresso!" ordinò Julien, stando bene attenta a non gridare troppo per non infastidire gli infetti e voltandosi indietro, verso gli uomini al di sotto della cabina. Questi si ammassarono, quasi appiccicati, contro il portone, sapendo forse, che era arrivata l'ora di combattere. 

"Rimani qua, Nathan" Julien si allontanò verso la sua sinistra, mentre Nathan rimase stranito. 

Julien si stava accertando che nessuno, in preda al panico, sparasse il primo colpo, controllando e dando forza agli uomini che sembravano sul punto di cedere. Ma fallì. Un uomo aprì il fuoco. Il proiettile colpì una donna infetta al seno destro, disintegrandolo. Incredulo di quel che aveva fatto, guardò gli altri chiedendo scusa e con le mani che gli tremavano così forte, fece cadere a terra il fucile da caccia. L'infetta lanciò un forte grido, che squarciò definitivamente il silenzio. 

"Sparate! Sparate!" urlò Julien, nascondendo il panico e tornando di corsa alla cabina.

I fucili aprirono il fuoco, falciando gran parte degli infetti, che in massa, si schiantarono contro il portone. Gli uomini al di dietro, cercarono di mantenere la posizione e non far crollare l'ingresso. Si formò un ammasso di infetti che grattavano il portone con le unghie, sferrando menate e pugni per distruggerlo. I gemiti inghiottirono i rumori delle armi. Le pallottole, sparsero cervella, sangue e parti di carne ovunque sul terreno arido. Gran parte del portone fu raschiato via. Si intravidero dapprima i denti che batterono compulsivamente nel vuoto e dopo un po', l'intera faccia dell'infetto che gemeva muovendo freneticamente la testa o sbattendola sul portone. Gli uomini si spaventarono, ma erano decisi a resistere per i proprio cari.  

"Mantene la posizione!" gridò Julien, scoccando le frecce contro gli infetti "Non fateli passare! Resistete!"

Nathan la guardò quasi rassegnato; sapeva che un assalto del genere sarebbe stato letale per l'intera comunità, ma come tutti gli altri, sperava. Scoccò diverse frecce che si conficcarono nel dorso, gambe, petto e alcune volte nel cervello degli infetti. Gli archi non erano molto resistenti e alcuni di essi si ruppero. Nemmeno le frecce erano tanto solide, la maggior parte si ruppe colpendo gli infetti o risultarono innocui già a mezz'aria. Solo le armi da fuoco fecero la loro parte. Di un centinaio di infetti, solo venti furono uccisi. Gran parte di loro si riversò sul portone, altri cercarono persino di saltare sulle mure, o di arrampicarsi su altri infetti per raggiungerle, ma queste erano troppo alte. Un uomo che teneva le mani sul portone, venne morso da un infetto. I denti marci strapparono via la carne dell'uomo che si tirò istintivamente indietro e sbatté contro gli altri. Nel vedere la mano insanguinata, l'uomo gridò a squarcia gola dal dolore. Si girò diverse volte in preda al panico, tentando invano di passare, ma gli altri lo impedirono. Alcune persone nella retrovia fuggirono, mentre chi si trovava a ridosso dell'ingresso rimase coraggiosamente in posizione. Poi l'uomo venne afferrato da dietro da diverse mani, mentre un infetto affondò i denti sul deltoide, strappandogli la carne. Il sangue zampillò ovunque, macchiando i visi delle persone dietro di lui. Il portone era quasi compromesso. Gli infetti continuarono a staccare il legno con le unghie, i denti e sferrando pugni.

"Dannazione! Stringetevi! Non fateli entrare!" urlò Julien, scendendo la scalinata e raggiungendo gli uomini. 

Nathan non la seguì, preferendo restare nella cabina e scoccando qualche frecce nella speranza delle teste. Gli uomini resistettero quanto poterono, ma gli infetti con il loro peso fecero indietreggiare di un metro gli uomini. Quasi tutti gli infetti erano bloccati nello stretto corridoio dell'entrata.

"Mi servono della armi! Presto!" gridò Julien. 

Cinque uomini scesero metà scalinata, abbastanza per avere sotto tiro qualche infetto bloccato nello stretto corridoio dell'ingresso. Aprirono il fuoco. Le pallottole bucarono le teste, alcune esplosero, dipingendo di rosso le mura e macchiando i visi e gli indumenti di alcune persone. Gli altri uomini, vedendo che erano rimasti solo cadaveri fuori dalle mura esterne, scesero anche loro per dare potenza di fuoco. 

"Dove sono le lance?" urlò Julien. "Dove?!"

"Ci penso io!" rispose nathan, scendendo velocemente la scalinata. 

Julien annuì, mentre la corda dell'arco gli si ruppe in mano. "Dannazione!"

Nathan gli diede il suo arco e la faretra quasi vuota. Poi correndo, raggiunse l'armeria. Sul muro c'erano trenta lance. Ne prese dieci e stringendole forte al petto, corse verso Julien.

"Lasciate gli archi e prendente le lance!" ordinò Julien agli uomini, mentre Nathan, aiutato da un ragazzo, andarono a prendere le ultime lance. Quando furono di ritorno, gli infetti erano quasi entrati. Alcuni riuscirono a passare, ma vennero raggiunti dalle pallottole dei fucili. Un infetto riuscì a eludere i proiettili e a gran velocità si scagliò contro Nathan. Ma il ragazzo che era con lui, riusci a scagliare con violenza la lancia contro l'infetto, colpendolo alla base del collo. Il sangue schizzò ovunque. Nathan estrasse la lancia e la conficcò nel cranio, per poi riprenderla.

"Mi hai salvato la vita... Grazie!" disse Nathan, sospirando.

Il ragazzo annuì, sorridendo.

Consegnarono le ultime lance, mentre gli uomini iniziarono a prendere posizione, proprio come negli addestramenti delle ultime settimane.

"Dietro alla prima fila!" urlò Julien. "Ho detto dietro!"

La prima fila tentò di respingere l'ondata di infetti, usando i resti del portone quasi distrutto come scudo e facendogli indietreggiare, mentre la seconda fila - in cui c'era Nathan e il ragazzo - infilzò con la punta delle lance le testa degli infetti e spingeva la prima fila. Le guardie armate finirono i proiettili e presero delle lance, ma non bastavano per tutti. Così raccolsero archi e frecce. 

"Salite sulle mura!" Gridò Julien "Tirate da là!"

Gli uomini seguirono il suo ordine e scoccarono le ultime frecce. Gli infetti stavano cadendo al suolo uno ad uno. Gli uomini della prima fila avevano riportato molteplici graffi e alcuni erano morti. 

"Spingete! Spingete" Urlò Julien. "Dobbiamo avanzare! Dobbiamo ucciderli fuori dalle mura!"

Gli uomini riuscirono a portare gli infetti fuori dallo stretto corridoio dell'entrata, calpestando i corpi dei compagni morti o infetti. Gli arcieri scoccarono le ultime frecce, poi scesero giù, spingendo la seconda fila. I lancieri presero il posto della prima fila, ormai stanca e fortemente ferita. Alcuni uomini inciamparono sui cadaveri dei proprio amici o degli infetti, mentre questi, non riuscivano ad avanzare senza cadere a terra. Nathan trafisse con la punta della lancia l'occhio di un infetto, uccidendolo all'istante. Poi trafisse un altro al petto, rompendo così la lancia. L'infetto si scagliò contro Nathan, ma venne salvato da Julien, che infilzò la punta della lancia nell'orecchio dell'infetto. Molte lance si ruppero, lasciando gli uomini inermi davanti a questi. Molta gente venne divorata viva, ma i pochi lancieri rimasti uccisero gli ultimi infetti. 

"Ritiratevi! Gridò Julien "Dobbiamo ostruire l'entrata!"

I superstiti si ritirarono velocemente dentro la comunità, bloccando il passaggio all'estremità dell corridoio, con carretti e casse. I cadaveri sia degli infetti che dei caduti, vennero lasciati lì. Era notte inoltrata e non potevano permettersi di raccogliere da terra i loro amici. Quando finirono, i feriti vennero portati nell'infermeria, quelli rimasti in vita si riabbracciarono con i proprio cari e le famiglie dei caduti piansero la loro morte. Julien e Nathan si sedettero esausti, sporchi di sangue e silenziosi sulla scalinata che portava sulle mura. Mentre tutt'attorno c'era un via vai continuo di gente. Lamenti, pianti, chiacchiere, abbracci, baci. Tutta la comunità era stata stravolta in una notte. Eva notò Nathan da lontano. Voleva riabbracciarlo, baciarlo e stringerlo a sé, ma scelse di non farlo. Si limitò a guardarlo, mentre ringraziava Dio. Sempre se ci fosse un Dio in un tale disastro, pensò poco dopo. 

"Stai bene?" disse Nathan a Julien.

"Sto bene. Tu?" domandò Julien, mentre guardava il via vai di gente.

"Bene..." Nathan abbassò gli occhi "Grazie per prima... Se non fosse stato per te..."

"Quelle lance..." sussurrò quasi fra sé Julien, non dando importanza a ciò che aveva detto Nathan "Quelle lance dovevano essere rinforzate..."

"Beh, non puoi aspettarti molto da del legno marcio".

Julien non rispose, rimanendo in silenzio. Forse non l'aveva neanche sentito. Nathan la guardò per un instante, ma preferì non dire più niente. Rimasero vicini per un po', finché una donna anziana si avvicinò a Julien.

"Scusami, Julien. Abbiamo messo i feriti nell'infermeria, ma la situazione è critica per alcuni di loro. Non abbiamo abbastanza medicine per tutti".

Julien la guardò per un po' "Quante persone?"

"Sei persone".

"Ok..." disse Julien con voce quasi smorzata "Isolateli".

"Dove? nella vecchia infermeria?"

"Sì, portateli là" si intromise Nathan, capendo che Julien era troppo scossa o stanca per far qualcosa. "Me ne occupo io. Seguitemi, signora"

Julien vide allontanarsi i due verso l'infermeria. Poi si volse verso l'ingresso della comunità, intravedendo i volti di alcuni suoi amici dietro a casse e carretti. Le lacrime solcarono dopo tanto tempo il suo viso esausto, ma si trattenne. Non poteva farsi vedere così. Non in questa situazione. Ma la sua frustrazione mista a una grande tristezza prese il sopravvento, facendogli versare fiumi di lacrime. Si alzò e sparì singhiozzando lungo un edificio.

Nathan arrivò nell'infermeria. La situazione era più critica di quello che aveva detto l'anziana. Alcuni uomini avevano ferite molto aperte, oltre che morsi abbastanza ampi. Non erano sei persone ad essere in pericolo di vita, ma ben ventuno persone. Nella stanza non c'era abbastanza spazio per tutti, perfino le infermiere avevano difficoltà a spostarsi da un letto all'altro. Nathan prese penna e foglio da una scrivania, aggirandosi tra i vari letti e segnando quelli meno gravi. Dopo dieci minuti, sulla lista si contavano trentaquattro persone, su quaranta feriti gravi.

"Scusate!" gridò Nathan, posizionandosi all'entrata e attirando l'attenzione di tutti "Quelli su questa lista dovranno essere trasportati nella vecchia infermeria".

"Ma non è igenico" rispose un infermiera, guardando le altre donne che annuirono.

"Non abbiamo abbastanza spazio per tutti. I feriti gravi resteranno qui. Gli altri dovranno andare là".

"Dov'è Julien? E' lei che si occupa di queste cose" disse un altra infermiera.

"Non abbiamo molto tempo! Fate come vi ho detto o questi uomini moriranno tutti!"

Le infermiera si guardarono tra loro contrariate "Non facciamo niente senza l'autorizzazione di Julien".

Prima che Nathan potesse rispondere, Julien comparve da dietro. "Fate come vi è stato detto. Ora!"

Le infermiere si mossero subito, fasciando i feriti e occupandosi del trasporto. Nell'infermeria giunsero gli uomini con delle barelle o tavoli simili che trasportarono quelli sulla lista. Molte delle infermiere rimasero a prendersi cura dei feriti gravi, mentre quattro di queste raggiunsero la vecchia infermeria. 

"Non abbiamo più armi..." esordi Julien, sedendosi vicino alla scrivania.

"Ne costruiremo delle altre" rispose Nathan.

"Il legname scarseggia... Abbiamo costruito archi, frecce e lance con quello buono e sono troppo fragili. Non mi aspettavo tutto questo. Non sono durate quanto previsto. E'... è stata una carneficina là fuori... ed è solo colpa mia..." Julien abbassò lo sguardo rattristita.

"Ehi..." Nathan si chinò verso di lei, appoggiando un mano sulla spalla "Non è colpa tua. Non potevamo fare altro con quelle risorse. Quelle armi ci sono servite per ucciderli. Grazie a te molta gente è viva".

"Ho deluso tutti... Ho sempre detto che li avrei protetti tutti quanti..." Julien cercò di trattenere le lacrime.

"Ascoltami, Julien". Nathan cercò il suo sguardo "Tu hai fatto molto e continuerai a fare molto per questa gente. La tua gente. Loro lo sanno e te ne sono grati. Non devi addossarti nessuna colpa. Hai difeso con tutta te stessa la comunità. Le persone lo sanno. Non dimenticarlo". Nathan le sorrise.

Julien guardò Nathan per un secondo. Infine l'abbracciò senza accorgersene, piangendogli addosso. Qualche secondo dopo, Julien indietreggiò la testa e lo baciò quasi passionalmente, mentre le lacrime di lei toccarono entrambe le labbra per un secondo. Nathan inclinò subito la testa, quasi istintivamente.

"Julien..." disse lui "Non posso... é..."

"Scusami... " rispose lei "E' colpa mia... Non dovevo farlo..." dopodiché si alzò di scatto per l'imbarazzo, si asciugò le lacrime e lasciò l'infermeria.

Nathan rimase perplesso. Non si aspettava di essere baciato da Julien. Non l'avrebbe mai pensato prima d'ora. Il suo pensiero andò ad Eva. Era lei il suo amore. Era lei la ragione di tutto, anche se ultimamente, credeva che fosse solo un ricordo agli occhi di Eva. Un brutto ricordo che lei avrebbe cercato di distruggere o cancellare per non soffrire.

L'indomani, alle prime luci del sole, coperto egoisticamente da nuvole plumbee. La comunità si ritrovava senza difese e con un forte odore di putrefazione che infestava l'aria, rendendola irrespirabile oltre che malata. Le vedette poste lunghe i muri, si assicurarono che non ci fosse nessuno nei paraggi per poter spostare e bruciare i corpi. Un ora e mezza dopo, ammucchiarono tutti i corpi infetti a più di cento metri dalla comunità e li bruciarono. I corpi dei caduti invece, furono sposati verso il cimitero. Ci fu un piccolo dibattito se assistere o meno ai funerali. Molta gente era favorevole, ma alcuni erano ancora scossi dall'attacco precedente e temevano un altro attacco. A preoccuparli era il fatto che non avevano più armi per difendersi, ma Julien fece cambiare loro idea. Dopo aver piazzato quattro vedette agli angoli delle mura, e lasciato due infermiere a prendersi cura dei feriti gravi e una nella vecchia infermeria. L'intera comunità raggiunse il cimitero. I corpi furono posti su diverse pile di legno, mentre i famigliari piangevano e si stringevano sofferenti l'uno abbracciato l'altro. Eva era di fronte a Nathan. Lo stava fissando fin da quando era giunto per ultimo al cimitero. Quando però fu lui a guardarla, lei distolse subito lo sguardo. Lo fece molte volte senza farsi mai scoprire da Nathan. Dall'altra parte, c'era Julien che non aveva più parlato con Nathan dopo il bacio. Non riusciva più a guardarlo per via del forte imbarazzo, ma perlopiù perché si era mostrato fin troppo fragile con lui. Non gli era mai capitato prima, se non con Scott. La donna forte che aveva sempre mostrato a tutti, era crollata per un momento tra le braccia di Nathan. Lo guardò con la coda dell'occhio, ma lui non era Scott. Non lo sarebbe mai stato. Aveva sbagliato, fatto un errore. Non dovevo più succedere. I parenti delle vittime accesero delle torce, mettendosi poi in fila indiana. Uno ad uno diedero fuoco alle rispettive pile dei loro cari. Il fumo oscurò il cielo, la sofferenza divorò il silenzio e le fiamme inghiottirono per sempre ciò che un tempo era stato un padre, un fratello, uno zio, un nonno, ed ora solo un ricordo. 

   
 
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