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Autore: Lily97    28/09/2018    1 recensioni
Capelli scuri arruffati, di sicuro incantati da qualche stupida magia; occhiali rotondi, rotti.. sempre rotti; un sorriso a trentadue denti anche quando da sorridere non c'è proprio un bel nulla; fisico mozzafiato, andatura fiera e sicura; una risata snervante.
Si, sono tutte caratteristiche che Lily Evans conosce alla perfezione. Purtroppo a queste si accompagnano un carattere infantile, un ego spropositato, l'inclinazione a scatenare risse coi Serpeverde e, dulcis in fundo, una domanda. Quella DANNATISSIMA domanda alla quale la ragazza risponde da più di sei anni con la stessa identica frase, ossia che preferirebbe di gran lunga uscire con la Piovra Gigante che essere accompagnata ad Hogsmeade da LUI.
Il risultato? Semplice.
Una vita d'inferno.
Ma allora perché la Caposcuola non cede alle avances ed accetta l'invito?
Semplice pure questo.
Lei è Lily Evans. Lui è James Potter e sono l'uno l'opposto dell'altro.
Ah.. e si odiano.
Genere: Angst, Guerra, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ciao a tutti ragazzi!
Faccio questa premessa prima di lasciarvi leggere il primo capitolo.
"Seven years before" è un breve flashback sulle vite dei malandrini e di Lily Evans qualche giorno prima del loro ingresso ad Hogwarts.
Dal Capitolo 2 in poi, inizierà il racconto dal settimo anno dei Malandrini, di quando James si è scoperto innamorato di Lily e di quando la ragazza ha iniziato a vedere nel grifondoro un ragazzo diverso.
Buona lettura ragazzi!
Un bacio,
Laura♥️

 
Prologo
1971

"Lily, ti ho detto di smetterla!"
"Ma non sto facendo nulla di male!!"
"Non puoi continuare a volare per la stanza."


"Che cos'abbiamo detto, amore?" le domandò la madre, finendo di intrecciarle i capelli dietro la testa.
La ragazzina di appena undici anni fissò la sua immagine allo specchio, visibilmente imbronciata, e sospirò.
"Che non posso fare cose strane finché sono a casa" brontolò sottovoce.
La donna le sorrise. "E ti sembra che volare nella stanza di Petunia sia una cosa normale?".
"No, ma giuro che non faccio apposta!" protestò.
Perché non riuscivano a capire che non era lei che comandava, in quei casi? I fiori che danzavano, la luce che si accendeva e si spegneva, la pioggia che cessava quando lei passava: non era dettato da un suo pensiero! Era semplicemente la vicinanza della bambina alle cose che faceva scattare quella magia.
"Quando sarai a scuola, potrai fare tutto ciò che vorrai" continuò la signora Evans, sistemandole una forcina appena dietro un orecchio.
"Va bene" si arrese Lily.
Tanto era inutile. Per quanto i suoi genitori fossero stati felici di avere "una strega in famiglia!" non erano riusciti a convivere con l'idea delle stranezze che capitavano intorno alla figlia minore. Apparivano sempre preoccupati, se non intimoriti, dal potenziale della piccola ragazzina. E non erano molto bravi a nasconderlo, non se Lily era riuscita a capirlo.
Il problema maggiore, comunque, non consisteva nei suoi genitori, bensì in sua sorella, Petunia, che da quando aveva scoperto che la sorellina era una strega, l'aveva completamente tagliata fuori dal suo mondo.
Inizialmente, Lily non aveva capito.
Pensava fosse spaventata da lei. Successivamente però, con l'aiuto del suo migliore amico -e futuro compagno nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts- aveva trovato una lettera nella quale la sorella maggiore pregava il Preside Albus Silente di accettare anche lei in questa misteriosa scuola. E per quanto Lily avesse desiderato avere Petunia al suo fianco, la risposta era stata negativa.
"Non voglio venire!" s'impuntò per la centesima volta Petunia Evans, a braccia conserte sulla porta di casa.
"Tesoro, ne abbiamo già discusso molto. Sali in macchina" le rispose la madre, con una punta di esasperazione nella voce.
"Non voglio andare con quell'... errore.. al raduno dei mostri!!" esclamò di nuovo la ragazzina.
Lily vide sua madre guardarsi intorno circospetta ed allarmata, ma sebbene sarebbe potuto sembrare come un gesto di preoccupazione nel fatto che lei avrebbe potuto sentire, in realtà era l'istinto di nascondere la loro figlia anomala al vicinato.
Fortunatamente arrivò il signor Evans, uomo rubicondo e dall'espressione allegra, l'unico nella famiglia a nutrire una forte e profonda ammirazione verso la figlia più piccola e, ovviamente, estasiato nel vederla compiere magie.
La circondò con un suo enorme braccio e la tirò vicino a sé. "Lily non è un errore e le persone come lei non sono mostri. Entra in macchina e non fiatare" le ordinò talmente deciso che la maggiore non ebbe coraggio di ribattere.
Entrò nella macchina sbattendo la portiera e sedendosi più lontano possibile dalla sorella.
"Sei emozionata piccola?" le domandò il padre, aprendosi in un sorriso solare.
Lily annuì freneticamente e si morse il labbro inferiore. "Non vedo l'ora di incontrare i miei altri compagni!" squittì.
Petunia le fece il verso, ma Lily decise che l'avrebbe ignorata.
"Saranno tutti molto gentili e simpatici" le sorrise la madre, guardandola dallo specchietto retrovisore e trafiggendola con i suoi profondi occhi verde prato.
Non sapeva ancora quanto si sarebbe sbagliata.
<>

"Guarda pa'! La nuova Comet!!!!".
Il ragazzino dalla zazzera di capelli neri indomabili e gli occhiali rotondi che cadevano sul naso dritto e piccolo, si schiacciò contro la vetrina del negozio di scope, dentro la quale era esposto l'ultimo modello di scope per il Quidditch.
L'uomo di fianco a lui, Charlus Potter, sospirò. "James, lo sai che gli studenti del primo anno non possono avere una scopa" gli ripeté per l'ennesima volta.
"Ma...!!! Guardala! È bellissima! Come potresti negare al tuo unico figlio una bambina come quella!??" esalò esterrefatto, mirando ingegnosamente al punto debole del padre.
Nonostante fosse uno degli Auror più potenti del mondo, esisteva una sola cosa a cui Charlus Potter non riusciva a dir di no, ossia il suo unico figlio.
E il ragazzino, sorprendentemente per la sua giovane età, era davvero scaltro e sapeva bene dove andare a mirare nel buon vecchio padre.
Il signor Potter sfilò il portafogli dalla tasca sinistra dei pantaloni, scuotendo il capo come se così potesse evitare il gesto, inutilmente.
In realtà, nonostante molte volte James si mostrava capriccioso e insolente,  i genitori non potevano che stravedere per lui.
Era arrivato in un momento in cui sia lui che la moglie, Dorea Potter, anch'ella Auror, avevano smesso di cercare di avere un figlio.
Erano tempi duri per i maghi e la gestione di un figlio in un clima di guerra pareva qualcosa di paradossale.
Dopo qualche minuto, il bambino reggeva tra le mani il suo primo vero e proprio manico di scopa e sprizzava felicità da tutti i pori.
"...e poi farò un'inversione e quella viscida Serpe non riuscirà a prendermi per la divisa per farmi cadere!".
"Sì! Devi stare attento, perché i Serpeverde sono dei baroni patologici e, pur di farti perdere di vista il Boccino, potrebbero accerchiarti e bombardarti di bolidi" gli fece eco il padre.
"Lo so pa'. Per questo mi porterò, legata alla cintura, una mazza da Battitore! Appena arriveranno abbastanza vicini....."
"SBEM!!" fecero in coro, lo stesso sorriso stampato sul volto uguale.
"Ah e ricordati che, quando l'arbitro te lo chiederà, dovrai sempre rispondere...".
"Non ho fatto apposta! Era troppo vicino ed ero scomodo, quindi mi sono raddrizzato e per sbaglio gli ho tirato una gomitata" si lagnò il ragazzino.
I due si scambiarono uno sguardo complice. Il padre gli scompigliò i capelli. "Ma sei un Potter, quindi non ti diranno nulla".
James guardò amorevolmente la sua scopa, prima di fare un salto di tre metri quando gli giunse alle orecchie la voce acuta della madre.
Charlus gli prese il nuovo acquisto dalle mani e la fece scivolare velocemente nella sacca incantata che portava sempre dietro, per celarla agli occhi della moglie.
"Vi sto cercando da un'infinità! Ancora a fare i mosconi davanti a questo negozio?! E non fare quella faccia, tesoro. So che gliel'hai comprata. Lo sapete meglio di me che non si possono possesere manici di scopa il primo anno" li riprese, guardando il marito con espressione particolarmente minacciosa.
Le sembrava che, da quando era nato James, Charlus fosse ritornato un ragazzino. Era davvero tenera come cosa -e ridicola- ma a volte era scocciante essere l'unico adulto della situazione.
"Ma Dorea, non hai capito" tentò di giustificarsi l'uomo "gliel'ho presa per tenerla a casa e...".
"A casa??! La mia bambina non può stare a casa" esclamò James, gonfiando le guance in modo ridicolo.
"La sua bambina?" gli fece eco la madre.
Il signor Potter le sorrise radioso. "Logico. Qualsiasi giocatore di Quidditch considera la sua scopa come la propria ragazza" le spiegò pazientemente.
Forse non fu la cosa giusta da dire, al momento.
Il sopracciglio di Dorea Potter si alzò pericolosamente. "Quindi, ai tempi di Hogwarts, la tua scopa mi precedeva?" gli domandò tranquillamente.
"Beh cert..." fortunatamente si bloccò appena in tempo. "Ma assolutamente no, amore. Sei sempre stata il centro dei miei pensieri" si affrettò ad aggiungere.
La donna gli scoccò un'occhiataccia e si rivolse al figlio. "Non puoi portare la scopa con te quest'anno" decretò.
"Ma.. la mia bambina..".
"Non è la tua bambina. È una scopa" spiegò esasperata. "E non parlarle con quel tono adorante. Non hai ancora l'età per una ragazza".
A quelle parole sia padre che figlio la guardarono stralunati.
"Tesoro, i Potter hanno il dono di piacere alla gente da generazioni. È impossibile che esista anche solo una ragazza che non cadrà ai piedi di James".
Non sapeva ancora quanto si sarebbe sbagliato.
<>

Bum bum bum

"Apri questa maledetta porta!"

Bum bum bum

"Sirius Orion Black, ti ordino di aprire subito la porta!"

Bum bum bum

"Brutto stupido ragazzino! Non sai in che guai ti stai cacciando!!" ringhiò Walburga Black, prima di abbandonare i tentativi di aprire la porta del figlio maggiore.
I passi della donna si fecero via via sempre più lontani, finché il corridoio non venne sommerso dal silenzio.
Da dietro la porta prima sconquassata dai colpi, un ragazzino sedeva appoggiato di schiena al legno antico, con la testa tra le gambe e i capelli lunghi e neri che cadevano ad incorniciargli il volto. Intorno all'indice sinistro spiccava un grosso anello d'argento, sul quale era inciso lo stemma della sua famiglia, i Black.
Tutto il mondo dei maghi conosceva il loro cognome. Non c'era anima viva che non si fosse imbattuta in uno di loro. Erano temuti da chiunque, la famiglia dal sangue nero come il suo nome.
Generazioni di maghi e streghe sempre al servizio dei più potenti e pericolosi stregoni della storia, sempre vincitori, sempre incoronati, sempre più malvagi.
Ma come nel più profondo degli abissi splende fioca la luce della luna; come dal carbone grezzo e sporco riluce il diamante, così Sirius Black brillava in una famiglia forgiata dall'odio.
A differenza di tutti i parenti, il ragazzino non era interessato né alla gloria, né al potere, né alla fama. Disprezzava i comportamenti discriminatori che i suoi parenti -ovviamente Purosangue- riservava a coloro il cui sangue era stato contaminato da quello Babbano. Non riusciva ad approvare gli strani giochi che divertivano così tanto i suoi genitori e le sue cugine: maledire i Senza-Poteri, pietrificare i "Sanguesporco" per poi farli pentire di essere nati.
No.
Lui non vedeva l'ora di entrare ad Hogwarts, nella quale sperava di poter avere un'opportunità. Vedeva nella Scuola di Magia e Stregoneria un'occasione per allontanarsi dalla propria famiglia, accecata dal potere e malata nel cuore.
Probabilmente sarebbe finito in Serpeverde e avrebbe dovuto vedere ogni giorno le sue disgustose cugine.
Tutto pur di uscire da quella che loro chiamavano casa, ma che non era mai stata cos' lontana dall'esserlo, per lui.
Tutto pur di allontanarsi da quella che avrebbe dovuto chiamare madre e da quell'uomo che disprezzava ancora di più del suo stesso cognome: suo padre, Orion Black. Era una persona che non si era mai fatta scrupoli ad imporre la sua autorità nei confronti dei più deboli.
Il ragazzino ancora poteva toccare con mano ciò che gli era rimasto da una delle tante punizioni che gli aveva inferto: lungo tutto il fianco destro correva una cicatrice slabbrata e malamente curata dal suo odioso elfo domestico, Kreacher. Non si ricordava nemmeno più perché se l'era meritata. Forse si era rifiutato di uscire con loro, oppure non aveva ossequiato dignitosamente uno degli ospiti che andavano e venivano da casa loro. L'unica cosa che riusciva a ricordare era l'attizzatoio che volava attraverso la stanza e un dolore lancinante a fianco. E soprattutto, non riusciva a dimenticarsi l'espressione della madre, che lo fissava inespressiva dalla poltrona, senza muovere un muscolo, quasi fosse lui l'elfo domestico che meritasse la punizione.
L'unica persona che gli era andata incontro era stato suo fratello minore, Regulus, con il quale ormai non parlava da anni. Infatti, da molto tempo il ragazzo viveva nella sua camera, uscendo di nascosto dalla finestra per potersi procurare cibo.
Era diventato molto abile nel nascondersi nel buio e nelle ombre della casa e, nel caso qualcuno fosse stato ancora sveglio, aveva imparato a cavarsela anche fuori, a Diagon Alley e Nocturn Alley, nonostante quest'ultimo non gli andasse molto a genio.
Rimase fermo a fissare il pavimento sotto a sé per molto tempo, prima di decidersi ed alzarsi. Era il suo primo giorno di scuola, ma non aveva intenzione di andare alla stazione di King's Cross con i suoi genitori.
Si avvicinò all'enorme baule che stava sul suo letto e lo chiuse con un tonfo sordo, posandolo sul pavimento di legno.
Si inginocchiò, con la testa molto vicina alle assi del suolo, iniziando a picchiettare su quelle più chiare, finché una di queste non emise un toc vuoto. Sorridendo soddisfatto affondò le unghie sotto il legno e fece leva. Subito questa si piegò verso l'alto, rivelando un nascondiglio segreto che aveva scoperto quasi tre anni prima, e che aveva iniziato ad usare come "banca", nascondendoci qualsiasi somma di denaro che riusciva a sottrarre ai genitori durante ogni escursione notturna.
Uno dei vantaggi di provenire da una famiglia ricca era che nessuno si curava più di tanto se sparivano piccole quantità di galeoni o zellini, cosa molto conveniente per Sirius, che era riuscito ad accumulare una somma tale che l'avrebbe soddisfatto al massimo almeno fino al terzo anno, se non al quarto.
Afferrò una sacca e la riempì di soldi, mettendola poi nello zaino marrone pieno di toppe, unica cosa che era riuscito a salvare della sua "ex" cugina Andromeda, disonorata dalla famiglia per aver sposato un babbano.
Aprì la finestra e calò il borsone dal tetto spiovente, che dava sulla strada. Ormai nessuno faceva più caso al giovane Black che usciva dalla camera al posto che dalla porta. Una volta che il borsone fu atterrato a terra, si calò agilmente aggrappandosi al tubo dello scarico. Quando fu coi piedi sulla strada, si affrettò ad allontanarsi da quella che non sarebbe più stata casa sua fino all'estate.
Passò davanti ad una casa, sulla porta della quale stavano due genitori e una bambina bionda, che felicemente si dirigevano verso una passaporta che li avrebbe condotti alla stazione.
Sentì una fitta di tristezza, perché quella vita non sarebbe mai stata la sua. Non avrebbe mai avuto una madre e un padre che lo avrebbero guadato con quella luce negli occhi, fieri di avere un figlio speciale per quello che era.
Probabilmente anche se quella bambina fosse finita in una casa che non era di generazione della famiglia, nessuno avrebbe detto nulla, anzi, l'avrebbero spronata a diventare la migliore.
Invece per lui ci sarebbe stata solo Serpeverde.
Non sapeva ancora quanto si sarebbe sbagliato
<>

"Remus, promettimi che farai una cosa per me...".
"Tutto quello che vuoi".
"Vivi".

Furono le ultime parole di Hope Howell al figlio appena prima di spirare.
Il ragazzino rimase inginocchiato al capezzale della madre, la testa poggiata al grembo ormai inerte.
Soffici ciocche biondo cenere ricadevano ai lati del viso magro di Remus Lupin che, ad occhi chiusi, vegliava sul corpo senza vita della madre.
Hope Howell, la donna che l'aveva messo al mondo, che gli era stata vicina per quei sette lunghi anni, che era riuscita a trovar in lui ogni minuscola scaglia di bene in quello che ormai il ragazzino riteneva un corpo del diavolo, aveva smesso di combattere contro la malattia babbana che l'aveva lentamente distrutta, lasciandogli solo un corpo vuoto.
Vivi.
Una semplice parola. Quattro lettere apparentemente insignificanti e prive di senso viste singolarmente. Eppure Hope Howell era riuscita a dar loro un senso.
Un significato troppo difficile per essere contenuto in una parola così breve.
Si, perché Remus non era più solo Remus da due anni.
Non era più solo il bambino spensierato e curioso, che passava i pomeriggi a giocare con i propri amici alla caccia al tesoro, a nascondino o a creare casette per gli uccelli.
Non era più solo un bambino.
C'era stato un tempo in cui Remus Lupin non aveva pensato ad altro che ad Hogwarts. A quella che sarebbe diventata la sua casa per i sette anni più belli della sua vita, dove si sarebbe fatto moltissimi amici e, chissà, magari avrebbe trovato anche una ragazza.
Passava le notti a rimuginare sulla sua vita scolastica alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Alle lezioni, ai fantasmi, al cibo e ai suoi compagni. Magari sarebbe capitato in Tassorosso. Anzi, ne era quasi praticamente sicuro. Era di indole troppo buona; non si arrabbiava mai con i suoi amici, non faceva mai nulla di sbagliato con i suoi e obbediva a qualsiasi ordine.
Magari sarebbe stato portato anche come Corvonero; gli piaceva studiare, si interessava di tutto e passava ore chino sui libri della madre, per la maggior parte babbani, mentre poche volte aveva consultato quelli del padre, Lyall Lupin, che parlavano quasi tutti delle Apparizioni degli spiriti Non-Umani, argomenti un po' strani per un bambino di cinque anni!
Poi, però, suo padre aveva avuto un incarico al Ministero, qualcosa di abbastanza losco, riguardante i Lupi Mannari.
La moglie gli aveva detto di stare attento, che con la gente del Signore Oscuro non si scherzava, ma l'uomo, molto sicuro di sé, si era buttato a capofitto nell'inchiesta.
Nemmeno due settimane dopo, qualcosa era entrato in casa loro, durante la notte.
Remus non ricordava molto di quello che era accaduto, ma a volte sprazzi di memoria gli apparivano davanti agli occhi chiari.
Un'ombra enorme.. una finestra aperta.. un ringhio che pareva provenire dal sottosuolo.
Si era svegliato in salotto, con centinaia di bende che coprivano diversi punti del corpo ed un dolore lancinante al fianco. Suo padre e sua madre, inginocchiati davanti a lui, piangevano e continuavano a ripetergli che non era successo nulla, che era tutto finito, ma non sarebbe mai più stato lo stesso.
Inizialmente il bambino non aveva capito. Che cosa sarebbe cambiato?
Poi, una notte di luna piena, si era svegliato di soprassalto, ansimando e mantido di sudore. Convinto di star per vomitare l'anima, si era gettato contro la porta, per raggiungere la camera dei genitori, ma si era trovato chiuso dentro.
Respirando a fatica, si era reso conto che qualcosa stava cambiando in lui.
Le mani avevano iniziato a pulsare, le unghie a crescere, i capelli a ritirarsi dal cranio e i denti a scendere e ad affilarsi.
In poco più di cinque minuti, Remus Lupin era diventato un Lupo Mannaro.
Dopo quella notte, in cui la bestia aveva distrutto la camera di Remus, si erano trasferiti in un'altra città, in cui nessuno sapesse cos'era successo all'unico figlio di Lyall Lupin. Ma poi il problema si era ripresentato, e ancora, e di nuovo ancora.
Le persone avevano iniziato a sospettare del ragazzino e le voce avevano iniziato a circolare velocemente.

"Il figlio di Lupin ha qualcosa di losco"
"Non mi fido della famiglia di Lyall. Quel Remus non sembra un bambino normale"

Nuovamente cambio di città, cambio di amici ed il bambino aveva incominciato a non uscire più, a non voler vedere più nessuno, col timore di farsi scappare qualcosa di compromettente e di potersi affezionare troppo a qualcuno che -sicuramente- avrebbe dovuto abbandonare.
L'unica persona che riusciva a farlo star bene in ogni momento in cui il rimorso e la rabbia prendevano il sopravvento, era proprio sua madre.
Non lo aveva mai guardato, nemmeno una volta, con occhi spaventati o condiscendenti. Non gli aveva mai voltato le spalle, non era mai scoppiata a piangere davanti a lui e mai nemmeno una volta l'aveva amato di meno.
Quando Remus era con lei riusciva a sentirsi solo Remus, senza la bestia che aspettava l'occasione per prendere il sopravvento.
Al contrario, il suo rapporto col padre era drasticamente peggiorato, siccome l'uomo non riusciva più a guardare il figlio senza provare un immenso senso di colpa, proprio ciò di cui Remus non aveva bisogno.
Un giorno la madre si era ammalata di una stupida malattia babbana, ormai troppo avanzata per poter essere arrestata. Non aveva prestato attenzione alla sua salute per poter passare ogni singolo istante con il figlio e Remus ne pagava le conseguenze.. perché era colpa sua se la madre era morta.
Se solo non fosse stato un mostro, lei sarebbe stata ancora lì ad abbracciarlo.
Lei non c'era più e lui non sarebbe mai andato ad Hogwarts, troppo solo per poter vivere e troppo pericoloso per poter lasciar vivere.
Una sera d'estate dei suoi undici anni, qualcuno bussò alla loro porta.
Il padre si alzò stancamente dalla poltrona rossa, sulla quale era stata solita a riposare la defunta moglie.
Con la barba sfatta, la camicia spiegazzata e le occhiaie di troppe notti passate a pensare a qualcosa che non avrebbe più avuto, si mosse verso l'ingresso.
Ricordo di ciò che era avvenuto due anni prima, strinse la bacchetta nella tasca dei pantaloni, un gesto che ormai era diventato un'abitudine.
Quando aprì, la figura che gli si presentò davanti agli occhi non aveva nulla a che vedere con la parolanormalità e, di sicuro, era l'unica persona che non si sarebbe mai immaginata di trovarsi all'uscio.
Era un uomo sull'ottantina, con una lunga barba argentea che cadeva delicatamente sul petto, avvolto da una tunica blu come la notte. Gli occhi azzurro ghiaccio lo osservarono al di sopra di due lenti a mezzaluna e la bocca si distese in un sorriso cordiale.
"Buonasera, Lyall" salutò gentilmente.
"Professor Silente" rispose il mago, riconoscendo in quella figura colui che era stato il suo professore ad Hogwarts.
Il vecchio abbozzò una risata. "E' curioso come nessuno riesca a perdere il vizio di chiamarmi professore. Gli anni passano, ma le cose rimangono invariate".
Il signor Lupin credette di cogliere molto di più sotto quella frase apparentemente innocente. "Vuole accomodarsi?" domandò.
Il professore entrò nella casa, osservandosi intorno con grande curiosità.
"Mi dispiace per Hope" gli disse.
Anche la donna era stata sua studentessa, tempo addietro. Lyall si domandò chi non fosse stato un alunno di Albus Silente.
"Grazie" rispose, stringendo i denti, per evitare scomode situazioni. "A cosa devo la visita?".
Silente sorrise nuovamente. "In realtà, passavo per tuo figlio, Remus. È in casa?".
L'affermazione lasciò di stucco l'uomo, che per qualche istante si dimenticò della domanda appena portagli.
La testa bionda del figlio sbucò da dietro il divano, tutt'occhi per osservare, finalmente e forse per l'unica volta, il grande e famoso Albus Silente, preside di Hogwarts.
"Salve" salutò timidamente.
"Ciao, Remus. Forse ti starai chiedendo come mai io sia venuto fino a qui a quest'ora. Vorrei, prima di tutto, congratularmi per la tua forza. Non credo che molta gente riuscirebbe a sopportare il peso che grava sulle tue spalle".
Alle parole dell'uomo, gli occhi azzurri del bambino si spalancarono, spaventate. Se Silente conosceva il suo segreto, non avrebbe mai avuto l'opportunità di vivere una vita ai limiti del normale.
"A proposito di questo, vorrei spiegarti alcune cose che renderanno il tuo accesso ad Hogwarts molto più semplice" continuò il preside.
Entrare ad Hogwarts? Remus? Un Lupo Mannaro.
Per la prima volta dopo tempo, il volto di Remus si aprì in un sorriso.
Nonostante la sua ammissione, era sicuro che non sarebbe mai riuscito ad avere degli amici.
Non sapeva ancora quanto si sarebbe sbagliato.
<>

"Peter, hai preso la giacca?"
"Sì, mamma"
"Cappello?"
"Ce l'ho"
"Spazzolino da denti? Dentifricio? Asciugamano?"
"Mamma ti ho già detto che..."
"Ciabatte? Sapone?"
"Sì, mi hai..."
"Oddio e se dimenticassi qualcosa?!"
"Ma non preoccuparti che ci..."
"Potrei mandarti tutto via posta, nel caso. Cosa manca?"
"Non credo che..."
"Le merendine per il viaggio?"
"Ecco, forse è l'unica cosa che non..."
"...una coperta per il treno.."
"Ma non... una coperta?! Non devo andare al Polo Sud, mamma!"
"Non dire sciocchezze! Quando sono andata io ricordo che faceva sempre molto freddo!"
"Sì, due miliardi di anni fa, quando ancora si stava uscendo dall'era glaciale"
"Peter! Tua madre non è così vecchia!"
"Scusa nonna"
"Effettivamente sembra vecchia" continuò la donna anziana "ma se lei è nata così tanto tempo fa allora io devo risalire per forza al tempo dei dinosauri"
"Mamma!! Non mi sei d'aiuto. Sto cercando di finire il baule di tuo nipote".
"Bambina mia, l'hai già ricontrollato sei volte! Lascialo un po' in pace! Ha undici anni, per la barba di Merlino, non sei."
"Grazie nonna.."
"E va bene! Ma se arriverà ad Hogwarts senza qualcosa..."
"..glielo manderemo via gufo. Siediti e rilassati un secondo, Marylin. Tra un'ora bisogna accompagnarlo a King's Cross. Peter, vai a preparare un the per la tua vecchia nonna."
Ecco ciò che stava accadendo a casa Minus.
Il ragazzino sfrecciò verso la cucina, riconoscente alla nonna di avergli evitato un'altra ora di completa noia, in quanto sua madre stava lentamente uscendo di testa per la sua imminente partenza.
Da una parte, Peter non vedeva l'ora di salire sul treno che l'avrebbe condotto a scuola, riuscendo così a staccarsi da sua madre e sua nonna, che ultimamente erano diventate ancora più stressanti del solito. Non lo perdevano mai di vista, lo rimproveravano sempre e non c'era cosa che facesse che andasse bene.
Però sapeva che gli sarebbero mancati tutti. Non era un bambino molto loquace e anche lì a casa non aveva molti amici. Preferiva stare in camera sua a leggere fumetti babbani o fare passeggiate nel parco a qualche isolato dal suo condominio.
Era sicuro che sarebbe stato messo da parte, ancora una volta, come già successo in tutti quegli anni.
Chi avrebbe mai accettato un ragazzino cicciotto in un gruppo?
Non sapeva ancora quanto si sarebbe sbagliato




Spero che questo capitolo introduttivo vi sia piaciuto!
Grazie mille per aver dato un occhio! Mi augro che il prossimo capitolo possa destare la vostra curiosità!
Un bacio,

Lily


 
   
 
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