[Avviso ai naviganti: una volta terminata la
storia, rimetterò mano
alla timeline degli ultimi capitoli, perché così
non mi convince affatto. Per
ora non ho ancora modificato nulla, ma ho intenzione di diluire un
po’ nel
tempo gli ultimi avvenimenti: adesso come adesso, la morte di Karl, il
ritorno
a casa di Lidia, la morte di Tito e la storia della macchina voltante
sono
molto ravvicinate. Quando avrò sistemato le cose, il tutto
si svolgerà in
quattro o cinque giorni. Al momento, il capitolo è un
po’ ibrido: ho mantenuto
i riferimenti temporali attuali, ma le reazioni dei personaggi sono
già quelle
che sarebbero nella versione finale. Vi chiedo di fare un piccolo
sforzo di
immaginazione e di chiudere un occhio… o, se preferite, di
ignorare
completamente questo aspetto!]
Il
mondo attorno a lei vacillò e
si fece confuso, poi lo strattone deciso di Unna la riportò
rapidamente alla
realtà. Una parte della sua mente – quella che non
era concentrata sull’enorme
bestia nera davanti a loro – si stupì della forza
della stretta della giovane,
della violenza con cui le sue dita si chiusero attorno al suo polso
sottile,
dando vita a una fitta acuta che le corse su verso il gomito.
Senza
una parola e senza nemmeno
assicurarsi di avere l’attenzione di Lidia, ma tenendo gli
occhi chiari
spalancati sull’orso, Unna indietreggiò di un
passo, poi di un altro ancora.
Immersa com’era in una sorta di trance, la giovane romana
stentò a seguirla,
sentendo le gambe farsi di legno e i piedi pesanti come macigni.
«Muoviti.»
Unna pronunciò quella
parola senza quasi emettere alcun suono, eppure,
nell’improvviso silenzio della
notte spezzato solo dal battito del suo cuore e dal sibilo del suo
respiro,
alla fanciulla quell’ordine sembrò risuonare come
se fosse stato urlato.
La
cognata la strattonò ancora e
Lidia si riscosse, investita da un’ondata di adrenalina che
le rischiarò la
mente, affinandole la vista e rendendola estremamente consapevole di
tutto ciò
che la circondava. Forse non si è
accorto
di noi, comprese la fanciulla, notando che
l’animale pareva più interessato
ad alcune radici che non a loro. Forse
facciamo ancora in tempo a scappare.
Sfortunatamente,
in quell’istante
il vento cambiò direzione e una brezza quasi impercettibile
prese a spirare
dalle loro spalle, portando il loro odore all’orso.
L’animale sollevò il muso
dal terreno, inspirando rumorosamente. Nel momento in cui i suoi occhi
si
posarono sulle due donne, le orecchie della bestia si orientarono in
avanti e ed
essa si drizzò sulle zampe posteriori, arricciando le labbra.
«Piano»
sibilò Unna. «Muoviti
piano. Vieni indietro.»
Sebbene
la sua mente le stesse
urlando di girare sui tacchi e di mettersi a correre più
veloce che poteva,
Lidia, tremante, si costrinse a controllare la propria paura e a fare
quello
che Unna le stava ordinando. Affidandosi quasi completamente alla
cognata, la
fanciulla prese a retrocedere in punta di piedi, resistendo
all’istinto che le
chiedeva di appiattirsi a terra nella speranza di risultare meno
visibile.
Le
due giovani avevano appena
compiuto una decina di passi, quando l’orso si
lasciò ricadere pesantemente
sulle zampe anteriori e poi, come al rallentatore, prese ad avvicinarsi
a loro,
in un trotto lento che si trasformò in un galoppo in un paio
di falcate.
Lidia
registrò lontanamente il
grido che sfuggì dalla sua gola e il gemito strozzato di
Unna. Un istante più
tardi, la germanica ruotò su se stessa e, senza allentare la
presa attorno al
braccio della compagna, prese a correre, spingendo Lidia ad abbandonare
il
sentiero e lanciandosi poi a rotta di collo verso destra,
giù per il lieve
pendio che conduceva al fiume.
Intuendo
le sue intenzioni, la
ragazza puntò inconsciamente i piedi, opponendo una debole
resistenza. «Cosa stai
facendo?» chiese, con la voce strozzata
dall’affanno e dal terrore.
«Entra
nel fiume!» ansimò Unna,
trascinandosela dietro e rischiando di farla scivolare sul terreno reso
viscido
dal muschio e dal fango. Ancor prima di finire di pronunciare quelle
parole, la
donna raggiunse il corso d’acqua e vi balzò
dentro, sollevando una miriade di
spruzzi e obbligando la giovane romana a fare lo stesso. Quando i suoi
piedi
entrarono a contatto con l’acqua fredda –
terribilmente fredda, considerato che
si trovavano nel periodo più caldo dell’anno
– Lidia espirò con forza e il fiato
le sibilò tra i denti. Di nuovo, la fanciulla fu tentata di
fermarsi,
combattuta tra il desiderio di tornare all’asciutto e
l’assoluta necessità di
allontanarsi dalla bestia che si faceva sempre più vicina.
«Gli
orsi nuotano!» urlò,
afferrando a sua volta il braccio di Unna con la mano libera.
La
donna la tirò verso di sé,
senza voltarsi a guardarla. «Gli orsi neri no»
ribatté, immergendosi sempre più
nelle acque glaciali.
Quasi
a volerla contraddire,
l’animale, che aveva raggiunto le sponde del fiume,
posò le possenti zampe
anteriori nell’acqua scura, allungando l’enorme
collo verso di loro.
Non ce la faremo mai, pensò
Lidia, sentendosi curiosamente sospesa
tra il terrore e la rassegnazione. Si sarebbe forse fermata e avrebbe
atteso
che l’orso la raggiungesse, se Unna non l’avesse
costretta a procedere sino a
quando l’acqua le bagnò i fianchi. Ancora fermo
sulla riva, l’orso raspò il
fondo del fiume con le unghie acuminate, annusando rumorosamente. Poi,
con un
grugnito di disappunto, si voltò e, leggermente barcollante,
rientrò nella
foresta – se perché effettivamente non sapesse
nuotare, come aveva detto Unna,
o perché non le ritenesse tanto interessanti da giustificare
un tuffo fuori
programma, Lidia non avrebbe saputo dirlo.
Ma chi se ne importa, quello che conta è
che se ne sia andato! Pensò
la fanciulla, travolta da un’ondata di sollievo che le fece
sembrare meno
fredda anche l’acqua del fiume.
Una
manciata di secondi più
tardi, però, un’altra ondata – questa
volta d’acqua – investì in pieno Unna e,
complice il fondo scivoloso, le fece perdere la presa sui ciottoli
lisci e
ricoperti di melma. Lidia registrò appena la sua
esclamazione di sorpresa e
poi, senza nemmeno prendere la decisione cosciente di muoversi, si
lanciò verso
di lei, afferrandola per un braccio nel tentativo di trattenerla. Il
movimento
la fece sbilanciare e, prima che potesse fare qualsiasi cosa per
evitarlo, la
ragazza si trovò un istante più tardi
completamente immersa nell’acqua nera.
Per
un attimo il suo mondo
divenne buio e liquido, poi il gelo la colpì violentemente
alle costole e Lidia
scalciò e annaspò, cercando invano di rimettersi
in piedi. Unna, che cercava
altrettanto inutilmente di fare lo stesso, la centrò
inavvertitamente con un
calcio in pieno stomaco e le due giovani si ritrovarono ad allontanarsi
sempre
di più dal punto nel quale erano entrate nel fiume, sospinte
da una corrente
che non era particolarmente impetuosa, ma che era comunque
più che sufficiente per
trasportale con sé.
Sbattuta
di qua e di là
dall’andamento irregolare del fiume, accecata dalla paura e
dalla notte, Lidia
fu sul punto di perdere l’orientamento e di lasciarsi
sommergere dall’acqua,
quando la voce di Unna, roca e un po’ strozzata, ma
perfettamente udibile,
raggiunse le sue orecchie. «A destra!» le
ordinò la germanica.
Improvvisamente
la fanciulla si
ricordò di essere capace di nuotare e, combattendo contro il
gelo che cercava
di paralizzarle braccia e gambe, fece un paio di bracciate nella
direzione
indicatale dalla cognata. «Si tocca»
ansimò di nuovo Unna. Allungando i piedi
sotto di sé, Lidia si accorse che era vero. Calciando con
forza contro
qualsiasi cosa solida le capitasse a tiro e aiutandosi con le braccia,
la
giovane riuscì ad avvicinarsi di nuovo alla sponda. Poco
dopo, quando il fiume
si allargò in una pozza più profonda, ma
d’acqua quieta, le due ragazze
riuscirono a tornare di nuovo a riva.
Con
un gemito esausto, Lidia si
lasciò cadere sull’erba morbida, stringendo i
denti contro la fitta di dolore
che le trapassò il fianco quando venne in contatto con il
terreno. Devo averlo sbattuto contro un
qualche
sasso…
Non
appena ebbe ripreso fiato, la
giovane si tirò a sedere e si voltò verso la
cognata, distesa sulla schiena
accanto a lei. Unna teneva gli occhi chiusi e le braccia sulla pancia e
Lidia
provò un brivido di preoccupazione. «Va tutto
bene?»
La
donna annuì. «Sì, ma ho bevuto
mezzo fiume» si lamentò, con una smorfia.
«Io
ho freddo» disse Lidia,
all’improvviso, rendendosi conto di tremare.
«Anch’io»
mormorò Unna. «Se
restiamo così ci prenderemo qualcosa. Dobbiamo
cambiarci.»
La
giovane romana la guardò,
sentendosi completamente impotente. «Sì, ma ci
metteremo un secolo a tornare al
villaggio.»
Unna
tossì e si strizzò la treccia
fradicia. «Non dobbiamo tornare al villaggio: se non altro,
siamo andate nella
direzione giusta. Non manca molto al posto indicato dalla tua
mappa.»
Sentendo
nominare la mappa, Lidia
si illuminò e le sue mani volarono alla tasca della tuta,
cercando la
tavoletta. Quando l’ebbe tra le mani, però, non
riuscì a trattenere un gemito
di disappunto. «Mi sa che si è rotta»
mormorò, mostrandola a Unna e indicando
la superficie nera e priva di luci. Lei rivolse alla tavoletta solo
un'occhiata
distratta, poi scrollò le spalle, passandosi le dita tra i
capelli pallidi. «Poco
male» decretò. «Ho capito dove siamo.
Poco distante ci dovrebbe essere anche
una strada: non ci metteremo molto ad arrivare alla capanna del
guaritore.»
La
giovane romana si strinse
brevemente al petto la mappa ormai inutilizzabile, rendendosi conto
solo in quell'istante
di quanto si fosse inconsciamente affidata a quell’oggetto di
cui non capiva
bene nemmeno il funzionamento. Dopo qualche istante sospirò
e annuì, riponendo
la tavoletta in una delle tasche della tuta scura: anche se sembrava
che
l'acqua del fiume l'avesse messa fuori uso, Lidia sospettava che non
fosse
comunque il caso di abbandonarla nel bosco, lì dove chiunque
avrebbe potuto
trovarla. «Va bene, allora andiamo»
mormorò, rivolta a Unna.
Zoppicando
leggermente, le due
giovani ripresero ad attraversare il sottobosco, che in quel punto
della
foresta era piuttosto fitto. Fradicia e stanca, la fanciulla
annaspò tra le
erbacce e le felci, improvvisamente grata alla tuta che le fasciava le
gambe,
proteggendole dal tocco pungente delle ortiche. Ho
i piedi gelati, constatò la ragazza, con una
smorfia di
sconforto.
Proprio
quando la stanchezza e lo
scoramento stavano per avere la meglio, il buio della foresta parve
diradarsi e
Unna si fermò per un istante, scostandosi i capelli dagli
occhi e
massaggiandosi leggermente la schiena. «Oh, perfetto.
Lì c'è la strada.»
Lidia
rivolse un ringraziamento
silenzioso agli Dèi e precedette la cognata, superando gli
ultimi arbusti e
guadagnando la superficie polverosa del tracciato carrabile.
«Da che parte?»
chiese, poi, rivolta alla giovane germanica.
Con
un cenno del capo, Unna
indicò un punto alla loro destra. «È
laggiù, guarda.»
Poche
centinaia di metri più
avanti, ai margini degli alberi scuri, si ergeva un edificio di medie
dimensioni. La luce che brillava alle finestre era un chiaro indicatore
del
fatto che la casa fosse effettivamente abitata. Improvvisamente, Lidia
senti il
cuore balzarle in gola, stretto tra emozioni contrastanti. Ulf era
lì. Certo, lì
c'erano anche Alexander e il guaritore di cui non ricordava il nome e,
forse,
persino il Capitano di cui le aveva parlato Donna Erin. In
quell'istante, però,
l’unica cosa che le sembrava importante era che, nel giro di
pochi minuti, si
sarebbe trovata davanti a suo marito.
Lidia
strinse inconsciamente i
pugni, cercando di soffocare il tremore che le aveva improvvisamente
scosso le mani.
Non vedeva l'ora di riabbracciarlo, di respirare il suo profumo e di
convincersi che il peggio era passato: era sufficiente il pensiero,
perché il
sollievo la travolgesse e disperdesse la tensione che le contraeva le
spalle. Tuttavia,
a smorzare il suo entusiasmo c'era l'incognita di come avrebbe reagito
lui.
Unna le aveva detto che era stato in pensiero per lei, che l'aveva
cercata
ovunque. Sfortunatamente, quel fatto non garantiva però che
l'avrebbe accolta a
braccia aperte. Non è mica detto
che mi
abbia perdonata per quello che è successo a Karl. Anzi, con
ogni probabilità
non l’ha fatto!
Prima
che potesse perdersi oltre
in quei pensieri, però, Unna la colpi con una spalla.
«Beh? Che fai? Ti sei
addormentata in piedi o cosa?»
Davanti
al tono brusco della
cognata, Lidia si riscosse. «No...vengo, vengo. Sono solo un
po' in ansia al
pensiero di rivedere tuo fratello» ammise, arrossendo nel
buio della notte.
Unna
emise un suono che avrebbe
potuto dire tutto e niente. «Perché? Hai per caso
la coscienza sporca?»
La
giovane romana aggrottò la
fronte. «Non esattamente» mormorò, dopo
qualche istante di esitazione. «Ma ho combinato
un bel po' di pasticci, in questo periodo, e non so se...»
Lidia lasciò sfumare
la frase, incerta su come proseguire.
Per
tutta risposta, Unna sbuffò
rumorosamente. «Questo è indubbio. Però
ne parlerei al caldo, una volta che ci siamo
messe dei vestiti asciutti e magari anche qualcosa nello stomaco. Vedi
di non
dimenticarti che Hermann è a casa di mio padre, e che ha
bisogno di cure
urgenti: è soprattutto per lui che siamo qui.»
La
fanciulla annuì con forza. «Non
me ne dimentico» le assicurò. Facendo un respiro
profondo, Lidia si avviò verso
le luci che brillavano davanti a loro. Unna
ha ragione. Per parlare di quello che è successo ci
sarà sicuramente tempo: ora
come ora, la cosa più importante è curare
Hermann. E magari anche cercare di
capire che cosa ci aspetterà nei prossimi tempi.
Quando
giunse di fronte alla
porta chiusa, Lidia ebbe un istante di esitazione: curiosamente, anche
se aveva
fatto tutto ciò che era in suo potere per tornare con il
marito, non si era mai
preoccupata di come, in termini pratici, sarebbe avvenuto il loro
incontro. Che cosa dovrei fare? Corrergli
subito
incontro oppure sarebbe forse meglio dargli qualche spiegazione, prima?
O forse
dovrei pretenderle io, le scuse e le spiegazioni?
Notando
la sua indecisione, Unna
la sorpassò e bussò decisa contro il pannello di
legno, battendo leggermente i
denti a causa del freddo. Anche se le luci erano accese, la casa
sembrava
silenziosa e per un lunghissimo minuto nessuno si presentò
ad aprire. Quando
già Lidia iniziava ad avvertire un lieve tremore dovuto al
nervosismo che faticava
a tenere a bada, l’uscio si schiuse, rivelando alla vista un
uomo sulla
sessantina, basso e minuto, ma dotato di due penetranti occhi chiari
nei quali
brillava un’intelligenza sottile.
«Unna,
figlia di Gefrid» le
accolse il padrone di casa, incontrando per un istante gli occhi di
Unna. Poi,
la sua attenzione si accentrò sulla giovane romana ferma
accanto alla
germanica. «E tu devi essere Lidia, suppongo.»
La
fanciulla fece un vago cenno
d’assenso, a disagio davanti allo sguardo attento del
guaritore. Unna, invece,
chinò appena il capo in un gesto che a Lidia parve quasi
deferente. «Albert» lo
salutò. «Abbiamo saputo che mio fratello
è tuo ospite.»
Sul
volto del germanico si
disegnò un sorriso che lo rese simile a una volpe.
«Oh, posso ben immaginare
come siate venute a conoscenza di questo fatto.»
Quando
gli occhi dell’uomo
indugiarono su di lei, Lidia arrossì e istintivamente le sue
dita si strinsero
sulla tavoletta rovinata, nascosta nella tasca della tuta inzuppata
d’acqua.
«Anche Alexander è qui?» chiese, pur
conoscendo già la risposta. Che
domanda idiota, la rimbeccò il suo
inconscio. È ovvio che sia qui.
Ciononostante, la ragazza sollevò appena lo sguardo per
giudicare la reazione
del guaritore. Fuggevolmente, Lidia riconobbe che non aveva idea di
quanto
liberamente potesse parlare davanti a quell’uomo: era a
conoscenza di tutto o
era forse meglio tenergli celati alcuni dettagli?
Il
volto del germanico non tradì
però nessuna emozione. «Sì»
replicò sinteticamente Albert, prima di esaminare
rapidamente con gli occhi le due giovani che gli stavano davanti.
«Tra poco
potrete incontrare entrambi. Prima, però, sarà il
caso che indossiate dei
vestiti asciutti.»
Ricordandosi
solo in quel momento
di essere infreddolita e fradicia a causa dell’imprevisto
bagno nel fiume,
Lidia rivolse all’uomo un piccolo sorriso grato. Senza
aggiungere altro, Albert
si fece da parte e fece un cenno alle due ragazze, invitandole a
entrare. Con
un gesto che alla giovane romana parve d’impazienza, Unna le
sfilò accanto e,
passandosi un paio di volte le mani sulle braccia coperte dalla camicia
resa
trasparente dall’acqua, superò la soglia. Lidia la
seguì a ruota e, quando la
porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle, fece del proprio
meglio per
conservare un contegno dignitoso ed educato, evitando di lanciare
tutt’attorno
a sé occhiate furtive, come un’ospite troppo
curiosa o come una ladra in cerca
di un qualche oggetto di valore da sottrarre. Ma
è così difficile! Si lamentò
in silenzio, sentendo quasi il
bisogno fisico di allungare il
collo
per guardarsi attorno.
Suo
marito era lì, da qualche
parte, e Lidia si aspettava di vederlo comparire da un momento
all’altro. E non importa che cosa
mi dirà o come mi
accoglierà, decise d’un tratto. Adesso
l’unica cosa che conta è riabbracciarlo.
Ignaro
– o forse noncurante –
dell’impazienza della ragazza, Albert indicò con
la mano una porta socchiusa
alle sue spalle. Spiando oltre a essa, Lidia scorse un’altra
stanza e una scala
che conduceva al piano superiore. «Ho una sola stanza
libera» le informò l’uomo.
«Spero che non vi spiaccia dividerla per la notte.»
Unna
e Lidia si scambiarono
un’occhiata rapida, poi, in silenzio, scossero il capo.
«Seguitemi»
annuì allora il
guaritore. «Vi farò poi portare degli abiti puliti
e una minestra calda.
Sembrate averne bisogno.»
Lidia
fece per ringraziarlo, ma
le parole le morirono in gola. Con un cigolio quieto, la porta che
Albert aveva
indicato pochi istanti prima si aprì del tutto e Alexander
– ancora pallido, ma
tutto intero – fece capolino. Per qualche istante, la
fanciulla rimase con il
fiato sospeso, poi una fitta di delusione le trapassò lo
stomaco. È solo? Si
chiese, con il cuore che le
martellava nel petto.
Non
appena si fu ripreso dal suo
stupore, l’uomo le rivolse un gran sorriso. «Ma
allora ce l’hai fatta ad
arrivare!» esclamò, muovendo un paio di passi
rapidi verso di lei e allungando
le braccia come se intendesse abbracciarla. Prima che Lidia potesse
decidere
come reagire, però, Alexander si bloccò di colpo
e si voltò a guardare un punto
alla destra di Lidia. Seguendo il suo sguardo, la ragazza
sentì lo stomaco
contrarsi in maniera decisamente sgradevole. Oh.
Unna.
L’espressione
della giovane germanica
era indecifrabile: un misto – o così parve a Lidia
– di imbarazzo, irritazione
e disprezzo. Alexander corrugò la fronte e, con due dita, si
sfiorò appena la
ferita che lei gli aveva inferto. «Ah. Ci sei anche
tu?»
Unna
parve sul punto di replicare,
ma, sebbene le sue labbra si arricciassero in una smorfia simile a un
ringhio,
dalla sua gola non si levò alcun suono. Senza nemmeno
prenderne consapevolmente
la decisione, Lidia si ritrovò a intervenire.
«Sì, mi ha accompagnata fino a
qui» spiegò, frapponendosi tra la cognata e
l’uomo dai capelli rossi. «Non so
cosa sai, esattamente, però abbiamo bisogno di parlare
perché…»
«Cosa
accidenti avete fatto ai
vestiti?» la interruppe lui, come se si fosse reso conto solo
in quell’istante
dello stato dei loro abiti.
«Siamo
dovute entrare nel fiume
per sfuggire a un orso e…»
«Un
orso?»
A
Lidia parve di muoversi al
rallentatore. Ruotando su se stessa con quella che le sembrò
una lentezza
infinita, la ragazza si ritrovò a sostenere lo sguardo
azzurro di Ulf. «Sì… un
orso» sentì la sua voce replicare, in un tono
sorprendentemente fermo. Quando è
arrivato? Si interrogò,
spiazzata, mentre i suoi pensieri inciampavano per un istante
l’uno sull’altro.
Da dove è arrivato? Un
angolo della
bocca dell’uomo si sollevò in maniera quasi
impercettibile e, con la testa
curiosamente leggera, Lidia si ritrovò a sorridere
timidamente. «Era un orso
vero, questa volta» aggiunse, quasi sottovoce.
«Mai
visto un orso in quasi
trent’anni di vita e ne incontro uno l’unica volta
che metto piede nel bosco in
compagnia di questo impiastro. Dev’essere sicuramente un
segno di qualche
tipo…»
La
voce sarcastica di Unna, che
si era evidentemente ripresa dal suo improvviso mutismo,
spezzò il legame che,
per un attimo, si era formato tra Ulf e Lidia e l’uomo si
voltò di scatto verso
la sorella. «Cosa ci fai qui, tu?» le chiese, con
una punta di rimprovero nella
voce. «Perché non sei rimasta da Katti?»
«Perché
mi ero rotta le scatole
di starmene con le mani in mano» replicò
altrettanto seccamente Unna. «Hermann
non sta bene» aggiunse, poi, in tono più morbido e
preoccupato.
Ulf
si incupì ulteriormente. «Lo
so» mormorò, rivolgendo un cenno in direzione di
Alexander. «Mi ha spiegato
come stanno le cose… più o meno.»
Alla
menzione di Hermann, Lidia
si morse nervosamente le labbra, mentre l’apprensione tornava
a stringerle lo
stomaco. «Ne hai parlato con Donna Erin?» chiese,
rivolta ad Alexander.
L’uomo
annuì. «Sì, anche se devo
ammettere che non mi è molto chiara la dinamica dei fatti.
Erin mi ha detto
solo che tu e il ragazzo eravate a bordo della Northern
Star e che avevate trovato qualcosa
che non avreste dovuto toccare a casa di Kay…»
Albert,
che fino a quel momento
era rimasto leggermente in disparte, come per lasciare agli ospiti la
possibilità di confrontarsi senza troppe interferenze, fece
un passo in avanti
e si frappose tra i giovani. «Un momento» disse,
facendo saettare su di loro
gli occhi chiari. «Questa ha tutta l’aria di essere
una conversazione
complicata e, soprattutto, lunga: voi due la affronterete con addosso
dei
vestiti asciutti; e magari dopo esservi riposate e
rifocillate.»
Sentendosi
chiamate in causa,
Lidia e Unna si scambiarono un’occhiata veloce, poi le labbra
della germanica
si piegarono in un’espressione dura. «Vada per i
vestiti asciutti e per una
minestra calda, se possibile, ma il riposo dovrà aspettare.
Hermann è più
importante.» Davanti allo sguardo dubbioso del guaritore, la
donna rincarò la
dose: «E la minestra la mangeremo mentre faremo il
punto della situazione con
mio fratello e con… lui.»
Sul
volto di Alexander passò
un’espressione scettica, ma l’uomo evitò
di commentare. Albert, invece, sollevò
le spalle, decidendo di adeguarsi alla volontà della
giovane. «Come preferite»
acconsentì. «Se volete seguirmi di sopra, vi
mostrerò la vostra stanza. Poi
chiederò alla mia domestica di farvi avere degli abiti
puliti. Voi, invece,
potete aspettarle nella stanza accanto: lasciate loro almeno il tempo
di
cambiarsi in santa pace.»
L’ultima
richiesta – che suonava
piuttosto come un comando – era stata rivolta a Ulf e ad
Alexander. Prima di
lasciare la stanza e di seguire il padrone di casa, Lidia
incontrò lo sguardo
del marito. Lui le rivolse di nuovo un piccolo sorriso e la fanciulla
sentì una
sensazione di calore invaderle il petto.
Aspettami qui, pensò. Mi
tolgo questa
maledetta tuta e poi torno subito da te.
Rendendosi
conto di essere
rimasta ferma sul posto un po’ troppo a lungo, Lidia si
affrettò a raggiungere
Unna e Albert, che avevano ormai guadagnato le scale e si stavano
incamminando
verso le camere che, evidentemente, si trovavano al piano superiore. Non si sarà mica accorta che sono
rimasta lì
imbambolata a guardare suo fratello, vero? Si chiese, temendo
che la
cognata avesse assistito al suo attimo di smarrimento e fosse pronta a
servirle
una delle sue solite battute taglienti. Tuttavia, la giovane bionda
teneva il
capo chino, un’espressione pensierosa sul volto dai
lineamenti sottili.
«Eccoci
qui» annunciò Albert,
fermandosi davanti alla porta più vicina alle scale.
«Non è grande, ma in due
ci potrete dormire comodamente.»
In effetti… considerò
la giovane romana, esaminando con un’occhiata
veloce la microscopica stanzetta che si apriva davanti ai suoi occhi.
Un
pavimento scuro, un lavandino, due brandine posizionate talmente vicine
tra
loro che avrebbero tranquillamente potuto essere sostituite da un unico
letto
matrimoniale e due minuscoli comodini sui quali si sarebbe potuto
riporre a
malapena un libro. Nemmeno l’ombra
di un
armadio in cui appendere i vestiti.
Non
appena il guaritore se ne fu
andato chiudendosi la porta alle spalle, la ragazza si
lasciò cadere sul letto
e alzò lo sguardo su Unna. Si sentiva un po’ a
disagio davanti all’immobilismo
e al silenzio della germanica, ferma in piedi a pochi passi da lei.
«C’è
qualcosa che non va?» chiese, perplessa
dall’atteggiamento della cognata.
Improvvisamente,
quella alzò il
capo e incontrò i suoi occhi. «Tu vuoi dormire con
Ulf?»
Lidia
avvampò. «Ah. Ehm, i-io…»
accorgendosi del proprio balbettio, la fanciulla inspirò a
fondo. «Perché?»
chiese, con voce più controllata.
Lentamente,
Unna sollevò le
spalle. «Be’, mi parrebbe anche normale, visto che
è tuo marito e che,
sorprendentemente, voi due sembrate andare anche abbastanza
d’accordo.»
«Mi
piacerebbe» ammise allora
Lidia, senza riuscire a evitare che sul viso le comparisse
l’ombra di un sorriso.
«Però prima ci sono diverse cose di cui dovremmo
parlare, e poi il guaritore ha
detto che questa è l’unica stanza
disponibile… cioè, immagino che, volendo, tu
e Ulf potreste scambiarvi la camera? È questo, che mi stai
proponendo?
Sul
volto della giovane bionda
comparve una lievissima sfumatura rosata. «Non so se Ulf ha
una stanza
singola.»
La
ragazza bruna aggrottò la
fronte, senza capire. «Eh?»
«Non
vorrei ritrovarmi a dormire
con quel tizio!» sbottò Unna, mentre il suo
rossore si faceva più pronunciato.
Lidia
sgranò gli occhi, sorpresa
che un’ipotesi del genere potesse anche solo essere passata
per la mente della
cognata. «Ma, Unna, è ovvio
che non
dovrai dividere la camera con lui!» esclamò, senza
riuscire a trattenere una
risata incredula. «Voglio dire, stiamo anche parlando della
stessa persona che
hai appena…» La sua voce sfumò e il
sorriso le svanì dalle labbra. Stiamo
parlando della stessa persona che hai
appena accoltellato, stava per dire. Verosimilmente,
nel tentativo di ammazzare Tito, aggiunse, poi, osservando la
cognata con
la coda dell’occhio.
Unna
la fissò di rimando, gli
occhi azzurri attenti e penetranti.
«Cioè», riprese Lidia, schiarendosi la
voce, «quello è assolutamente scontato. Comunque
non devo per forza dormire con
Ulf: se la cosa ti fa sentire più sicura, possiamo lasciare
le cose così come
stanno… tanto ci passeremo al massimo un paio di notti, qui,
no?» Mentre
parlava, le era venuto istintivo posare una mano sul braccio della
cognata.
Stupita dal suo stesso gesto, Lidia si irrigidì per un
istante, ma non distolse
la mano.
Fu
la giovane bionda ad
allontanarla, scrollando debolmente le spalle. Quando parlò,
però, la sua voce
suonò stranamente morbida. «Poi vediamo»
mormorò, rivolgendo alla ragazza
l’accenno di un sorriso.
Un
bussare leggero alla porta le
interruppe e, pochi attimi più tardi, una donna di mezza
età comparve
sull’uscio tenendo tra le braccia alcuni abiti ripiegati con
cura. «Ve li
lascio sul letto» annunciò la domestica, parlando
un latino sorprendentemente
privo di inflessioni per una donna del popolo. «Se
c’è qualcosa che non va,
fatemelo sapere: potete trovarmi in cucina.»
Lidia
la ringraziò e subito
allungò una mano verso una gonna di morbida lana blu. Il suo
animo fu percorso
da un brivido di piacere al pensiero dell’imminente contatto
tra il tessuto
caldo e le sue gambe intirizzite. «Io mi cambio subito,
eh!» annunciò a Unna,
prendendo subito ad armeggiare con la chiusura della tuta scura.
Brevemente, la
sua mente tornò a quando la cognata l’aveva
costretta a spogliarsi durante in
occasione della sua prima notte di nozze e la fanciulla
deglutì, cercando di
allontanare il retrogusto amaro che improvvisamente le aveva invaso la
bocca.
Non è il momento di pensare a queste cose,
si disse, sfilandosi il
tessuto fradicio dalle spalle. Non so
perché si sia comportata in quel modo, né
perché mi odiasse tanto, ma adesso le
cose sono cambiate. Anche se non lo ammetterebbe mai, non è
più così ostile
verso di me. Non era forse un gran che, come punto di
partenza su cui costruire
un’amicizia, ma Lidia sentiva che era comunque qualcosa da
non sottovalutare. Anche perché
non è che io abbia conosciuto
poi tante altre persone che potrebbero diventare mie amiche, a dire il
vero…
non sono stata molto brava, con le relazioni sociali.
Immersa
in quei pensieri, la
ragazza si infilò una camicia di lino chiara e un corpetto
di lana cotta,
marrone e decorato con motivi floreali. Vestita
così sembro proprio una germanica, riconobbe, con
una punta di stupore.
Avrebbe forse dovuto raccogliere i capelli nelle trecce che piacevano
tanto a
Unna?
Senza
che lei se ne accorgesse,
anche la germanica si era cambiata d’abito e ora stava
esaminando con aria critica
la gonna verde che le arrivava a metà polpaccio. «È troppo stretta»,
decretò. «e anche troppo
corta. Io vado a farmene dare un’altra.»
Tornando
a sedersi sul letto, Lidia
annuì. «Va bene» disse, prima di esitare
in preda all’incertezza. «Ti… ti
aspetto qui?»
«Faccio
in fretta» la rassicurò
la donna. «Due minuti e sono di ritorno.»
Con
quelle parole, la giovane
marciò verso la porta, ma quella si aprì prima
ancora che lei raggiungesse la
maniglia. «Eh!» esclamò Unna, scattando
all’indietro. «Per poco non mi prendi
in faccia!» Per un istante, Ulf abbassò lo sguardo
sulla sorella, ma poi la sua
attenzione si appuntò su Lidia. «Albert non ti
aveva mica detto di aspettare di
sotto?» Lo interrogò di nuovo Unna, posandosi le
mani sui fianchi.
L’uomo
storse la bocca, come se
l’osservazione fosse di poco conto. «Be’,
sì, però…» Il giovane
lasciò sfumare
la frase, tornando a guardare la moglie.
La
giovane bionda scosse il capo.
«Va be’, ho capito. Io vado a cercare dei vestiti
che mi vadano bene. Facciamo
che torno tra dieci minuti e non
tra
due, d’accordo?»
Lidia
le rivolse solo un vago
cenno d’assenso, tutti i sensi concentrati sulla figura del
marito. Ulf… pensò,
mentre il suo stomaco
eseguiva una capriola. Per una frazione di secondo, la ragazza rimase
come
inchiodata sul copriletto, poi le sue gambe si mossero senza la sua
autorizzazione.
Lentamente, provando la sensazione di trovarsi immersa in
un’atmosfera
stranamente vischiosa, la fanciulla si avvicinò
all’uomo, la mente libera da
ogni pensiero che non fosse quello di raggiungerlo. Poi, quando si
trovò a
pochi passi da lui, scattò in avanti. Le sue braccia si
strinsero attorno alla
vita di lui e la sua testa ritrovò la posizione sul suo
petto – appena sotto la
clavicola – che fino a poco tempo prima le era stata tanto
famigliare.
Non mandarmi via, pensò,
stringendolo forte. Con gli occhi chiusi,
Lidia si prese qualche istante per assorbire il suo calore e respirare
il suo
profumo. Una frazione di secondo più tardi, le mani
dell’uomo le percorsero
brevemente la schiena prima di attirarla a sé e la giovane
si sentì travolgere
dal sollievo. Solo in quel momento si accorse di quanto avesse temuto
che Ulf
la allontanasse, così come aveva fatto in occasione del loro
ultimo incontro. Quando
il suo volto le sfiorò i capelli, Lidia si staccò
leggermente da lui e lasciò
che le sue mani corressero verso l’alto, scivolando attorno
alle spalle del
marito.
Ulf
serrò la presa sui suoi
fianchi e spostò la testa quel tanto che bastava per
guardarla in volto.
«Lidia?» mormorò.
Alle
orecchie della fanciulla, il
suo nome suonò come una domanda e le sue dita furono
percorse da un tremito.
Non sapeva che cosa le stesse chiedendo, ma sapeva di per certo che
dovevano
parlare. Era di fondamentale importanza: non potevano più
andare avanti come
avevano fatto fino a quel momento, cercando di schivare gli ostacoli e
sperando
di non incontrarne mai uno troppo grosso da evitare e contro cui non
avrebbero
potuto fare altro che andarsi a schiantare.
Ma dobbiamo farlo proprio adesso? Si
chiese la giovane, mentre
tutto il suo essere si ribellava a quella prospettiva. È
importante, ma non potresti almeno darmi un bacio? Mi sembra passato
così tanto tempo, dall’ultima volta…
L’uomo
le posò una mano sulla
guancia e con una carezza salì fino a sfiorarle con le dita
i capelli ancora
umidi. Senza distogliere lo sguardo dal suo viso, Ulf sorrise.
«Stai bene?» le
chiese. Una domanda semplice, ma che le scaldò il cuore.
Chinando
appena il capo di lato,
Lidia non si trattenne e gli posò un bacio sul dorso della
mano. «Sì» mormorò.
«È stato più lo spavento che
altro.»
Il
giovane annuì lentamente, poi
le sue dita si spostarono verso la nuca della ragazza e affondarono nei
suoi
capelli morbidi. Senza una parola, si chinò su di lei e la
fanciulla trattenne
il fiato, mentre il cuore le martellava nel petto. Nel momento in cui
le loro labbra
si incontrarono, Lidia ebbe come la sensazione di essere a casa, di
essere
tornata in un luogo famigliare, sicuro, un luogo in cui la luce calda
del sole
disperdeva il buio e l’umidità di una notte di
pioggia. Quasi inconsciamente,
la fanciulla si strinse di più al marito e Ulf, sorpreso dal
suo entusiasmo,
inspirò bruscamente. Quando però Lidia socchiuse
le labbra, colse
immediatamente l’invito della ragazza e approfondì
il bacio, scivolando nella
sua bocca.
Lidia
rabbrividì, pensando che
tutto quello che contava in quel momento era lì, a portata
di mano: era così
che doveva essere e lei era stata davvero stupida a credere che potesse
essere
altrimenti. Ti amo,
pensò, e fu anche
tentata di dirglielo, ma non si sentiva ancora così
coraggiosa. Si disse allora
che quello non era il tempo, né il luogo adatto per tali
confessioni. Ma questo non lo rende meno vero,
riconobbe, ammettendo che era ormai giunto il tempo di essere sincera
almeno
con se stessa.
Dopo
un tempo che a Lidia parve
troppo breve, Ulf si allontanò da lei e le posò
un bacio sulla fronte, prima di
fare un piccolo passo indietro. «Dovremmo parlare»
sospirò, quasi controvoglia.
«Magari non subito, ma credo che sia
meglio…»
Quando
il giovane lasciò sfumare
la frase, la ragazza provò una sgradevole fitta allo stomaco
e le sue labbra si
piegarono in una smorfia. «Lo so» ammise, annuendo.
Automaticamente, le sue
mani cercarono quelle del marito e Ulf le strinse, ma rimase in
silenzio,
lasciando che fosse la fanciulla a fare il primo passo.
«Mi
dispiace per come mi sono
comportata» mormorò ancora Lidia. «Avrei
dovuto dirti subito di Tito. Forse
avremmo evitato tanti guai, se l’avessi fatto.» Ora
che aveva pronunciato
quelle parole, il segreto che l’aveva tormentata per tanto
tempo le pareva
terribilmente stupido.
«È per questo
che te ne sei andato in quel modo, quando siamo tornati
dall’incontro con Donna
Erin e con Fratello Kay?»
Ulf
annuì. «Sì. Avevo… credevo
di
avere intuito chi fosse quel ragazzo e la cosa mi ha fatto
sentire… be’, quasi tradito.»
Dopo una breve pausa, il
giovane abbassò gli occhi al suolo. «Questo non
toglie però che non avrei
dovuto reagire in quel modo. E, soprattutto, non avrei dovuto lasciarti
da sola
a casa, questa mattina: avrebbe potuto succederti di tutto.»
Lidia
storse la bocca.
«Probabilmente non mi sarebbe successo niente – non
ci sarebbe successo niente
– se fossimo rimasti tutti a casa. E
invece adesso Tito è morto e Hermann sta
male…»
«Mio
fratello starà meglio» la
rassicurò Ulf, lasciandole le mani e tornando a cingerle le
spalle, attirandola
a sé. «E mi dispiace per il tuo… amico.»
«Era
davvero solamente un mio
amico» sussurrò lei, affondando il viso contro il
petto del compagno. «Era così
stupido… e anche coraggioso. Che idiota. Gli volevo
bene.» Le parole le sfuggirono
di bocca senza controllo, mentre il dolore per la perdita di Tito
tornava a
sollevare la testa e gli occhi le bruciavano a causa delle lacrime che
li
avevano improvvisamente riempiti.
Ulf
la strinse più forte e le
posò un bacio sui capelli. Puntando le mani sulle sue
spalle, Lidia cercò i
suoi occhi, senza preoccuparsi del proprio viso arrossato.
«Ho cercato di
fermarlo» sussurrò. «Ho cercato di
mettermi tra lui e Karl, ma non ce l’ho
fatta. Non so a cosa pensasse, quando… nemmeno Alexander ha
potuto fare
niente.»
Il
giovane strinse i denti per
una frazione di secondo, un movimento nervoso che fece capire a Lidia
quanto
ancora gli facesse male la morte dell’amico.
«Alexander mi ha già raccontato
cos’è successo. Nemmeno Karl aveva un carattere
facile… e, tra l’altro, resta
da capire perché ti avesse seguita.»
Lidia
aggrottò la fronte,
perplessa. «Voleva riportarmi a casa, da te. E, in effetti,
è proprio quello
che stava facendo.»
«Sì,
ma come faceva a sapere che
tu e quei soldati eravate stati attaccati? Chi gliel’ha
detto?»
La
ragazza si mordicchiò le
labbra, cercando di ricordare che cosa le avesse detto Karl, quando
l’aveva
portata via dalla cascina abbandonata. Le parole del cognato erano
però solo un
ricordo lontano e Lidia si rese conto di non aver mai veramente
scoperto cosa
facesse Karl, quando non lavorava in miniera. Sicuramente
non aveva simpatia per Roma; e credo anche che avesse
qualcosa a che fare con i ribelli…
Di
certo, però, la consapevolezza
delle azioni poco limpide del giovane non rendeva la sua morte meno
dolorosa
per Ulf e per Unna. «Non lo so» mormorò
allora Lidia, rispondendo alla domanda
che il marito le aveva rivolto pochi istanti prima.
Ulf
la fece sistemare meglio
contro di sé e le posò una guancia sulla
sommità del capo. «Perché non mi hai
detto nulla di Tito?»
chiese,
ritornando sull’argomento sul quale, evidentemente, gli
premeva di più fare
chiarezza.
Lidia
prese a giocherellare
distrattamente con il tessuto della maglia del marito, riordinando
rapidamente
le idee. «All’inizio, quando le cose tra di noi non
andavano proprio benissimo,
pensavo di scappare con lui: eravamo fidanzati, a Roma, e lui mi aveva
promesso
di venirmi a prendere.»
L’uomo
si irrigidì leggermente.
«Ah. Allora non era proprio solo un tuo amico.»
La
fanciulla non riuscì a
impedirsi di alzare gli occhi al cielo. Cos’è,
è geloso? Si chiese, con una punta di irritazione.
Oggettivamente, Ulf
aveva tutte le ragioni per essere geloso nei confronti di Tito, ma, in
quel
contesto, la sua osservazione le parve fuori luogo. «Invece
sì, lo era» ribadì,
incontrando il suo sguardo. «C’è stato
un tempo in cui… boh, pensavo di essere
innamorata di lui. Però non lo so, forse era solo affetto:
ci conosciamo da
diversi anni.» Tornando ad appoggiarsi contro di lui, la
ragazza riprese, con
voce più morbida: «Poi, però, ti ho
conosciuto meglio e ho capito che volevo
stare con te. Stare con te è… diverso.
Ho capito che il mio posto è qui: non dico di preferire la
Germanica a Roma, ma
non ho alcuna intenzione di scappare. O di farmi cacciare via, se
è solo per
questo. E Tito lo sapeva: gliel’ho detto, e lui ha
acconsentito a starmi
accanto solo come amico. Sai, in caso le cose si fossero messe male e
io avessi
avuto bisogno di aiuto.»
«E
la cosa ti ha impedito di
parlarmi di lui?» insistette Ulf, posandole le mani sulle
spalle come se
intendesse allontanarla da sé.
Lidia
irrigidì la mascella e
retrocedette di un passo, incontrando ancora una volta gli occhi
dell’uomo. «Se
non te ne ho parlato, è perché non sapevo come
avresti reagito» ammise, con
voce grave. «So di avere sbagliato, questo sì,
però… ti ricordi quel giorno in
cui mi hai raccontato quello che avevi intenzione di fare prima di
conoscermi?
Quando mi hai detto che Karl ti aveva addirittura suggerito
di… di farmi sparire,
insomma?» Sul volto del giovane
passò un lampo di consapevolezza e qualcosa parve
ammorbidirsi, nel suo
sguardo. Deglutendo per allentare la tensione, Lidia riprese.
«Ecco, ero stata
sul punto di dirti tutto, quel giorno, ma poi me ne è
mancato il coraggio.
Anche perché avevo appena incontrato Karl e lui mi aveva
minacciata, e… quello
che voglio dire è che anche se non amavo più
Tito, gli volevo ancora bene. Non
volevo metterlo in pericolo.»
«Io
non avrei mai fatto del male
a quel ragazzo» sbottò Ulf, come se la vaga
insinuazione della giovane romana
l’avesse offeso.
Lei,
però, si rifiutò di
lasciarsi intimidire. «E lo stesso vale per Karl? Se proprio
sicuro che lui non
gli avrebbe fatto del male?»
Ulf
sollevò un sopracciglio,
scettico. «Se devo basarmi sugli avvenimenti
recenti…»
Lidia
frustò l’aria con una mano.
«Sai benissimo che cosa intendo. Se Karl è morto,
è perché è caduto dalle rocce
ed è finito in una scarpata. Se il terreno fosse stato
diverso… se il terreno
fosse stato diverso, credo proprio che le cose sarebbero andate
diversamente.»
Notando l’espressione tesa del marito, la fanciulla si
affrettò ad abbandonare
quell’argomento. «In ogni caso», riprese,
«all’epoca io non potevo sapere quello
che sarebbe successo: ho solo pensato a proteggere Tito.»
«E
non ti sei fidata di me»
concluse Ulf, con amarezza.
La
ragazza abbassò brevemente gli
occhi, a disagio. «Più che altro, non mi sono
fidata di Karl.»
«È
la stessa cosa» borbottò
l’uomo. «Hai creduto che corressi a raccontargli
tutto senza nemmeno pensare
alle conseguenze.»
Lidia
rifletté per qualche
istante, mentre un pensiero improvviso si affacciava alla sua mente.
«Che cosa
è successo a Unna?» chiese, a bruciapelo.
L’uomo
rimase in silenzio qualche
istante, sorpreso dal repentino cambio di argomento. «Come,
scusa?» ribatté,
scrutandola in volto come se stesse cercando di indovinare che cosa le
passasse
per la testa.
Lei
storse la bocca, impaziente.
«Dopo tutto questo tempo, non sono ancora riuscita a capire
che cosa è successo
a Unna e che cos’è che vi ha spinto a odiare tanto
Roma e la mia gente. Lei non
ne parla, tu non ne parli. Hermann, però, sostiene che
è una cosa importante e
che io avrei tutti i diritti di conoscere i dettagli…
perché è una cosa che mi
riguarda, in un certo senso.» Quelle non erano state le
testuali parole del
giovane germanico, ma, in quella situazione, Lidia decise di prendersi
qualche
licenza poetica.
Contrariamente
a quello che si
era aspettata, Ulf non protestò. «Non vedo molto
il nesso logico con quello che
stavamo dicendo, però hai ragione: forse è il
caso che ti raccontiamo una volta
per tutte questa storia… soprattutto alla luce di quello che
sta accadendo in
questi giorni.»
«Il
nesso logico sta nel fatto
che io non mi sono fidata di te e non ti ho raccontato di Tito,
però nemmeno tu
ti sei fidato di me, visto che non mi hai mai detto nulla del passato
di tua
sorella – e, indirettamente, del tuo»
sospirò la ragazza. «E, comunque, in che
senso? Cosa intendi con “quello che sta accadendo in questi
giorni”?»
Ulf
sospirò e portò le mani sui
fianchi della ragazza, stringendoli brevemente come per saggiare la
concretezza
della sua presenza. «Mi riferisco alla storia della macchina
su cui sei salita.
C’è gente strana in giro e, francamente, non posso
fare a meno di pensare che
inizino a esserci un po’ troppe somiglianze con
ciò che stava accadendo prima
che Unna fosse presa…»
Lidia
sgranò gli occhi. «Stai
dicendo che Unna è stata portata a bordo di una di quelle
macchine?» Quando Ulf
le rivolse un cenno d’assenso, la giovane scosse il capo un
paio di volte. «Ma
cosa c’entra Roma? Lì sopra io ho incontrato Donna
Erin, non dei soldati
romani… a meno che tu non sia ancora convinto che sta
facendo il doppio gioco?»
Ulf
la attirò a sé. «Ti
racconterò tutto, ma non adesso e non da solo: mia sorella
deve essere
presente. Ha il diritto di dire la sua e di evitare di parlare di certi
particolari, se non lo desidera.»
La
fanciulla fu sul punto di
protestare, ma poi annuì. «E va bene. Vediamo di
non rimandare troppo il
discorso, però.»
«Promesso»
mormorò Ulf, chinando
il capo e appoggiando la fronte contro quella della ragazza.
Lidia
chiuse gli occhi per
qualche secondo, godendosi la vicinanza con il marito e il silenzio, la
rinnovata sensazione di pace che pareva essere calata su di loro dopo
lo
scambio di battute che avevano appena avuto. «Sei
arrabbiato?» chiese dopo un
po’, a voce bassa.
Lui
esitò qualche istante, prima
di rispondere. «Forse un pochino» ammise piano.
«Più che altro, però, ero
preoccupato. Sono ancora
preoccupato,
considerata la tua innata propensione a cacciarti in situazioni assurde
e
pericolose.»
«Esagerato»
mormorò lei di
rimando, sorridendo appena. «Comunque anch’io
sono…» Lidia si interruppe,
cercando le parole giuste. Non poteva dire di essere propriamente arrabbiata, ma era fondamentalmente
insoddisfatta del modo in cui si erano svolte le cose.
«Dobbiamo cercare di
fare meglio, da adesso in poi. Dobbiamo parlare di più.
Dobbiamo fidarci di più
l’una dell’altro.»
«Possiamo
farlo?» chiese Ulf,
sfiorandole il naso con il proprio.
Lidia
sentì una sensazione di
calore lambirle lo stomaco e un piacevole languore scivolarle lungo le
braccia
e nel petto. «Perché no?» sorrise,
tornando ad allacciare le mani sulla nuca
del compagno. Sollevandosi sulla punta dei piedi, la giovane
cercò le labbra
dell’uomo. Ulf mormorò qualcosa che lei non
riuscì a capire, poi inclinò il
capo, baciandola più a fondo e facendo aderire il busto di
lei contro il
proprio. Deliziata, Lidia si aggrappò a lui, con la testa
improvvisamente
leggera. Mh, pensò,
portando una mano
tra i capelli dell’uomo e trovandosi a desiderare di avere
molto più tempo di
quello cha avevano a disposizione.
La
ragazza fece appena in tempo a
registrare il rumore di passi che si avvicinavano rapidamente, che la
porta si
spalancò e la voce di Unna li costrinse a separarsi.
«E pensare che credevo di
essermi tolta dai piedi abbastanza a lungo!»
commentò la donna, sarcastica.
Con
uno sbuffo divertito, Ulf si
allontanò da lei e Lidia vacillò per un istante,
momentaneamente spaesata dal
movimento repentino. «Altri dieci minuti sarebbero stati
graditi» la informò
lui, lanciandole un’occhiata di sbieco.
Unna
arricciò il naso, «Sì, be’.
Mi sono cambiata, la cena è pronta, Albert mi ignora e io di
certo non ho
intenzione di fare conversazione con il vostro amico rosso. Quindi
venite di
sotto, per favore.»
Lidia
soffocò un sospiro,
portandosi automaticamente le mani ai capelli e pettinando in maniera
sommaria
le ciocche scompigliate. Se proprio
dobbiamo, pensò, rivolgendo uno sguardo rassegnato
al marito. Per tutta
risposta, Ulf si strinse nelle spalle e si avviò verso la
porta.
***
Arroccata
su uno sgabello, Lidia
sorbì un altro sorso del brodino che la domestica di Albert
aveva servito a lei
e a Unna. «Ma non sarebbe meglio se andassimo a prendere
Hermann?» chiese, per
quella che doveva essere la terza o la quarta volta. Si trovavano in
sala da
pranzo da quasi un’ora e, anche se si erano aggiornati
vicendevolmente sugli
avvenimenti delle ultime ore, non avevano ancora fatto nulla di
concreto per
portare il ragazzo nella cascina del guaritore.
Rivolgendole
appena un’occhiata
distratta, Alexander annuì rigidamente, sfiorando con la
punta delle dita la
tavoletta posata sul tavolo davanti a lui. «Certo, tra poco
ci andiamo» rispose
con voce tesa. «Voglio solo aspettare un altro po’,
nel caso Erin riesca a
mettersi in contatto con noi.» Detto ciò,
l’uomo tornò a fissare astiosamente
Unna, attività che l’aveva tenuto occupato per
tutta la durata di quella misera
cena consumata a notte fonda.
Ulf
spinse indietro il proprio
sgabello e le gambe di legno produssero uno stridio acuto a contatto
con il
pavimento. «Non ricominciamo» sbottò.
«Lasciala in pace.»
L’uomo
dai capelli rossi lo
fulminò con lo sguardo. «La coltellata me la sono
presa io, quindi decido io se
ricominciare o meno. Le ho solo chiesto delle scuse: non mi sembra una
cosa
così inconcepibile!»
Con
il volto nascosto dalla
scodella di ceramica, Unna piegò le labbra in una smorfia
simile a un ringhio,
ma non disse nulla. «Allora?» insistette Alexander,
sporgendosi in avanti con
gli occhi fissi su di lei. «Hai intenzione di chiedermi scusa
o cosa?»
Espirando
lentamente dal naso, la
giovane bionda posò la tazza sulla tovaglia immacolata.
«No» replicò, glaciale.
Per
un istante, Lidia provò
l’irrefrenabile tentazione di mandare tutti
all’Inferno e di ritirarsi nella
propria camera – come, del resto, Albert aveva prudentemente
fatto già da
tempo. Sono stanca morta,
pensò,
stropicciandosi gli occhi con la mano libera. Mi
sembra di non dormire da anni, tra poco sarà
l’alba e questi due se
ne stanno qui a litigare come bambini. Non ne posso più!
Occhieggiando lo
schermo scuro della tavoletta adagiata sulla tovaglia, la fanciulla
provò a
dirottare la discussione su un argomento che, a suo parere, era
più pressante
delle questioni irrisolte tra Unna e Alexander. «Non per
essere ripetitiva»,
esordì, rivolta all’uomo dai capelli rossi,
«ma credi che Donna Erin riuscirà a
trovare una tavoletta con cui contattarci?»
Distogliendo
gli occhi da Unna,
Alexander annuì. «Non dovrebbe essere una cosa
troppo complicata, per lei: se è
ancora a bordo dell’incrociatore, mettere le mani su uno di
questi affari
dovrebbe essere piuttosto semplice.»
Grata
di aver ricevuto una
risposta discretamente elaborata, la fanciulla lo interrogò
ancora: «Credevo
che avessi detto che si trattava di oggetti piuttosto rari: non
è così?»
Lui
esitò. «Be’… qui
sono sicuramente rari. Dalle mie
parti, invece, decisamente meno.»
Appoggiando
entrambe le braccia
sul tavolo, Ulf fissò per qualche istante la tavoletta.
«Credi di poterci dire
da dove viene questa tavoletta? Quando te l’ho chiesto,
prima, mi hai detto che
non era il momento adatto per parlare di queste cose: forse adesso lo
è?»
Lidia
fu percorsa da un tremito,
mentre la sonnolenza che l’aveva accompagnata fino a
quell’istante svaniva in
un sol colpo. Con lei, Alexander si era sempre rifiutato di parlare in
maniera
chiara delle proprie origini, limitandosi a dirle che veniva da lontano. Come per un collegamento di
idee, la sua mente corse agli strani libri che aveva visto nella sua
capanna
nel cuore della foresta, ai piccoli caratteri regolari che non era
stata in
grado di decifrare, né di collegare ad alcuna lingua a lei
nota. Quanto lontano
può essere questo luogo? Si chiese. Perché
nemmeno Donna Erin ha voluto sbilanciarsi?
Lentamente,
l’uomo scosse il
capo. «Facciamo una cosa un po’ diversa, invece.
Secondo voi, da dove viene?
Eh, Lidia?» chiese, lanciando un’occhiata
insondabile alla giovane romana.
«Secondo te, da dove vengo, io?»
La
fanciulla aggrottò la fronte e
Ulf sbuffò. «Personalmente non ho nessuna voglia
di perdere tempo con questi
giochetti: parla chiaro.»
Alexander
si passò entrambe le
mani tra i capelli e rivolse loro un’occhiata stanca.
«Vedete, lo farei anche,
se potessi. Il problema è che, con ogni
probabilità, non mi credereste
affatto.»
«Tu
dici?» lo provocò Ulf.
L’altro
lo guardò con un mezzo
sorriso. «Vogliamo vedere? Che cosa mi direste, se vi dicessi
che vengo da lì?»
Così dicendo, il giovane puntò un indice verso il
soffitto.
Unna,
che era rimasta
relativamente silenziosa, seguì con lo sguardo il suo dito
teso. «Da lì dove?»
chiese, con la voce che
grondava disprezzo. «Dal sottotetto?»
L’uomo
le rivolse un sorriso
smagliate. «No: dal cielo.»
I
tre giovani seduti accanto a
lui rimasero in un silenzio attonito per qualche istante, poi Unna
ricambiò il
sorriso di Alexander. «Oh, dal cielo»
ripeté, con voce melliflua. «Ci prendi per il culo
o cosa?»
Per
tutta risposta, Alexander si
strinse nelle spalle. «Ve l’avevo detto, che non mi
avreste creduto!» esclamò,
nella voce una nota che pareva quasi di trionfo.
«Eh,
per forza!» sbottò ancora
Unna. «Se ci dai risposte stupide, come puoi pretendere che
ti crediamo?»
Adagiandosi
contro lo schienale della
sedia, Lidia lo osservò pensierosa. Dal
cielo, si ripeté. E io
che ero quasi
arrivata a credere che venisse dall’Oltretomba…
Alexander aveva mentito,
quello era assolutamente ovvio, ma la sua menzogna non aveva fatto
altro che
solleticare ulteriormente la sua curiosità. Che motivo
c’era di sfidarli e di
provocarli in quel modo? Quale segreto voleva proteggere con quelle
bugie così
palesi?
Prima
che potesse trovare una
risposta, la superficie della tavoletta si illuminò e un
riquadro rosso prese a
pulsare al centro dello schermo. «Che succede?»
chiese, mentre il suo cuore
accelerava i battiti. «È Donna Erin?»
Alexander
assottigliò gli occhi,
inclinando di qualche grado il capo per leggere il nome inscritto nel
rettangolo scarlatto. «Sì»
confermò sommessamente. Sfiorando lo schermo con le
dita, l’uomo avvicinò a sé la
tavoletta. «Erin? Mi senti?» chiese, parlando
come se si stesse rivolgendo all’oggetto posato sul tavolo.
«Sono qui con Lidia
e Ulf e… la sorella di Ulf.»
Con
grande sorpresa della giovane
romana, dalla tavoletta giunse la voce della Sacerdotessa: leggermente
distorta, ma comunque perfettamente riconoscibile. «Ti sento.
Lidia è riuscita
a raggiungerti? Ha portato Hermann con sé?»
Avvicinandosi
ulteriormente alla
tavoletta, Alexander parlò in fretta. «Lidia
è arrivata e sta bene. Il ragazzo,
invece, è a casa di suo padre. Lo recupereremo tra poco:
aspettavo di avere tue
notizie, prima di partire.»
«Bene.
Hai già avuto qualche
contatto con gli altri?» chiese la voce incorporea di Erin.
L’uomo
corrugò leggermente la fronte.
«Con gli altri? No, non
ho parlato
con nessuno… fatta eccezione per Albert,
naturalmente.»
«Allora
ascolta», riprese la
donna, con una certa urgenza, «temo di non avere molto tempo
a disposizione.
Tra poco si accorgeranno che Hermann non è più in
infermeria e io voglio
evitare di attirare troppi sospetti. Ci sono delle cose che devi
sapere.»
Donna
Erin fece un breve pausa,
come per assicurarsi di avere l’attenzione di Alexander.
«Ti ascolto» le
assicurò lui. «Ti ascoltiamo tutti.»
«Preferirei
che tu fossi solo, ma
immagino che sia inutile chiederti di mandare via i ragazzi.»
Senza aspettare
la replica dell’uomo, la Sacerdotessa riprese a parlare.
«Abbiamo ricevuto un
messaggio dalla Greyhound. Han
arriverà prima del previsto e sarà qui
già domani mattina. Il fatto che si stia
muovendo così in fretta deve per forza significare
qualcosa… probabilmente che
ha dei sospetti a proposito di quello che sta facendo Kay,
tant’è vero che ha
già chiesto di incontrarlo.»
«Han
ha su Kay un’autorità solo
formale: sa benissimo che non può pretendere di dargli degli
ordini. A cosa
dovrebbe servire, questo incontro?» ribatté
Alexander.
Confusa
da quella conversazione
di cui riusciva soltanto a intuire il significato, Lidia
cercò lo sguardo dei
gemelli, ma anche loro parevano quasi smarriti, forse incerti di quale
fosse
l’effettiva importanza delle informazioni che stavano
ricevendo.
«Be’,
il fatto che si stia
interessando alla faccenda è comunque meglio di
niente» fece Donna Erin,
rispondendo all’osservazione di Alexander.
«Probabilmente lei è l’unica persona
abbastanza vicina e abbastanza autorevole per fermarlo… o,
per lo meno, per
costringerlo a pensare molto bene a quello che sta facendo.»
«Ammesso
che abbia interesse a
farlo» commentò l’uomo, con
un’espressione tetra che a Lidia non piacque nemmeno
un po’.
«Ammesso
che abbia interesse a
farlo» concesse la Sacerdotessa. «Il fatto
è che, per quanto ne so io, Kay non
le ha mai inviato nessun tipo di rapporto, nemmeno prima di arrivare
fisicamente a Erding. Di fatto l’ha scavalcata, sapendo
probabilmente che non
avrebbe particolarmente apprezzato la sua linea d’azione. Se
la conosco, questa
cosa non le piacerà affatto.»
«Io
temo che, a questo punto, Kay
sia intenzionato ad arrivare fino in fondo. Si sta muovendo in un modo
che…
sinceramente, non vedrei altra spiegazione» riprese Erin,
dopo qualche istante
di silenzio. «In questi giorni non si è dato pace:
sta raccogliendo prove per
dimostrare che i disordini che si stanno manifestando in tutta la
regione stanno
influenzando negativamente la rendita delle miniere.»
«Ma
l’impatto è davvero tanto
grave?» chiese Alexander.
«Non
lo so» fu la replica della
Sacerdotessa. «Ma quel ragazzo è sveglio e sa
manipolare le informazioni a suo
favore. Di certo, se scoppiasse una guerra aperta dovremmo sospendere
la
raccolta di olivite. Per ora, però, la situazione
è ancora sotto controllo. C’è
sotto dell’altro, credo. Il problema è che non so
di cosa si tratti.»
Anche
se aveva l’impressione che
Erin stesse parlando in modo volutamente vago per far sì che
solo Alexander
potesse capire veramente quello che stava dicendo, Lidia
sentì qualcosa di
estremamente sgradevole stringerle lo stomaco. Ancora una volta, le
tornarono
alla mente tutte le velate minacce che aveva sentito pronunciare
durante il suo
soggiorno in Germanica dai due sedicenti Sacerdoti. Che
cosa vuol dire che intende arrivare fino in fondo? Si
chiese,
con un vago senso di nausea. E che cosa
c’entra l’olivite? Confusamente,
ricordò che Donna Erin le aveva detto,
molto tempo prima, che gli Dèi non avrebbero accettato che
le offerte si
fermassero e che la gente non sacrificasse più
l’argento e altri beni preziosi.
Tuttavia, non aveva forse recentemente scoperto che gli Dèi
non c’entravano
niente in quella storia? Niente
Dèi,
niente punizione divina, no? Eppure, iniziava a intravvedere
la possibilità
che ci fosse un altro tipo di reazione. Una
punizione… o forse una rappresaglia?
«Io…»
Alexander esitò. «Io non so
cosa dire. Non lo conosco abbastanza bene per indovinare che cosa gli
passa per
la mente. Non so nemmeno che cosa fare… che cosa vuoi che
faccia?»
«Credo
che sarebbe il caso di
parlare con Han prima che lei parli con Kay. Lo farei io, ma Kay sta
rientrando
sulla nave e difficilmente riuscirò a intercettare Han prima
che arrivi da lui.
Quello che posso fare, però, è contattare Ariel
– che è di turno sulla Greyhound
– e dirle che Albert ha in
cura un malato che ha bisogno delle sue attenzioni. Recupera Hermann,
portalo
alla capanna di Albert e, domani mattina, quando Ariel
arriverà per visitarlo,
cerca di convincere Han a dedicarti due minuti. Spiegale quello che sta
accadendo, riferiscile pure quello che ti ho detto a proposito di
Kay… io
cercherò di raggiungervi il prima possibile, ma non posso
assicurarti che
riuscirò a essere da voi già domani mattina: se
scappassi dalla nave, Kay
penserebbe che ho qualcosa da nascondere.»
Alexander
rimase immobile per
qualche secondo, poi annuì mestamente. «Va bene.
Non sono sicuro che possa
servire a qualcosa, ma ci proverò comunque.»
«Perfetto»
replicò Erin. «Ora è
meglio che vada: ho detto al pilota che mi serviva il suo trasmettitore
per
archiviare alcuni dati… non posso metterci troppo
tempo.»
«Va
bene» acconsentì l’uomo. «Se
puoi, mettiti in contatto con me anche domani.»
«Farò
il possibile» fece la donna.
Subito dopo, la tavoletta si fece buia e silenziosa e Alexander
alzò lo sguardo,
scontrandosi con gli occhi dei tre giovani che sedevano al tavolo con
lui.
«Saresti
così gentile da
spiegarci di cosa stavate parlando, esattamente?» chiese
rigidamente Ulf. «Sembrava
che steste parlando in codice… cos’è
che non volete che noi sappiamo?»
«Tante
cose, a dire il vero»
replicò cinicamente l’uomo dai capelli rossi.
«Ma temo che, ormai, voi siate
troppo coinvolti per lasciarvi completamente all’oscuro di
quello che sta
succedendo… e la cosa è una vera sfortuna, per
voi. Se le cose andranno come
spera Erin, domani incontrerete il Capitano Han Xinghua:
sarà lei stessa a
decidere cosa dirvi e cosa non dirvi. Io non me la prendo, questa
responsabilità.»
Lidia
si mosse nervosamente sul
suo sgabello. «E se questa persona decidesse di non dirci
niente?»
«Allora
vedremo il da farsi»
rispose Alexander. «Però è inutile
parlarne, per adesso: è tardi, e tu e quella
lì sarete sicuramente stanche. Andate
a letto: Ulf e io andremo a recuperare Hermann…
d’accordo?»
Nel
porre quella domanda, Alexander
si era rivolto a germanico. Pur con una certa riluttanza, il giovane
annuì. «Ve
bene. Mi pare di avere inteso che domani arriverà qualcuno
che lo può curare?»
«Esatto»
confermò l’uomo. «Ariel…
be’, la dottoressa Ariel qualcosa.
È giovane,
ma pare che sia in gamba. O così almeno crede Erin: ha una
gran stima di quella
ragazza.»
Con
un sospiro, Ulf si alzò in
piedi. «Perfetto. Allora andiamo: non manca molto
all’alba e non sono poi così
convinto che mio padre ce lo lascerà portare via senza
protestare.»
***
Una
porta sbatté e Lidia si
svegliò di soprassalto. Non lo avrebbe creduto possibile,
vista la tensione che
aveva in corpo la notte prima, ma si era addormentata subito dopo aver
toccato
il cuscino ed era scivolata in un sonno senza sogni.
E adesso è mattina. Ulf e Alexander
saranno riusciti a portare qui
Hermann? Non ho sentito niente, durante la notte…
Lanciando
un’occhiata alla sua
sinistra, la fanciulla vide che Unna dormiva ancora profondamente. Sembra stanca, considerò. Che si stia strapazzando troppo, viste le
sue condizioni?
Facendo
attenzione a non fare rumore,
la ragazza gettò indietro le coperte e si alzò
dal letto, infilandosi
rapidamente gli abiti che aveva indossato la notte prima. Mentre si
stava
allacciando i lacci del corpetto – azione che non le era
affatto famigliare –
la porta si socchiuse, facendola sussultare. Quando scorse il volto
della domestica
che aveva già incontrato la sera precedente, Lidia le
rivolse un cenno della
mano, indicandole di aspettarla in corridoio.
«Unna
dorme ancora» si scusò, quando,
pochi istanti dopo, la raggiunse. «Meglio lasciarla riposare
un altro po’.»
La
donna le rivolse un cenno d’assenso.
«Va bene» acconsentì. «Tu,
però, devi scendere: il Capitano Han è qui e ha
chiesto esplicitamente di te. Vuole parlarti.»
La
ragazza sgranò gli occhi,
trattenendo a stento un’esclamazione di meraviglia. Vuole parlarmi? Si chiese, sgomenta. Che cosa potrebbe mai volere, da me?
«Adesso?»
chiese, sperando in una
risposta negativa, che però non venne.
«Sì,
subito» confermò infatti la
domestica, rivolgendole uno sguardo che alla giovane parve quasi
dispiaciuto.
Lidia
deglutì. «E va bene» disse,
allora, facendo del proprio meglio per mostrarsi impassibile.
«Non facciamola
aspettare.»
***
Through dangers untold and hardships unnumbered
(chi riconosce la citazione?)
sono riuscita a postare questo capitolo. Sì, ci ho messo
mezzo secolo per una
serie di noiosissimi motivi che non starò a elencarvi. E no,
non so se posso
promettere che il prossimo arriverà a breve,
perché il tempo è quello che è
(ovvero pochissimissimo).
Però si procede, eh! Lentamente, ma ci
stiamo decisamente avvicinando
alla fine di questa storia. Li sentite, i cori di giubilo?