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Autore: Red Owl    28/09/2018    4 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
Capitoli:
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[Avviso ai naviganti: una volta terminata la storia, rimetterò mano alla timeline degli ultimi capitoli, perché così non mi convince affatto. Per ora non ho ancora modificato nulla, ma ho intenzione di diluire un po’ nel tempo gli ultimi avvenimenti: adesso come adesso, la morte di Karl, il ritorno a casa di Lidia, la morte di Tito e la storia della macchina voltante sono molto ravvicinate. Quando avrò sistemato le cose, il tutto si svolgerà in quattro o cinque giorni. Al momento, il capitolo è un po’ ibrido: ho mantenuto i riferimenti temporali attuali, ma le reazioni dei personaggi sono già quelle che sarebbero nella versione finale. Vi chiedo di fare un piccolo sforzo di immaginazione e di chiudere un occhio… o, se preferite, di ignorare completamente questo aspetto!]

Il mondo attorno a lei vacillò e si fece confuso, poi lo strattone deciso di Unna la riportò rapidamente alla realtà. Una parte della sua mente – quella che non era concentrata sull’enorme bestia nera davanti a loro – si stupì della forza della stretta della giovane, della violenza con cui le sue dita si chiusero attorno al suo polso sottile, dando vita a una fitta acuta che le corse su verso il gomito.

Senza una parola e senza nemmeno assicurarsi di avere l’attenzione di Lidia, ma tenendo gli occhi chiari spalancati sull’orso, Unna indietreggiò di un passo, poi di un altro ancora. Immersa com’era in una sorta di trance, la giovane romana stentò a seguirla, sentendo le gambe farsi di legno e i piedi pesanti come macigni.

«Muoviti.» Unna pronunciò quella parola senza quasi emettere alcun suono, eppure, nell’improvviso silenzio della notte spezzato solo dal battito del suo cuore e dal sibilo del suo respiro, alla fanciulla quell’ordine sembrò risuonare come se fosse stato urlato.

La cognata la strattonò ancora e Lidia si riscosse, investita da un’ondata di adrenalina che le rischiarò la mente, affinandole la vista e rendendola estremamente consapevole di tutto ciò che la circondava. Forse non si è accorto di noi, comprese la fanciulla, notando che l’animale pareva più interessato ad alcune radici che non a loro. Forse facciamo ancora in tempo a scappare.

Sfortunatamente, in quell’istante il vento cambiò direzione e una brezza quasi impercettibile prese a spirare dalle loro spalle, portando il loro odore all’orso. L’animale sollevò il muso dal terreno, inspirando rumorosamente. Nel momento in cui i suoi occhi si posarono sulle due donne, le orecchie della bestia si orientarono in avanti e ed essa si drizzò sulle zampe posteriori, arricciando le labbra.

«Piano» sibilò Unna. «Muoviti piano. Vieni indietro.»

Sebbene la sua mente le stesse urlando di girare sui tacchi e di mettersi a correre più veloce che poteva, Lidia, tremante, si costrinse a controllare la propria paura e a fare quello che Unna le stava ordinando. Affidandosi quasi completamente alla cognata, la fanciulla prese a retrocedere in punta di piedi, resistendo all’istinto che le chiedeva di appiattirsi a terra nella speranza di risultare meno visibile.

Le due giovani avevano appena compiuto una decina di passi, quando l’orso si lasciò ricadere pesantemente sulle zampe anteriori e poi, come al rallentatore, prese ad avvicinarsi a loro, in un trotto lento che si trasformò in un galoppo in un paio di falcate.

Lidia registrò lontanamente il grido che sfuggì dalla sua gola e il gemito strozzato di Unna. Un istante più tardi, la germanica ruotò su se stessa e, senza allentare la presa attorno al braccio della compagna, prese a correre, spingendo Lidia ad abbandonare il sentiero e lanciandosi poi a rotta di collo verso destra, giù per il lieve pendio che conduceva al fiume.

Intuendo le sue intenzioni, la ragazza puntò inconsciamente i piedi, opponendo una debole resistenza. «Cosa stai facendo?» chiese, con la voce strozzata dall’affanno e dal terrore.

«Entra nel fiume!» ansimò Unna, trascinandosela dietro e rischiando di farla scivolare sul terreno reso viscido dal muschio e dal fango. Ancor prima di finire di pronunciare quelle parole, la donna raggiunse il corso d’acqua e vi balzò dentro, sollevando una miriade di spruzzi e obbligando la giovane romana a fare lo stesso. Quando i suoi piedi entrarono a contatto con l’acqua fredda – terribilmente fredda, considerato che si trovavano nel periodo più caldo dell’anno – Lidia espirò con forza e il fiato le sibilò tra i denti. Di nuovo, la fanciulla fu tentata di fermarsi, combattuta tra il desiderio di tornare all’asciutto e l’assoluta necessità di allontanarsi dalla bestia che si faceva sempre più vicina.

«Gli orsi nuotano!» urlò, afferrando a sua volta il braccio di Unna con la mano libera.

La donna la tirò verso di sé, senza voltarsi a guardarla. «Gli orsi neri no» ribatté, immergendosi sempre più nelle acque glaciali.

Quasi a volerla contraddire, l’animale, che aveva raggiunto le sponde del fiume, posò le possenti zampe anteriori nell’acqua scura, allungando l’enorme collo verso di loro.

Non ce la faremo mai, pensò Lidia, sentendosi curiosamente sospesa tra il terrore e la rassegnazione. Si sarebbe forse fermata e avrebbe atteso che l’orso la raggiungesse, se Unna non l’avesse costretta a procedere sino a quando l’acqua le bagnò i fianchi. Ancora fermo sulla riva, l’orso raspò il fondo del fiume con le unghie acuminate, annusando rumorosamente. Poi, con un grugnito di disappunto, si voltò e, leggermente barcollante, rientrò nella foresta – se perché effettivamente non sapesse nuotare, come aveva detto Unna, o perché non le ritenesse tanto interessanti da giustificare un tuffo fuori programma, Lidia non avrebbe saputo dirlo.

Ma chi se ne importa, quello che conta è che se ne sia andato! Pensò la fanciulla, travolta da un’ondata di sollievo che le fece sembrare meno fredda anche l’acqua del fiume.

Una manciata di secondi più tardi, però, un’altra ondata – questa volta d’acqua – investì in pieno Unna e, complice il fondo scivoloso, le fece perdere la presa sui ciottoli lisci e ricoperti di melma. Lidia registrò appena la sua esclamazione di sorpresa e poi, senza nemmeno prendere la decisione cosciente di muoversi, si lanciò verso di lei, afferrandola per un braccio nel tentativo di trattenerla. Il movimento la fece sbilanciare e, prima che potesse fare qualsiasi cosa per evitarlo, la ragazza si trovò un istante più tardi completamente immersa nell’acqua nera.

Per un attimo il suo mondo divenne buio e liquido, poi il gelo la colpì violentemente alle costole e Lidia scalciò e annaspò, cercando invano di rimettersi in piedi. Unna, che cercava altrettanto inutilmente di fare lo stesso, la centrò inavvertitamente con un calcio in pieno stomaco e le due giovani si ritrovarono ad allontanarsi sempre di più dal punto nel quale erano entrate nel fiume, sospinte da una corrente che non era particolarmente impetuosa, ma che era comunque più che sufficiente per trasportale con sé.

Sbattuta di qua e di là dall’andamento irregolare del fiume, accecata dalla paura e dalla notte, Lidia fu sul punto di perdere l’orientamento e di lasciarsi sommergere dall’acqua, quando la voce di Unna, roca e un po’ strozzata, ma perfettamente udibile, raggiunse le sue orecchie. «A destra!» le ordinò la germanica.

Improvvisamente la fanciulla si ricordò di essere capace di nuotare e, combattendo contro il gelo che cercava di paralizzarle braccia e gambe, fece un paio di bracciate nella direzione indicatale dalla cognata. «Si tocca» ansimò di nuovo Unna. Allungando i piedi sotto di sé, Lidia si accorse che era vero. Calciando con forza contro qualsiasi cosa solida le capitasse a tiro e aiutandosi con le braccia, la giovane riuscì ad avvicinarsi di nuovo alla sponda. Poco dopo, quando il fiume si allargò in una pozza più profonda, ma d’acqua quieta, le due ragazze riuscirono a tornare di nuovo a riva.

Con un gemito esausto, Lidia si lasciò cadere sull’erba morbida, stringendo i denti contro la fitta di dolore che le trapassò il fianco quando venne in contatto con il terreno. Devo averlo sbattuto contro un qualche sasso…

Non appena ebbe ripreso fiato, la giovane si tirò a sedere e si voltò verso la cognata, distesa sulla schiena accanto a lei. Unna teneva gli occhi chiusi e le braccia sulla pancia e Lidia provò un brivido di preoccupazione. «Va tutto bene?»

La donna annuì. «Sì, ma ho bevuto mezzo fiume» si lamentò, con una smorfia.

«Io ho freddo» disse Lidia, all’improvviso, rendendosi conto di tremare.

«Anch’io» mormorò Unna. «Se restiamo così ci prenderemo qualcosa. Dobbiamo cambiarci.»

La giovane romana la guardò, sentendosi completamente impotente. «Sì, ma ci metteremo un secolo a tornare al villaggio.»

Unna tossì e si strizzò la treccia fradicia. «Non dobbiamo tornare al villaggio: se non altro, siamo andate nella direzione giusta. Non manca molto al posto indicato dalla tua mappa.»

Sentendo nominare la mappa, Lidia si illuminò e le sue mani volarono alla tasca della tuta, cercando la tavoletta. Quando l’ebbe tra le mani, però, non riuscì a trattenere un gemito di disappunto. «Mi sa che si è rotta» mormorò, mostrandola a Unna e indicando la superficie nera e priva di luci. Lei rivolse alla tavoletta solo un'occhiata distratta, poi scrollò le spalle, passandosi le dita tra i capelli pallidi. «Poco male» decretò. «Ho capito dove siamo. Poco distante ci dovrebbe essere anche una strada: non ci metteremo molto ad arrivare alla capanna del guaritore.»

La giovane romana si strinse brevemente al petto la mappa ormai inutilizzabile, rendendosi conto solo in quell'istante di quanto si fosse inconsciamente affidata a quell’oggetto di cui non capiva bene nemmeno il funzionamento. Dopo qualche istante sospirò e annuì, riponendo la tavoletta in una delle tasche della tuta scura: anche se sembrava che l'acqua del fiume l'avesse messa fuori uso, Lidia sospettava che non fosse comunque il caso di abbandonarla nel bosco, lì dove chiunque avrebbe potuto trovarla. «Va bene, allora andiamo» mormorò, rivolta a Unna.

Zoppicando leggermente, le due giovani ripresero ad attraversare il sottobosco, che in quel punto della foresta era piuttosto fitto. Fradicia e stanca, la fanciulla annaspò tra le erbacce e le felci, improvvisamente grata alla tuta che le fasciava le gambe, proteggendole dal tocco pungente delle ortiche. Ho i piedi gelati, constatò la ragazza, con una smorfia di sconforto.

Proprio quando la stanchezza e lo scoramento stavano per avere la meglio, il buio della foresta parve diradarsi e Unna si fermò per un istante, scostandosi i capelli dagli occhi e massaggiandosi leggermente la schiena. «Oh, perfetto. Lì c'è la strada.»

Lidia rivolse un ringraziamento silenzioso agli Dèi e precedette la cognata, superando gli ultimi arbusti e guadagnando la superficie polverosa del tracciato carrabile. «Da che parte?» chiese, poi, rivolta alla giovane germanica.

Con un cenno del capo, Unna indicò un punto alla loro destra. «È laggiù, guarda.»

Poche centinaia di metri più avanti, ai margini degli alberi scuri, si ergeva un edificio di medie dimensioni. La luce che brillava alle finestre era un chiaro indicatore del fatto che la casa fosse effettivamente abitata. Improvvisamente, Lidia senti il cuore balzarle in gola, stretto tra emozioni contrastanti. Ulf era lì. Certo, lì c'erano anche Alexander e il guaritore di cui non ricordava il nome e, forse, persino il Capitano di cui le aveva parlato Donna Erin. In quell'istante, però, l’unica cosa che le sembrava importante era che, nel giro di pochi minuti, si sarebbe trovata davanti a suo marito.

Lidia strinse inconsciamente i pugni, cercando di soffocare il tremore che le aveva improvvisamente scosso le mani. Non vedeva l'ora di riabbracciarlo, di respirare il suo profumo e di convincersi che il peggio era passato: era sufficiente il pensiero, perché il sollievo la travolgesse e disperdesse la tensione che le contraeva le spalle. Tuttavia, a smorzare il suo entusiasmo c'era l'incognita di come avrebbe reagito lui. Unna le aveva detto che era stato in pensiero per lei, che l'aveva cercata ovunque. Sfortunatamente, quel fatto non garantiva però che l'avrebbe accolta a braccia aperte. Non è mica detto che mi abbia perdonata per quello che è successo a Karl. Anzi, con ogni probabilità non l’ha fatto!

Prima che potesse perdersi oltre in quei pensieri, però, Unna la colpi con una spalla. «Beh? Che fai? Ti sei addormentata in piedi o cosa?»

Davanti al tono brusco della cognata, Lidia si riscosse. «No...vengo, vengo. Sono solo un po' in ansia al pensiero di rivedere tuo fratello» ammise, arrossendo nel buio della notte.

Unna emise un suono che avrebbe potuto dire tutto e niente. «Perché? Hai per caso la coscienza sporca?»

La giovane romana aggrottò la fronte. «Non esattamente» mormorò, dopo qualche istante di esitazione. «Ma ho combinato un bel po' di pasticci, in questo periodo, e non so se...» Lidia lasciò sfumare la frase, incerta su come proseguire.

Per tutta risposta, Unna sbuffò rumorosamente. «Questo è indubbio. Però ne parlerei al caldo, una volta che ci siamo messe dei vestiti asciutti e magari anche qualcosa nello stomaco. Vedi di non dimenticarti che Hermann è a casa di mio padre, e che ha bisogno di cure urgenti: è soprattutto per lui che siamo qui.»

La fanciulla annuì con forza. «Non me ne dimentico» le assicurò. Facendo un respiro profondo, Lidia si avviò verso le luci che brillavano davanti a loro. Unna ha ragione. Per parlare di quello che è successo ci sarà sicuramente tempo: ora come ora, la cosa più importante è curare Hermann. E magari anche cercare di capire che cosa ci aspetterà nei prossimi tempi.

Quando giunse di fronte alla porta chiusa, Lidia ebbe un istante di esitazione: curiosamente, anche se aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per tornare con il marito, non si era mai preoccupata di come, in termini pratici, sarebbe avvenuto il loro incontro. Che cosa dovrei fare? Corrergli subito incontro oppure sarebbe forse meglio dargli qualche spiegazione, prima? O forse dovrei pretenderle io, le scuse e le spiegazioni?

Notando la sua indecisione, Unna la sorpassò e bussò decisa contro il pannello di legno, battendo leggermente i denti a causa del freddo. Anche se le luci erano accese, la casa sembrava silenziosa e per un lunghissimo minuto nessuno si presentò ad aprire. Quando già Lidia iniziava ad avvertire un lieve tremore dovuto al nervosismo che faticava a tenere a bada, l’uscio si schiuse, rivelando alla vista un uomo sulla sessantina, basso e minuto, ma dotato di due penetranti occhi chiari nei quali brillava un’intelligenza sottile.

«Unna, figlia di Gefrid» le accolse il padrone di casa, incontrando per un istante gli occhi di Unna. Poi, la sua attenzione si accentrò sulla giovane romana ferma accanto alla germanica. «E tu devi essere Lidia, suppongo.»

La fanciulla fece un vago cenno d’assenso, a disagio davanti allo sguardo attento del guaritore. Unna, invece, chinò appena il capo in un gesto che a Lidia parve quasi deferente. «Albert» lo salutò. «Abbiamo saputo che mio fratello è tuo ospite.»

Sul volto del germanico si disegnò un sorriso che lo rese simile a una volpe. «Oh, posso ben immaginare come siate venute a conoscenza di questo fatto.»

Quando gli occhi dell’uomo indugiarono su di lei, Lidia arrossì e istintivamente le sue dita si strinsero sulla tavoletta rovinata, nascosta nella tasca della tuta inzuppata d’acqua. «Anche Alexander è qui?» chiese, pur conoscendo già la risposta. Che domanda idiota, la rimbeccò il suo inconscio. È ovvio che sia qui. Ciononostante, la ragazza sollevò appena lo sguardo per giudicare la reazione del guaritore. Fuggevolmente, Lidia riconobbe che non aveva idea di quanto liberamente potesse parlare davanti a quell’uomo: era a conoscenza di tutto o era forse meglio tenergli celati alcuni dettagli?

Il volto del germanico non tradì però nessuna emozione. «Sì» replicò sinteticamente Albert, prima di esaminare rapidamente con gli occhi le due giovani che gli stavano davanti. «Tra poco potrete incontrare entrambi. Prima, però, sarà il caso che indossiate dei vestiti asciutti.»

Ricordandosi solo in quel momento di essere infreddolita e fradicia a causa dell’imprevisto bagno nel fiume, Lidia rivolse all’uomo un piccolo sorriso grato. Senza aggiungere altro, Albert si fece da parte e fece un cenno alle due ragazze, invitandole a entrare. Con un gesto che alla giovane romana parve d’impazienza, Unna le sfilò accanto e, passandosi un paio di volte le mani sulle braccia coperte dalla camicia resa trasparente dall’acqua, superò la soglia. Lidia la seguì a ruota e, quando la porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle, fece del proprio meglio per conservare un contegno dignitoso ed educato, evitando di lanciare tutt’attorno a sé occhiate furtive, come un’ospite troppo curiosa o come una ladra in cerca di un qualche oggetto di valore da sottrarre. Ma è così difficile! Si lamentò in silenzio, sentendo quasi il bisogno fisico di allungare il collo per guardarsi attorno.

Suo marito era lì, da qualche parte, e Lidia si aspettava di vederlo comparire da un momento all’altro. E non importa che cosa mi dirà o come mi accoglierà, decise d’un tratto. Adesso l’unica cosa che conta è riabbracciarlo.

Ignaro – o forse noncurante – dell’impazienza della ragazza, Albert indicò con la mano una porta socchiusa alle sue spalle. Spiando oltre a essa, Lidia scorse un’altra stanza e una scala che conduceva al piano superiore. «Ho una sola stanza libera» le informò l’uomo. «Spero che non vi spiaccia dividerla per la notte.»

Unna e Lidia si scambiarono un’occhiata rapida, poi, in silenzio, scossero il capo.

«Seguitemi» annuì allora il guaritore. «Vi farò poi portare degli abiti puliti e una minestra calda. Sembrate averne bisogno.»

Lidia fece per ringraziarlo, ma le parole le morirono in gola. Con un cigolio quieto, la porta che Albert aveva indicato pochi istanti prima si aprì del tutto e Alexander – ancora pallido, ma tutto intero – fece capolino. Per qualche istante, la fanciulla rimase con il fiato sospeso, poi una fitta di delusione le trapassò lo stomaco. È solo? Si chiese, con il cuore che le martellava nel petto.

Non appena si fu ripreso dal suo stupore, l’uomo le rivolse un gran sorriso. «Ma allora ce l’hai fatta ad arrivare!» esclamò, muovendo un paio di passi rapidi verso di lei e allungando le braccia come se intendesse abbracciarla. Prima che Lidia potesse decidere come reagire, però, Alexander si bloccò di colpo e si voltò a guardare un punto alla destra di Lidia. Seguendo il suo sguardo, la ragazza sentì lo stomaco contrarsi in maniera decisamente sgradevole. Oh. Unna.

L’espressione della giovane germanica era indecifrabile: un misto – o così parve a Lidia – di imbarazzo, irritazione e disprezzo. Alexander corrugò la fronte e, con due dita, si sfiorò appena la ferita che lei gli aveva inferto. «Ah. Ci sei anche tu?»

Unna parve sul punto di replicare, ma, sebbene le sue labbra si arricciassero in una smorfia simile a un ringhio, dalla sua gola non si levò alcun suono. Senza nemmeno prenderne consapevolmente la decisione, Lidia si ritrovò a intervenire. «Sì, mi ha accompagnata fino a qui» spiegò, frapponendosi tra la cognata e l’uomo dai capelli rossi. «Non so cosa sai, esattamente, però abbiamo bisogno di parlare perché…»

«Cosa accidenti avete fatto ai vestiti?» la interruppe lui, come se si fosse reso conto solo in quell’istante dello stato dei loro abiti.

«Siamo dovute entrare nel fiume per sfuggire a un orso e…»

«Un orso?»

A Lidia parve di muoversi al rallentatore. Ruotando su se stessa con quella che le sembrò una lentezza infinita, la ragazza si ritrovò a sostenere lo sguardo azzurro di Ulf. «Sì… un orso» sentì la sua voce replicare, in un tono sorprendentemente fermo. Quando è arrivato? Si interrogò, spiazzata, mentre i suoi pensieri inciampavano per un istante l’uno sull’altro. Da dove è arrivato? Un angolo della bocca dell’uomo si sollevò in maniera quasi impercettibile e, con la testa curiosamente leggera, Lidia si ritrovò a sorridere timidamente. «Era un orso vero, questa volta» aggiunse, quasi sottovoce.

«Mai visto un orso in quasi trent’anni di vita e ne incontro uno l’unica volta che metto piede nel bosco in compagnia di questo impiastro. Dev’essere sicuramente un segno di qualche tipo…»

La voce sarcastica di Unna, che si era evidentemente ripresa dal suo improvviso mutismo, spezzò il legame che, per un attimo, si era formato tra Ulf e Lidia e l’uomo si voltò di scatto verso la sorella. «Cosa ci fai qui, tu?» le chiese, con una punta di rimprovero nella voce. «Perché non sei rimasta da Katti?»

«Perché mi ero rotta le scatole di starmene con le mani in mano» replicò altrettanto seccamente Unna. «Hermann non sta bene» aggiunse, poi, in tono più morbido e preoccupato.

Ulf si incupì ulteriormente. «Lo so» mormorò, rivolgendo un cenno in direzione di Alexander. «Mi ha spiegato come stanno le cose… più o meno.»

Alla menzione di Hermann, Lidia si morse nervosamente le labbra, mentre l’apprensione tornava a stringerle lo stomaco. «Ne hai parlato con Donna Erin?» chiese, rivolta ad Alexander.

L’uomo annuì. «Sì, anche se devo ammettere che non mi è molto chiara la dinamica dei fatti. Erin mi ha detto solo che tu e il ragazzo eravate a bordo della Northern Star e che avevate trovato qualcosa che non avreste dovuto toccare a casa di Kay…»

Albert, che fino a quel momento era rimasto leggermente in disparte, come per lasciare agli ospiti la possibilità di confrontarsi senza troppe interferenze, fece un passo in avanti e si frappose tra i giovani. «Un momento» disse, facendo saettare su di loro gli occhi chiari. «Questa ha tutta l’aria di essere una conversazione complicata e, soprattutto, lunga: voi due la affronterete con addosso dei vestiti asciutti; e magari dopo esservi riposate e rifocillate.»

Sentendosi chiamate in causa, Lidia e Unna si scambiarono un’occhiata veloce, poi le labbra della germanica si piegarono in un’espressione dura. «Vada per i vestiti asciutti e per una minestra calda, se possibile, ma il riposo dovrà aspettare. Hermann è più importante.» Davanti allo sguardo dubbioso del guaritore, la donna rincarò la dose: ­«E la minestra la mangeremo mentre faremo il punto della situazione con mio fratello e con… lui

Sul volto di Alexander passò un’espressione scettica, ma l’uomo evitò di commentare. Albert, invece, sollevò le spalle, decidendo di adeguarsi alla volontà della giovane. «Come preferite» acconsentì. «Se volete seguirmi di sopra, vi mostrerò la vostra stanza. Poi chiederò alla mia domestica di farvi avere degli abiti puliti. Voi, invece, potete aspettarle nella stanza accanto: lasciate loro almeno il tempo di cambiarsi in santa pace.»

L’ultima richiesta – che suonava piuttosto come un comando – era stata rivolta a Ulf e ad Alexander. Prima di lasciare la stanza e di seguire il padrone di casa, Lidia incontrò lo sguardo del marito. Lui le rivolse di nuovo un piccolo sorriso e la fanciulla sentì una sensazione di calore invaderle il petto. Aspettami qui, pensò. Mi tolgo questa maledetta tuta e poi torno subito da te.

Rendendosi conto di essere rimasta ferma sul posto un po’ troppo a lungo, Lidia si affrettò a raggiungere Unna e Albert, che avevano ormai guadagnato le scale e si stavano incamminando verso le camere che, evidentemente, si trovavano al piano superiore. Non si sarà mica accorta che sono rimasta lì imbambolata a guardare suo fratello, vero? Si chiese, temendo che la cognata avesse assistito al suo attimo di smarrimento e fosse pronta a servirle una delle sue solite battute taglienti. Tuttavia, la giovane bionda teneva il capo chino, un’espressione pensierosa sul volto dai lineamenti sottili.

«Eccoci qui» annunciò Albert, fermandosi davanti alla porta più vicina alle scale. «Non è grande, ma in due ci potrete dormire comodamente.»

In effetti… considerò la giovane romana, esaminando con un’occhiata veloce la microscopica stanzetta che si apriva davanti ai suoi occhi. Un pavimento scuro, un lavandino, due brandine posizionate talmente vicine tra loro che avrebbero tranquillamente potuto essere sostituite da un unico letto matrimoniale e due minuscoli comodini sui quali si sarebbe potuto riporre a malapena un libro. Nemmeno l’ombra di un armadio in cui appendere i vestiti.

Non appena il guaritore se ne fu andato chiudendosi la porta alle spalle, la ragazza si lasciò cadere sul letto e alzò lo sguardo su Unna. Si sentiva un po’ a disagio davanti all’immobilismo e al silenzio della germanica, ferma in piedi a pochi passi da lei. «C’è qualcosa che non va?» chiese, perplessa dall’atteggiamento della cognata.

Improvvisamente, quella alzò il capo e incontrò i suoi occhi. «Tu vuoi dormire con Ulf?»

Lidia avvampò. «Ah. Ehm, i-io…» accorgendosi del proprio balbettio, la fanciulla inspirò a fondo. «Perché?» chiese, con voce più controllata.

Lentamente, Unna sollevò le spalle. «Be’, mi parrebbe anche normale, visto che è tuo marito e che, sorprendentemente, voi due sembrate andare anche abbastanza d’accordo.»

«Mi piacerebbe» ammise allora Lidia, senza riuscire a evitare che sul viso le comparisse l’ombra di un sorriso. «Però prima ci sono diverse cose di cui dovremmo parlare, e poi il guaritore ha detto che questa è l’unica stanza disponibile… cioè, immagino che, volendo, tu e Ulf potreste scambiarvi la camera? È questo, che mi stai proponendo?

Sul volto della giovane bionda comparve una lievissima sfumatura rosata. «Non so se Ulf ha una stanza singola.»

La ragazza bruna aggrottò la fronte, senza capire. «Eh?»

«Non vorrei ritrovarmi a dormire con quel tizio!» sbottò Unna, mentre il suo rossore si faceva più pronunciato.

Lidia sgranò gli occhi, sorpresa che un’ipotesi del genere potesse anche solo essere passata per la mente della cognata. «Ma, Unna, è ovvio che non dovrai dividere la camera con lui!» esclamò, senza riuscire a trattenere una risata incredula. «Voglio dire, stiamo anche parlando della stessa persona che hai appena…» La sua voce sfumò e il sorriso le svanì dalle labbra. Stiamo parlando della stessa persona che hai appena accoltellato, stava per dire. Verosimilmente, nel tentativo di ammazzare Tito, aggiunse, poi, osservando la cognata con la coda dell’occhio.

Unna la fissò di rimando, gli occhi azzurri attenti e penetranti. «Cioè», riprese Lidia, schiarendosi la voce, «quello è assolutamente scontato. Comunque non devo per forza dormire con Ulf: se la cosa ti fa sentire più sicura, possiamo lasciare le cose così come stanno… tanto ci passeremo al massimo un paio di notti, qui, no?» Mentre parlava, le era venuto istintivo posare una mano sul braccio della cognata. Stupita dal suo stesso gesto, Lidia si irrigidì per un istante, ma non distolse la mano.

Fu la giovane bionda ad allontanarla, scrollando debolmente le spalle. Quando parlò, però, la sua voce suonò stranamente morbida. «Poi vediamo» mormorò, rivolgendo alla ragazza l’accenno di un sorriso.

Un bussare leggero alla porta le interruppe e, pochi attimi più tardi, una donna di mezza età comparve sull’uscio tenendo tra le braccia alcuni abiti ripiegati con cura. «Ve li lascio sul letto» annunciò la domestica, parlando un latino sorprendentemente privo di inflessioni per una donna del popolo. «Se c’è qualcosa che non va, fatemelo sapere: potete trovarmi in cucina.»

Lidia la ringraziò e subito allungò una mano verso una gonna di morbida lana blu. Il suo animo fu percorso da un brivido di piacere al pensiero dell’imminente contatto tra il tessuto caldo e le sue gambe intirizzite. «Io mi cambio subito, eh!» annunciò a Unna, prendendo subito ad armeggiare con la chiusura della tuta scura. Brevemente, la sua mente tornò a quando la cognata l’aveva costretta a spogliarsi durante in occasione della sua prima notte di nozze e la fanciulla deglutì, cercando di allontanare il retrogusto amaro che improvvisamente le aveva invaso la bocca.

Non è il momento di pensare a queste cose, si disse, sfilandosi il tessuto fradicio dalle spalle. Non so perché si sia comportata in quel modo, né perché mi odiasse tanto, ma adesso le cose sono cambiate. Anche se non lo ammetterebbe mai, non è più così ostile verso di me. Non era forse un gran che, come punto di partenza su cui costruire un’amicizia, ma Lidia sentiva che era comunque qualcosa da non sottovalutare. Anche perché non è che io abbia conosciuto poi tante altre persone che potrebbero diventare mie amiche, a dire il vero… non sono stata molto brava, con le relazioni sociali.

Immersa in quei pensieri, la ragazza si infilò una camicia di lino chiara e un corpetto di lana cotta, marrone e decorato con motivi floreali. Vestita così sembro proprio una germanica, riconobbe, con una punta di stupore. Avrebbe forse dovuto raccogliere i capelli nelle trecce che piacevano tanto a Unna?

Senza che lei se ne accorgesse, anche la germanica si era cambiata d’abito e ora stava esaminando con aria critica la gonna verde che le arrivava a metà polpaccio. «È troppo stretta», decretò. «e anche troppo corta. Io vado a farmene dare un’altra.»

Tornando a sedersi sul letto, Lidia annuì. «Va bene» disse, prima di esitare in preda all’incertezza. «Ti… ti aspetto qui?»

«Faccio in fretta» la rassicurò la donna. «Due minuti e sono di ritorno.»

Con quelle parole, la giovane marciò verso la porta, ma quella si aprì prima ancora che lei raggiungesse la maniglia. «Eh!» esclamò Unna, scattando all’indietro. «Per poco non mi prendi in faccia!» Per un istante, Ulf abbassò lo sguardo sulla sorella, ma poi la sua attenzione si appuntò su Lidia. «Albert non ti aveva mica detto di aspettare di sotto?» Lo interrogò di nuovo Unna, posandosi le mani sui fianchi.

L’uomo storse la bocca, come se l’osservazione fosse di poco conto. «Be’, sì, però…» Il giovane lasciò sfumare la frase, tornando a guardare la moglie.

La giovane bionda scosse il capo. «Va be’, ho capito. Io vado a cercare dei vestiti che mi vadano bene. Facciamo che torno tra dieci minuti e non tra due, d’accordo?»

Lidia le rivolse solo un vago cenno d’assenso, tutti i sensi concentrati sulla figura del marito. Ulf… pensò, mentre il suo stomaco eseguiva una capriola. Per una frazione di secondo, la ragazza rimase come inchiodata sul copriletto, poi le sue gambe si mossero senza la sua autorizzazione. Lentamente, provando la sensazione di trovarsi immersa in un’atmosfera stranamente vischiosa, la fanciulla si avvicinò all’uomo, la mente libera da ogni pensiero che non fosse quello di raggiungerlo. Poi, quando si trovò a pochi passi da lui, scattò in avanti. Le sue braccia si strinsero attorno alla vita di lui e la sua testa ritrovò la posizione sul suo petto – appena sotto la clavicola – che fino a poco tempo prima le era stata tanto famigliare.

Non mandarmi via, pensò, stringendolo forte. Con gli occhi chiusi, Lidia si prese qualche istante per assorbire il suo calore e respirare il suo profumo. Una frazione di secondo più tardi, le mani dell’uomo le percorsero brevemente la schiena prima di attirarla a sé e la giovane si sentì travolgere dal sollievo. Solo in quel momento si accorse di quanto avesse temuto che Ulf la allontanasse, così come aveva fatto in occasione del loro ultimo incontro. Quando il suo volto le sfiorò i capelli, Lidia si staccò leggermente da lui e lasciò che le sue mani corressero verso l’alto, scivolando attorno alle spalle del marito.

Ulf serrò la presa sui suoi fianchi e spostò la testa quel tanto che bastava per guardarla in volto. «Lidia?» mormorò.

Alle orecchie della fanciulla, il suo nome suonò come una domanda e le sue dita furono percorse da un tremito. Non sapeva che cosa le stesse chiedendo, ma sapeva di per certo che dovevano parlare. Era di fondamentale importanza: non potevano più andare avanti come avevano fatto fino a quel momento, cercando di schivare gli ostacoli e sperando di non incontrarne mai uno troppo grosso da evitare e contro cui non avrebbero potuto fare altro che andarsi a schiantare.

Ma dobbiamo farlo proprio adesso? Si chiese la giovane, mentre tutto il suo essere si ribellava a quella prospettiva. È importante, ma non potresti almeno darmi un bacio? Mi sembra passato così tanto tempo, dall’ultima volta…

L’uomo le posò una mano sulla guancia e con una carezza salì fino a sfiorarle con le dita i capelli ancora umidi. Senza distogliere lo sguardo dal suo viso, Ulf sorrise. «Stai bene?» le chiese. Una domanda semplice, ma che le scaldò il cuore.

Chinando appena il capo di lato, Lidia non si trattenne e gli posò un bacio sul dorso della mano. «Sì» mormorò. «È stato più lo spavento che altro.»

Il giovane annuì lentamente, poi le sue dita si spostarono verso la nuca della ragazza e affondarono nei suoi capelli morbidi. Senza una parola, si chinò su di lei e la fanciulla trattenne il fiato, mentre il cuore le martellava nel petto. Nel momento in cui le loro labbra si incontrarono, Lidia ebbe come la sensazione di essere a casa, di essere tornata in un luogo famigliare, sicuro, un luogo in cui la luce calda del sole disperdeva il buio e l’umidità di una notte di pioggia. Quasi inconsciamente, la fanciulla si strinse di più al marito e Ulf, sorpreso dal suo entusiasmo, inspirò bruscamente. Quando però Lidia socchiuse le labbra, colse immediatamente l’invito della ragazza e approfondì il bacio, scivolando nella sua bocca.

Lidia rabbrividì, pensando che tutto quello che contava in quel momento era lì, a portata di mano: era così che doveva essere e lei era stata davvero stupida a credere che potesse essere altrimenti. Ti amo, pensò, e fu anche tentata di dirglielo, ma non si sentiva ancora così coraggiosa. Si disse allora che quello non era il tempo, né il luogo adatto per tali confessioni. Ma questo non lo rende meno vero, riconobbe, ammettendo che era ormai giunto il tempo di essere sincera almeno con se stessa.

Dopo un tempo che a Lidia parve troppo breve, Ulf si allontanò da lei e le posò un bacio sulla fronte, prima di fare un piccolo passo indietro. «Dovremmo parlare» sospirò, quasi controvoglia. «Magari non subito, ma credo che sia meglio…»

Quando il giovane lasciò sfumare la frase, la ragazza provò una sgradevole fitta allo stomaco e le sue labbra si piegarono in una smorfia. «Lo so» ammise, annuendo. Automaticamente, le sue mani cercarono quelle del marito e Ulf le strinse, ma rimase in silenzio, lasciando che fosse la fanciulla a fare il primo passo.

«Mi dispiace per come mi sono comportata» mormorò ancora Lidia. «Avrei dovuto dirti subito di Tito. Forse avremmo evitato tanti guai, se l’avessi fatto.» Ora che aveva pronunciato quelle parole, il segreto che l’aveva tormentata per tanto tempo le pareva terribilmente stupido. «È per questo che te ne sei andato in quel modo, quando siamo tornati dall’incontro con Donna Erin e con Fratello Kay?»

Ulf annuì. «Sì. Avevo… credevo di avere intuito chi fosse quel ragazzo e la cosa mi ha fatto sentire… be’, quasi tradito.» Dopo una breve pausa, il giovane abbassò gli occhi al suolo. «Questo non toglie però che non avrei dovuto reagire in quel modo. E, soprattutto, non avrei dovuto lasciarti da sola a casa, questa mattina: avrebbe potuto succederti di tutto.»

Lidia storse la bocca. «Probabilmente non mi sarebbe successo niente – non ci sarebbe successo niente – se fossimo rimasti tutti a casa. E invece adesso Tito è morto e Hermann sta male…»

«Mio fratello starà meglio» la rassicurò Ulf, lasciandole le mani e tornando a cingerle le spalle, attirandola a sé. «E mi dispiace per il tuo… amico

«Era davvero solamente un mio amico» sussurrò lei, affondando il viso contro il petto del compagno. «Era così stupido… e anche coraggioso. Che idiota. Gli volevo bene.» Le parole le sfuggirono di bocca senza controllo, mentre il dolore per la perdita di Tito tornava a sollevare la testa e gli occhi le bruciavano a causa delle lacrime che li avevano improvvisamente riempiti.

Ulf la strinse più forte e le posò un bacio sui capelli. Puntando le mani sulle sue spalle, Lidia cercò i suoi occhi, senza preoccuparsi del proprio viso arrossato. «Ho cercato di fermarlo» sussurrò. «Ho cercato di mettermi tra lui e Karl, ma non ce l’ho fatta. Non so a cosa pensasse, quando… nemmeno Alexander ha potuto fare niente.»

Il giovane strinse i denti per una frazione di secondo, un movimento nervoso che fece capire a Lidia quanto ancora gli facesse male la morte dell’amico. «Alexander mi ha già raccontato cos’è successo. Nemmeno Karl aveva un carattere facile… e, tra l’altro, resta da capire perché ti avesse seguita.»

Lidia aggrottò la fronte, perplessa. «Voleva riportarmi a casa, da te. E, in effetti, è proprio quello che stava facendo.»

«Sì, ma come faceva a sapere che tu e quei soldati eravate stati attaccati? Chi gliel’ha detto?»

La ragazza si mordicchiò le labbra, cercando di ricordare che cosa le avesse detto Karl, quando l’aveva portata via dalla cascina abbandonata. Le parole del cognato erano però solo un ricordo lontano e Lidia si rese conto di non aver mai veramente scoperto cosa facesse Karl, quando non lavorava in miniera. Sicuramente non aveva simpatia per Roma; e credo anche che avesse qualcosa a che fare con i ribelli

Di certo, però, la consapevolezza delle azioni poco limpide del giovane non rendeva la sua morte meno dolorosa per Ulf e per Unna. «Non lo so» mormorò allora Lidia, rispondendo alla domanda che il marito le aveva rivolto pochi istanti prima.

Ulf la fece sistemare meglio contro di sé e le posò una guancia sulla sommità del capo. «Perché non mi hai detto nulla di Tito?» chiese, ritornando sull’argomento sul quale, evidentemente, gli premeva di più fare chiarezza.

Lidia prese a giocherellare distrattamente con il tessuto della maglia del marito, riordinando rapidamente le idee. «All’inizio, quando le cose tra di noi non andavano proprio benissimo, pensavo di scappare con lui: eravamo fidanzati, a Roma, e lui mi aveva promesso di venirmi a prendere.»

L’uomo si irrigidì leggermente. «Ah. Allora non era proprio solo un tuo amico.»

La fanciulla non riuscì a impedirsi di alzare gli occhi al cielo. Cos’è, è geloso? Si chiese, con una punta di irritazione. Oggettivamente, Ulf aveva tutte le ragioni per essere geloso nei confronti di Tito, ma, in quel contesto, la sua osservazione le parve fuori luogo. «Invece sì, lo era» ribadì, incontrando il suo sguardo. «C’è stato un tempo in cui… boh, pensavo di essere innamorata di lui. Però non lo so, forse era solo affetto: ci conosciamo da diversi anni.» Tornando ad appoggiarsi contro di lui, la ragazza riprese, con voce più morbida: «Poi, però, ti ho conosciuto meglio e ho capito che volevo stare con te. Stare con te è… diverso. Ho capito che il mio posto è qui: non dico di preferire la Germanica a Roma, ma non ho alcuna intenzione di scappare. O di farmi cacciare via, se è solo per questo. E Tito lo sapeva: gliel’ho detto, e lui ha acconsentito a starmi accanto solo come amico. Sai, in caso le cose si fossero messe male e io avessi avuto bisogno di aiuto.»

«E la cosa ti ha impedito di parlarmi di lui?» insistette Ulf, posandole le mani sulle spalle come se intendesse allontanarla da sé.

Lidia irrigidì la mascella e retrocedette di un passo, incontrando ancora una volta gli occhi dell’uomo. «Se non te ne ho parlato, è perché non sapevo come avresti reagito» ammise, con voce grave. «So di avere sbagliato, questo sì, però… ti ricordi quel giorno in cui mi hai raccontato quello che avevi intenzione di fare prima di conoscermi? Quando mi hai detto che Karl ti aveva addirittura suggerito di… di farmi sparire, insomma?» Sul volto del giovane passò un lampo di consapevolezza e qualcosa parve ammorbidirsi, nel suo sguardo. Deglutendo per allentare la tensione, Lidia riprese. «Ecco, ero stata sul punto di dirti tutto, quel giorno, ma poi me ne è mancato il coraggio. Anche perché avevo appena incontrato Karl e lui mi aveva minacciata, e… quello che voglio dire è che anche se non amavo più Tito, gli volevo ancora bene. Non volevo metterlo in pericolo.»

«Io non avrei mai fatto del male a quel ragazzo» sbottò Ulf, come se la vaga insinuazione della giovane romana l’avesse offeso.

Lei, però, si rifiutò di lasciarsi intimidire. «E lo stesso vale per Karl? Se proprio sicuro che lui non gli avrebbe fatto del male?»

Ulf sollevò un sopracciglio, scettico. «Se devo basarmi sugli avvenimenti recenti…»

Lidia frustò l’aria con una mano. «Sai benissimo che cosa intendo. Se Karl è morto, è perché è caduto dalle rocce ed è finito in una scarpata. Se il terreno fosse stato diverso… se il terreno fosse stato diverso, credo proprio che le cose sarebbero andate diversamente.» Notando l’espressione tesa del marito, la fanciulla si affrettò ad abbandonare quell’argomento. «In ogni caso», riprese, «all’epoca io non potevo sapere quello che sarebbe successo: ho solo pensato a proteggere Tito.»

«E non ti sei fidata di me» concluse Ulf, con amarezza.

La ragazza abbassò brevemente gli occhi, a disagio. «Più che altro, non mi sono fidata di Karl.»

«È la stessa cosa» borbottò l’uomo. «Hai creduto che corressi a raccontargli tutto senza nemmeno pensare alle conseguenze.»

Lidia rifletté per qualche istante, mentre un pensiero improvviso si affacciava alla sua mente. «Che cosa è successo a Unna?» chiese, a bruciapelo.

L’uomo rimase in silenzio qualche istante, sorpreso dal repentino cambio di argomento. «Come, scusa?» ribatté, scrutandola in volto come se stesse cercando di indovinare che cosa le passasse per la testa.

Lei storse la bocca, impaziente. «Dopo tutto questo tempo, non sono ancora riuscita a capire che cosa è successo a Unna e che cos’è che vi ha spinto a odiare tanto Roma e la mia gente. Lei non ne parla, tu non ne parli. Hermann, però, sostiene che è una cosa importante e che io avrei tutti i diritti di conoscere i dettagli… perché è una cosa che mi riguarda, in un certo senso.» Quelle non erano state le testuali parole del giovane germanico, ma, in quella situazione, Lidia decise di prendersi qualche licenza poetica.

Contrariamente a quello che si era aspettata, Ulf non protestò. «Non vedo molto il nesso logico con quello che stavamo dicendo, però hai ragione: forse è il caso che ti raccontiamo una volta per tutte questa storia… soprattutto alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni.»

«Il nesso logico sta nel fatto che io non mi sono fidata di te e non ti ho raccontato di Tito, però nemmeno tu ti sei fidato di me, visto che non mi hai mai detto nulla del passato di tua sorella – e, indirettamente, del tuo» sospirò la ragazza. «E, comunque, in che senso? Cosa intendi con “quello che sta accadendo in questi giorni”?»

Ulf sospirò e portò le mani sui fianchi della ragazza, stringendoli brevemente come per saggiare la concretezza della sua presenza. «Mi riferisco alla storia della macchina su cui sei salita. C’è gente strana in giro e, francamente, non posso fare a meno di pensare che inizino a esserci un po’ troppe somiglianze con ciò che stava accadendo prima che Unna fosse presa…»

Lidia sgranò gli occhi. «Stai dicendo che Unna è stata portata a bordo di una di quelle macchine?» Quando Ulf le rivolse un cenno d’assenso, la giovane scosse il capo un paio di volte. «Ma cosa c’entra Roma? Lì sopra io ho incontrato Donna Erin, non dei soldati romani… a meno che tu non sia ancora convinto che sta facendo il doppio gioco?»

Ulf la attirò a sé. «Ti racconterò tutto, ma non adesso e non da solo: mia sorella deve essere presente. Ha il diritto di dire la sua e di evitare di parlare di certi particolari, se non lo desidera.»

La fanciulla fu sul punto di protestare, ma poi annuì. «E va bene. Vediamo di non rimandare troppo il discorso, però.»

«Promesso» mormorò Ulf, chinando il capo e appoggiando la fronte contro quella della ragazza.

Lidia chiuse gli occhi per qualche secondo, godendosi la vicinanza con il marito e il silenzio, la rinnovata sensazione di pace che pareva essere calata su di loro dopo lo scambio di battute che avevano appena avuto. «Sei arrabbiato?» chiese dopo un po’, a voce bassa.

Lui esitò qualche istante, prima di rispondere. «Forse un pochino» ammise piano. «Più che altro, però, ero preoccupato. Sono ancora preoccupato, considerata la tua innata propensione a cacciarti in situazioni assurde e pericolose.»

«Esagerato» mormorò lei di rimando, sorridendo appena. «Comunque anch’io sono…» Lidia si interruppe, cercando le parole giuste. Non poteva dire di essere propriamente arrabbiata, ma era fondamentalmente insoddisfatta del modo in cui si erano svolte le cose. «Dobbiamo cercare di fare meglio, da adesso in poi. Dobbiamo parlare di più. Dobbiamo fidarci di più l’una dell’altro.»

«Possiamo farlo?» chiese Ulf, sfiorandole il naso con il proprio.

Lidia sentì una sensazione di calore lambirle lo stomaco e un piacevole languore scivolarle lungo le braccia e nel petto. «Perché no?» sorrise, tornando ad allacciare le mani sulla nuca del compagno. Sollevandosi sulla punta dei piedi, la giovane cercò le labbra dell’uomo. Ulf mormorò qualcosa che lei non riuscì a capire, poi inclinò il capo, baciandola più a fondo e facendo aderire il busto di lei contro il proprio. Deliziata, Lidia si aggrappò a lui, con la testa improvvisamente leggera. Mh, pensò, portando una mano tra i capelli dell’uomo e trovandosi a desiderare di avere molto più tempo di quello cha avevano a disposizione.

La ragazza fece appena in tempo a registrare il rumore di passi che si avvicinavano rapidamente, che la porta si spalancò e la voce di Unna li costrinse a separarsi. «E pensare che credevo di essermi tolta dai piedi abbastanza a lungo!» commentò la donna, sarcastica.

Con uno sbuffo divertito, Ulf si allontanò da lei e Lidia vacillò per un istante, momentaneamente spaesata dal movimento repentino. «Altri dieci minuti sarebbero stati graditi» la informò lui, lanciandole un’occhiata di sbieco.

Unna arricciò il naso, «Sì, be’. Mi sono cambiata, la cena è pronta, Albert mi ignora e io di certo non ho intenzione di fare conversazione con il vostro amico rosso. Quindi venite di sotto, per favore.»

Lidia soffocò un sospiro, portandosi automaticamente le mani ai capelli e pettinando in maniera sommaria le ciocche scompigliate. Se proprio dobbiamo, pensò, rivolgendo uno sguardo rassegnato al marito. Per tutta risposta, Ulf si strinse nelle spalle e si avviò verso la porta.

***

Arroccata su uno sgabello, Lidia sorbì un altro sorso del brodino che la domestica di Albert aveva servito a lei e a Unna. «Ma non sarebbe meglio se andassimo a prendere Hermann?» chiese, per quella che doveva essere la terza o la quarta volta. Si trovavano in sala da pranzo da quasi un’ora e, anche se si erano aggiornati vicendevolmente sugli avvenimenti delle ultime ore, non avevano ancora fatto nulla di concreto per portare il ragazzo nella cascina del guaritore.

Rivolgendole appena un’occhiata distratta, Alexander annuì rigidamente, sfiorando con la punta delle dita la tavoletta posata sul tavolo davanti a lui. «Certo, tra poco ci andiamo» rispose con voce tesa. «Voglio solo aspettare un altro po’, nel caso Erin riesca a mettersi in contatto con noi.» Detto ciò, l’uomo tornò a fissare astiosamente Unna, attività che l’aveva tenuto occupato per tutta la durata di quella misera cena consumata a notte fonda.

Ulf spinse indietro il proprio sgabello e le gambe di legno produssero uno stridio acuto a contatto con il pavimento. «Non ricominciamo» sbottò. «Lasciala in pace.»

L’uomo dai capelli rossi lo fulminò con lo sguardo. «La coltellata me la sono presa io, quindi decido io se ricominciare o meno. Le ho solo chiesto delle scuse: non mi sembra una cosa così inconcepibile!»

Con il volto nascosto dalla scodella di ceramica, Unna piegò le labbra in una smorfia simile a un ringhio, ma non disse nulla. «Allora?» insistette Alexander, sporgendosi in avanti con gli occhi fissi su di lei. «Hai intenzione di chiedermi scusa o cosa?»

Espirando lentamente dal naso, la giovane bionda posò la tazza sulla tovaglia immacolata. «No» replicò, glaciale.

Per un istante, Lidia provò l’irrefrenabile tentazione di mandare tutti all’Inferno e di ritirarsi nella propria camera – come, del resto, Albert aveva prudentemente fatto già da tempo. Sono stanca morta, pensò, stropicciandosi gli occhi con la mano libera. Mi sembra di non dormire da anni, tra poco sarà l’alba e questi due se ne stanno qui a litigare come bambini. Non ne posso più! Occhieggiando lo schermo scuro della tavoletta adagiata sulla tovaglia, la fanciulla provò a dirottare la discussione su un argomento che, a suo parere, era più pressante delle questioni irrisolte tra Unna e Alexander. «Non per essere ripetitiva», esordì, rivolta all’uomo dai capelli rossi, «ma credi che Donna Erin riuscirà a trovare una tavoletta con cui contattarci?»

Distogliendo gli occhi da Unna, Alexander annuì. «Non dovrebbe essere una cosa troppo complicata, per lei: se è ancora a bordo dell’incrociatore, mettere le mani su uno di questi affari dovrebbe essere piuttosto semplice.»

Grata di aver ricevuto una risposta discretamente elaborata, la fanciulla lo interrogò ancora: «Credevo che avessi detto che si trattava di oggetti piuttosto rari: non è così?»

Lui esitò. «Be’… qui sono sicuramente rari. Dalle mie parti, invece, decisamente meno.»

Appoggiando entrambe le braccia sul tavolo, Ulf fissò per qualche istante la tavoletta. «Credi di poterci dire da dove viene questa tavoletta? Quando te l’ho chiesto, prima, mi hai detto che non era il momento adatto per parlare di queste cose: forse adesso lo è?»

Lidia fu percorsa da un tremito, mentre la sonnolenza che l’aveva accompagnata fino a quell’istante svaniva in un sol colpo. Con lei, Alexander si era sempre rifiutato di parlare in maniera chiara delle proprie origini, limitandosi a dirle che veniva da lontano. Come per un collegamento di idee, la sua mente corse agli strani libri che aveva visto nella sua capanna nel cuore della foresta, ai piccoli caratteri regolari che non era stata in grado di decifrare, né di collegare ad alcuna lingua a lei nota. Quanto lontano può essere questo luogo? Si chiese. Perché nemmeno Donna Erin ha voluto sbilanciarsi?

Lentamente, l’uomo scosse il capo. «Facciamo una cosa un po’ diversa, invece. Secondo voi, da dove viene? Eh, Lidia?» chiese, lanciando un’occhiata insondabile alla giovane romana. «Secondo te, da dove vengo, io?»

La fanciulla aggrottò la fronte e Ulf sbuffò. «Personalmente non ho nessuna voglia di perdere tempo con questi giochetti: parla chiaro.»

Alexander si passò entrambe le mani tra i capelli e rivolse loro un’occhiata stanca. «Vedete, lo farei anche, se potessi. Il problema è che, con ogni probabilità, non mi credereste affatto.»

«Tu dici?» lo provocò Ulf.

L’altro lo guardò con un mezzo sorriso. «Vogliamo vedere? Che cosa mi direste, se vi dicessi che vengo da lì?» Così dicendo, il giovane puntò un indice verso il soffitto.

Unna, che era rimasta relativamente silenziosa, seguì con lo sguardo il suo dito teso. «Da lì dove?» chiese, con la voce che grondava disprezzo. «Dal sottotetto?»

L’uomo le rivolse un sorriso smagliate. «No: dal cielo.»

I tre giovani seduti accanto a lui rimasero in un silenzio attonito per qualche istante, poi Unna ricambiò il sorriso di Alexander. «Oh, dal cielo» ripeté, con voce melliflua. «Ci prendi per il culo o cosa?»

Per tutta risposta, Alexander si strinse nelle spalle. «Ve l’avevo detto, che non mi avreste creduto!» esclamò, nella voce una nota che pareva quasi di trionfo.

«Eh, per forza!» sbottò ancora Unna. «Se ci dai risposte stupide, come puoi pretendere che ti crediamo?»

Adagiandosi contro lo schienale della sedia, Lidia lo osservò pensierosa. Dal cielo, si ripeté. E io che ero quasi arrivata a credere che venisse dall’Oltretomba… Alexander aveva mentito, quello era assolutamente ovvio, ma la sua menzogna non aveva fatto altro che solleticare ulteriormente la sua curiosità. Che motivo c’era di sfidarli e di provocarli in quel modo? Quale segreto voleva proteggere con quelle bugie così palesi?

Prima che potesse trovare una risposta, la superficie della tavoletta si illuminò e un riquadro rosso prese a pulsare al centro dello schermo. «Che succede?» chiese, mentre il suo cuore accelerava i battiti. «È Donna Erin?»

Alexander assottigliò gli occhi, inclinando di qualche grado il capo per leggere il nome inscritto nel rettangolo scarlatto. «Sì» confermò sommessamente. Sfiorando lo schermo con le dita, l’uomo avvicinò a sé la tavoletta. «Erin? Mi senti?» chiese, parlando come se si stesse rivolgendo all’oggetto posato sul tavolo. «Sono qui con Lidia e Ulf e… la sorella di Ulf.»

Con grande sorpresa della giovane romana, dalla tavoletta giunse la voce della Sacerdotessa: leggermente distorta, ma comunque perfettamente riconoscibile. «Ti sento. Lidia è riuscita a raggiungerti? Ha portato Hermann con sé?»

Avvicinandosi ulteriormente alla tavoletta, Alexander parlò in fretta. «Lidia è arrivata e sta bene. Il ragazzo, invece, è a casa di suo padre. Lo recupereremo tra poco: aspettavo di avere tue notizie, prima di partire.»

«Bene. Hai già avuto qualche contatto con gli altri?» chiese la voce incorporea di Erin.

L’uomo corrugò leggermente la fronte. «Con gli altri? No, non ho parlato con nessuno… fatta eccezione per Albert, naturalmente.»

«Allora ascolta», riprese la donna, con una certa urgenza, «temo di non avere molto tempo a disposizione. Tra poco si accorgeranno che Hermann non è più in infermeria e io voglio evitare di attirare troppi sospetti. Ci sono delle cose che devi sapere.»

Donna Erin fece un breve pausa, come per assicurarsi di avere l’attenzione di Alexander. «Ti ascolto» le assicurò lui. «Ti ascoltiamo tutti.»

«Preferirei che tu fossi solo, ma immagino che sia inutile chiederti di mandare via i ragazzi.» Senza aspettare la replica dell’uomo, la Sacerdotessa riprese a parlare. «Abbiamo ricevuto un messaggio dalla Greyhound. Han arriverà prima del previsto e sarà qui già domani mattina. Il fatto che si stia muovendo così in fretta deve per forza significare qualcosa… probabilmente che ha dei sospetti a proposito di quello che sta facendo Kay, tant’è vero che ha già chiesto di incontrarlo.»

«Han ha su Kay un’autorità solo formale: sa benissimo che non può pretendere di dargli degli ordini. A cosa dovrebbe servire, questo incontro?» ribatté Alexander.

Confusa da quella conversazione di cui riusciva soltanto a intuire il significato, Lidia cercò lo sguardo dei gemelli, ma anche loro parevano quasi smarriti, forse incerti di quale fosse l’effettiva importanza delle informazioni che stavano ricevendo.

«Be’, il fatto che si stia interessando alla faccenda è comunque meglio di niente» fece Donna Erin, rispondendo all’osservazione di Alexander. «Probabilmente lei è l’unica persona abbastanza vicina e abbastanza autorevole per fermarlo… o, per lo meno, per costringerlo a pensare molto bene a quello che sta facendo.»

«Ammesso che abbia interesse a farlo» commentò l’uomo, con un’espressione tetra che a Lidia non piacque nemmeno un po’.

«Ammesso che abbia interesse a farlo» concesse la Sacerdotessa. «Il fatto è che, per quanto ne so io, Kay non le ha mai inviato nessun tipo di rapporto, nemmeno prima di arrivare fisicamente a Erding. Di fatto l’ha scavalcata, sapendo probabilmente che non avrebbe particolarmente apprezzato la sua linea d’azione. Se la conosco, questa cosa non le piacerà affatto.»

«Io temo che, a questo punto, Kay sia intenzionato ad arrivare fino in fondo. Si sta muovendo in un modo che… sinceramente, non vedrei altra spiegazione» riprese Erin, dopo qualche istante di silenzio. «In questi giorni non si è dato pace: sta raccogliendo prove per dimostrare che i disordini che si stanno manifestando in tutta la regione stanno influenzando negativamente la rendita delle miniere.»

«Ma l’impatto è davvero tanto grave?» chiese Alexander.

«Non lo so» fu la replica della Sacerdotessa. «Ma quel ragazzo è sveglio e sa manipolare le informazioni a suo favore. Di certo, se scoppiasse una guerra aperta dovremmo sospendere la raccolta di olivite. Per ora, però, la situazione è ancora sotto controllo. C’è sotto dell’altro, credo. Il problema è che non so di cosa si tratti.»

Anche se aveva l’impressione che Erin stesse parlando in modo volutamente vago per far sì che solo Alexander potesse capire veramente quello che stava dicendo, Lidia sentì qualcosa di estremamente sgradevole stringerle lo stomaco. Ancora una volta, le tornarono alla mente tutte le velate minacce che aveva sentito pronunciare durante il suo soggiorno in Germanica dai due sedicenti Sacerdoti. Che cosa vuol dire che intende arrivare fino in fondo? Si chiese, con un vago senso di nausea. E che cosa c’entra l’olivite? Confusamente, ricordò che Donna Erin le aveva detto, molto tempo prima, che gli Dèi non avrebbero accettato che le offerte si fermassero e che la gente non sacrificasse più l’argento e altri beni preziosi. Tuttavia, non aveva forse recentemente scoperto che gli Dèi non c’entravano niente in quella storia? Niente Dèi, niente punizione divina, no? Eppure, iniziava a intravvedere la possibilità che ci fosse un altro tipo di reazione. Una punizione… o forse una rappresaglia?

«Io…» Alexander esitò. «Io non so cosa dire. Non lo conosco abbastanza bene per indovinare che cosa gli passa per la mente. Non so nemmeno che cosa fare… che cosa vuoi che faccia?»

«Credo che sarebbe il caso di parlare con Han prima che lei parli con Kay. Lo farei io, ma Kay sta rientrando sulla nave e difficilmente riuscirò a intercettare Han prima che arrivi da lui. Quello che posso fare, però, è contattare Ariel – che è di turno sulla Greyhound – e dirle che Albert ha in cura un malato che ha bisogno delle sue attenzioni. Recupera Hermann, portalo alla capanna di Albert e, domani mattina, quando Ariel arriverà per visitarlo, cerca di convincere Han a dedicarti due minuti. Spiegale quello che sta accadendo, riferiscile pure quello che ti ho detto a proposito di Kay… io cercherò di raggiungervi il prima possibile, ma non posso assicurarti che riuscirò a essere da voi già domani mattina: se scappassi dalla nave, Kay penserebbe che ho qualcosa da nascondere.»

Alexander rimase immobile per qualche secondo, poi annuì mestamente. «Va bene. Non sono sicuro che possa servire a qualcosa, ma ci proverò comunque.»

«Perfetto» replicò Erin. «Ora è meglio che vada: ho detto al pilota che mi serviva il suo trasmettitore per archiviare alcuni dati… non posso metterci troppo tempo.»

«Va bene» acconsentì l’uomo. «Se puoi, mettiti in contatto con me anche domani.»

«Farò il possibile» fece la donna. Subito dopo, la tavoletta si fece buia e silenziosa e Alexander alzò lo sguardo, scontrandosi con gli occhi dei tre giovani che sedevano al tavolo con lui.

«Saresti così gentile da spiegarci di cosa stavate parlando, esattamente?» chiese rigidamente Ulf. «Sembrava che steste parlando in codice… cos’è che non volete che noi sappiamo?»

«Tante cose, a dire il vero» replicò cinicamente l’uomo dai capelli rossi. «Ma temo che, ormai, voi siate troppo coinvolti per lasciarvi completamente all’oscuro di quello che sta succedendo… e la cosa è una vera sfortuna, per voi. Se le cose andranno come spera Erin, domani incontrerete il Capitano Han Xinghua: sarà lei stessa a decidere cosa dirvi e cosa non dirvi. Io non me la prendo, questa responsabilità.»

Lidia si mosse nervosamente sul suo sgabello. «E se questa persona decidesse di non dirci niente?»

«Allora vedremo il da farsi» rispose Alexander. «Però è inutile parlarne, per adesso: è tardi, e tu e quella lì sarete sicuramente stanche. Andate a letto: Ulf e io andremo a recuperare Hermann… d’accordo?»

Nel porre quella domanda, Alexander si era rivolto a germanico. Pur con una certa riluttanza, il giovane annuì. «Ve bene. Mi pare di avere inteso che domani arriverà qualcuno che lo può curare?»

«Esatto» confermò l’uomo. «Ariel… be’, la dottoressa Ariel qualcosa. È giovane, ma pare che sia in gamba. O così almeno crede Erin: ha una gran stima di quella ragazza.»

Con un sospiro, Ulf si alzò in piedi. «Perfetto. Allora andiamo: non manca molto all’alba e non sono poi così convinto che mio padre ce lo lascerà portare via senza protestare.»

***

Una porta sbatté e Lidia si svegliò di soprassalto. Non lo avrebbe creduto possibile, vista la tensione che aveva in corpo la notte prima, ma si era addormentata subito dopo aver toccato il cuscino ed era scivolata in un sonno senza sogni.

E adesso è mattina. Ulf e Alexander saranno riusciti a portare qui Hermann? Non ho sentito niente, durante la notte…

Lanciando un’occhiata alla sua sinistra, la fanciulla vide che Unna dormiva ancora profondamente. Sembra stanca, considerò. Che si stia strapazzando troppo, viste le sue condizioni?

Facendo attenzione a non fare rumore, la ragazza gettò indietro le coperte e si alzò dal letto, infilandosi rapidamente gli abiti che aveva indossato la notte prima. Mentre si stava allacciando i lacci del corpetto – azione che non le era affatto famigliare – la porta si socchiuse, facendola sussultare. Quando scorse il volto della domestica che aveva già incontrato la sera precedente, Lidia le rivolse un cenno della mano, indicandole di aspettarla in corridoio.

«Unna dorme ancora» si scusò, quando, pochi istanti dopo, la raggiunse. «Meglio lasciarla riposare un altro po’.»

La donna le rivolse un cenno d’assenso. «Va bene» acconsentì. «Tu, però, devi scendere: il Capitano Han è qui e ha chiesto esplicitamente di te. Vuole parlarti.»

La ragazza sgranò gli occhi, trattenendo a stento un’esclamazione di meraviglia. Vuole parlarmi? Si chiese, sgomenta. Che cosa potrebbe mai volere, da me?

«Adesso?» chiese, sperando in una risposta negativa, che però non venne.

«Sì, subito» confermò infatti la domestica, rivolgendole uno sguardo che alla giovane parve quasi dispiaciuto.

Lidia deglutì. «E va bene» disse, allora, facendo del proprio meglio per mostrarsi impassibile. «Non facciamola aspettare.»

***

Through dangers untold and hardships unnumbered (chi riconosce la citazione?) sono riuscita a postare questo capitolo. Sì, ci ho messo mezzo secolo per una serie di noiosissimi motivi che non starò a elencarvi. E no, non so se posso promettere che il prossimo arriverà a breve, perché il tempo è quello che è (ovvero pochissimissimo).

Però si procede, eh! Lentamente, ma ci stiamo decisamente avvicinando alla fine di questa storia. Li sentite, i cori di giubilo?

 

 

   
 
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