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Autore: Grell Evans    29/09/2018    2 recensioni
"Io, sweetheart, non so cosa mi abbia legato a te.
Forse la tremenda solitudine e tristezza che ti leggevo in quegli occhi spaventati mi ricordava la mia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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A Sadia, ti voglio bene piccola anima.
 

ai mai pensato a cosa, cosa ti rende felice veramente, cosa è importante davvero per te?


 
C’era una piccola calca intorno a te quel giorno. Tutti, tra infermieri, medici e tirocinanti, ti osservavano come si guarda a un cucciolo costretto in gabbia, con gli occhi curiosi velati di apprensione.

Tu te ne stavi con la parte lombare della schiena appoggiata al letto, con le dita delle mani intrecciate, come a voler manifestare un evidente nervosismo quando mi chiesero di parlarti. Mi dissero che nessuno sapeva spiccicare una parola di inglese e che non sapevano come comunicare con te, che non sarebbero riusciti a cavare un ragno dal buco senza nessuno ad aiutarli.

Mi sono fatta forza, pensai che il mio dieci in inglese ottenuto con tanta fatica doveva pur valere qualcosa, così mi presentai e ti spiegai il minimo indispensabile per poter sopravvivere in quel reparto, ti rassicurai nel miglior modo possibile.

I tuoi occhi grandi, scuri, mi colpirono, risaltavano sulla tua pelle bianchissima in contrasto con quel corpo magro. Mi resi conto, dopo breve tempo, che quegli occhi non turbarono solo me, così io ed un mio collega, cominciammo a farti visita spesso nei momenti liberi dalla vita di reparto, durante gli attimi di pausa dai campanelli, quando la caposala non poteva vederci sgattaiolavamo nella tua stanza a parlarti nell’inglese migliore che potevamo ricordare in quel momento.

Nacque così la nostra amicizia, non in un bar, non all’università, non al parco ma in uno spoglio e freddo reparto d’ospedale dove avresti dovuto lottare per la seconda volta e dove io mai avrei potuto immaginare che sarei diventata la tua roccia.

Io, sweetheart, non so cosa mi abbia legato a te.

Forse la tremenda solitudine e tristezza che ti leggevo in quegli occhi spaventati mi ricordava la mia.

Forse ti leggevo dentro il terrore del sentirsi smarrita tra la gente, quando hai la consapevolezza che nessuno intorno a te può capirti.

Forse avevi tremendamente paura di restare sola durante una delle prove più ardue della tua vita.

Io, sweetheart, ti ho stretto la mano, ho cercato di regalarti i miei migliori sorrisi per quanto non mi siano mai piaciuti, per quanto io mi sentissi così impotente di fronte alla malattia orribile che ti tormentava. Io, ci ho provato.

Ci ho provato ad essere forte per te, ad essere il tuo punto di riferimento, ad esser quella persona a cui aggrapparti quando più ne avevi bisogno, la spalla su cui piangere nei momenti di sconforto, io, ne ho la sicurezza estrema, ti ho dato tutto.

I tuoi occhi vivi di terrore, colmi di lacrime, che guardavano i miei pregandomi di ucciderti, la tua voce flebile che domandava cosa mai avessi fatto di male per meritarti un dolore simile, io non li dimenticherò mai.

Poi, sweetheart, quando il pericolo era ormai scampato, era rimasta l’anoressia nervosa da combattere, un regalo velenoso della depressione.

Parlammo tanto quel pomeriggio freddo di gennaio quando sull’uscio, prima di andar via, ti raccomandai di essere forte che avremmo dovuto fare tante cose insieme; mangiare vagonate di gelato, fare shopping al centro di Roma e goderci finalmente la vita come due ragazze normali.

Ma sai che c’è?

Io mi pento.

Tu non ce l’hai fatta e a me sono rimasti i sensi di colpa.

Perché?

Io non ti ho abbracciata quanto avrei dovuto, non ti ho baciato le guance per farti sentire il mio affetto più puro.

Io, sweetheart, avrei dovuto fare molto di più e la mia profonda fiducia nella vita mi ha fatto credere che ti avrei potuto vivere a lungo e invece ti ha fatto spuntare le ali e fatto volare per sempre via da me.

Ma sai, c’è una cosa che mi riscalda il cuore davanti a questi gelidi rimorsi, un pensiero forse egocentrico, ma che mi dà pace.

Forse, prima di chiudere i tuoi splendidi occhi per sempre, mi hai pensata, hai rivissuto i nostri momenti seppur pochi, hai risentito le mie parole, hai percepito di nuovo il tocco di chi ti accarezzava la pelle bianca per darti sollievo e che è stata lo sguardo sul mondo che non potevi vivere.

Ora, sweetheart, sei libera dal dolore e dalle atroci sofferenze che la vita aveva deciso di riservarti.

Ora, i miei occhi che tanto amavi sono anche i tuoi, vivono per te.




"on sarai mai morto finchè il tuo ricordo vive, sempre e comunque, ovunque vada in giro per il mondo i lineamenti del tuo volto tra le nuvole al tramonto"
 
 

 
  
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