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Autore: Spoocky    30/09/2018    5 recensioni
Novembre 1915.
Il punto di vista di due giovani marinai sperduti sull'Isola Elephant durante l'attesa incerta del Capitano Shackleton, partito alla ricerca di soccorsi dopo il naufragio dell'Endurance.
Ispirata dalla canzone "Shackleton" di Franco Battiato
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Genere: Angst, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Il Novecento
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Sebbene ispirata a fatti realmente accaduti e facente riferimento a nomi di persone reali questa storia è un'opera di fantasia, ogni riferimento a persone o fatti estranei al contesto di riferimento è puramente casuale. 
Non ho la presunzione di ritenere che quanto da me descritto sia realmente accaduto ma ritengo sia possibile interpretarlo come verosimile.
I frammenti in corsivo sono tratti dalla canzone "Shackleton" di Franco Battiato, i cui diritti appartengono esclusivamente a chi di competenza (vale a dire non a me).


Dicono che l’Inferno sia un pozzo nero e fetido dove fiamme eterne bruciano implacabili straziando le anime dannate.
Davvero è buio e fetido ma solo pochi sanno che l’Inferno è un mare di ghiaccio.
Se la fiamma dello Spirito arde nei cuori dei fedeli, rinvigorendoli e riscaldandoli, quanto più ci si allontana dalla Grazia divina tanto più il freddo diventa intenso.
Dante Alighieri lo descrisse così nella cantica dedicata alla dannazione eterna.
William Stephenson e Timothy McCarthy non avrebbero mai letto la Divina Commedia ma stavano vivendo sulla propria pelle l’Inferno dantesco, sperduti in un mare di ghiaccio.

Mentre i 22 superstiti dell’Isola Elefante sopportavano un tremendo inverno.

Stretti uno accanto all’altro in una baracca di legno, con le mani piagate per i morsi del vento gelido e le barbe incolte sbiancate prematuramente dai ghiaccioli, ormai avrebbero dovuto essere abituati a quell’ambiente ostile. Eppure ogni giorno sembrava essere peggiore del precedente: ogni notte la neve cadeva a raffiche bagnandoli da capo a piedi, ogni giorno quel vento spietato soffiava imperituro sferzando indistintamente uomini, rocce e animali, quei pochi che erano sopravvissuti.

I due uomini, imbarcati dal capitano Shackleton come fuochista e marinaio scelto, non poterono far altro che cercare di rannicchiarsi il più vicino possibile e sperare che quel fragile riparo fosse sufficiente per permettere loro di vivere un altro giorno.
Avevano appena la forza di parlare ma il ruggito del vento era talmente forte da soffocare le loro deboli voci.

Il Circolo Polare Antartico, pochi chilometri a Sud della loro posizione, un limite semi invalicabile, quasi una cintura di castità volta a proteggere l’integrità del continente di ghiaccio. Tanti avevano cercato di violarlo e quasi tutti ne erano stati respinti. Alcuni tra gli uomini più valorosi di quel tempo avevano perso la vita nel tentativo di tracciare una nuova frontiera, di arrivare dove nessun altro fosse stato prima, quasi fosse in atto una gara frenetica per decidere chi dovesse essere il primo a camminare su un sentiero mai percorso. Lentamente, però, si iniziava a rendersi conto del fatto che l’essere umano non sia una macchina perfetta ma un organismo vivente, progettato con limitazioni invalicabili che lo costringono a soccombere in un ambiente troppo ostile.

Ci sono limiti che non possono e non devono essere superati, ci sono ostacoli davanti ai quali anche l’essere più evoluto sulla Terra deve chinare il capo e arrendersi dignitosamente, riconoscendo di aver raggiunto il limite estremo delle proprie capacità.
Questo sembrava voler insegnare loro il relitto dell’Endurance, i cui alberi ancora si stagliavano in lontananza, le sole ombre scure in un mondo altrimenti immacolato, unico segno tangibile della presenza di creature estranee e malvolute.
Alcuni guardavano ancora ad essa per ottenere rassicurazione: se uno scafo costruito da mano d’uomo può sfidare la forza della natura e sopravvivere, i suoi creatori avrebbero senz’altro potuto sfidare l’inverno polare. Ma i più sapevano che la nave era condannata, ormai erano passate settimane da quando avevano udito lo schianto della paratia sfondata ed erano consapevoli del fatto che lo scafo si stesse lentamente riempiendo d’acqua, trasformando la goletta in un relitto galleggiante[1].
Attendevano solo il momento in cui sarebbe sprofondata definitivamente, chiedendosi solo perché non lo avesse ancora fatto.

Ad un certo punto Stephenson si doveva essere addormentato perché la sua testa cadde pesante sulla spalla di McCarthy, che lo tirò a sé con un braccio nel tentativo di conservare il reciproco calore corporeo e non soccombere al gelo che li avvolgeva.
Il contatto con l’altro lo confortava, sia perché permetteva ai loro corpi di scaldarsi sia perché gli dava la certezza di non essere solo ad affrontare quell’inferno congelato, quel bianco oceano mortale da cui li separava una parete di legno neanche troppo robusta. Grazie a quel contatto sentiva la vita continuare intorno a lui e poteva sperare in un futuro migliore.
Non poteva sapere di avere ancora pochi mesi da vivere[2] e quella speranza non lo avrebbe abbandonato per tutta la durata di quel calvario, dandogli la forza di restare accanto ai suoi compagni e sostenerli mantenendo un atteggiamento positivo nonostante le condizioni disperate.
Era certo che Stephenson si sentisse inutile dato che il mestiere in cui era maggiormente qualificato aveva superato la sua necessità con il naufragio della nave[3] e per tanto decise di sfruttare quel momento di riposo per pensare a qualcosa con cui tenerlo impegnato, foss’ anche tentare di disegnare con i pezzi di carbone.
Qualunque cosa pur di dimenticare quel freddo atroce che li divorava e il cui ricordo li avrebbe senz’altro accompagnati per il resto delle loro vite.

Nel profondo del loro animo, tuttavia, tutti i superstiti al naufragio avevano iniziato a coltivare un pensiero comune al quale si rifiutavano di dare forma concreta esprimendolo a parole, nelle loro menti si era annidata una voce sibillina che cercavano con tutte le forze di mettere a tacere.
Dopo tutti quei mesi era impossibile che qualcuno si ricordasse di loro.
Era impossibile che Shackleton fosse sopravvissuto al suo tentativo di chiedere aiuto.

Ma il 30 agosto 1916 il leggendario capitano compariva a salvarli con un’altra nave.
 
- The End -
  
 
Note: 
[1] L’Endurance sarebbe affondata definitivamente il 21 novembre 1915, pochi giorni dopo l'ambientazione di questa storia.
[2] Timothy McCarthy morirà infatti il 16 marzo 1917, il suo primo giorno di combattimento dopo essersi arruolato nella Royal Navy https://www.coolantarctica.com/Antarctica%20fact%20file/History/biography/mccarthy_timothy.htm
  
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