Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: SpectraNight    01/10/2018    6 recensioni
Levi Ackerman aveva ucciso Erwin Smith.
Levi Ackerman aveva ucciso l’uomo che lo aveva salvato.
Levi Ackerman aveva ucciso l’unico uomo che lo avesse mai amato veramente.
[...]
Te ne sei andato a fanculo, Comandante.
E io lo sapevo già da tempo.
Lo sapevo che saresti morto così, per mano mia e, in fondo, pure tua.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Erwin, Smith, Hanji, Zoe, Irvin, Smith, Levi, Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Te ne sei andato a fanculo, Comandante.
E io lo sapevo già da tempo.
Lo sapevo che saresti morto così, per mano mia e, in fondo, pure tua.


Erano tornati a casa in una dimora che casa non era.
Si era lasciato cadere in ginocchio, con le mani al petto, laddove sentiva tanto male, urlando.
Urlava. Continuava a urlare. Non riusciva, non poteva smettere di urlare.
Voleva perdere la voce, voleva sentir bruciare la gola, così come sentiva bruciare tutto il resto. Gli davano fastidio i capelli, appiccicati alla fronte e aggrovigliati alle ciglia nere, lunghe, eleganti. Gli scoppiava la testa, pulsavano le tempie. E piangeva, Levi. Piangeva forte, scuotendo quel corpo minuto e forte fino allo stremo, contraendo i muscoli, solo per sentire più male. Solo un altro po’ di male.
Il soldato più forte dell’umanità, ma a quale prezzo?
Era ora inginocchiato al suolo, sporco di terra e sangue. Lo aveva ucciso lui.
Levi Ackerman aveva ucciso Erwin Smith.
Levi Ackerman aveva ucciso l’uomo che lo aveva salvato.
Levi Ackerman aveva ucciso l’unico uomo che lo avesse mai amato veramente.

Speravo di sbagliarmi, Erwin.
Speravo che potessi essere più gentile nel fottermi, Erwin.
Speravo di non dover rimanere solo di nuovo, Erwin.
Speravo di poter essere più egoista, proprio come te.
Te che mi hai fottuto il cervello. Lo sapevi, vero?
Lo sapevi che ti avrei lasciato andare.
Erwin.
Con quelle tue strategie di merda, lo avevi pianificato? Che avrei lasciato morire te?

Ma certo, lo avevamo deciso insieme, e io non ho mantenuto la mia promessa.

Era freddo il pavimento, le ossa gli facevano male, le ginocchia non sopportavano più quella tensione. Cedettero. Levi si lasciò cadere di lato, si mise a pancia in su. Singhiozzante, disperato, esausto.
Così stanco. Così tanto stanco di veder morire sempre tutti. Per colpa sua.
– Erwin, dove cazzo sei finito? – Si coprì il viso con le mani, tremando, permettendosi di diventare così piccolo, per una volta, in un mondo di grandi. Un mondo di merda che gli aveva imposto di diventare grande in fretta. Scuoteva la testa a destra e a sinistra, contorcendosi come un insetto, guaendo come un cane ferito, tenendosi coperto il viso, coperto e nascosto, perché tutto era così freddo e crudo. Come quel cazzo di pavimento. 

E adesso non c'è niente al mondo
che possa somigliare in fondo
a quello che eravamo
a quello che ora siamo
a come noi saremo un giorno


– Figlio di puttana, torna qua! – Si rimise a gridare.
Probabilmente i suoi sottoposti non lo avrebbero più preso sul serio, d’ora in poi.
Forse lo avrebbero considerato troppo emotivo. Non gliene fregava un cazzo.
– Erwin Smith, razza di stronzo! –
Sì, ma adesso non ha senso il mondo se con un gesto hai cancellato tutto.  
– Vaffanculo! – Tornò a piangere. Si rimise seduto, accovacciato, inginocchiato.
Prese a pugni il muro, si graffiò la pelle nivea, si strinse la testa tra le mani fino a sentirla urlare.
Proprio come faceva la sua gola. Aveva impressa nella mente l’immagine di Erwin là, su quel tetto, malamente appoggiato su delle tegole sporche, che piano moriva, in silenzio.
E ricordava, Rivaille, la sua decisone. E stava male. Faceva così tanto male.
Sentiva d’un tratto tutte le morti sulle sue spalle. Tutte, dalla prima all’ultima.
Ad un tratto si spalancò la porta e Hange entrò: Levi non si mosse, ma tacque, riprendendo fiato.
– Levi … – la donna aveva un tono di voce dolce, comprensivo, preoccupato.
Anche lei stava male, Erwin era stato un superiore e un confidente, proprio come Levi.
– Vattene. – un sussurro lapidario.
– Levi. – Hange scosse la testa e parlò con voce ferma, avanzando a piccoli passi verso il corpo dell’amico: lei non aveva paura. Sapeva che forse l’avrebbe picchiata, pur di allontanarla, sapeva che avrebbe potuto anche ucciderla.
E lei avrebbe capito comunque. Invece il capitano non fece proprio niente.
Si sedette accanto a lui, appoggiando la schiena al muro e chinando la testa indietro.
Sospirò. Si tolse gli occhiali, pulendoli con pacata cura.
– Hai fatto la cosa giusta. – Silenzio.
Zoe lo sentiva ansimare contro le piastrelle, nel tentativo di riprendere il controllo di sé.
– Se fosse sopravvissuto, sarebbe morto comunque. – continuò a voce bassa, ma seria.
– Che cazzo dici, quattr’occhi? – Levi ringhiava come un cane randagio, Hange sorrise tristemente.
– Dico solo che, in fin dei conti, lo hai salvato da una fine ben peggiore. Come hai detto tu, era ora di lasciarlo riposare. Egoisticamente pensavamo di doverlo riportare indietro, ma non doveva andare così. E lo sai anche tu.–
– Io gliel’avevo promesso. – Bisbigliò il moro, con una voce tanto flebile che Hange pensò di esserselo immaginato.
– Che cosa? –
– Che lo avrei ucciso. – Levi piegò la testa di lato, guardando la donna per la prima volta da quando aveva messo piede nella stanza. Aveva gli occhi gonfi, rossi, affaticati, constatò Zoe.
Eppure così neri, così furiosi. All’improvviso quel corpo sottile scattò nella sua direzione, irato.
Hange non sussultò neppure. Eppure Levi avrebbe potuto ucciderla, proprio come uccideva tutti gli altri.
– Io dovevo uccidere il Gigante Bestia. E non sono riuscito a fare un cazzo di niente. –
Sbraitava, con gli occhi di chi ha visto troppo, con l’anima sporca di disperazione.
Disperazione pesante da mandar via, così opprimente, così reale.
Hange lo abbracciò mentre ancora si dimenava, fino a farlo star fermo, fino a calmarlo, cullandolo, come una madre.
– Hai abbattuto più di trenta giganti in un territorio pianeggiante, da solo. Manterrai la tua promessa più avanti, nessuno ti ha dato una scadenza. Vedi solo di non morire tu, prima di lui. –
Si permise di accarezzargli i capelli e parve funzionare: l’uomo tra le sue braccia sembrò sciogliersi nel sospiro consapevole di chi ha pianto abbastanza e si prepara a calmarsi.
– Lo ucciderai. Te lo prometto. – Bisbigliò a voce bassa.
Le credeva, Rivaille, e poté quindi dormire, appoggiato al ventre dell’amica, un po’ più sollevato, un po’ più vivo, un po’ più amato. Un po’ meno solo.
  
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