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Autore: Happy_17    02/10/2018    0 recensioni
Molti di voi mi conoscono per delle fanfiction, ma questa volta sono tornata, dopo anni, per una lettera che ho scritto, che il destinatario non leggerà mai, ma che contiene per sommi capi, tutto ciò che vorrei dire a colui che per la prima volta, mi ha fatto capire cosa voglia dire avere il cuore che batte talmente forte da poterlo sentire ad orecchio nudo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Caro Peppe,
Sono veramente tante le cose che vorrei dirti in questo momento, ma non so davvero da dove iniziare. Tu lo sai da dove si comincia per raccontare un sentimento vecchio sette anni e mai dimenticato? Sai cosa si dice in queste situazioni?
La prima volta che ti ho visto, sai, me la ricordo ancora: quella sera a quel compleanno organizzato per una mia amica, a cui c’eri anche tu. Credimi se ti dico che mi sei sembrato la cosa più bella che avessi mai visto. Eri bello, Pe’, bello davvero, quasi come un sogno: il mio.
Ci siamo frequentati per pochi mesi e già in quel periodo eri diventato il centro del mondo, tutto ruotava intorno a te: i miei allenamenti, il mio studio, le mie risate e anche le lacrime. Suppongo che questa fosse la cosa più vicina all’amore che la me quattordicenne potesse darti.
Dopo poco era arrivato il primo litigio, le tue scuse sotto casa della mia amica, le nostra passeggiata, il nostro primo bacio, tutto bellissimo, come in un film di cui tu ed io potevamo essere i protagonisti.
Dopo i primi 4 o 5 mesi erano cominciati i problemi, litigavamo per tutto: io troppo orgogliosa e tu troppo strafottente perché potessimo riuscire a tenerci stretti, quindi abbiamo deciso di non provarci nemmeno, ci siamo lasciati andare fingendo che ad entrambi andasse bene così, forse per questo cercavamo di ricominciare ogni due mesi, ferendoci ogni volta più di quella prima.
Ricordi quel periodo, vero Pe’? Il nostro unico vero problema era cosa sarebbe successo tra noi il giorno dopo. Era un periodo felice, in cui, infondo sapevamo che qualcosa tra di noi c’era. Sapevamo che l’una aveva qualcosa che attraeva l’altro, ma non sapevamo davvero cosa fosse, non sapevamo nemmeno se quello fosse abbastanza da poterci tenere insieme, quindi ogni volta che ci lasciavamo ognuno riprendeva la sua vita: io ritornavo al mio judogi e tu tornavi al tuo pallone, e vivevamo separati, fingendo di non riconoscerci, voltandoci dall’altra parte quando ci incontravamo per strada.
Poi, il 9 luglio 2011 il fatto che ha cambiato entrambi per sempre: tuo padre di punto in bianco è morto, ha avuto un infarto dopo che, non avendo pagato il pizzo, gli hanno incendiato il magazzino. Io l’ho saputo per caso, da un mio amico che mi ha chiamato quella mattina. Ricordo di essere rimasta nel mio posto segreto per tutto il giorno, senza toccare cibo e piangendo, continuando a pensare a cosa avrei dovuto fare.
Ci eravamo sentiti in quei giorni a seguire, prima del funerale, ma mai niente di importante, eccetto una volta, una di quelle in cui avrei dovuto cogliere il messaggio di aiuto che mi stavi mandando. Quando ti chiesi “ti va di parlare?” e tu rispondesti di sì. Allora non sapevo cosa dire, allora decisi di dire la cosa più stupida del mondo “che stai facendo?”
Ti chiederai come ho potuto essere così stupida, ebbene sappi che io ero davvero convinta che t avessi tante persone con cui parlare, che tu mi avessi risposto in quel modo solo per pura educazione, che non aveva senso che io corressi da te, perché qualsiasi cosa avessi fatto non avrebbe portato via il tuo dolore, non avrei potuto ridarti indietro tuo padre, e se non potevo alleviare il tuo dolore, non potevo fare nulla. Era questo che pensavo.
Quell’estate, alla fine, la nostra storia era finita, non ci eravamo più parlati, e nemmeno più visti per tanto tempo.
Anni dopo, quando ero al terzo anno della scuola superiore venni a sapere una cosa che avrebbe amplificato i miei sensi di colpa per tutta la vita: avevo un minimo dubbio che tu avessi bisogno di me, ma fu in quel giorno come tanti che ne ebbi la più assoluta certezza, quando un tuo amico e una mia amica, si trovarono a parlare di noi, per caso, dopo tutto quel tempo, e lui disse che avevano davvero provato a farti parlare, ma l’unica con cui tu volevi parlare ero io.
In quel momento ti ho odiato per non avermelo detto esplicitamente, ma poi ricordai quel messaggio, quello in cui dicevi che volevi parlare con me, e mi diedi della stupida per non aver capito, per averti lasciato da solo ad affrontare il tuo dolore.
Ricordo che quando avevo appreso la notizia era inverno, uno di quelli freddissimi, in cui non volevi uscire di casa, e, forse per parcondicio, venne poi un’estate caldissima. Fu in quell’anno che per la prima volta mi presentai davanti a tuo padre e gli chiesi perdono, gli chiesi scusa per essere stata in silenzio, per non avere impedito a suo figlio di contare solo su se stesso. Gli dissi che se lo avessi saputo non lo avrei mai lasciato. Quel giorno guardando la sua tomba gli dissi che avrei fatto di tutto per evitare che quello che era accaduto a lui, accadesse a qualcun altro, nessuno avrebbe più sofferto per il pizzo se io avessi potuto evitarlo, per cui mi sarei laureata in giurisprudenza, e avrei fatto tutto ciò ce era in mio potere per diventare un’antimafia e avrei protetto il futuro. Inoltre promisi anche che se mai un giorno tu avessi avuto bisogno di me, io, sarei corsa dovunque tu fossi, perché, a costo della mia stessa esistenza, non saresti più stato da solo.
Da allora è nato il rituale del 9 di luglio: giorno in cui, ogni anno, vado a lasciare un girasole davanti alla sua tomba. Lo faccio la mattina presto, prima che tu e la tua famiglia possiate scoprirlo, perché non voglio che tu lo sappia, non voglio che tu ne sia turbato. Voglio che tu continui la tua vita, dimenticandoti di me, ma non del tutto, voglio che mi dimentichi, ma voglio anche che tu mi chiami, anche se sarò l’ultima risorsa, spero che tu lo faccia. Forse perché sono convinta che questo posso alleggerire un po’ il macigno che ho sul cuore.
Sono già passati quasi sette anni da quel terribile, ho 21 anni adesso, sto studiando giurisprudenza, sono al quarto anno, le cose stanno andando bene.
Tante cose sono cambiate: adesso sto con un altro, sono più magra di come mi ricordavi, sono diventata brava a combattere, adesso sono riconosciuta a livello nazionale, vivo da sola, lontana dalla nostra città natale, mi sono fatta delle amiche, e sì, è incredibile, ma sono donne! Ho fatto dei tatuaggi, uno di questi è la promessa che ho fatto a tuo padre, mirai o mamoru (proteggi il futuro), ho scoperto che mi piace andare a ballare, e anche che mi piace viaggiare.
Tante altre cose però sono rimaste le stesse: i miei capelli sono ancora lunghi e sono ancora rossi come li hai lasciati, sono ancora testarda, mi piace ancora scrivere e anche leggere, sono ancora una combina guai e un’attaccabrighe, e sono rimasta sempre accanto a te, anche dopo tutti questi anni.
Anche se adesso le nostre strade sono separate, e i nostri mondi sembrano così lontani, non ho mai smesso di pensare che, forse un giorno, quando saremo più grandi, forse ci rincontreremo per chiarire quello che abbiamo lasciato a metà senza una vera ragione, potrà sembrarti che sia una pazza, ma in realtà io al destino ancora un po’ ci credo, perché se non fosse esistito io e te non ci saremmo mai incontrati: appartenevamo a due mondi diversi, avevamo due modi di vivere diversi, frequentavamo posti diversi, eppure, sebbene sia successo solo una volta, i nostri due universi hanno avuto una collisione e con una probabilità di uno su un milione, noi ci siamo incontrati. Ci siamo trovati e anche se è stato per poco, credimi, ho davvero pensato che tu fossi quello giusto, che quello fosse il momento sbagliato, e forse nonostante tutto lo penso ancora, sebbene ci sia un’altra parte di me, quella più razionale, che in questi sette anni ha imparato che ci sono eventi che possono avvicinare due persone o possono allontanarle per sempre, e noi abbiamo scelto la seconda, facendoci trascinare dagli eventi. Eppure va bene così: nessuno dei due avrebbe mai sospettato allora che in una relazione non bastasse l’amore, non sapevamo nemmeno cosa fosse una relazione, sapevamo solo di essere legati da qualcosa, e qualunque cosa fosse ci piaceva.
Forse volevamo pensare che due persone diverse come noi, potessero coincidere, che magari esisteva una realtà in cui, come nelle favole, due come noi, all’apparenza incompatibili, potessero essere due metà di una cosa intera, come lo yin e lo yang.
Volevo anche dirti che sebbene non sia davvero possibile per noi rincontrarci, ci sarà sempre una parte di me che ti appartiene, e ti apparterrà sempre, perché abbiamo smesso di cercarci, è vero, ma l’irrazionale quattordicenne che è in me ancora ti ama, e lo fa ancora senza riserve, senza limiti, senza misura, esattamente come tanti anni fa.
Alla fine di tutto, ti chiedo ancora solo una cosa: vivi bene Peppe. Fallo in modo da non avere rimpianti, e tuo padre sarà fiero di te, ne sono sicura, anzi, sono convinta che lo sia già. Se saremo fortunati un giorno, forse ci rincontreremo, ma se questo non dovesse accadere, sappi che in tutto questo tempo in cui ti ho osservato da lontano, non c’è stato un solo istante in cui non sia stata fiera di vedere che meravigliosa persona sei diventato.
                                                                                                                                                                                     
                                                                                                                                                                                                                            Max
   
 
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