Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Gio_Snower    03/10/2018    0 recensioni
Speciale #WritOctober (Prompt giorno uno, lista blu e rosa: OTP - Invito)
Extra di "Dear Marco", può essere letta anche senza aver letto la storia precedente, ma ne consiglio la lettura.
Marco e Jean ne hanno affrontate veramente tante.
Son passati tre anni, quasi quattro, da quando i due hanno lasciato l'Esercito e hanno iniziato la loro vita insieme.
Estratto dalla oneshot: "Cosa c'è?" domandò al suo ragazzo.
L'altro si voltò verso di lui, le labbra impiegate in una smorfia.
"Oggi è San Valentino" rispose greve.
"E allora?" chiese, non capendo il motivo di quel tono e di quella espressione.
"Lo avevo dimenticato" borbottò colpevole.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Dear Marco

Marco sentì Jean sbuffare per la terza volta in cucina, era pomeriggio inoltrato e loro erano svegli solo da qualche ora.
Il suo compagno non aveva un carattere semplice, qualche anno prima lo avrebbe definito una testa calda e, nonostante si fosse calmato dopo quello che avevano
passato, una vena attaccabrighe e testarda era rimasta, ereditata dal padre probabilmente. Marco prese il bastone di sostegno, appoggiato contro un lato del tavolo
e, facendo leva su quell'appoggiò, si alzò maldestramente. Erano passati pochi mesi da quando aveva finito la riabilitazione, dopo aver subito gli interventi per
attaccare le protesi a quello che rimaneva delle sue gambe. All'inizio aveva rifiutato, i primi due anni erano passati in un batter d'occhio, anche grazie all'aiuto di
Jean che aveva scelto di laurearsi tramite corsi online invece che frequentare l'università, come avrebbe invece voluto lui.
Si sentiva ancora in colpa per quello, anche se non avrebbe mai sollevato l'argomento con Jean, sapendo che si sarebbe arrabbiato con lui. La lealtà del suo
compagno, insieme alla sua forza, la gentilezza che nessun altro sembrava riuscire a scorgere sotto quel carattere burbero, lo stupiva sempre. Si sentiva così
fortunato ad averlo al suo fianco.
La loro condizione psicologica era stata per molto tempo instabile, solo il tempo e cicli di terapia erano riusciti ad aiutarli ad affrontarla e con il tempo erano
riusciti a iniziare un percorso che, forse, un giorno sarebbe riuscito a guarirli. Marco ancora tremava quando sentiva rumori forti, come i fuochi d'artificio. Tutti
i ricordi e le sensazioni tornavano, soffocandolo, mentre i flashback lo sommergevano oscurando la realtà. Sapeva che anche per Jean era così, che nascondeva i
sintomi e li sminuiva, ma la notte lo sentiva gemere e molte volte percepiva il suo corpo tendersi durante gli incubi, farsi freddo e sudato in preda alla paura.
Un psicologo dell'ospedale gli aveva consigliato di scrivere tutto quello che gli era accaduto e quello che provava e Marco lo aveva fatto.
Tre mesi dopo essere stato dimesso, il diario in cui aveva riversato ogni cosa era diventato un libro che Jean aveva spedito in segreto.
Marco aveva sorpreso Jean a leggerlo un giorno, lo aveva dimenticato sulla scrivania nella loro camera, aperto; il compagno lo aveva trovato e non aveva
resistito, tormentato dall'idea che lui potesse provare risentimento nei suoi confronti. Jean si era sentito in colpa per la sua condizione, per quello che era
successo e solo la lettura di quel piccolo diario sembrava esser riuscito a cancellare quel pensiero dalla sua testa.
Quando Marco era entrato nella loro stanza, aveva trovato il suo fidanzato seduto sul letto, il libricino poggiato sulle gambe e la testa china che nascondeva il
suo volto.
In un primo momento si era sentito in imbarazzato, aveva provato vergogna per la debolezza di alcuni suoi pensieri, trascritti in quelle pagine in una calligrafia
ordinata che richiamava qualcuno che era stato in passato, così diverso da come si sentiva adesso: perso, smarrito.
"Jean" lo aveva chiamato, ma l'altro non aveva risposto né aveva dato segno di averlo effettivamente sentito. Eppure... qualcosa aveva suggerito a Marco che lo
avesse sentito.
Aveva continuato a spostarsi sulla sedie a rotelle, avvicinandosi al letto e a Jean, ancora chino.
"Piccolo?" aveva sospirato contro di lui, appoggiandogli una mano sul volto.
Jean aveva sollevato il volto e fissato il suo sguardo in quello di Marco che trattenne il fiato alla vista di quel viso rigato di lacrime, dell'intensità di quegli occhi
dorati, leggermente arrossati per il pianto.
"Marco..." aveva singhiozzato Jean con voce rotta, prima di abbracciarlo e trascinarlo sul letto, sopra il suo stesso petto. Marco si era aggrappato a quel corpo,
come il suo cuore era rimasto avviluppato a quello dell'altro fin dal principio.
Erano rimasti così per ore, avvinghiati, uniti in una maniera intima e profonda, gli occhi chiusi e le lacrime secche sulla pelle.
Dopo quell'episodio il loro rapporto aveva subito un altro cambiamento, ma soprattutto loro stessi erano cambiati: avevano iniziato a guarire, ad andare avanti.
Marco tornò al presente, lasciando cadere ogni pensiero sul passato, ed entrò nella piccola, ma confortevole cucina della loro casa. Jean era in piedi davanti al
lavello, le mani appoggiate sul ripiano, le gambe divaricate. Ne poteva vedere solo la schiena.
"Cosa c'è?" domandò al suo ragazzo.
L'altro si voltò verso di lui, le labbra impiegate in una smorfia.
"Oggi è San Valentino" rispose greve.
"E allora?" chiese, non capendo il motivo di quel tono e di quella espressione.
"Lo avevo dimenticato" borbottò colpevole.
Marco scoppiò in una risata, Jean sospirò portandosi una mano sulla fronte e rivolgendogli uno sguardo omicida.
"Scusami" si difese Marco, una volta calmatosi, alzando le mani innocentemente.
"Tu te lo ricordavi, vero?" indagò il suo ragazzo, assottigliando gli occhi.
"No" ribatté, forse un po' troppo velocemente.
"Marco."
"Okay, sì, lo ricordavo" ridacchiò. "Fra qualche ora dovrebbero arrivare dei fiori."
"Romantico" commentò Jean, sembrando ancora più di cattivo umore.
Marco sorrise, trovandolo irresistibilmente adorabile.
"A me basti tu" gli disse, sentendosi particolarmente emotivo.
"No Homo, eh?" lo prese in giro Jean con un ghigno malizioso.
Marco arrossì, reagiva sempre a quell'espressione: ogni volta che Jean era divertito i suoi occhi dorati brillavano e il suo ghigno assumeva un significato
sensuale, estremamente sexy.
All'improvviso Jean sembrò come congelarsi, le palpebre abbassate, le labbra sporte verso il fuori pungolate da uno dei suoi canini.
"Jean?"
"Fuori dalla cucina!" scoppiò all'improvviso l'altro, mandandolo via come avrebbe fatto con un cane.
Quando Marco non si mosse, l'altro si avvicinò, lo fece voltare prendendolo per le spalle e lo spinse leggermente verso il salotto.
"Divieto fino alle sette di entrare in cucina e sala da pranzo" annunciò serio.
Senza porre domande sciocche, a cui sapeva Jean non avrebbe risposto, Marco fece leva sul bastone e camminò fino al divano. Prese il portatile appoggiato sopra
il tavolino da caffè e si mise a controllare e a rispondere alle email di lavoro.
Quando ebbe finito lo schermo del portatile riportava in lettere analogiche l'orario: le sei e quaranta.
Incuriosito dai rumori provenienti dalla cucina, provò a sbirciare, ma le porte erano state chiuse e se avesse provato ad aprirle Jean se ne sarebbe accorto subito.
Così sospirò, si mise un cuscino sotto la schiena e accese la televisione.
Dieci minuti dopo qualcuno, che Marco immaginò essere il fattorino del fioraio, suonò alla porta. Jean si precipitò ad aprire e sbrigò velocemente il tutto,
ritirando i fiori e arrossendo alla vista di lui che lo guardava sorridendo. Gli aveva fatto recapitare dei girasoli, invece che delle classiche rose. Il motivo risaliva
a una gita, durante la quale Jean gli aveva detto che da piccolo sua madre lo prendeva in giro, dicendogli che era "felice come un raggio di sole" e, che dopo aver
conosciuto Marco, gli aveva detto "Hai trovato il tuo girasole".
Non aveva ben capito il concetto e la correlazione, ma quell'aneddoto lo aveva divertito abbastanza da ricordarselo.
Un biglietto rosato riportava le parole "A te che sei il mio Sole".
Jean aveva posato i fiori dentro un vaso all'entrata, poi si era precipitato verso di lui, gli aveva afferrato il viso e lo aveva intrappolato in un bacio profondo che
lo aveva lasciato senza fiato.
"Grazie" sussurrò contro la sua guancia Jean, una volta staccatosi.
"Prego" rispose. "Posso sbirciare ora?"
"No."
"Un indizio?"
"Nemmeno."
Marco ridacchiò.
"Fra venti minuti vieni in sala da pranzo" gli disse Jean.
"Okay" acconsentì.
Aspettò il tempo che gli aveva lasciato, mentre sentiva i rumori del suo ragazzo che trafficava fra le due stanze, ogni tanto usciva e andava a prendere qualcosa
che, accuratamente, riusciva a nascondere dalla sua vista prima di portarla nell'altra stanza. L'attesa lo aveva incuriosito ancora di più, così quando il tempo era
giunto aveva raggiunto a passo veloce la porta della sala (se avesse potuto avrebbe corso, ma a detta dei medici era ancora troppo presto).
Una volta dentro aveva trovato il tavolo apparecchiato con uno dei migliori completi di piatti e bicchieri, una tovaglia semplice, ma candida e un piccolo vaso
con una rosa - che Marco non aveva idea di dove Jean avesse trovato - al centro della tavola. Il ragazzo in questione era sulla porta della cucina con due piatti
coperti in mano che si preoccupò di appoggiare. Poi si diresse verso di lui e lo aiutò a sedersi, scostandogli la sedia in modo galante.
"Cenetta romantica, eh?" commentò.
Gli occhi di Jean brillarono e annuì.
"Cosa si mangia?" gli chiese, guardando il coperchio e cercando di immaginare cosa Jean avesse potuto cucinare.
"Guarda" gli concesse lui, sedendosi all'altro capo della tavola, difronte al posto di Marco.
Marco alzò il coperchio e quasi rise alla vista degli spaghetti con polpette.
"Tu hai guardato troppe volte Lilly e Il Vagabondo" lo accusò.
"Mi chiedo per colpa di chi" sbuffò derisorio Jean.
"Già" ammise colpevole. Lui amava i film della Disney fin da quando era piccolo e non se ne perdeva uno nemmeno ora che era adulto. Spesso riguardava i suoi
preferiti con Jean, che si accoccolava al suo fianco sul divano sotto montagne di coperte e cuscini.
Mangiarono, ridendo e scherzando fra loro.
Una volta finito Jean si alzò per sparecchiare, dopo averlo fatto, tirò il telefono fuori dalla tasca e lo mise sul ripiano di uno dei mobili dopo averci trafficato un
po'. Si voltò verso di lui nuovamente e gli porse la mano.
"Vuoi ballare?" lo invitò.
Marco trattenne il fiato. Era la prima volta che Jean lo invitava a ballare e lui lo voleva, ma non era sicuro di poterlo fare, sentiva le sue nuove gambe - protesi
all'avanguardia pagategli dallo Stato - ancora poco stabili. Le guardò, mordendosi il labbro, desiderando di aver scelto prima di provarci.
"Ti terrò io" gli promise Jean, capendo al volo.
Marco annuì, gli prese la mano e si tirò su, appoggiando il suo peso a Jean, che lo sostenne senza problemi. Nonostante avessero lasciato l'esercito, Jean
continuava ad allenarsi e il risultato si notava nel suo fisico irrobustitosi. Jean toccò lo schermo del cellulare con un dito e fece partire una musica lenta, una
canzone dolce che parlava d'amore, cantata da una voce sensuale.
Iniziarono a dondolare lentamente, Marco era aggrappato alle spalle di Jean che posò la guancia contro il suo collo, baciandolo con dolcezza prima di chiudere
gli occhi.
Continuarono a ballare fino alla fine della canzone, rimanendo stretti anche dopo che l'ultima nota morì nell'aria.
"Ti amo" sussurrò Jean contro il collo di Marco.
"Anche io" rispose Marco.
Insieme, era sicuro, avrebbero vissuto davvero. E tutto questo gli bastava.



 
   
 
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