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Autore: vannagio    04/10/2018    7 recensioni
Sembrava un quadro di Hopper.
Un’enorme vetrata illuminata, all’angolo di una strada deserta, silenziosa e buia come un cimitero. Al di là del vetro, un uomo e una donna immersi nelle loro chiacchiere, un avventore preso dalla sua solitaria consumazione e il barman impegnato a ingannare il tempo asciugando un bicchiere che era già asciutto da un po’. A guardarlo dal marciapiede, quel diner sembrava proprio un quadro di Hopper.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Una storia di metallo e inchiostro'
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Come un quadro di Hopper







Sembrava un quadro di Hopper.
Un’enorme vetrata illuminata, all’angolo di una strada deserta, silenziosa e buia come un cimitero. Al di là del vetro, un uomo e una donna immersi nelle loro chiacchiere, un avventore preso dalla sua solitaria consumazione e il barman impegnato a ingannare il tempo asciugando un bicchiere che era già asciutto da un po’. A guardarlo dal marciapiede, quel diner sembrava proprio un quadro di Hopper.
La facevano sempre sentire un’impicciona, i quadri di Hopper, una di quelle vecchiette che ti spiano attraverso le tendine di pizzo delle finestre. O una ladra. Una ladra di momenti intimi, di spaccati di vita quotidiana. I quadri di Hopper ti davano la falsa illusione di poter scavalcare la cornice e intrufolartici dentro, di aprire la porta del diner, sederti al bancone, ordinare qualcosa, scambiare quattro chiacchiere con lo sconosciuto più vicino.
E, in effetti, non era proprio quello che stava per fare? Stringendosi il bavero del cappotto intorno al collo per proteggersi dalle raffiche taglienti del vento, Jane attraversò la strada ed entrò nel quadro di Hopper.
«...no, tesoro, non ce l’ho con me», stava dicendo l’uomo in completo blu dall’aria un po’ alticcia alla rossa vestita di rosso (che insopportabile cliché!) che gli sedeva accanto. «La tengo solo durante le ore di servizio».
«Oh, che peccato», cinguettò la rossa, mettendo su un broncio da bimba delusa. «Ero tanto tanto curiosa di vederla».
Jane si sfilò il cappotto, lo appese all’appendiabiti di fianco all’ingresso, posò la borsa sul bancone e saltò su uno sgabello. Si guadagnò un’occhiata silenziosa ma curiosa da parte dell’avventore solitario, appollaiato qualche sgabello più in là, che colto in flagrante le rivolse un cenno del capo e poi tornò a rovistare con la forchetta nel suo piatto di insalata.
«Be’, se ci tieni davvero, domani puoi fare un salto alla banca», disse l’uomo dal completo blu.
«Quella in fondo alla strada?». La rossa sgranò gli occhi per l’entusiasmo. Gli si fece più vicina, schiacciandogli il seno fasciato di rosso contro il braccio. «Dici sul serio? Sicuro che non sarebbe un problema?».
Lui si schiarì la voce e si allargò il collo della camicia con due dita. Il volto paonazzo, lucido di sudore, e un’espressione confusa ma felice, come qualcuno che non riesce a credere alla fortuna che gli è appena capitata.
«A-assolutamente no, dolcezza! Il turno pomeridiano è una vera palla. Mi annoio a morte. La visita di una bella donna sarebbe un bel diversivo».
La mano destra della rossa si era intrufolata sotto la giacca, ad accarezzargli voluttuosamente il petto, quella sinistra invece gli torturava pigramente il lobo dell’orecchio. Ci andava giù pesante, pensò Jane, se lo stava cucinando a dovere.
«Siamo d’accordo, allora. Domani. Turno pomeridiano. Tu sarai il ragazzo in divisa, io la ragazza che dirà: “È una pistola, quella, o sei solo felice di vedermi?”».
Scoppiarono a ridere contemporaneamente, anche se quella dell’uomo dal completo blu assomigliava più a un principio di soffocamento che a una risata. Jane scosse la testa, sorridendo tra sé e sé, e proprio quando stava per attirare l’attenzione del barman agitando la mano, questi gli si parò di fronte con un bicchiere lungo e stretto, colmo di una roba rossa, blu e verde, nella quale galleggiavano una cannuccia e un ombrellino rosso a pois bianchi.
«Con gli omaggi del signore laggiù».
Il barman indicò l’avventore solitario, che la salutò sfiorandosi la tesa del cappello. Jane era tentata di rifiutare, non è che fosse entrata nel quadro di Hopper con l’intenzione di rimorchiare. Però lei adorava i cocktail colorati, e in fondo aveva qualche minuto da perdere, e l’avventore solitario aveva l’aria stropicciata, le facevano tenerezza gli uomini con l’aria stropicciata. Così prese il bicchiere che il barman le stava porgendo, scese dallo sgabello e con la borsa incastrata sotto l’ascella raggiunse l’avventore solitario. Non prese posto accanto a lui, si limitò ad appoggiarsi di schiena al bancone.
«Perché l’ombrellino?».
Lui si strinse nelle spalle.
«Non so. Sembrava una tipa da ombrellino».
Jane succhiò dalla cannuccia, squadrandolo da sopra il bicchiere. Lui, forse per farle compagnia, bevve un sorso d’acqua.
«Chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere», gli disse.
«Nah, è che tra poco entro in servizio. Non mi è concesso bere nelle ore di servizio».
«Le è concesso offrire cocktail colorati alle sconosciute, invece?».
Finse di pensarci su.
«Solo se sono tipe da ombrellino».
Jane diede un altro tiro alla sua cannuccia prima di chiedere: «Sa che tipo è lei, invece?».
«No, che tipo sono?».
«Un tipo da Van Gogh».
Sul volto dell’uomo comparve un punto di domanda.
«Prego?».
«Massì, ha quest’aspetto un po’...». Jane frullò in aria le dita della mano che non reggeva il bicchiere. «Come se fosse appena uscito da una lavatrice. E... non so se ha presente i quadri di Van Gogh, ma le persone hanno sempre i contorni un po’ ondulati o... stropicciati, nei suoi quadri. Come lei».
L’avventore non più tanto solitario spinse via il piatto d’insalata quasi intonso, poggiò il mento sul pugno chiuso e accavallò le gambe, scrutandola dritto negli occhi.
«Ho come la sensazione di essere stato appena insultato, ma siccome non ci capisco un accidenti di arte le darò il beneficio del dubbio».
Jane rise.
«Mi scusi. Lei è stato così gentile da offrirmi un cocktail con l’ombrellino - aveva ragione, per la cronaca, sono una tipa da ombrellino - ed io, invece, sto qui a darle dello stropicciato. Ma non volevo prenderla in giro, eh? Non lo faccio di proposito, è più forte di me, è una cosa automatica. Ad esempio, vede quella donna?».
Jane additò la rossa, che si era appena alzata annunciando di voler andare a incipriarsi il naso. L’avventore non più solitario seguì la donna con lo sguardo finché non fu scomparsa dietro la porta del bagno.
«Sì?».
«Ecco, quella...», proseguì Jane. «Con quel collo lungo lungo e sottile sottile mi ricorda tantissimo Modigliani».
«E l’amico della rossa? Il tizio nel completo blu?».
Che attualmente stava tentando invano di pettinare il riporto con le dita, specchiandosi nella bottiglia dimezzata di whisky.
«Uhm...». Jane si accarezzò il mento, e poi ghignò. «L’autoritratto di un pittore dilettante».
L’avventore non più tanto solitario rise fragorosamente.
«Caspita, all’improvviso il paragone con il Van Gogh stropicciato non mi sembra più tanto male!».
Aveva una bella risata, l’avventore che stava per tornare solitario ma non lo sapeva, bassa e profonda, ti faceva venire voglia di ridere a tua volta. Per questo a Jane dispiacque molto essere costretta a dire: «Mi scusi, purtroppo la natura chiama anche me». Posò il cocktail accanto al piatto d’insalata. «Glielo affido per qualche minuto, okay?».
Lui si grattò l’orecchio e annuì.
«Vada, vada. Il suo ombrellino è al sicuro con me».
In bagno trovò la rossa intenta per davvero a incipriarsi il viso: china di fronte allo specchio, si tamponava delicatamente la punta del nasino all’insù senza degnarla di una mezza occhiata. Jane non disse nulla, si limitò ad aprire il rubinetto e a bagnarsi le dita per tentare di mettere in ordine il suo caschetto biondo spruzzato di grigio (stava invecchiando?), che il freddo vento invernale aveva trasformato in un cespuglio secco e ingarbugliato. Ad un certo punto si sentì picchiettare sulla spalla e quando sollevò lo sguardo, si accorse che la rossa le stava porgendo una tessera rettangolare plastificata.
«Facile come rubare le caramelle a un bambino», disse soltanto, sorridendo maliziosa.
Jane studiò il badge di accesso per qualche secondo: era intestato al tizio dal completo blu e riportava il nome della banca per il quale lavorava. Soddisfatta, fece sparire la tessera nella borsa e diede alla rossa quanto le spettava.
«Ottimo lavoro, rossa. Anche se, non mi stancherò mai di ripeterlo, il rosso sul rosso è un cliché che trovo insopportabile».
«Invece io l’adoro, ti toccherà portare pazienza», replicò la rossa. «E a proposito di cose insopportabili... Considerato che quel badge ti frutterà un colpo da numerosi zeri, quasi quasi comincio a pensare di averci guadagnato troppo poco da questa faccenda». Ciononostante mise il rotolo di banconote che Jane le aveva porto al sicuro nella pochette di lustrini rossi. «Suppongo sia tardi per ritrattare il compenso, dico bene?».
Jane le diede un buffetto sulla guancia.
«È vero, ci guadagnerò un sacco con questo colpo, ma rischierò ancora di più. Tu invece... Cinque centoni per un’ora scarsa di lavoro. E questa volta non ti sei nemmeno dovuta spogliare! Soldi facili e zero rischi. Niente male, direi».
La rossa sbuffò.
«Oh, be’, se la metti così...».
«Sì, la metto proprio così».
Le assestò un secondo buffetto sulla guancia e, borsa nuovamente incastrata sotto l’ascella, si diresse verso l’uscita del bagno. Aveva la mente occupata a elaborare una scusa convincente per defilarsi dall’avventore adorabilmente stropicciato ma dal pessimo tempismo (al momento non aveva il tempo per certe cose, non era entrata nel diner per rimorchiare) o probabilmente aveva abbassato la guardia perché si sentiva già con la vittoria in tasca (cielo, stava davvero invecchiando!); fatto sta che aveva appena spalancato la porta del bagno, aveva ancora la mano sulla maniglia, e si rese conto del gelido cerchio di metallo delle manette soltanto quando fece “click” intorno al suo polso. Un “click” che ebbe su di lei l’effetto di una granata esplosa in piena faccia.
«La dichiaro in arresto», disse l’avventore solitario che, evidentemente, era anche un poliziotto. «Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersene uno...».
E mentre l’avventore solitario barra poliziotto proseguiva a recitare la formula di rito e una rossa incredibilmente sorridente da dietro le spalle del suddetto poliziotto le mostrava discretamente il dito medio, con il sangue cristallizzato nelle vene e un macigno nello stomaco sotto il quale le sue gambe minacciavano di cedere, Jane non riuscì a pensare ad altro che...
Sono fregata.
Più tardi, non sapeva dire esattamente quanto tardi, Jane si trovava di nuovo fuori dal diner, con le mani ammanettate dietro la schiena. L’avventore solitario, che era anche un poliziotto e che aveva scoperto chiamarsi Detective Martìnez, la stava spingendo a sedere sul sedile posteriore di un’auto della polizia. Quando la portiera venne chiusa, Jane intravide il suo volto riflesso sul finestrino e osservando quegli occhi sbarrati per lo shock e i capelli arruffati dal vento ghiacciato, si disse che forse era lei l’autoritratto di un pittore dilettante e non l’uomo dal completo blu.
Il Detective Martìnez salì in auto, al posto del guidatore, e mise in moto. Jane guardò per l’ultima volta il diner dall’enorme vetrata illuminata, all’angolo di una strada non più così deserta, silenziosa e buia come qualche ora prima. Al di là del vetro, le luci lampeggianti dell’auto coloravano alternativamente di rosso e di blu l’interno del locale e i volti degli avventori; il barman, imperturbabile e indifferente a ciò che gli succedeva intorno, continuava ad asciugare un bicchiere dopo l’altro; l’uomo dal completo blu sedeva floscio come un palloncino sgonfio sullo sgabello, lanciando occhiate ai presenti come qualcuno che è stato strappato via brutalmente da un bellissimo sogno e si è svegliato in un orribile incubo; due poliziotti stavano aiutando la rossa a liberarsi della ricetrasmittente che era stata nascosta sotto la camicetta per tutto il dannatissimo tempo.
«Sembra proprio un quadro di Hopper», disse Jane, atona.
Il riflesso del Detective Martìnez sullo specchietto retrovisore inarcò un sopracciglio.
«Un quadro di chi?».
Jane sospirò, esausta.
«Glielo spiego lungo la strada».




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Note autore:
Sulla pagina facebook Buck e il terremoto, ogni lunedì, viene proposto un piccolo esercizio di scrittura. Quello della settimana scorsa, il primo, chiedeva di scrivere ciò che i personaggi del famoso quadro di Hopper (Nottambuli) si stavano dicendo, col divieto di usare il punto di vista della donna in rosso. L’idea mi è piaciuta molto e mi ha stimolata a tal punto da non limitarmi a un semplice dialogo.
Spero che il risultato dell’esercizio piaccia anche a voi, perché io mi sono divertita parecchio a scriverlo!
A presto, vannagio

P.S.: Buck e il terremoto ha indetto anche un piccolo concorso di scrittura per racconti brevi: trovate il bando nella pagina. Fateci un salto!
   
 
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