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Autore: Thiliol    04/10/2018    0 recensioni
Eren è un elfo, ma non ha mai conosciuto altri elfi come lui. Brodd, un panettiere di Esgaroth, lo trovò ancora in fasce vicino a un torrente l'anno in cui il Drago fu scacciato dalla Montagna, e lo ha allevato come un figlio.
Silevril è figlio di una Noldo della Casa di Feanor e di un Telero di Alqualonde, e porta il nome della Gemma più luminosa di Arda.
Così diversi eppure così simili, entrambi cercano di scoprire se stessi, la differenza fra il loro vero io e l'immagine che gli altri gli attribuiscono.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: il panettiere



Quella mattina non era riuscito a fare a meno di tenere per sé una delle pagnotte che aveva sfornato. Gli sembrava quasi di vedere la faccia di suo padre, imbronciata per la disapprovazione: “Se mangi tutto il pane che facciamo,” avrebbe detto, “non ne rimarrà più da vendere e noi non avremo più soldi!”

Eren era solo un bambino quando sgattaiolava nel retrobottega per rubare il pane che suo padre aveva messo a raffreddare sul tavolo. Gli sembrava ancora così vivido, dopo tutti quei secoli, tanto che, ripensandoci abbastanza intensamente, riusciva a riviverlo come se fosse ancora lì, nella stessa bottega di oggi, eppure diversa, con l'odore del pane appena sfornato, la farina sulle mani piene di calli di suo padre, sentiva ancora il sapore della sua refurtiva sulle labbra.

Immaginava che fosse una cosa elfica, quella di rivivere i ricordi così intensamente, come se fossero reali e stessero accadendo in quel momento, ma non ne era certo.

Non aveva mai incontrato un altro elfo, se si escludeva la fugace occhiata che riusciva a lanciare ai barcaioli che arrivavano ogni giorno carichi di barili dal Bosco Atro (o Bosco di Foglie Verdi, come si chiamava adesso, continuava a dimenticarlo, nonostante fosse passato così tanto tempo dalla Guerra dell'Anello), ma non aveva mai parlato con loro. Gli sembravano tutti splendidi e lui, in fondo, non era che un panettiere.

Inghiottì l'ultimo boccone di pane e rientrò dal retro per aprire finalmente ai clienti. La signora Lea, capelli biondi come il miele e le forme rotonde che faticavano a rimanere nella veste, era già dietro la porta ed entrò non appena lui aprì il battente.

Buongiorno” la salutò cortesemente.

Buongiorno, caro, alzato tardi stamattina?” la donna lo rimproverò con fare materno e gli diede un buffetto sulla mano.

Era così strano essere trattati in quel modo da una donna che lui ricordava ancora bambina, quando veniva mandata da sua madre a comprare il pane da lui, piccola e graziosa con le sue enormi trecce bionde e gli occhi nocciola luminosi e allegri. Era passato un lampo ed ora Lea, la dolce Lea, era una signora di mezza età con cinque figli e la passione per il pane un po' bruciacchiato, che si informava costantemente della sua salute e gli intimava affettuosamente di mangiare di più perché era troppo magro.

Ne aveva visti decine, forse centinaia, di suoi clienti nascere, crescere e infine invecchiare e morire, pregni di una mortalità che lui non poteva fare a meno di trovare affascinante, seppur triste.

Ho tenuto da parte la pagnotta più cotta solo per voi, Lea” le disse, porgendole un sacchetto di carta.

La donna lo prese con un gran sorriso e gli porse due monete, per poi salutarlo e uscire nel mattino uggioso, tipico dell'inizio di ottobre.

Non che fosse una persona triste, non ne aveva il tempo con tutte le cose che aveva da fare, lo svegliarsi all'alba per impastare, far lievitare, informare e infine aprire il negozio, e poi il via vai di clienti fino a sera, però quando il cielo era grigio e l'aria umida, si sentiva malinconico ed il ricordo dei suoi genitori si mescolava a quello di tutte le persone che aveva conosciuto e che gli sembravano svanite in un battito di ciglia.

Aveva tentato di non frequentare più nessuno, di rimanere lontano da ogni possibile rapporto umano, ma nonostante la solitudine che si era imposto, non riusciva a fare a meno di affezionarsi anche a quelle persone che vedeva solo un paio di volte a settimana e solo per quei pochi minuti che impiegava nel servire loro il pane.

Una volta faceva i biscotti e le torte (le torte che sua madre gli aveva insegnato, con le gocce di cioccolato e le mele, ah quanto le aveva adorate!) ma poi aveva smesso, perché i bambini erano una debolezza a cui non riusciva mai ad abituarsi.

La porta si aprì di nuovo e comparve Ida con un gran sorriso e una lunga treccia nerissima che la faceva sembrare anche più pallida di quanto già non fosse. Era una ragazza bellissima, solare e totalmente innamorata di lui, cosa che lo metteva sempre in una posizione scomoda: avrebbe voluto che le passasse, per non dover avere lui l'onere di dirle che fra di loro non poteva esserci nulla.

La salutò senza troppo entusiasmo, cercando di mantenersi professionale, ma lei sembrò non accorgersene.

Ciao Eren,” gli disse, lanciandogli uno sguardo ardente, “hai della focaccia al rosmarino?”

Annuì sotto gli occhi di lei e si voltò a prendere quanto aveva chiesto. Ida veniva tutte le mattine per la sua focaccia al rosmarino, tanto che Eren aveva pensato di smettere di prepararla per scoraggiare la ragazza, ma poi non lo aveva fatto.

Una parte di lui, nascosta e spesso zittita, trovava piacevole essere il centro dell'attenzione della ragazza più bella di Esgaroth, quella che tutti i giovani si contendevano. Si vergognava enormemente per questo.

Sai,” disse Ida mentre lui arrotolava la focaccia in un foglio di carta sottile, “dovresti davvero mettere un aiutante”.

Lavoro meglio da solo”

Non è vero, nessuno sta meglio da solo”.

Non ci sono panettieri con cui mettermi in affari e non voglio bambini”.

Ida allargò il sorriso e si appoggiò con fare cospiratorio al bancone.

Fortunatamente questa mattina è venuto uno straniero ad alloggiare alla locanda di mia madre e mi ha chiesto se sapevo dove potergli procurare un lavoro in città”.

Sono tre scellini” disse, allungandole il pacchetto e facendo finta di non averla sentita.

Non hai sentito la parte migliore”.

Tre scellini”.

Lo straniero è un elfo”.

Eren non avrebbe voluto reagire in quel modo, ma non riuscì a trattenersi dallo sbiancare. Gli sembrava che tutto il suo sangue gli si fosse incastrato al di sotto delle ginocchia, mentre il cuore gli era improvvisamente balzato nella testa, tanto da poterlo sentire martellare nelle orecchie.

Elfo.

Un elfo.

Poteva conoscerlo, fargli delle domande, forse persino arrivare a conoscere la sua storia e il motivo per cui era stato abbandonato nel bosco quando era solo un neonato.

Aveva pensato così tante volte di lasciare tutto e andare fra la sua gente per fare ricerche circa il suo passato, ma poi non ne aveva mai avuto il coraggio, non voleva lasciare la panetteria, il ricordo dei suoi genitori, i luoghi in cui era cresciuto e che amava, né aveva mai cercato di avvicinare i barcaioli, gli sembravano troppo distanti, troppo impegnati. Ma avere la possibilità di conoscere un altro elfo, faccia a faccia, interagire con lui ogni giorno, in quel contesto famigliare e informale... si sentiva sopraffare dalla notizia.

Ida lo osservava, conscia dell'effetto che la sua notizia aveva avuto su di lui, ed arrossì di piacere.

Allora?” domandò ansiosa, “Posso dirgli di venire da te?”

Eren si morse un labbro e annuì nervosamente.

Ottimo,” trillò la ragazza, mettendo tre monetine sul bancone e voltandosi per uscire”, allora lo mando subito qui non appena si sarà sistemato. Vedrai, è un tipo affascinante e un po' strano, molto elfico direi.”

Lo salutò con la mano, lasciandolo frastornato in mezzo alle pagnotte di pane.





Era passata forse un'ora, non di più, quando Ida tornò insieme allo straniero.

Eren aveva servito due signore che conosceva da anni e un ragazzino che invece non aveva mai visto prima, senza mai allontanare lo sguardo dalla porta, con l'ansia che cresceva e la paura che l'elfo alla fine cambiasse idea.

Quando finalmente Ida aprì la porta, sobbalzò nonostante l'attesa spasmodica.

Era emozionato come non lo era stato mai nella sua lunga vita, nemmeno il suo primo giorno di scuola, quando aveva avuto paura che gli altri bambini lo prendessero in giro per le sue orecchie a punta e sua madre aveva dovuto giurare solennemente che non sarebbe successo. Nemmeno la prima volta che suo padre gli aveva permesso di impastare una pagnotta di pane tutto da solo e di infornarla con la grande pala di metallo che non gli era mai stato permesso anche solo di sfiorare con un dito.

Non rispose al saluto allegro di Ida, ma si concentrò sull'elfo che veniva dietro di lei: era alto, lo superava di tutta la testa, con i capelli neri e gli occhi chiarissimi che facevano uno strano contrasto, dandogli un'espressione vagamente inquietante, affilata, come se lo sconosciuto lo stesse valutando allo stesso modo con cui lui valutava la cottura del pane per decidere se toglierlo o meno dal forno.

Eren era ammutolito, si sentiva in soggezione, desiderava di non aver accettato la proposta di Ida (lei voleva solo far colpo su di lui, lo sapeva bene, doveva continuare a scoraggiare i suoi corteggiamenti non accettare le sue proposte).

La ragazza parlava, stava dicendo qualcosa sullo straniero, che era arrivato quella mattina dopo aver viaggiato da Minas Tirith fino a lì, altre cose che non afferrò e che non gli sembravano importanti.

Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: orecchie a punta, appena accennata ma completamente visibile proprio sulla sommità dei lobi, una vaga luminescenza, una vibrazione che proveniva da lui come il rombo lontano di una cascata.

Era un elfo in carne e ossa, a pochi passi da lui, a cui poteva chiedere qualsiasi cosa, ma non riusciva a parlare.

Ida dice che puoi offrirmi un lavoro,” disse l'elfo, rivolgendoglisi con una voce molto diversa da quella che si era immaginato, più squillante, con un accento insolito totalmente diverso da quello dei barcaioli silvani che aveva sentito parlare quando andava a spiarli giù al fiume.

Certo che può” si intromise Ida, “ha bisogno di una mano al bancone mentre lui di là impasta, inforna e affetta.”

Bene” annuì l'elfo, “ho davvero bisogno di qualcosa da fare in città, se voglio rimanere per un po' di tempo. Grazie,” improvvisamente tese la mano verso di lui “mi chiamo Silevril”.

Senza pensarci Eren glie la strinse. Si era aspettato una mano morbida, invece poteva sentire i calli sulle sue dita e il palmo ruvido di qualcuno che lavora con le mani. Guardandolo meglio notò che aveva la pelle leggermente screpolata sulle guance e il naso, e il colorito di chi passa molto tempo sotto il sole.

Sono Eren” disse e finalmente riuscì a sorridergli. Quel contatto lo aveva come risvegliato, rendendo la figura dell'elfo che gli stava di fronte reale, non più evanescente come un'immagine creata dalla sua mente.

Gli piaceva, Silevril, aveva l'aria di un uomo – un elfo – concreto, più simile a lui che agli elfi di cui si leggeva nelle antiche leggende.

Ida era raggiante, sicura che l'aver portato un altro elfo alla sua porta le avesse fatto guadagnare moltissimi punti nella lunga ed estenuante corsa all'ottenere la sua attenzione.

Bene,” disse la ragazza “ora che vi siete conosciuti io vado, la mamma mi aspetta per servire il pranzo.”

Quando furono soli, Silevril si guardò intorno incrociando le braccia sul petto.

Sai, Eren,” disse, “non so assolutamente niente di come si fa il pane o di come si vende.”

Sorrise appena. Era un sorriso molto strano, la sua espressione cambiò ma gli occhi rimasero immobili, quasi freddi, eppure lo si sarebbe detto triste.

Erano tutti così, gli elfi? Anche lui appariva così distante e misterioso alle altre persone? Per un momento ebbe paura di aver allontanato i suoi genitori da lui con un muro di freddezza, ma fu un pensiero fugace e assurdo.

Ho sempre fatto il marinaio” continuò Silevril, riempiendo il silenzio, “non avrei mai pensato di ritrovarmi a fare il fornaio”.

Si voltò verso di lui e lo investì con il suo sguardo fatto di ghiaccio.

Non parli molto, vero?”

Eren si scosse, accorgendosi solo in quel momento di essere solo con lo straniero e che lui gli stava parlando.

Scusa” balbettò, “non avevo mai parlato con un elfo”.

Silevril rise, ma vedendo la sua espressione smise subito.

Sei un elfo anche tu, non lo sapevi?”

Intendevo dire che non ho mai parlato con un altro elfo oltre me.”

Scosse le spalle a quelle parole, senza approfondire oltre, come se il fatto di essere il primo elfo a mettere piede nella vita di un altro non lo toccasse minimamente.

Mi insegnerai, quindi?”

Cosa?” Eren fu colto di sorpresa.

A fare il pane, intendo.”

No, credo sia meglio che tu stia qui a servire i clienti, il pane lo faccio io. “ Improvvisamente fu preso da un moto di orgoglio verso se stesso e la vita che aveva vissuto fino a quel momento, così aggiunse ammiccante: “Ho iniziato nella Terza Era, ti ci vorrebbe almeno altrettanto per imparare!”

Silevril scoppiò a ridere e lo raggiunse dietro al bancone, ravviandosi i capelli dietro la nuca.

Allora coraggio, Capitano, tu al timone ed io al cassero.”

Eren sorrise a sua volta.

Iniziavano a stargli simpatici gli elfi.

   
 
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