Erano ormai passati più di due mesi da quando avevano
smantellato la base di Striker. Tony aveva lasciato l'NCIS, la rivelazione di
essere un mutante si era sparsa più velocemente della luce al Quartier Generale
e la situazione era diventata a dir poco bollente. Alcuni erano favorevoli a
farlo restare e vedevano nei suoi poteri una marcia in più utile all'Agenzia.
Per altri, invece, era solo un mostro e non doveva a nessun costo restare a
lavorare lì. Lui, per non creare problemi a se stesso e al Direttore Shepard, si
era dimesso e ora trascorreva le sue giornate allo Xavier Institute svolgendo il
lavoro per cui si era laureato, quello di insegnante di educazione fisica. Ma
anche questa 'impresa' non era priva di inconvenienti. Doveva integrare le
proprie lezioni con quelle di Arcangelo, che gli era più ostile che mai. Ziva lo
aveva lasciato e Sara era rimasta con Tony e lui si era ritrovato da solo. Di
tutto questo incolpava Tony stesso, colpevole, ai suoi occhi, di avergli rubato
la ragazza e di essere la causa della rottura con Ziva. A Tony tutto questo non
importava più di tanto, gli bastava avere il suo lavoro, i suoi amici e... e la
sua ragazza, ovviamente. Abbassò gli occhi sulla rossa che dormiva con la testa
appoggiata al suo petto. Lo sapevano entrambi, non potevano continuare così. Si
prendevano in giro a vicenda, e prendevano in giro se stessi, consapevoli di
farlo. Prima o poi avrebbero dovuto chiudere quella storia.
Sara: “A cosa
stai pensando?” chiese improvvisamente.
Tony: “Pensavo dormissi...” rispose
lui, evitando la domanda.
Sara: “Sono sveglia da un po'... stavo pensando
anche io.”
Tony: “A cosa?”
Sara: “Alla stessa cosa a cui stai pensando
tu.”
Tony: “Ehi, credevo fosse Kate la telepate... Ho forse sbagliato gemella
ieri sera?”disse in tono serio.
Sara: “Stupido...” rispose lei in tono
scherzoso, poi tornò seria “credevo stessi pensando anche tu al fatto che forse
dovremmo lasciarci.”
Tony restò in silenzio per qualche secondo, infine
rispose.
Tony: “In effetti hai pensato giusto.”
Sara: “E
quindi...”
Tony: “E quindi ci lasciamo.”
La ragazza non rispose e rimase
in silenzio, pensierosa. Infine si alzò, raccolse la sua roba, sparsa per la
stanza, ed uscì.
Poche ore più tardi Kate e Sara erano al Quartier Generale dell'NCIS. Kate
era andata a presentare in via ufficiale la domanda di maternità e a salutare i
suoi colleghi, e la sorella l'aveva accompagnata, più che felice di lasciare la
scuola, che in quella giornata le sembrava avesse un'aria più pesante che mai.
Si recarono prima nell'ufficio del Direttore Shepard e poi scesero a salutare
Gibbs e la squadra. Trovarono ad accoglierle anche Abby, che le salutò
entusiasticamente e volle a tutti i costi sentire il bambino muoversi. Gibbs
rivolse loro un saluto quasi paterno e McGee insistette per cedere il suo posto
a Kate. Infine salì anche Ducky e Kate e i suoi colleghi si persero in
conversazione. Sara rimase in disparte, pensierosa. Ziva non l'aveva salutata e
ora restava fuori dalla conversazione. Sapeva che Tony aveva provato a chiamarla
quella mattina stessa, ma si era sentito sbattere il telefono in faccia. Questo
non le piaceva. Accettava e capiva l'atteggiamento di Ziva nei suoi confronti,
ma Tony non c'entrava nulla e non era giusto che pagasse. Perché in fondo, il
fatto che fosse un mutante era solo un problema marginale. Il vero problema
erano loro due.
Si avvicinò a lei e in tono tranquillo la salutò.
Sara:
*Shalom* decise di rivolgerlesi nella sua lingua. Qualsiasi cosa si fossero
dette poi, voleva che restasse tra loro.
Ziva non rispose né alzò la testa
dal verbale che stava compilando.
Sara: *Shalom* ripeté ad un volume più
alto.
Ziva non rispose di nuovo.
Sara: *A casa mia le persone si
salutano.* disse infine in tono acido.
Ziva: *Shalom.* rispose senza alzare
la testa dal foglio *Che cos'altro vuoi da me?*
Sara: *Parlarti. Di
Tony.*
Ziva: *Di chi?*
Sara: *Hai capito benissimo di chi. So che
stamattina ha provato a chiamarti...*
Ziva: *Ah, davvero?*
Sara: *Si. E so
anche che gli hai chiuso il telefono in faccia.*
Ziva: *E giustamente sei
venuta a difendere il tuo ragazzo.* disse in un tono che tradiva una punta di
amarezza.
Sara: *No.*
Ziva: *E allora perché?*
Sara: *Credo volesse
dirti che ci siamo lasciati e... Beh per il resto posso solo immaginare, ma
suppongo avesse a che fare con il vostro rapporto.*
Ziva: *Rapporto? Io non
ho nessun rapporto con quel mostro!*
Sara a questo punto perse la pazienza.
Sbatté pesantemente le mani sul tavolo e avvicinò il viso a quello dell'altra
donna, quasi trattenendo un ringhio.
Sara: *Senti un po' Davìd! Settant'anni
fa' un pazzo si è svegliato la mattina e ha deciso che gli ebrei erano feccia e
andavano eliminati e l'ha fatto! E ora tu chiami mostro ME? Voi con le vostre
leggi, volete registrarci, rinchiuderci, limitarci... Pensavo che proprio
qualcuno del tuo popolo potesse capire, ma evidentemente mi sbagliavo. Non avete
imparato nulla. Avete dimenticato così in fretta... Non so quale sia la tua
esperienza con gente come noi, ma ti dico che siamo persone normali che
combattono per le proprie famiglie, per dare un futuro ai propri figli e ai
propri nipoti, per poter vedere ancora il cielo la mattina. Per non disperderci
anche noi nel vento. Medita su ciò che è stato, scolpiscilo nel tuo cuore,
costruiscici sopra. Apriti agli altri e smettila di essere un automa costruito
per uccidere! Hai un'anima, tutti l'abbiamo. Anche Tony ce l'ha. E ora sta male.
E se tu hai un problema con me, non puoi far pagare lui. Pensa a quello che ti
ho detto.* poi senza aggiungere una parola imboccò l'ascensore.
Ziva si
guardò intorno. L'intero ufficio si era bloccato a guardarle, ma tutti tornarono
alle proprie attività ad un'occhiataccia di Gibbs.
Kate: “Forse è ora che io
e mia sorella torniamo a casa.” disse infine.
Gibbs annuì.
Abby: “Fatti
sentire ogni tanto e facci sapere come cresce il piccoletto!” disse
saltellandole intorno.
Kate la abbracciò, poi salutò gli altri e scese anche
lei al parcheggio, dove, appoggiata all'auto con espressione cupa, sua sorella
l'aspettava. Salirono in macchina e partirono alla volta della scuola, in
silenzio.
Per tutto il tragitto non parlarono. Sara era immersa nei suoi pensieri e
Kate fece di tutto per lasciarle un po' di privacy, per quanto la sua condizione
glielo permettesse, perché da quando era incinta le riusciva difficile
controllare i suoi poteri. Per evitare di entrare nella mente della sorella si
costrinse a pensare ad altro: era San Valentino, e alla scuola la aspettava
Matt; sapeva che aveva una sorpresa per lei, e non vedeva l'ora di passare il
tempo con lui.
Arrivate alla scuola le due si separarono: mentre Silver
andava in cucina a rimediare qualcosa da mangiare, Blind si diresse verso la sua
camera, con aria depressa; nel tragitto incrociò Laura, anche lei piuttosto giù
di morale.
Sara: "Che hai, Laura?" chiese, fermandosi a pochi metri da
lei.
Laura: "Nulla, non ti preoccupare." rispose, poco convinta e continuando
a camminare, depressa. Sara la fermò.
Sara: "Dai, vieni in camera mia,
raccontami tutto."
La brunetta ci pensò un momento, poi decise di accettare
l'invito. Non appena furono sole in camera disse:
Laura: "Johnny non è
venuto..."
Sara: "Che c'entra Johnny?"
Laura: "E' da Capodanno che andiamo
a letto insieme." confessò, tutto d'un fiato.
Sara: "Wow... beh, io invece ho
lasciato Tony."
Laura: "Davvero? Perché?"
Sara: "Beh, è complicato.
Diciamo che ci stavamo prendendo in giro."
Laura: "Siamo davvero
sfortunate..." sospirò "Però almeno Kate è stata fortunata in questo campo, Matt
è una brava persona."
Nello stesso momento Kate, in cucina, attendeva l'arrivo di Matt, mangiando
patatine. L'uomo non si fece attendere, e comparve dopo dieci minuti sulla
porta, sorridendo.
Matt: "Ciao, piccola. Buon San Valentino." poi si avvicinò
alla fidanzata e la baciò.
Kate: "Grazie. Buon San Valentino anche a
te."
Matt la tenne stretta per qualche minuto, sorridendo quando sentì un
calcio del loro figlio.
Matt: "Sai, stavo pensando una cosa... perché non
vieni a vivere con me a New York?" chiese, dopo una breve pausa.
Kate: "Ma io
lavoro a Washington..." obiettò.
Matt: "Ecco, appunto... stavo pensando anche
che forse, ora che stiamo per avere un bambino... sai, il tuo lavoro è molto
pericoloso..." balbettò.
Kate si allontanò di qualche passo, guardandolo con
gli occhi spalancati.
Kate: "Cosa vuoi dire? Vuoi che lascio il mio
lavoro?"
Matt: "Il mio stipendio basta per mantenerci tutti e tre." precisò,
poi attese una risposta.
La giovane strinse i pugni, tremando per il
nervosismo.
Kate: "Vattene!" esclamò, con voce tremante.
Matt:
"Ma..."
Kate: "Ho detto che te ne devi andare! Non voglio più vederti!" urlò
mentre cominciavano a spuntarle delle lacrime. L'uomo provò ad abbracciarla, ma
lei lo respinse "Ho detto che devi andartene!"
Matt non insistette. Una cosa
che sapeva della madre di suo figlio era che era testarda come un mulo: se si
metteva in testa una cosa non si sarebbe mai riusciti a farle cambiare idea,
finché non avesse sbollito la rabbia, e la cosa era accentuata dal fatto che ora
aspettava un bambino. Quindi volse le spalle alla cucina e se ne andò a testa
bassa e con la coda fra le gambe.
All'entrata venne visto da Logan e Tony,
che lo fermarono.
Logan: "Matt, che è successo? Hai una faccia..."
Matt:
"Non ho voglia di parlarne ora. Chiamo un taxi e torno a New York."
Logan:
"No, ti accompagno io." detto questo, prese le chiavi e lo condusse verso il
garage, lanciando un'occhiata a Tony.
Kate, intanto, aveva guardato Matt
mentre si allontanava. Non riusciva a smettere di piangere; guardò il pacchetto
di patatine e poi lo lanciò via: era troppo triste e troppo nervosa per mangiare
ancora... no, era solo nervosa, la tristezza proveniva da un'altra fonte. Si
guardò attorno: era completamente sola.
No, non era sola. Abbassò lo sguardo
verso la sua pancia e comprese: suo figlio era un telepate, e le stava
trasmettendo tutta la sua tristezza per la separazione dal padre.
Kate:
"Scusami tanto, piccolino... io non potevo..." sentì dei singhiozzi nella sua
mente, poi sentì il bambino contorcersi; si carezzò la pancia, quindi percepì
che si era un po' calmato, anche se era ancora molto triste.
Aveva bisogno
d'aria, quindi andò a prendere le chiavi della macchina e scese in garage
passando nell'atrio, dove c'era ancora Tony.
Kate: "Vado a Washington. Ho
bisogno di cambiare aria." gli riferì, poi scese e partì.
L'uomo attese una
decina di minuti, prima di decidere di seguirla.
Tony trovò la donna seduta su una panchina nei pressi del Lincoln Memorial;
stava osservando un gruppo di bambini giocare, carezzandosi la pancia, con
un'aria quasi assente e molto triste.
Kate non si accorse del collega, quando
le si sedette accanto. L'uomo notò che la sua attenzione era catturata da un
bambino di circa cinque anni che correva e rideva allegramente, giocando con gli
altri coetanei, sotto l'attenzione dei genitori. Li osservò tutti e tre: il
padre era un uomo sulla quarantina, con i capelli neri e gli occhi scuri.
Indossava un'uniforme da Marine e abbracciava la moglie, bionda e con gli occhi
grigi, e ogni tanto richiamava all'ordine il figlio, che rispondeva al nome di
Martin.
Tony osservò attentamente il bambino: non somigliava a nessuno dei
due genitori, quindi dedusse che potesse essere stato adottato. Aveva i capelli
di un colore rosso acceso, leggermente ondulati, e sul suo volto, pieno di
lentiggini, spiccavano due luminosi occhi azzurri.
Si voltò verso Kate; era
ancora assorta nell'osservazione di quel bambino. Si stava carezzando la pancia.
Tony suppose che quel Martin l'avesse colpita perché probabilmente era così che
si immaginava suo figlio.
Stava per dire qualcosa, quando Martin rotolò giù
dalle scale del monumento, fermandosi proprio davanti a loro, in lacrime e con
la pelle scorticata. Sia Tony che Kate si alzarono per soccorrerlo, raggiunti
quasi subito dai genitori. DiNozzo lo guardò attentamente, poi si rivolse ai
genitori:
Tony: "Se volete posso guarirlo..."
...: "Non si preoccupi, non
c'è bisogno." rispose il padre, cercando di calmare il piccolo.
Tony: "Ma..."
replicò, ma si bloccò appena vide che il piccolo stava guarendo a vista
d'occhio, e alle lacrime per il dolore si stavano sostituendo le lacrime per lo
spavento. I genitori lo cullarono e lo rassicurarono, allontanandosi, mentre
Tony guardò Kate, che sorrideva come se avesse appena avuto una rivelazione
piacevole.
Kate: "Ha la rigenerazione..." sussurrò, quasi felice.
Tony:
"Già..." rispose. Era davvero strana. Forse era un effetto collaterale della
gravidanza.
La ragazza continuò a guardare la famiglia, senza curarsi di
Tony.
Tony: "A cosa pensi?"
Kate: "Ha trovato una bella famiglia... e il
padre è un marine."
Tony: "Sì, ma..." cominciò, poi collegò tutto: capelli
rossi, il piccolo Martin era stato adottato, ed era un mutante, in particolare
un mutante con potere rigenerante "Per caso sto pensando giusto?" Kate annuì,
DiNozzo continuò "Quindi lui è..."
Kate: "L'ho dato in adozione quando è
nato. Solo Matt lo sapeva. L'ho avuto a 19 anni, da uno dei miei
clienti."
Tony annuì, poi si decise e, passandole una mano attorno alle
spalle, la condusse alla macchina e la riportò a scuola.
Arrivati a
destinazione, la giovane sembrava più rilassata.
Kate: "Ti va una
birra?"
Tony: "Non pensavo che in una scuola come questa ci fossero delle
birre... e comunque tu non puoi berne."
Kate: "Ho qualche cassa nascosta in
camera mia, e comunque l'ho chiesto a te."
Tony: "Va bene."
La seguì fino
in camera, dove lei fece uscire una bottiglia di birra da sotto il letto, poi la
aprì e la passò al collega, non prima di averne bevuto un sorso.
Tony: "Hey!
Tu non ne puoi bere!" esclamò, togliendole la birra di mano.
Kate: "Scusa...
era solo un sorso."
Tony: "Un sorso che mi ha portato via mezza
bottiglia!"
Kate non rispose e si carezzò la pancia, intenta ad ascoltare
qualcosa che sentiva solo lei.
Tony: "Cosa c'è?"
Kate: "Sta ancora
piangendo."
Tony: "Chi?"
Kate: "Logan Matthew Jr." rispose, senza togliere
la mano dalla pancia.
Tony capì e avvicinò la mano; quando sentì il piccolo
muoversi cominciò:
Tony: "Hey, piccoletto, sono lo zio Tony. Non
preoccuparti, mamma e papà faranno presto pace."
Sentì un altro calcio e
sorrise.
Kate: "Dice che prima dovresti pensare a metterti con la zia
Ziva."
Tony: "Una cosa alla volta." le fece uno dei suoi famosi sorrisi e la
abbracciò, poi le diede un bacio leggero sulle labbra.
Due minuti dopo,
stavano facendo l'amore.
Sara stava male. Anzi, stava benissimo. Con Laura si erano scolate una
bottiglia a testa di whisky, ma mentre la sorella aveva un fattore rigenerante
che le consentiva di tollerare molto bene l'alcol, per lei la cosa era diversa.
Tra l'altro il Fiammifero alla fine si era fatto vivo e Laura gli era schizzata
al collo, lasciandola da sola in camera. Così aveva deciso di buttare giù anche
il suo 'ricostituente' preferito, nascosto nella boccetta delle aspirine. Adesso
era buttata in uno dei corridoi meno frequentati della scuola, seduta in un
angolo con aria beata. Le sembrava di essere immersa nei colori, le consentiva
di non pensare alle ultime cose accadute. Non tanto per la storia con Tony, no,
quella aveva un'importanza minima. Quello che voleva evitare di pensare lo
sapeva solo lei. E Jean. Ma Jean non c'era più, e lei aveva promesso di non
dirlo a nessuno. Qualcuno la superò in tutta fretta, senza notarla, nascosta
nell'ombra del suo angoletto. Poi i passi rallentarono e Alex tornò
indietro.
Alex: “Sara...?”
Sara: “Ciao...” rispose con aria
svanita.
L'altro si abbassò alla sua altezza e la scrutò con aria
indagatrice, poi cercò di sollevarle una palpebra per controllarle la pupilla,
ma la ragazza tirò indietro la testa bruscamente.
Sara: “Lasciami...”
protestò debolmente.
Alex: “L'hai fatto di nuovo!” l'accusò in tono
duro.
Sara: “No, non è vero...”
Alex: “Non mi prendere in giro. Non sono
stupido. Che hai preso?”
Sara: “Niente...”
Alex: “Si, certo, come no.
Vieni con me. Ti porto in infermeria.” Tentò di sollevarla, ma lei puntò i piedi
a terra.
Sara: “Non ci voglio venire!” si lamentò cercando di alzare la
voce.
Alex: “Tu adesso vieni con me e basta! Hai pure bevuto! Vuoi
morire?”
Con suo stupore, Blind smise improvvisamente di opporre resistenza e
scoppiò a ridere, cadendogli addosso. La sorresse e poi decise di prenderla in
braccio, mentre lei non smetteva di ridere istericamente.
Alex: “Ma insomma,
si può sapere che ti prende?” sbottò alla fine “Io non ci trovo niente di
ridicolo!”
Sara: “Dici... Dici che posso morire!” esclamò fra le
risate.
Alex: “Si. E' rischioso mischiare alcol e allucinogeni! E non fa
ridere!”
Sara: “Tu non capisci...”
Alex: “Che cosa dovrei capire? Il fatto
che continui a farti del male? Io sono stufo di starti dietro!”
Sara:
“Nessuno ti chiede di farlo, Mr
'Devo-lasciarti-perché-non-voglio-perdere-il-mio-stipendio'” replicò tornando
seria per un momento. Alex restò in silenzio.
Alex: “Senti, io...” iniziò, ma
non fece in tempo a finire la frase che lei scoppiò di nuovo a ridere. “che
altro c'è adesso?” esclamò bruscamente cambiando argomento.
Sara: “No, no,
non è proprio il momento...”
Alex: “Ma di che parli?”
Sara: “Delle
confessioni d'amore. Non è proprio il momento. Io non posso...”
Alex: “Che
cosa non puoi?”
Sara: “Stare con te. Io devo stare con Warren.”
Alex:
“Devi?”
Sara: “Oh si. Lui soffrirà di meno.”
Alex: “Ma di che parli?!”
esclamò mettendola seduta sul suo letto, dove si era diretto automaticamente. Ci
stava capendo sempre meno di quella storia, e non gli piaceva. Per
nulla.
Sara: “Non posso dirtelo.”
Alex: “Lo sapevo. Mi stai prendendo in
giro per non farti portare in infermeria. Mi chiedo perché ci casco
sempre.”
Sara: “No no. Non ti sto prendendo in giro. Ho promesso di non dirlo
a nessuno.”
Alex: “A chi l'hai promesso?”
Sara: “A Jean.”
Alex: “Cosa
c'entra Jean?”
Sara: “Te l'ho detto, non posso dirtelo.”
Lui sospirò e
rimase in silenzio. Quando si intestardiva così non c'era nulla da fare.
Maledizione...! La odiava quando faceva la tossica.
Sara: “Non lo faccio.”
disse improvvisamente.
Alex: “Cosa?”
Sara: “Non 'faccio' la
tossica”
Alex: “Hai imparato a leggere nel pensiero adesso?”
Sara: “Nel
tuo si.”
Alex: “Ah, si? E a cosa starei pensando adesso?”
Sara: “E' troppo
osceno per dirlo.” rispose.
Alex: “Mi dispiace deluderti allora. Non è nulla
di osceno.”
La ragazza alzò un sopracciglio e lui ringraziò il fatto che non
potesse guardarlo in faccia.
Alex: “Mi spieghi perché desideri così tanto
morire?”
Sara: “Io non lo desidero.”
Alex: “Allora devi smettere di
prendere quella roba.”
Sara: “Perché? Perché me lo dici tu? Non sei più il
mio ragazzo.”
Alex: “Possibile che tu non riesca proprio a passare sopra
questa cosa?” esclamò impaziente.
Sara: “No, non ci riesco.”
Alex: “Io non
potevo...”
Sara: “Perché?”
Alex: “Lo sai perché”
Sara: “No, non lo so.
Devi dirmelo tu.”
Alex: “Ho dieci anni più di te.” disse sospirando.
Sara:
“E quindi? Matt ne ha tredici più di Kate.” rispose con ostinazione.
Alex:
“Nelle università non è molto ben visto un professore che ha una ragazza
dell'età dei suoi studenti.”
Sara: “E giustamente meglio perdere me che lo
stipendio. Non fa una piega.” la sua voce aveva un tono amaro.
Alex: “Non
intendevo dire questo.”
Sara: “Ma l'hai detto.”
Alex: “Hai idea di cosa
sarebbe successo se avessero scoperto che stavamo insieme?”
Sara: “Sono
maggiorenne.”
Alex: “Non lo eri quando ci siamo messi insieme.”
Sara:
“Questo lo sapevi anche prima.” esclamò alzando la voce. Non le piaceva quando
lui si arrampicava sugli specchi.
Alex: “...io non ci posso credere che
stiamo avendo questa conversazione.” disse infine dopo un paio di minuti di
silenzio.
Sara: “Hai iniziato tu.” lo rimbeccò.
Alex: “No, io ti ho
chiesto un'altra cosa. Perché ridevi?”
Lei non rispose e si lasciò cadere
stesa sul letto.
Sara: “Il tuo letto ha un buon profumo.” disse, quasi
sovrappensiero.
Alex: “Non cambiare argomento.”
La ragazza si alzò di
scatto con aria irritata.
Sara: “Ma insomma vuoi lasciarmi in pace?!”
esclamò. La droga stava ricominciando ad avere effetto.
Alex: “Io voglio solo
aiutarti.”
Sara: “IO NON VOGLIO IL TUO AIUTO, VOGLIO SOLO CHE MI LASCI IN
PACE! NON SEI NEMMENO VENUTO A TROVARMI IN INFERMERIA E ADESSO PRETENDI CHE TI
DIA RETTA! SE PROPRIO LO VUOI SAPERE E' SOLO COLPA TUA SE HO RICOMINCIATO. IO
AVEVO SMESSO PER TE!” sapeva che non era vero, che era stato solo quello che
Jean le aveva detto e quello che le avevano dato quando era prigioniera a farla
ricominciare, ma voleva ferirlo. Almeno un pochino, voleva fargli provare quello
che aveva provato lei.
Alex: “Sara per favore...” tentò di
rabbonirla.
Sara: “NO! Io non voglio più...” la sua voce scemò e si portò una
mano alla testa.
Lui si avvicinò e la sorresse, poi la prese in
braccio.
Alex: “Ti porto in infermeria. Non vorrai mica morire sul
serio.”
Sara: “Io sono già morta.” mormorò.