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Autore: Melanto    05/10/2018    7 recensioni
[ATTENZIONE! GENDERSWAP! XD]
«Nella mia testa un corno! Non è affatto un caso se Izawa spunta come unfunghettotrallalà praticamente ovunque! Dove c’è la nostra Yu-chan, ecco che il Raperonzolo Moro della Nankatsu compare per magia.»
La stessa storia, gli stessi personaggi, la stessa OTP... o forse non proprio e qualcosa è stato mischiato?
(...ooops! Qualcuno ha detto 'tette'?!)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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When you look at me - II

Note Iniziali: : storia scritta per il Writober di Fanwriter.itDay 4 Prompt: Segreti.

Sono in ritardo, il prompt è quello di ieri, ma sono stata fuori tutta la serata e non sono riuscita a terminare in tempo.

Vi rimando alle note finali, perché questo sarà l’ultimo prompt che farò per il Writober. Ahimé, il mio finisce qui :D

 

When you look at me

- II -

 

 

 

 

 

«Ebbene, ragazze, il momento è cruciale.»

Teiko aveva l’attenzione delle compagne, sedute chi ai piedi del letto – come Shiho – e chi sopra di esso – come Takeko. Yuzuriha era alla scrivania, il mento affondato nella mano e un sopracciglio inarcato. Ma Teiko non si curava della sua riottosità a quel processo impossibile da evitare; era stato chiaro nel momento stesso in cui le aveva scritto, la sera che era rimasta da sola con Izawa in palestra, anzi, appena era salita sul bus.

 

‘Mi ha chiesto di uscire.’

‘Che hai risposto?!’

‘…sì?’

‘RISPOSTA ESATTAAAAAH!!!!’

‘E adesso che devo fare?!’

‘Mia cara, ma a quello penso io. È ovvio!’

 

Erano seguite una sfilza di cuori e stelline ed emoji con gli occhi a cuoricino, e risatine sataniche.

Quando Teiko diceva che ci ‘avrebbe pensato lei’ non si prospettava mai niente di buono. Yuzuriha avrebbe dovuto saperlo e, invece, da buona fessa qual era, s’era lasciata fregare dalla propria ansia di dover uscire con Mamoru. Per questo, in quel fatidico venerdì pomeriggio, il mitico quartetto della Nankatsu di Volley si era riunito in camera sua e restavano in attesa del verdetto di Teiko, in piedi, al centro della stanza e che guardava il suo armadio chiuso con la stessa aggressività con cui Heidi Klum guardava i poveri malcapitati di Project Runway.

Teiko si sfregò la punta delle dita per trovare la sensibilità del tocco magico, mentre Takeko si teneva stretta il cuscino al petto e aveva gli occhi spalancati, e MamaBear rivolgeva occhiatine di compassione a Yuzuriha che ogni tanto le mollava un calcetto per dirle di smetterla.

«Ci siamo», Teiko si soffiò sulle dita in segno scaramantico e afferrò le maniglie delle ante. Un’ultima occhiata alle proprie spalle. «Preghiamo», disse grave e poi le spalancò con un gesto deciso e teatrale.

Takeko trattenne il fiato, Yu ruotò gli occhi e Shiho bloccò una risata sgranocchiando una patatina.

Teiko le lanciò un’occhiataccia. «Mommy! Potresti evitare di mangiucchiare?! Devo concentrarmi!»

Con sguardo di sfida, fissò l’interno dell’armadio: le grucce sistemate, sì, in maniera ordinata ma gli abiti che vi pendevano non avevano alcuna gerarchia interna. Orrore! Per colore? Per tipo? Per stile? Macché! C’era più metodica in una bancarella del mercato. Però, nonostante cercasse di trovare una quadra, guardare e riguardare, qualcosa di ancora più pauroso e sconvolgente stava emergendo.

«Dove sono?» chiese, all’improvviso, lasciandosi sfuggire una nota allarmata. «Dove sono?!»

«Cosa?» sospirò Yuzuriha.

«I vestiti!»

«Come sarebbe ‘dove sono?’? E quelli che hai davanti che sarebbero?»

«Pantaloni!» esclamò con un diavolo per riccio. «Lunghi, coprenti e sobri pantaloni!»

Yuzuriha sollevò le spalle, rivolgendo i palmi in alto, senza riuscire a capire il motivo di tante proteste. Teiko era sull’orlo di una crisi di nervi.

«Io voglio i vestiti! Le gonne! Sai, quelle cose un po’ corte, sotto cui passa aria e puoi metterci le autoreggenti!»

«Io non porto gonne. L’unica che ho è quella della divisa scolastica.»

«Ah! Mi sanguinano le orecchie, cosa sono costretta a sentire!» Teiko si portò le mani al petto, ferita a morte. «Ma perché ho delle amiche così sciatte?! Cos’è, una punizione divina per essere nata ricca?!»

«Non farla tanto lunga, Tei-chan.»

«Tu zitta, Shiho!» Teiko l’additò con fare inquisitorio. «Sei un’altra che non ho mai visto con un abito! Sappi che la prossima ad avere una perquisizione del guardaroba sarai tu!» poi si portò le mani al viso, sconsolata dalla situazione. In quel modo e a quelle condizioni era impossibile che lavorasse e, nella sua visione delle cose, Yuzuriha non avrebbe dovuto essere meno che perfetta per il suo appuntamento col Raperonzolo Moro. «Houston, abbiamo un problema. Temo che dovrò ricorrere all’artiglieria pesante, sfoderare l’arma segreta…»

«Hai addirittura un’arma segreta?» Yuzuriha le lanciò un mezzo sorriso sarcastico. «E quale sarebbe? Di certo non puoi sognarti di prestarmi niente di tuo, tanto non mi entrerebbe. E di andare a fare shopping dell’ultimo momento non se ne parla.»

«Niente di tutto questo», Teiko scosse la testa, grave. «Qui ci vuole un intervento superiore, giocare d’esperienza», alzò il viso con solennità e poi piagnucolò a gran voce: «Ume-saaaaan

Il viso di Yu divenne terreo. «Mia madre?! Ma sei im-»

«Mi avete chiamato, ragazze?»

La signora Morisaki fece il suo ingresso, spalancando la porta e mandando avanti le doti di famiglia – cioè una quinta di reggiseno – di cui non si era mai vergognata, anzi. Aveva sempre sfoggiato le sue curve con grande coscienza di sé, affrontando a muso duro ogni presa in giro. Non per niente era attivista per i diritti delle donne. Sorriso smagliante, trucco impeccabile e sempre ottimo gusto nel vestire; Teiko vedeva in lei l’unica soluzione possibile a una situazione disperata.

«Mamma?! Eri dietro la porta?!»

«Ma no, stavo passando per caso, tesoro.»

Yuzuriha le rivolse un’occhiata eloquente prima di fulminare Teiko: «Questo è un colpo basso», le bisbigliò.

«A mali estremi, estremi rimedi.»

«Allora, mie care, di cosa avete bisogno?» strizzò loro l’occhio. «Cos’è questa piccola riunione qui dentro, vedo l’armadio aperto…»

Yuzuriha divenne bordeaux. Ci mancava solo che sua madre avesse saputo del-

«Sua figlia ha un appuntamento, domani, e il suo armadio è un disastro. La prego, ci aiuti!»

…ecco, appunto. Stava dicendo?

«Giuda…» borbottò, incrociando le braccia al petto.

«Oh, non parlarmene, Tei-chan. Ogni volta è una guerra», sospirò la donna. «Quando le dico di comprarsi qualcosa, lei torna con un paio di jeans uguale ai millemila che ha già, o una tuta o un paio di scarpe da ginnastica. Non c’è verso di farle prendere altro.»

«Fosse solo quello!» piagnucolò Teiko, disperata. «Ha solo t-shirt! Oversize, per giunta. Qualcosa di più aderente? Sembra quasi che tu non sia mai venuta a fare shopping con me, diavolo!»

«Sì, certo, aderente, e queste dove me le metto?» sbottò Yuzuriha, indicandosi il seno.

«Quanto sei noiosa! Si trova sempre una soluzione.»

Ume Morisaki batté le mani. «Ma ho sentito bene, si è parlato di ‘appuntamento’

«Sì! Esatto!» Takeko ci tenne a essere precisa. «Con il ragazzo più bello della scuola!»

«Ah. Davvero?» Ume era tutta un sorriso. Rivolse un’occhiata di approvazione a Yu e le strizzò l’occhio. «Brava, tesoro. Ti ho insegnato bene.»

«Oh, per favore…» sospirò la ragazza, spiaccicandosi la mano sul viso.

«Aspettate! Ma non sarà mica come quel bamboccio del baseball, vero?»

«Oh, no no no!» Teiko si affrettò a negare con vigore. «Assolutamente, Ume-san! Qui si va su un altro livello.»

«Foto? Suvvia, tiratele fuori, non ci credo che non ne avete. State sempre con quei cellulari in mano!»

Yu sbuffò. «Ma ti pare che andiamo a fotografar-»

«È questo qui.»

«Mommy?!» guardò Shiho con occhi pallati, ma la spessa Takasugi non si curò della sua disperazione mentre allungava il cellulare a sua madre. Le rivolse, invece, un’occhiata severa.

«Zitta, cucciolotta. È per il tuo bene, lascia fare alle mamme

Ume si illuminò alla vista di Mamoru. «Oh! Hai capito! Questo sì! Bel colpo, bambina.»

«Adesso gli scrivo e gli dico che salta tutto.»

«Non essere scema! E ascolta tua madre», Teiko la rimbeccò, mollandole anche uno scappellotto.

In tutto quello, la signora Morisaki aveva già preso il controllo della situazione. Restituì il cellulare a Shiho e batté ancora le mani per avere l’attenzione delle ragazze. Negli occhi scuri, in cui brillavano lampi di forte combattività e malizia, c’era tutta la sicurezza di chi aveva già il piano perfetto.

«Per un primo appuntamento speciale, ci vuole un vestito speciale. Seguitemi.»

Fece loro strada, invitandole a cambiare stanza. Il terzetto di amiche le tenne subito dietro, capeggiato da una Teiko su di giri, una Takeko curiosissima e una Shiho che ormai voleva proprio vedere dove sarebbero arrivate. A chiudere la fila, c’era invece una affranta Yuzuriha, che non faceva che sbuffare come una ciminiera e, più che camminare, si stava praticamente trascinando. L’intenzione di scrivere a Mamoru e dirgli che saltava tutto era fortissima, ma alla fine si limitò a sospirare quel rassegnato: «Ma perché non sono nata maschio?!»

La destinazione di quella strana fila indiana fu la camera dei genitori di Yu. Ume disse loro di prendere posto sul letto e le ragazze non se lo fecero ripetere. Teiko, ovviamente, si sedette in prima fila, perché doveva guardare tutto. Aveva la schiena dritta e attenta come nemmeno a scuola durante le lezioni, e le mani strette sulle ginocchia. Takeko aveva trovato un altro cuscino da stringere e Shiho aveva smesso di sgranocchiare patatine, solo per non sporcare la camera della signora Ume.

«Sapevo che prima o poi un momento simile sarebbe arrivato», stava dicendo quest’ultima. Alle sue spalle c’erano due grandi armadi: uno chiaramente quattro stagioni, e un altro diverso, più piccolo, che sembrava cozzare con l’intero arredamento della stanza. Era di tipo shabby, fintamente rustico, con un bello specchio sulla parte anteriore. E fu proprio verso quell’armadio che si fermò. «Li ho conservati apposta. A me, ormai, non vanno più, ma a te dovrebbero stare.»

Yuzuriha sgranò gli occhi, in un misto tra sorpresa e preoccupazione. «Ma quello è il tuo armadio vintage!»

«Lo so.»

«L’armadio vintage?» Teiko si illuminò d’immenso. «Il momento richiede della contemplazione speciale», con un sorriso amplissimo, si portò entrambe le mani al viso, appoggiando il mento nei palmi. E quando la signora Ume aprì il guardaroba gli occhi le brillarono tra tutti quei pois e tulle e gonne a ruota dalle fantasie più varie. «Oh, mio Dio. Questa è una autentica miniera d’oro!»

«Sappi che lunedì ti alzerò delle palle di merda. Contaci. Di merdissima», bofonchiò Yu, ma Teiko neppure l’ascoltava, si era già alzata e fiondata davanti a quella fila ordinatissima e coloratissima di tessuti e fantasie. Era nel suo mondo, ormai.

«Ma sono tutti suoi?! E originali dell’epoca?!» chiese, sfiorando con le mani il cotone e il tulle, la pelle con le borchie, la lana pettinata.

«Sì e sì. Diciamo che ho avuto un periodo un po’… turbolento, da ragazza. Ma quanto ci siamo divertiti io e Haru», sospirò, negli occhi di Ume brillava orgoglio per ogni istante che aveva vissuto e ogni follia che aveva compiuto. «Ormai quel tempo è passato, ma è perfetto per te, adesso», disse, guardando Yuzuriha.

«E vuoi che vada in giro vestita anni ’50?»

Ume sollevò una spalla, non si scompose. «Tesoro, non lo sai che il rockabilly non passa mai di moda?»

Teiko batté le mani, guardò Yu con occhio subdolo e pronto alla guerra. «È il momento di mettersi a lavoro.»

«Oh, mamma…» ma sua madre, in quel preciso momento, era proprio l’ultima persona cui potersi votare.

 

Mamoru era teso e per lui, quella, era una vera novità.

Teso a un appuntamento?! E quando mai? Nemmeno al primo in assoluto che aveva avuto si era sentito così, con lo stomaco che voleva divenire tutt’uno con l’esofago e la gola. Era fuori dal luogo d’incontro e non faceva che guardare l’ora, andare avanti e indietro e poi guardare di nuovo lo schermo del cellulare.

Yuzuriha aveva dieci minuti di ritardo, e lui l’aveva messo in conto né aveva preteso che fosse puntuale. Una volta, una ragazza l’aveva fatto aspettare mezz’ora e, a ripensarci, in quell’occasione neppure se n’era accorto del ritardo, preso com’era stato a chattare e ridacchiare con i suoi amici. Adesso, invece, ogni secondo in più che passava era una stilettata tra fianchi, ventre, schiena; il cuore gli doveva aver saltato qualche battito e il cellulare l’aveva guardato solo per vedere l’ora. Non aveva mai tolto neppure il blocco-tasti. Si sentiva sulle spine, con quell’idea di strano vuoto nello stomaco in cui sentiva fluttuare le budella. Provò quasi la tentazione di scrivere ad Hajime, così, per distrarsi, ma non lo fece perché voleva vederla arrivare. Poteva sembrare una cosa stupida e fin troppo romantica, ma voleva riconoscerla tra le persone che passavano di continuo davanti al Luna Park. Voleva sentire che effetto faceva vederla arrivare e sapere che stava arrivando per lui.

Quasi che qualcuno l’avesse ascoltato, scorse la sua testa zigzagare veloce tra tutte le altre, era di corsa. Era bellissima. La sensazione che aveva atteso non tardò a farsi sentire e tutto quello che fino a un attimo primo era stato accartocciato nel suo stomaco, si sciolse d’improvviso, diffondendo un calore che partiva dal ventre e arrivava fin nella testa e nella punta dei piedi.

Yuzuriha correva, tra la gente, agile con le sue gambe lunghe coperte da una gonna che arrivava al ginocchio e le cadeva morbida a ogni movimento. Sneakers ai piedi e una borsa a sacca tenuta stretta sul davanti. Al lobo penzolava un singolo orecchino a cerchio, grande, con una piuma colorata all’interno. Gli si fermò a un passo, piegandosi sulle ginocchia e riprendendo fiato.

«Ah! Scusa! Sono in ritardo!» disse tra un rifiato e l’altro. «Sai, i bus! La metro! Non ho calcolato bene i tempi!»

Lui sembrò per un attimo un pesce fuori di boccia: la bocca si aprì e chiuse un paio di volte senza dire niente, gli occhi rapiti dalle sue nocciole d’autunno messe in risalto da un po’ di matita e mascara. Sulle labbra, un gloss trasparente che le rendeva lucide come pesche.

Aveva il cuore che gli andava a singhiozzo e non riusciva a capire da che punto, di preciso, stesse battendo nel suo corpo. Se l’era perso nel miscuglio di roba sciolta che doveva esserci lì dentro, tra cassa toracica e stomaco. Poi si riscosse e sorrise.

«No, figurati! Nessun problema. Non c’era bisogno di correre, prendi fiato.»

«È che odio essere in ritardo…» a un appuntamento non lo disse, si vergognava anche solo a pensarlo. Yuzuriha si tirò su e si diede una sorta di risistemata. Fece scendere bene la borsa sulla spalla con un po’ di imbarazzo nello scoprire la camicetta chiara che Teiko aveva scelto tra le mille cose di sua madre. Per fortuna che l’aveva spuntata per tenere il golfino corto, di cui era riuscita a chiudere solo il primo bottone, quello giusto per nascondere un po’ il decolleté che sua madre, invece, le aveva detto di mettere in mostra. Se solo ripensava all’incubo del giorno precedente le venivano i brividi lungo la schiena.

 

«Aperto!»

«Chiuso!»

«Aperto!»

«Chiuso!»

«A-per-to!»

«Chiu-so!»

«Ume-san! Glielo dica anche lei che deve tenere il bottone del golfino aperto!»

«Tranquilla, Tei-chan, lo aprirà da sola, quanto ci scommetti?»

«Sì, contateci. Non ci penso nemmeno. Questo bottone resterà sigillato! Non posso andare in giro così, mi vergogno!»

«Non hai niente di cui vergognarti, bambina mia. Hai un fisico da urlo! Sei alta, sei atletica, hai le tette. Sai cosa diceva sempre tua nonna? Le cose belle si portano da fuori.»

 

Certo, averne avute leggermente di meno di quelle stesse tette, magari, sarebbe stato più apprezzato. Ma sua madre era sempre stata così, e un po’ le invidiava la sicurezza che aveva del suo corpo. La nonna glielo diceva di continuo che, anche da ragazzina, non si era mai fatta mettere i piedi in testa da chi provava a prenderla in giro, anzi, le suonava forte a tutti e di santa ragione. Era sempre stata un po’ maschiaccio nell’animo tanto quanto femminile nella cura di sé. E la nonna stessa l’aveva sempre appoggiata, cucendole di sua mano molti dei vestiti che aveva indossato da ragazza, comprese le minigonne. Erano altri tempi, si era detta, ma a volte le sembravano meno oscuri e morbosi di quanto fossero quelli attuali, dove bastava avere un minuscolo neo per finire alla gogna.

Un po’ come si sentiva adesso, che aveva lo sguardo di Mamoru addosso e si vergognava come una ladra. Quanto avrebbe pagato per avere i suoi comodissimi jeans, in quel momento, o una camicia a quadroni oversize. Invece doveva tenersi la gonna che, per carità, era bellissima davvero, ma che non era abituata a indossare, e quella camicia che sentiva troppo stretta addosso, anche se era così che andava indossata. Meno male che era riuscita a tenersi almeno le sneakers o sarebbe morta una intera giornata sui tacchi. Quell’altra pazza di Teiko non aveva fatto altro che ripeterle che ‘lì sotto ci starebbero benissimo le mie Jimmy Choo!’. Ma lei avrebbe dovuto camminare e le scarpe comode erano state approvate all’unanimità.

Un po’ in imbarazzo diede una lisciata alla gonna color navy a righe diagonali sottilissime, quasi psichedeliche, e giocherellò con la coda del foulard annodato al collo. Rockabilly fino alla fine, sua madre non aveva voluto sentire ragioni.

«Aspetti da molto?» chiese, giusto per rompere il ghiaccio e poi distogliere in fretta lo sguardo perché quello di Izawa era troppo penetrante e molto più deciso del suo; sentiva di averlo addosso e non era intenzionato a distoglierlo.

«Pochi minuti. Entriamo?»

Yuzuriha alzò la testa sul grande ingresso del Luna Park. La gente fluiva tra madri, figli e ragazzine in età scolare come lei o più piccole, ma anche studenti universitari. L’odore dello zucchero filato e delle mele caramellate arrivava fin lì.

«Sai che sono sorpresa?» disse con un sorriso. «Ti facevo più tipo da cinema. Sai, il classico film romantico da guardare mangiando pop corn dallo stesso cestello.»

Mamoru sentì d’aver fatto punto. «Mi sembrava un po’ troppo scontato.»

«Ti sembrava bene», ridacchiò. «Odio i film romantici.»

Punto numero due. Mamoru sentì d’avere molta più sicurezza di prima e ciò che si era sciolto per l’emozione iniziale stava piano piano tornando insieme, assumendo una forma definita e solida.

Entrarono nel Luna Park, camminando fianco a fianco e lasciando che la gente girasse loro intorno, li superasse, e corresse via con la fretta di raggiungere questa o quella giostra.

«Da cosa ti piacerebbe iniziare?»

Yuzuriha si guardò attorno con reale curiosità e interesse. «Non saprei, è da molto che non ci vengo. Tra gli allenamenti e lo studio, le occasioni per uscire e divertirsi si sono un po’ ridotte e, per lo più, quando siamo libere finiamo sempre per parlare di pallavolo e di campionato.»

Mamoru riconobbe molto di sé in quella che era una summa anche delle sue giornate. Ma usciva spesso di sera, rimediando compagnia dell’ultimo minuto da parte di qualche amica. Anche lui, doveva ammettere, era da parecchio che non usciva al pomeriggio per un appuntamento serio con una ragazza. Però quella che aveva accanto e si guardava attorno lo faceva sentire a suo agio, a prescindere dalla solita e strana sensazione di vuoto che ogni tanto lo coglieva quando riusciva a strapparle un sorriso o facevano incontrare i loro sguardi. Si sentiva a suo agio perché non doveva mantenere un determinato atteggiamento, sempre teso a darsi un tono, a essere perfetto. Sentiva che poteva rilassarsi e passare il tempo con lei anche solo facendo due passi, senza finire per forza a pomiciare in un vicolo più defilato.

«Ti capisco, anche noi non facciamo che parlare di calcio. Le nostre manager ce ne dicono di tutti i colori, per questo!»

Risero entrambi, e Yuzuriha fece per passarsi una mano sugli occhi quando si ricordò del trucco e si fermò. Anche quello insistenza di Teiko perché: ‘L’acqua e sapone non va più di moda, sei pazza?! Il trucco deve essere studiato! Niente mascheroni, ma poco ed efficace!’. E, sì, poco ne aveva poco, ma era ancora troppo per i suoi standard. Anche il gloss sulle labbra, con quel sapore di pesca che la nauseava.

«Senti, vengo subito. Ti spiacerebbe aspettarmi qualche minuto?»

«No, affatto. Anzi, prendo da bere. Cosa ti andrebbe?»

«Ah, una coca. Grazie.»

Yu corse via e si infilò nel primo bagno che trovò.

Appoggiò stancamente la borsa su uno dei lavandini mentre, in quello accanto, c’era una mamma che stava facendo lavare le mani alla figlia. Lei le guardò per un attimo, guardò le salviette profumate con cui si stavano rinfrescando e ci pensò solo per un istante prima di chiederne una. La madre gliela offrì, gentilmente, e lei ringraziò con un inchino. Attese che andassero via, salutò la bambina con la mano e poi si guardò allo specchio, mentre altre madri e figlie, altre ragazze e donne entravano e uscivano dandosi il cambio.

Teiko non aveva esagerato e quel trucco leggerissimo le stava anche bene… ma l’idea di mostrarsi a Izawa in quel modo non le piaceva. Insomma, lui l’aveva vista fuori dalla palestra, sudata e sporca di polvere. Chi voleva prendere in giro? E anche quell’orecchino… l’unico che era riuscita a infilarsi, di corsa, mentre cercava di prendere al volo la metropolitana.

Femminilità.

Si mangiava?

Incerta, si passò una mano sui capelli corti che non aveva mai voluto far crescere perché ‘mi darebbero impiccio, così sono più comodi!’ e ancora si domandò perché diavolo uno come Mamoru Izawa avesse chiesto proprio a lei di uscire, quando avrebbe potuto avere un sacco di ragazze più carine e più femminili.

Ma se c’era una cosa che non le era mai piaciuto fare era cercare a tutti i costi di ‘apparire’. Apparire diversa da quello che era. Forse aveva problemi con l’eredità fisica della sua famiglia, ma di certo con tutto il resto ci era scesa a patti da tempo, e se doveva essere qualcuno, lei avrebbe sempre scelto ‘sé stessa’. Con decisione eclissò l’orecchino solitario nella borsa, si ripulì dalla matita e dal mascara con la salvietta, tolse ogni traccia di gloss e si lavò il viso, asciugandosi con un paio di strappi di carta, gettati subito dopo nel cestino.

Ecco, adesso sì che si riconosceva un po’ di più, anche se aveva ancora quella gonna, quella camicia e la cinta con la fibbia grande che le sagomava la vita al punto giusto in modo da mettere in risalto il fisico slanciato e morbido.

«Scusami», una ragazza le si affiancò per lavarsi le mani. Le stava rivolgendo un’occhiata ammirata. «Volevo dirti che hai una gonna bellissima!»

«G-grazie…» rispose con titubanza, ma le scappò un sorriso nel momento in cui afferrò la borsa e uscì.

Mamoru la stava aspettando con due lattine e altrettante cannucce. Era davvero bello con i capelli sciolti. Va beh, era bello sempre, ma a lei i suoi capelli erano piaciuti fin dalla prima volta che li aveva visti. Neri, lucidi. Li trovava sexy, e un sacco di volte avrebbe voluto poterli toccare come vedeva fare spesso ai suoi amici o alle ragazze che gli ronzavano attorno e avevano abbastanza confidenza da poterselo permettere. E poi aveva un fisico che… Scrollò il capo quando sentì il viso andare a fuoco, ma l’immagine delle gambe muscolose che spuntavano da sotto i pantaloncini e si piegavano, agilissime, nel correre da una parte all’altra del campo da calcio, era difficile da togliersela dalla testa una volta che ci si piazzava.

Tossicchiò, si lisciò la gonna e raggiunse Izawa, cercando, per l’ennesima volta, di non pensare troppo al fatto che fossero lì, insieme, e che quello fosse un appuntamento.

«Scusa l’attesa.»

Mamoru stava per dirle qualcosa, ma si fermò, accorgendosi subito della leggera differenza.

Lei camuffò un sorriso, leggermente in imbarazzo. Si passò una mano nei capelli corti, spettinandoli.

«Il trucco, con me, dura sempre pochissimo. Non ci sono abituata, ma se non l’avessi messo, Teiko mi avrebbe uccisa.»

«Ti hanno dato il tormento?» chiese Mamoru, allungandole una lattina.

«Loro, mia madre.»

«Ahi. Suona male.»

«Non immagini quanto. Per dire, io volevo venire in jeans, loro hanno insistito per la gonna. Mia madre in testa!» fece un po’ di autoironia, la faceva sentire meglio, e le permetteva di non guardare Izawa negli occhi. «Voi maschi non avete di questi problemi. Infilate la prima cosa e via. Di certo non avete delle amiche che vi danno il tormento con ‘sei troppo sciatta, sei troppo snob, sei troppo coperta, sei troppo scoperta’

Mamoru pensò che forse l’avrebbe fatta ridere sapere che anche lui aveva avuto la sua dose di ‘che diavolo mi metto?’ per non passare troppo sicuro o troppo insicuro, troppo aggressivo, troppo dimesso. Ma invece sorrise, trovando adorabile il suo imbarazzo e ancora più belle le sue labbra che, per togliere il gloss, doveva aver sfregato e ora erano leggermente rosse. Avrebbe voluto baciarle subito.

«Invece sei molto carina.»

Sì. Decisamente avrebbe voluto baciarla subito, soprattutto ora che aveva alzato lo sguardo con una sorpresa ed era arrossita.

 

Nascosti dietro l’angolo del primo, grande botteghino di dolci di quel Luna Park, tre paia di occhi tenevano tutta la situazione sotto controllo.

«Direi che il primo approccio è andato bene», Takeko mise via il piccolo binocolo nello zainetto.

«Ah! Quella disgraziata!» sbottò invece Teiko. «L’avete vista?! Si è andata a struccare! Ma che le passa per la testa?! E ha tolto gli orecchini! Già si era presentata con uno sì e l’altro no! Ah! La solita sciattona!»

«Lasciala stare, Tei-chan, è il suo appuntamento», sospirò Shiho, cercando di sedare la piccola esagitata del gruppo. Ma Teiko scosse con vigore i riccioli.

«Ma non sarà perfetta!»

«Non deve essere perfetta. Deve essere Yuzuriha. Se fosse perfetta non sarebbe lei», convenne Takeko con un’alzata di spalle. «E poi sono carini. Li avete visti? Izawa ha iniziato bene, punto per lui.»

«Sì, ammetto che la scelta del posto è stata azzeccata», approvò Teiko con una certa riluttanza, mentre MammaOrsa le piazzava un sacchetto sotto al naso.

«Tieni, consolati con le caramelle, tu.»

La riccia Kisugi sbirciò all’interno dove c’era una piccola e colorata montagnola di orsetti gommosi alla cola. Ne afferrò un paio, ancora con una smorfia di disappunto per vedere il suo lavoro di trucco e parrucco mandato a ramengo. «Sono buone», masticò afferrandone altre. «Almeno non l’ha portata al cinema. Sai le risate nel momento in cui le avrebbe chiesto di scegliere il film?»

Takeko sghignazzò. «Izawa si sarebbe trovato a guardare ‘Il ritorno degli Zombie’ con lei che ride a tutto andare a ogni scena splatter! Addio romanticismo.»

Come si erano già risolte a fare fin dall’inizio, si misero a pedinare i due come delle perfette ninja, seguendo ovviamente Shiho, che aveva le abilità migliori. Li osservarono entrare e uscire dalla casa stregata, salire sulle macchine a scontro e fare un paio di giri sulle montagne russe. E poi l’Otto Volante, la Ballerina e la Nave. All’ennesima giostra più estrema, Teiko si sentì in dovere di sbottare: «Ma perché non fanno un giro nel tunnel dell’amore?!»

Poi si volse di scatto, perché qualcuno, al suo fianco, aveva detto la stessa identica cosa, addirittura con la stessa inflessione frustrata. E quale sorpresa scoprire che il co-proprietario di quel pensiero fosse proprio l’amico di Izawa, quello col ciuffo. Quello carino.

I due si scambiarono un’occhiata perplessa, colti impreparati entrambi, poi fu lei a riprendere per prima il controllo e a puntargli contro l’indice inquisitore.

«E voi che ci fate qui?!» domandò, notando che non era da solo, ma con Misaki – compagno di classe di Yuzuriha –, Ishizaki e quelle che erano le manager del Club di Calcio.

«Senti senti. Potrei farti la stessa domanda», Hajime incrociò le braccia al petto, pronto alla rissa.

«Facevamo un giro.»

«Anche noi.»

«Oh, ma davvero?» Teiko strinse minacciosamente lo sguardo; Hajime fece lo stesso.

«Davvero.»

Sanae e Shiho alzarono entrambe gli occhi al cielo e si misero di mezzo.

«È chiaro che siamo venuti tutti per lo stesso motivo», disse proprio Mamma Orsa. Sanae l’appoggiò subito.

«Appunto. Quindi perché non presentarsi per bene?» con un sorriso giunse le mani davanti alle labbra. «Voi siete le amiche di Morisaki, vero? Noi siamo del Club di Calcio. Eravamo un po’ preoccupati e volevamo vedere come se la sarebbe cavata Mamoru. Non che di solito abbia bisogno di qualcuno che lo tenga d’occhio, ma con Yuzuriha ci è sembrato più in difficoltà che con le altre», si avvicinò, in tono di confidenza. «Sono mesi che le sta dietro e non si era mai deciso.»

Gli occhi di Teiko si illuminarono. «Sentito, ragazze? Prendete nota: io avevo ragione, la stava ‘mosconando’

«Anche la nostra Yu-chan era tesissima», spiegò Takeko. «Non capita certo tutti i giorni di ricevere un invito da uno come Izawa.»

Sanae era tutta un pettegolezzo. «E le piace?»

«Uff, da anni», Teiko agitò una mano. «Ma a noi non ha mai detto niente, convinta che non ce ne fossimo accorte. Illusa.»

«Uhm, è per questo che l’hai fatta vestire come un gelataio?» sghignazzò Hajime. Teiko lo fulminò con un’occhiata truce.

«Ha parlato quello che non si saprebbe vestire nemmeno se avesse abiti di un solo colore. Guardati, la camicia fuori dai pantaloni e quei capelli hanno mai visto un pettine? Sciattone!»

«Snob!»

Lei girò il viso con fare altezzoso, lui sogghignò con un certo divertimento.

«Be’, visto che ormai siamo tutti insieme e con l’obiettivo in comune… che ne direste di unire le forze?» propose Taro.

Il trio di volley si scambiò un’occhiata veloce e alla fine Shiho ammiccò. Più sarebbero stati, meglio sarebbe stato.

«Ci sarà da divertirsi, allora», pungolò Hajime, rivolgendo a Teiko un’occhiata di sfida. Lei gli sfilò davanti, passando una mano tra i lucenti capelli ricci. La sfida accettata.

«Puoi contarci, carino

 

Mamoru dovette ammetterlo, ma era la prima volta che viveva il Luna Park in quel modo. Ci aveva portato qualche altra ragazza, in passato, ed era sempre stato… molto più noioso di quanto si stesse rivelando in quel momento. Yuzuriha si lanciava sulle attrazioni più assurde e poco femminili che c’erano. Sulle macchine a scontro aveva fatto strage, e sulle montagne russe aveva gridato e riso fino a sgolarsi. Aveva lanciato un’occhiata disgustata al tunnel dell’amore, che gli aveva strappato una sonora risata, e l’unica attrazione più tranquilla su cui erano saliti era stata quella delle tazze girevoli. Ma non era stato il continuo ruotare della giostra ad avergli lasciato il senso di vertigine che sentiva ancora adesso. Mamoru era convinto che appartenesse solo a Yuzuriha. Era l’ennesima sensazione nuova, che si sommava alle altre che stava conoscendo poco alla volta da che si era interessato a lei. Ed erano tantissime, erano come le montagne russe, e ogni volta si intensificavano quando sorrideva e poi guardava lui. Lo guardava con quel sorriso aperto, pieno di sole. E puntualmente la vertigine si faceva sentire e gli faceva perdere per un attimo l’orientamento, lo sbandava.

«Sei la prima ragazza che non vuole fare attrazioni da ragazza», disse a un tratto, mentre camminavano tra le bancarelle. Avevano mangiato un hot-dog preso a un chioschetto e anche quello era stato non convenzionale per i suoi appuntamenti standard, in cui si finiva sempre con una crêpes dolce, piena di panna e di fragole.

Yu sistemò la borsa sulla spalla. Infilò le mani nelle tasche della gonna e si imbarazzò un po’. «Ho sempre avuto gusti poco femminili.»

«La mia non era una critica. Mi sono sentito molto più a mio agio del solito. Ho potuto fare cose che con le altre ragazze non facevo mai. Tipo salire sulle montagne russe.»

«Ah, non avessi avuto la gonna, io avrei provato anche quelle!» Yuzuriha indicò le montagne russe che lasciavano i piedi liberi di penzolare nel vuoto.

«Vorrà dire che ci saliremo la prossima volta», Mamoru lo disse con una naturalezza che guardava già avanti, era proiettata al futuro. E questo futuro diceva ‘usciremo ancora’.

Yu arrossì, guardò a terra, mentre Mamoru si rendeva conto di quello che aveva detto e con quanta tranquillità lo avesse fatto. Perché, sì, lui con Yuzuriha ci sarebbe voluto uscire di nuovo, portarla da qualche altra parte, parlare: quello che contava era la sua compagnia.

«Questo però devi lasciarmelo fare», disse a un tratto, indicando il chioschetto del tiro al bersaglio. Mettendo in mostra un po’ di quella spavalderia che lo aveva sempre accompagnato, Mamoru sollevò il mento. «Voglio vincere qualcosa per te.»

«D’accordo.»

Era una caratteristica di Izawa che a Yu piaceva. Sfrontato, sicuro. Non era arrogante o prepotente come Naoji, sapeva, invece, far sentire protetti, come stretti da un abbraccio accogliente.

Mamoru… era diverso. Diverso dagli altri. Aveva detto di sentirsi a suo agio, ma questo valeva anche per lei, perché era rilassata in sua compagnia, a prescindere da un po’ di imbarazzo. E aveva quei modi di fare e di sorridere che la facevano sentire carina sul serio, e le facevano mancare anche l’aria, qualche volta. Soprattutto quando incontrava i suoi occhi o si passava le mani nei capelli.  Le facevano mancare l’aria dal petto e sentire un vuoto tutto strano nello stomaco, in cui qualcosa formicolava, svolazzava, ma non sapeva cosa fosse. Si era dimenticata in fretta del trucco o degli orecchini eclissati, si era dimenticata in fretta della camicia troppo stretta e della gonna. Stava solo pensando a divertirsi… e si stava divertendo tantissimo. In Mamoru stava trovando un complice per ogni follia le venisse in mente ed era certo che anche lui si stesse divertendo, non solo perché glielo aveva detto, ma perché glielo leggeva in viso. E non sapeva come, ma riusciva a capire che non stava mentendo.

Al chiosco del tiro a segno, Mamoru si fece dare il fucile. La sua aria sicura non lo abbandonava mai, lei lo guardò con un certo interesse e attese che sparasse. Al primo colpo mancato, trattenne una risatina.

«Pessima mira, Izawa?»

«Sfotti poco, Morisaki!»

Eppure cannò anche gli altri due, riuscendo a centrare solo gli ultimi. Mamoru si tirò su con disappunto. «Che pessima figura», fu costretto ad ammettere con una certa sorpresa. Di solito non falliva mai una prova come quella.

«Mi sa che sei più bravo con i piedi», Yuzuriha ridacchiò, appoggiata di spalle accanto a lui.

«Ah, se avessi usato quelli, non avrei sbagliato neppure un colpo.»

Lei allungò una mano. «Posso provare?»

Mamoru si mostrò sorpreso. «Vuoi vincere tu qualcosa per me?»

«E perché no?»

Yu aveva uno sguardo di sfida che gli ricordò i momenti in cui l’aveva vista giocare: concentrata, attenta, non era disposta a perdere senza averci provato. Era un fuoco vivo che conosceva bene, perché sapeva di averlo anche lui, negli occhi, quando scendeva in campo.

Troppo simili.

Terribilmente compatibili sotto ogni punto di vista.

«A te il fucile», Mamoru glielo passò senza distogliere lo sguardo dal suo fino a che non si scambiarono di posto.

«Cosa ti piacerebbe?»

«Oh, oh. Siamo spavaldi, Morisaki?»

«Io direi più sicuri.»

«E vada per la sicurezza», Mamoru la guardò prendere posizione, piegarsi leggermente in avanti e piantare bene le gambe. Alzò lo sguardo sui pupazzi di peluche che pendevano dal soffitto del chiosco e disse con solennità: «Il fenicottero.»

«Ti piace il gioco duro.»

«Sempre, quando si tratta di una sfida. Odio vincere facile.»

Lei lo inquadrò con la coda dell’occhio, accennò un sorriso. «Ci sto.»

«Sono almeno quattro centri», spiegò il proprietario del chioschetto, e la velocità delle paperelle che correvano sul fondo era aumentata.

Mamoru osservò come l’espressione del profilo di Yu cambiasse quando era concentrata. Desiderò avvicinarsi per darle fastidio, baciarle il collo leggermente piegato, stuzzicarla e farla arrabbiare, e invece rimase fermo dov’era con un leggero sorriso.

Il primo colpo andò a vuoto.

«Chi è che aveva la pessima mira?»

«Mi sto solo scaldando.»

E lui avrebbe voluto baciarla di nuovo, prenderle le mani e sentire se fossero fredde o calde quando la tensione la teneva sulla corda.

Il secondo, terzo, quarto e quinto centro andarono tutti a segno. Uno dietro l’altro.

«Wow!» sbottò, scostandosi da dove era poggiato e guardando le paperelle ribaltate, con incredulità.

«Dicevamo, Izawa?» Yuzuriha soffiò ironicamente sulla punta della canna del fucile.

«Sei per caso una serial killer?»

«No, ma adoro gli sparatutto!» lei strinse i pugni e i suoi occhi si illuminarono. «Quando andiamo in sala giochi, io e Shiho ci sfidiamo sempre! Non ce n’è per nessuno!»

Mamoru strabuzzò gli occhi e poi scoppiò a ridere. Una risata piena, a bocca spalancata.

«Allora, a chi va il premio?» l’uomo del chiosco reggeva il grande fenicottero fucsia tra le mani e stava per darlo a Yuzuriha quando lei indicò al suo fianco, con decisione.

«A lui!»

«Quindi dovrò portarmelo io in giro per tutto il Luna Park?»

«Certo», lei si calcò di nuovo la borsa sulla spalla. «L’ho vinto per te.»

Mamoru scosse il capo, stava ancora ridendo, e prese di buon grado il pupazzo, tenendolo con un solo braccio.

«Sei incredibile.»

Yu arrossì. «È un complimento?»

«Sì. È dannatamente un complimento.»

 

«Ma è scema?!» Teiko aveva le mani nei capelli. Non ci poteva credere: aveva appena fatto sfigurare il ragazzo con cui era uscita. «Addio. S’è giocata Izawa…» disse con un sospiro, afflosciando le spalle.

Mamma Orsa, invece, sghignazzava con orgoglio. «Brava, la mia ragazza, è così che si fa. Anni e anni a giocare con gli sparatutto hanno dato i loro frutti.»

«Avrebbero anche potuto aspettare, eh!»

Al suo fianco, il modo in cui Taki aveva appena sospirato quel: «Accidenti…» le piacque anche di meno. Lo guardò disperata, aggrappandosi al suo braccio.

«Ecco, lo sapevo. Ha fatto danno, vero? Ha ferito Izawa nel suo orgoglio, non è così? Diavolo!»

Ma Hajime si trovò a scuotere piano la testa e non sapeva se sorridere o preoccuparsi, perché adesso sì che la faccenda si sarebbe complicata.

«…ha fatto centro, invece. Ha fatto un gran bel centro.»

 

Camminarono tra le bancarelle per un po’ e infine decisero di sedersi fuori della piccola struttura coperta dove avevano quasi finito di allestire un complessino. Era già il tramonto e del tempo che era passato non se n’erano neppure accorti se non quando iniziarono ad accendersi le luci del Luna Park.

«Vuoi qualcosa da bere?» chiese Mamoru, ma lei scosse il capo.

«No, sono a posto.»

Rimasero in silenzio per un po’ a vedere la gente che passava e qualcuno lanciava più di un’occhiata incuriosita al fenicottero di peluche. Yuzuriha aveva allungato le gambe, intrecciato le caviglie. Mamoru aveva seguito il gesto con gli occhi e poi era tornato a guardare il suo profilo.

«Io gli darei un nome.»

Mamoru si riscosse. «In che senso?»

Yu si volse, accennò col mento al fenicottero. «È più grosso di un cane, ha diritto ad averne uno.»

«Tipo? Che suggeriresti?»

Yuzuriha si sporse per guardare meglio il pupazzo, mentre dal gazebo iniziarono ad arrivare i primi suoni del check degli strumenti e del microfono. Mamoru seguì i suoi movimenti, come piegasse il capo o si mordesse le labbra per concentrarsi, farsi venire un’idea.

«Ha il farfallino, secondo me è stato a una serata importante. Quindi deve essere un tipo facoltoso.»

Guardò il modo in cui faceva scivolare le mani sulle gambe, e le fermava sulle ginocchia. Mani dalle dita lunghe per poter alzare bene la palla e schiacciarla e murarla. Chissà com’era sentirle addosso, sul viso. Tra i suoi capelli, dita così, ci sarebbero state proprio bene…

«Quindi ha bisogno di un titolo un po’ più altisonante, magari straniero… tipo Mister?»

«Mister sta bene!»

«Mister come, però?»

Yuzuriha sistemò il farfallino del peluche. «Se ha un titolo straniero, magari è straniero anche lui…»

«Da Aruba», Mamoru sorrise, pensando che avrebbe voluto stringere quelle mani. «Lì c’è una spiaggia che si chiama proprio ‘Flamingo Beach’

«Allora è un Mr. Flamingo!»

Si sorrisero e sembrò tutta una sciocchezza quella del nome da dare a un semplice pupazzo, eppure ci si erano trovati lo stesso. Nelle cose più piccole, come in quelle più grandi c’era una sintonia che nessuno dei due aveva conosciuto fino a quel momento e li faceva sentire bene, faceva cercare gli occhi dell’altro anche se ogni volta c’era imbarazzo nel trovarli. Rimbalzavano, come una palla passata in palleggio o come un colpo di tacco. I loro sguardi facevano lo stesso: rimbalzavano sulle cose che avevano intorno, ma finivano per cercarsi sempre. E Yuzuriha fu di nuovo la prima a spostare il proprio, questa volta verso il gazebo dal quale la musica si faceva sempre più intensa.

L’orchestra aveva attaccato a suonare e non era giusto di intrattenimento. Mamoru e Yu videro un sacco di coppie ballare al ritmo di rock’n’roll anni ’50. Elvis, Chuck Berry, Chubby Checker. Signori di mezz’età si erano lanciati, facevano piroettare le loro partner per tutta la pista; avrebbero dato un paio di stacchi anche a gente molto più giovane.

Yuzuriha si mise con le ginocchia sulla panchina e i gomiti sul bordo, per guardarli e sorridere.

«Ma che belli!»

«Sbaglio o alcune delle signore sono vestite come te?» Mamoru aveva spostato Mr. Flamingo e si era messo nella stessa posizione di Yu.

Lei finse di non dare troppo peso a questa improvvisa vicinanza, né ai gomiti che si sfioravano.

«No, non sbagli… questo vestito è di mia madre.»

«Patita degli anni ’50?»

Lei nicchiò. «Più o meno… è una specie di segreto di famiglia.»

Mamoru tirò indietro il mento, incuriosito. «Addirittura?»

Yuzuriha lo guardò. Era davvero vicinissimo, e quando i loro occhi si incontravano a quella distanza, accadeva come quando si erano trovati in palestra: faticavano a distoglierli e nello stomaco quel formicolio si faceva più forte.

«Ecco… i miei sono stati yankee da giovani. Mamma si cotonava i capelli e papà era pieno di brillantina.»

«Maddai!»

«Sul serio. Però è un segreto, ok?»

«Sarò muto», Mamoru si portò l’indice alla bocca per suggellare la promessa di non dire niente.

«Papà mi ha insegnato a ballare un po’ di rockabilly. Lui e la mamma ne vanno matti.»

«Rockabilly?» Mamoru si incuriosì. «Non lo conosco, cos’è?»

«Be’… quello che stanno ballando loro», Yuzuriha indicò la pista e i vecchietti che scivolavano da una parte all’altra, velocissimi. Le loro gambe si muovevano ovunque e saltavano, facevano capriole a mezz’aria.

«Lo sai ballare sul serio?»

«Non così bene, però-… ehi! Cos-! Ehi! Aspetta!»

Mamoru non le diede nemmeno modo di terminare, si alzò e le prese un polso, tirandosela dietro.

«Andiamo!»

«Cosa?! Dove?!»

«A ballare!»

«Eh?!» Yu divenne bordeaux, fu costretta a mollare tutto sulla panchina e a seguirlo all’interno della pista.

«Ah! E mi devi insegnare, perché io non lo conosco il rockabilly, però ti assicuro che imparo in fretta, giuro!» si fece vicinissimo, così tanto che, nel movimento, i capelli le sfiorarono la spalla, e il fiato arrivò poggiarsi sulle labbra. Senza contare che le stava tenendo la mano. Le stava tenendo la mano. E gli occhi erano nerissimi, preziosi, ardenti. «Ti sfido. Ci stai?»

Il ‘no’ non era contemplato.

«O-okay… ecco… devi, allora…» Yuzuriha cercò di ripescare, da un angolo remoto del proprio cervello in blackout, le nozioni di suo padre e i passi di ballo che aveva imparato, e non pensare che erano le mani di Mamoru quelle che stava toccando e che ancora stringevano la sua. Non pensare che fosse lui così vicino e con cui ballare. Lei, che ballava pochissimo alle feste perché troppo alta e che, per questo, non veniva invitata molto spesso in pista. E se lo facevano, erano ragazze sue kohai. La guardavano sempre con troppa ammirazione e la mettevano in imbarazzo, vedendo in lei quasi più un cavaliere che una damigella.

«…ecco, devi mettere una mano qui…» se la poggiò sul fianco. «…e l’altra così…», stretta nella sua. Gli mostrò come muovere i piedi, il tempo da prendere e i passi che erano relativamente pochi e semplici, se non si facevano le acrobazie. Il difficile, era farli velocissimi, a tempo di musica e riuscire a mantenere la presa mentre ci si spostava da una parte all’altra, si piroettava. Le mani dovevano sempre trovarsi, tenersi strette e salde.

«Così?»

«Sì, ma attento a non pestarmi!»

Mamoru rise, lei scosse il capo.

«Meglio! Ehi, sei bravo!»

«Te l’avevo detto che imparo in fretta.»

Izawa le fece fare un mezzo giro, a velocità un po’ più alta, per prendere confidenza. E poi tirarla di nuovo a sé. Allontanarsi, e riavvicinarsi, fare un giro e poi un altro, allontanarsi di nuovo, le braccia tese fino a perdere la presa, ma le mani strette l’una all’altra.

«Esatto, così! Il trucco sta tutto nello scivolare un po’ quando s’accompagnano i passi e prendere velocità!»

E la velocità la presero, a un certo punto, tra le loro risate e quelle di chi ballava loro intorno. La gonna di Yuzuriha girava e si sollevava con le sue righe e il suo blu, scopriva le gambe e sembrava quasi che la ragazza volasse, tra le braccia di Mamoru che le furono sempre intorno, sempre pronte a riprenderla, a stringerla ogni volta un po’ di più senza che nessuno dei due se ne accorgesse, catturati dal ritmo, dalla gente, da Long Tall Sally.

Mamoru vedeva la gonna girare come una ruota, rimaneva ipnotizzato da quel movimento di linee e poi dal sorriso di Yu che cambiava ogni volta a seconda dell’angolazione e della luce. Restava ipnotizzato dalle mani strette alle sue, dalla vicinanza che diveniva distanza e poi vicinanza più stretta. Giravano come trottole, e non sembravano averne abbastanza. Tutti e due.

Anche Yuzuriha aveva troppe cose negli occhi, troppe emozioni nel petto e troppe risate tra le labbra. Aveva lo sguardo di Mamoru incollato su lei a ogni movimento, e il sorriso perfetto di chi si stava divertendo da matti. Non avrebbe mai pensato di poterlo vedere scatenato quanto lei, quando di solito si ammantava di un’aura un po’ più controllata, superiore a tutto il resto. Aveva le sue mani, ed erano bollenti e dalla presa salda. E lei aveva un caldo infernale, tanto che spuntò il famoso bottone del golfino senza preoccuparsi della camicia troppo stretta, delle forme troppo generose, dell’universomondo, tanto gli occhi di Mamoru finivano sempre e solo nei suoi occhi, alla fine di ogni piroetta. E lei gli teneva strette le spalle ampie senza alcuna vergogna, senza alcuna paura di trovarsi a ogni passo più vicina, perché era troppo bello e troppo divertente per tirarsi indietro. Perché il cuore stava volando alto per pensare alla paura di cadere, sarebbe voluto andare sempre più su e forse arrivò a toccare il tetto dell’infinito quando, alla fine di Lang Tall Sally, si ritrovò stretta nel suo abbraccio. La mano di Mamoru aperta sulla schiena, l’altra che teneva saldamente la sua. Il petto contro quello del ragazzo, entrambi che si alzavano e abbassavano in fretta per il fiatone. Stranamente, non percepì le proprie forme come ingombranti, forse perché aveva gli occhi di Mamoru nei suoi, affondati, come nocciole nel cioccolato fondente. E i sorrisi smaglianti si affievolirono nel ritrovarsi vicini di colpo, e così stretti.

«…ho vinto», Mamoru lo disse piano e nonostante il frastuono della musica che era ripartita e degli applausi, Yu lo sentì lo stesso.

«Uno pari.»

«E qual è il mio premio?»

Troppo vicini, tanto che i suoi capelli arrivarono a sfiorare di nuovo il suo viso. D’istinto, lei fece scivolare via la mano dalla spalla e sorrise. Mamoru, allo stesso modo e preda dello stesso istinto, sciolse un po’ la presa, fece un passo indietro.

«Da bere. Offro io.»

 

«Non l’ha baciata. Mamoru non l’ha baciata. Cazzo, non ci credo.»

Hajime era sconvolto, continuava a scuotere il capo, adagio. Se non l’avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe mai creduto, e invece… Altro che centro; quella gli aveva affondato tutta la flotta a battaglia navale in un colpo solo. Allungò la mano al suo fianco, pescando dal sacchetto di noccioline tostate che Teiko stava reggendo. A sbirciare i due piccioncini erano rimasti praticamente solo loro, mentre gli altri facevano comunella su tutt’altro e ridevano del fatto che Shiho Takasugi avesse battuto Ryo tre volte di fila al gioco del martello, giustificandosi con un serafico: ‘Questione di polso, ciccino’.

«Ha fatto bene», aggiunse la ragazza, altrettanto seria e pescando noccioline a sua volta. «Se l’avesse baciata, Yuzuriha sarebbe scappata a gambe levate, conoscendola.»

Hajime girò piano il viso nella sua direzione, con una smorfia. «Ma che problemi ha la tua amica?!»

«Che dirti, è un disastro in queste cose. È vergine.»

«E tu no?» le scoccò un’occhiata allusiva, che Teiko sostenne con una certa superiorità. Pescò un’altra nocciolina.

«Non è una cosa che si chiede a una donna, come con l’età. Mammina non te l’ha insegnato?»

Hajime la squadrò dalla testa ai piedi, con ancora più interesse di prima. Prese un paio di noccioline e tornò a guardare, verso il gazebo, Yu e Mamoru che lasciavano la pista per recuperare le loro cose, compreso l’enorme fenicottero.

«Buono a sapersi», disse, «preferisco le esperte a quelle di primo pelo.»

«Come se potesse mai interessarmi uno che parla in maniera tanto cafona.»

Lui non demorse, ma il sorriso si fece più ampio. «Staremo a vedere.»

E nessuno dei due voleva darla vinta all’altro, ma preferirono mettere da parte la loro piccola sfida per fare ancora gli angeli custodi dei loro migliori amici. Alla fine, fu Teiko a sospirare.

«Però devo ammettere che non avevo mai visto Yu così felice, in compagnia di un ragazzo…» e lo disse con un sorriso carico d’affetto sulle labbra piccole e a cuore.

«Già, anche Mamoru…», pure Hajime non poté fare a meno di sorridere, in maniera più storta e ironica. «Con un’altra si sarebbe comportato in maniera diversa, ma con lei… Sta facendo sul serio. Non l’aveva mai fatto prima; gli piace davvero.»

«Me lo auguro per lui, perché se poco poco prova a far soffrire Yuzuriha, gli sguinzaglio Mamma Orsa

«Questa sì che è una minaccia, cazzo!»

«E comunque mi devi delle scuse: avevi criticato l’abbigliamento scelto e invece si è dimostrato per-fet-to», Teiko scandì per bene l’ultima parola. «Ah, aveva ragione la madre di Yu: il rockabilly non passa mai di moda.»

«Ok, lo ammetto, abbiamo fatto un ottimo lavoro.»

«Abbiamo?! E cosa avresti fatto tu?»

Hajime si portò una mano al petto. «Gli ho suggerito io il Luna Park.»

Teiko sbatté le ciglia lunghe un paio di volte. «In questo caso… Allora c’è anche qualche buona idea sotto quei capelli spettinati.»

«C’è molto di più, ma tu sei troppo snob per vederlo.»

«Io non sono snob, io devo selezionare. Il mondo è pieno di pesci, ma non tutti sono degni di me.»

«Che modestina del cazzo», ma aveva un sorriso divertito e ancora più intrigato per quella sfida davvero assurda che era nata, involontaria, dal loro continuo rimbeccarsi. Oh, lui l’aveva detto che la riccia gli piaceva.

«Senti, che ne dici, possiamo mandarli in pace?» domandò a un tratto proprio Teiko, quella che era stata la più agguerrita tra tutti nel volerli seguire e controllare. Adesso, però, sentiva non fosse più tanto giusto star loro dietro a ogni passo.

«Sì, direi di sì. Se la sanno cavare da soli.»

«E sia. Il nostro dovere l’abbiamo fatto. Da buoni amici.»

«Da buoni amici.»

La brezza che annunciava l’arrivo della sera portò via qualche minuto alle loro parole.

«Quindi, che si fa?» Teiko si strinse nelle spalle. Si scambiarono un’occhiata.

«Io inizio ad avere fame. E scommetto anche Ishizaki», Hajime si volse a guardare gli altri. «Ehi! Ma se andassimo da qualche parte a mangiare qualcosa tutti insieme?»

Ryo allargò le braccia, rivolgendo lo sguardo al cielo. «Halleluja! Finalmente si comincia a ragionare! Io sto morendo di fame!» ma l’approvazione fu unanime e ad Hajime non rimase che sollevare le spalle, guardando Teiko.

«Quando uno conosce i suoi polli…»

 

Nella metropolitana, a quell’ora, la gente iniziava a scemare, tutti diretti verso casa o verso il centro, per iniziare la propria serata di libertà. Entrambi avrebbero dovuto prendere la stessa linea, ma in direzioni opposte perché Shutetsu e Mizukoshi erano quartieri che si trovavano ai capi opposti della città.

«Non mi ero mai divertito tanto in compagnia di qualcuno che non fosse uno dei miei amici», Mamoru era appoggiato alla colonna con la schiena, Mr Flamingo addossato alla stessa, accanto ai suoi piedi. Yu rivolse un sorriso alla punta delle sneakers, camuffando l’imbarazzo con le mani affondate nelle tasche della gonna. Era a un paio di passi di distanza, dal suo lato di binario, ma di metro ne avevano già fatte sfilare due o tre da che erano arrivati. Tanto passavano così spesso, c’era ancora tempo.

Dopo aver ballato avevano continuato a girare per il Luna Park, preferendo chiacchierare piuttosto che provare le attrazioni. Si erano seduti a un cafè e avevano preso dei frappè parlando dei rispettivi campionati, dell’impegno sportivo, di possibili convocazioni con la nazionale. Yuzuriha aveva già giocato un mondiale giovanile, proprio come lui, e all’orizzonte si prospettava la possibilità di accedere al World Youth per gli Under 19. Era un’occasione perfetta per poter aspirare al professionismo, ma al momento c’era il campionato studentesco in cui dare il meglio ed entrambi volevano vincere.

Poi, quando la brezza serale s’era fatta più insidiosa, avevano preso la via del ritorno, adagio. Molto adagio. Avevano trasformato la distanza in una lunga passeggiata; Yu aveva richiuso il bottone del golfino quando aveva sentito insinuarsi un refolo troppo freddo. Solo allora si era resa conto d’averlo tenuto aperto praticamente per tutta la serata, senza curarsene minimamente. Come aveva detto sua madre, sarebbe stata lei ad aprirlo e così era avvenuto, anche se non ricordava neppure quando, di preciso.

«E non mi ero mai divertito così tanto a ballare», Mamoru era rimasto incredibilmente entusiasta del rockabilly. «Sono andato spesso in discoteca con i ragazzi, ma… questo è stato davvero folle.»

«Tu sei il primo cui abbia mai insegnato qualche passo», Yuzuriha allargò il sorriso che stava rivolgendo alle scarpe. «Di solito l’ho sempre ballato solo con mio padre. È un genere un po’ retrò, non lo trovi in disco.»

«Però era divertente. Ricordi i vecchietti?»

Lei alzò finalmente lo sguardò nel suo, ridendo. «Erano incredibili! Hai visto che salti?»

«Già!»

«Noi siamo proprio principianti in confronto!»

Mamoru ne approfittò, ora che si guardavano. «E tu? Ti sei divertita?»

Lei infilò di nuovo le mani in tasca, quasi fosse una forma di difesa, ma non rifuggì i suoi occhi. «Sì. Grazie per la bella giornata.»

«Te l’avevo detto che sarebbe potuta anche andar bene», lui fece spallucce con un po’ di presunzione.

Il silenzio e il rumore dei treni in ripartenza si rubarono alcune delle loro parole. L’intervallo necessario in cui Mamoru si fece avanti.

«Ti ho preso una cosa. Dopotutto, avevo vinto la sfida, quindi toccava a me fare un regalo a te. Quando hai vinto tu, mi hai regalato Mr. Flamingo.»

Yu sentì le orecchie andare in fiamme. «Come? Ma non ce n’era bisogno!»

«Volevo che avessi un ricordo della serata. Così ho approfittato mentre eri tornata da quelli del rockabilly, per i biglietti da visita.»

«Ah, non ero andata solo per quello», dalla borsa, Yuzuriha estrasse una piccola busta rettangolare e si affiancò a Mamoru. Dall’interno estrasse due fotografie. Lo staff le aveva scattate mentre tutti stavano ballando, e avevano preso anche loro, più volte, ma queste le erano piaciute particolarmente.

«Una è mia!» Mamoru le sfilò dalle dita quella in cui si guardavano: lui le sorrideva, lei aveva la bocca aperta su un’espressione di sorpresa. La gonna di Yu era stata catturata nel suo movimento ipnotico, al termine di una piroetta ed era sollevata.

L’altra, che Yuzuriha tenne per sé, li vedeva vicini, ridevano entrambi senza guardarsi, ma era l’emblema di quanto si stessero divertendo. Mamoru le teneva la mano sulla schiena e bastava solo osservare quell’immagine per ricordare la sensazione del suo tocco addosso, e farle tornare la sensazione di sfarfallio nello stomaco.

«Siamo fotogenici», affermò Mamoru.

«Non abbiamo nemmeno visto che c’erano le macchine fotografiche.»

Risero entrambi, poi Mamoru estrasse un pacchetto dalla tasca della giacca e glielo porse. Era piccino, con l’adesivo del Luna Park a chiudere il packaging perfetto dal disegno colorato e kawaii.

«Non avresti dovuto», lei cercò di dissimulare l’imbarazzo per quel dono inaspettato. Lo prese dalle sue mani e fece saltare l’adesivo.

«L’ho vista e mi è piaciuta. E poi una sfida è una sfida.»

Yuzuriha fece scivolare il contenuto nel palmo ed era una catenina il cui ciondolo era composto da un fenicottero e un pallone da volley.

«Dopotutto, se io ho Mr. Flamingo…» aggiunse Mamoru con fare allusivo. Lei sorrise, guardandolo negli occhi.

«Che bella! Sai che non avevo ninnoli legati alla pallavolo? Cioè, ok, ho il portachiavi con il pallone, ma quello è un classico», si affrettò a togliere il foulard che aveva al collo e tentò di indossare la collanina, ma tra le dita aveva anche le foto e non riusciva a chiudere il gancio.

Le mani di Mamoru intervennero per aiutarla, sovrapponendosi alle sue in maniera inaspettata, tanto che ritrasse le proprie e lo lasciò fare. Le dita gli sfiorarono più volte la nuca scoperta, un contatto che non passò inosservato per entrambi. Perché Mamoru indugiò un po’ di più e di proposito su quel collo lungo; anche lì, in un’altra, maledetta occasione, ne avrebbe approfittato per lasciare un bacio, perché era un invito troppo facile, era un classico.

«Così va bene o è troppo stretta?»

«No, va benissimo.»

Suo malgrado, Mamoru si vide costretto a ritrarre le dita senza tentare nessun tipo di approccio, come aveva fatto per tutto il giorno.

Lei sfiorò la gola, dove il ciondolo scendeva arrivando all’inizio dello sterno.

«La lunghezza è perfetta, così non sprofonda», ironizzò, per togliersi dall’imbarazzo, ma la mano rimase lì, su quel semplice ninnolo.

La metropolitana arrivò, portando una folata di vento con sé. Mamoru guardò da dove sarebbe sbucata e pensò che c’erano alcune fermate prima della destinazione di Yu.

«Sei sicura che non vuoi che ti accompagni a casa?» il display del suo cellulare segnava le dieci in punto.

Lei scosse il capo. «Figurati, non mi rapiscono mica. Sono troppo alta.»

Il treno arrivò con il suo rumore di ferro su lamiere. Poi lo stridio dei freni durò pochi istanti in cui entrambi strinsero gli occhi.

«Mandami un messaggio quando sei a casa», Mamoru voleva essere certo che arrivasse senza intoppi e lei percepì di nuovo quella sensazione di protezione e sicurezza, di attenzione, che le piaceva.

«D’accordo.»

Le porte si aprirono, puntuali e precise. Yuzuriha salì sul treno ed erano di nuovo uno davanti all’altra. Li divideva solo lo stacco dal vagone alla pensilina, ma a Mamoru sarebbe bastato sporgersi solo un po’ per poterle rubare un bacio sulla chiusura di quella serata. E invece rimase fermo, non fece il passo in più, non la baciò, non ci provò neppure. Rimase solo a guardarla come uno stupido.

«Allora ci vediamo a scuola, Morisaki.»

«Okay», e neppure lei fece il passo definitivo, ma strinse di più il manico della borsa e poi sfiorò ancora il ciondolo. «A lunedì.»

Un solo maledetto passo che non arrivò da nessuno dei due, ma che entrambi desideravano più di qualsiasi cosa al mondo. Però i piedi erano come incollati al suolo e loro ancora troppo incastrati nei dubbi dell’adolescenza. Le porte si chiusero sull’ultimo sorriso che Yu gli rivolse e il cenno della mano. Lui rispose con uno uguale, ma il treno era già partito.

A Mamoru non rimase che osservarlo andare via, diretto a Mizukoshi, prima di tirare un pesante sospiro.

«Ma che diavolo mi è preso?» si chiese, nella speranza che il suo stesso cervello rispondesse, ma non accadde. Tra le mani la foto e, appoggiato alla colonna, Mr. Flamingo. Mamoru lo guardò, inarcò un sopracciglio. «E adesso come lo spiego a mio padre che una ragazza mi ha battuto al tiro a segno?»

L’attimo dopo sbottò a ridere.

 

 

 

 

 

 

Note Finali: …semplicemente non ce la faccio a starci dietro. :/ Volevo sfruttare l’iniziativa per allenarmi nella scrittura di qualcosa di breve e veloce, ma alla fine le idee prendono il sopravvento e resto fregata da me stessa. XD

 

Ammetto anche di aver preteso un po’ troppo, perché sono impegnatissima in mille altre cose, tra cui la stesura di Malerba (che avevo leggermente messo da parte per il Writober e NON VA BENE, non voglio!), l’Inktober per Mattoni Gialli, dove accompagno i disegni della mia ‘sociorella’ con dei brevissimi estratti di storie estemporanee, e il corso di scrittura.

Troppe cose.

Le giornate non sono di mille ore, quindi mi arrendo all’evidenza e per quest’anno dico STOP. Magari al prossimo andrà meglio :D

Quindi, il prossimo capitolo di “When you look at me” – che sarà anche l’ultimo – arriverà con un pochino di calma e senza farmi prendere dalla fretta compulsiva della scrittura a tempo. :3

 

Ah! E se qualcuno se lo stesse domandando, sì: mamma Ume è BAIKO XD ho switchato anche i suoi genitori! Dopotutto, 'ume' ha lo stesso significato di 'baiko' XD (quindi va da sé che papà Haru è Haruko XD ed è lui ad aver assunto il cognome 'Morisaki' adesso LOL)

 

Curiosità: non so se lo avevo già spiegato altre volte, ma gli 'yankee' sono un tipo di gang giovanile, in cui i membri si pettinano e abbigliano seguendo molto gli anni '50 americani. È una fase di transizione che prende soprattutto durante il periodo di liceo, quando la voglia di ribellione è al massimo. :3

 

Grazie a tutti coloro che stanno seguendo pure quest’altra follia non prevista :*

 

   
 
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