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Autore: T612    06/10/2018    3 recensioni
La nascita dell'improbabile amicizia tra Steve Rogers e Natasha Romanoff.
Dal testo:
-Devi affrontare i fantasmi Steve, non puoi tornare indietro nel tempo e cambiare gli eventi, puoi solo venirne a patti.
-Questo sarebbe un consiglio?
-Fidati di una che ha passato inutilmente tutta la vita a seppellire cadaveri nella neve, i fantasmi trovano il modo di tormentarti lo stesso… d’estate la neve si scioglie anche in Russia.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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Desclaimer:
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di Marvel Comics/Marvel Studios. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
Avvisi dalla regia:
Questa storia è in cantiere da mesi, ma non ho mai avuto l’ispirazione adatta per concluderla dignitosamente, anche perché non sapevo collocarla all’interno di linee spazio-temporali credibili presenti nell’MCU. Ciò che segue è stato ispirato da una vignetta che ho trovato su Pinterest riguardante un certo blocco da disegno di proprietà di Steve Rogers, unito ad un’altrettanta famosa lista di “cose da recuperare” visibile in “Captain America - the Winter Soldier”.
Per quanto riguarda la collocazione spazio-temporale la storia è ambientata a qualche settimana prima del film sopracitato, di conseguenza il rapporto d’amicizia tra Steve e Natasha è ancora in fase di collaudo.
Buona lettura,
_T

 
 
 
-No Nat, per favore.
-E perché no? -era esasperante oltre ogni dire se si impuntava su qualcosa.
-Ti faccio un elenco?
-La missione è finita Steve, Fury ci ha dato la serata libera e siamo a Las Vegas.
-Ciò non significa che tu sia in diritto di trascinarmi in giro per locali fino a notte fonda… e poi ho altri programmi.
-Sei noioso. Pensi di condividere i tuoi “programmi"? –chiese sfrontata la russa, virgolettando per aria il suo disappunto per i suoi presunti impegni.
-No.
Le chiuse la porta in faccia senza tante cerimonie.
Natasha aveva ragione sulla serata libera, ma ciò non implicava che la accompagnasse di casinò in casinò, per poi concludere la serata davanti al bancone di un bar, con la donna che tentava invano di trovargli una fidanzata mentre tracannava litri di vodka per dimenticare… nemmeno lui sapeva cosa volesse cancellare dalla sua memoria, forse solo Clint.
Fury li aveva messi a lavorare insieme, funzionavano bene come partner, ma non erano ancora arrivati al punto di non ritorno delle confessioni cuore a cuore.
Natasha smaniava perché lui si fidasse di lei, Steve non capiva perché dovesse per forza farsela amica… già trovava estremamente complesso doverla gestire durante le missioni per conto dello SHIELD senza far saltare i piani, non serbava nessun desiderio nel conoscerla meglio nel tempo libero. Non che la cosa dipendesse da lui, Natasha era molto testarda, doveva aver fatto scattare qualche campanello di allarme quando le aveva sbattuto la porta in faccia.
I suoi programmi prevedevano ricordi traumatici, sotto sotto non gli sarebbe dispiaciuto avere lei a fargli compagnia, ma voleva illudersi di potercela fare da solo.
Aveva aspettato che Natasha si schiodasse dalla sua porta, per poi afferrare le chiavi della Harley e lasciarsi alle spalle l’hotel. Nel tragitto in moto ebbe modo di pensare a quanto stupido ed insensato fosse ciò che aveva intenzione di fare, ma in un certo senso glielo doveva.
Dopo New York lo SHIELD non gli aveva lasciato un momento libero, era stato catapultato in quel sistema a catena generato dall’”allerta minaccia”, convocato in missioni senza fine.
Si era ritrovato a fare da babysitter a Fury mentre Romanoff lo tallonava… spesso si chiedeva chi lo costringeva ad andare in missione, poi si ricordava che stava salvaguardando la creatura di Peggy e Howard, che Fury agiva per il suo bene e che lui per primo aveva richiesto di essere buttato nuovamente dentro alla mischia. Si era spinto di sua spontanea volontà nella gabbia dei leoni, era un buon stratagemma per tenere la mente occupata, per non pensare a tutto ciò che aveva seppellito insieme al ghiaccio dell’Artico.
Mentre il vento gli sferzava il volto, con il fanale dell’Harley che illuminava l’asfalto metro dopo metro, aveva iniziato a chiedersi cosa l’avesse spinto a saltare sulla moto per poi lanciarsi in un viaggio a vuoto.
Nessuno gli aveva chiesto di raggiungere il Grand Canyon nel cuore della notte, ignorava il perché avesse deciso di assecondare quel suo folle desiderio… sapeva solo che glielo doveva, che non esiste un giorno preciso o il momento giusto per fare certe cose.
La scusante del non voler accompagnare Natasha in giro per casinò e bar non reggeva, rassegnato all’idea di dover fare a patti con ciò che aveva abbandonato nel ghiaccio, colpevolizzandosi per aver evitato i fantasmi così a lungo.
Forse il suo cervello aveva collegato che si trovava ad un paio d’ore dalla sua meta e che non avrebbe avuto un’altra occasione del genere in tempi brevi… oppure il suo cervello gli stava lanciando un campanello d’allarme, un promemoria fastidioso che gli imponeva di non posticipare ancora la resa dei conti con il passato, consapevole di essere già fuori tempo massimo e che ormai bastava una piccola spinta per farlo andare completamente fuori di testa.
Aveva parcheggiato l’Harley una volta sceso a valle, aveva acceso un piccolo falò tra le rocce, completamente immerso tra le insenature e le pareti di roccia, momentaneamente solo a cospetto del Grand Canyon.
Una visione spaventosamente meravigliosa.
Si era preso del tempo per assimilare il paesaggio da vertigini che si trovava davanti, ammirando le ombre che creava il chiaro di luna. Nonostante lo spazio sconfinato che si trovava di fronte, avvertiva il principio dell’attacco di panico farsi strada… ad ogni respiro inalava troppa aria, ad ogni secondo che passava si rendeva conto di quanto fosse solo. Più questa consapevolezza si cementava dentro il suo cervello, più avvertiva le pareti del Grand Canyon stringersi su di lui, come se la sua solitudine riecheggiasse nella valle e tornasse indietro investendolo completamente.
Stava per abbandonarsi al panico quando Natasha gli fece notare la sua presenza alle spalle.
-Quindi erano questi i tuoi programmi… -commentò con la voce di chi non si riteneva inopportuna, come se trovasse normale l’averlo pedinato nel cuore della notte fino al Grand Canyon. –In effetti questa vista non è paragonabile alla follia di Las Vegas, capisco perché tu sia voluto venire qui… la libertà sconfinata.
Steve non le diede risposta, fissava inquieto le pareti di roccia che non oscillavano più, mentalmente grato alla presenza di Natasha, costringendosi a far rientrare l’avvisaglia del panico.
-Non sono qui per questo.
-Per cosa sei qui allora? Per buttarti di sotto? In questo caso ti consiglierei un punto più alto.
Natasha stava indicando la cima di una rupe poco distante, un sorriso sarcastico che le animava il volto mentre trafficava con la sella della moto per recuperare gli averi di Steve.
-Cosa ci fai qui?
-Mi volevi qui, mi stavi aspettando… altrimenti non si spiega il perché ti sia portato dietro due birre e non una. –gli fece notare mostrandogli le bottiglie in questione. –Stanotte devi fare qualcosa e non vuoi essere solo, ho visto il panico nei tuoi occhi quando ti sei voltato a guardarmi.
Natasha aveva stappato le bottiglie porgendogliene una.
-Steve puoi dirmelo, rimane tra noi.
-Perché lo fai?
-Solidarietà tra colleghi. Ora pensi di spiegarmi perché sotto il sedile della moto c’è un blocco da disegno o devo condurre un interrogatorio?
Steve aveva sorriso notando la sua espressione spazientita. Non sapeva se l’avrebbe raggiunto, ma doveva darle atto che inconsciamente sperava di ritrovarsela alle spalle, aveva fatto affidamento sul suo sesto senso da spia. Natasha si era seduta dall’altro lato del falò, un modo implicito per non fargli pesare la sua presenza improvvisa, nonostante tentasse di comunicare visibilmente che lei era lì per lui.
In quel momento sentiva di potersi fidare di Natasha, a discapito del suo operato, del suo passato, della sua testardaggine… riusciva a scorgere un lato di lei che non traspariva spesso, quel lato umano e compassionevole che seppelliva sotto talmente tanti strati di indifferenza da non renderlo visibile. Percepiva che per una volta era sincera, innocua… l’ancora di salvezza per non farlo naufragare nel panico.
Le aveva chiesto di prendere il blocco da disegno e la matita, aveva iniziato a disegnare alla luce scoppiettante del fuoco, mentre la donna sorseggiava la birra e lo ascoltava.
-Sono effettivamente sveglio da qualche mese, ma mentalmente un anno fa era ancora il 1945. Quel buco di settant’anni sta diventando una voragine ad ogni ora che passa, mi tengo occupato con lo SHIELD, ho buttato giù una lista di film da vedere, libri da leggere… Ma per quanto possa recuperare, ciò non toglie che tutti quelli che conoscevo sono morti… o quasi.
-Vorresti dirmi che sei qui perché il Grand Canyon rappresenta il tuo stato d’animo?
-No, sono qui perché lo dovevo a lui. -affermò Steve facendole vedere il ritratto di Bucky.
-Chi è? -Natasha aveva studiato attentamente l’immagine prima di rivolgergli di nuovo la parola.
-Mio fratello… non di sangue, ma era come se lo fosse. -si era ripreso il blocco, continuava a parlare mentre rifiniva gli ultimi dettagli. -Bucky è morto in missione nel ’43. Ripeteva sempre che a guerra conclusa avrebbe voluto vedere il Grand Canyon, credo volesse provare per un momento quella sensazione di libertà sconfinata di cui parlavi prima… il corpo non è mai stato ritrovato. Niente tomba a cui portare dei fiori, niente ceneri da disperdere da qualche parte.
Steve aveva sollevato il blocco da disegno sopra quella vista mozzafiato, il respiro pesante mentre permetteva al Bucky di carta di posare gli occhi di graffite su quella distesa sconfinata, il tutto in religioso silenzio.
Natasha non emetteva un fiato, il fuoco scoppiettava piano, mentre il rumore del vento sovrastava ogni cosa. La quiete era stata interrotta dallo strappo della carta, Steve aveva bruciato la pagina disegnata, aveva disperso la cenere nella brezza, gli occhi lucidi mentre gli rendeva omaggio a modo suo.
-A Bucky. -Natasha aveva alzato la bottiglia per fare una sorta di brindisi.
-A Bucky. -rispose Steve facendo tintinnare il vetro.
Si era chiuso nei suoi pensieri, finalmente in pace con almeno uno dei fantasmi che lo tormentano ogni notte, felice di avere Natasha a fargli compagnia.
-Mi concedi una domanda indiscreta?
-La farai comunque.
-Perché stanotte?
-Perché non c’è un giorno giusto per fare certe cose.
Natasha si era avvicinata, prendendosi una libertà concessa, abbracciandolo tentando di trasmettergli un po’ di conforto. In quel momento si sentiva un po’ meno solo, forse poteva dargli una possibilità per diventare amici… ormai la soglia delle confessioni cuore a cuore era stata superata.
-Devi affrontare i fantasmi Steve, non puoi tornare indietro nel tempo e cambiare gli eventi, puoi solo venirne a patti.
-Questo sarebbe un consiglio?
-Fidati di una che ha passato inutilmente tutta la vita a seppellire cadaveri nella neve, i fantasmi trovano il modo di tormentarti lo stesso… d’estate la neve si scioglie anche in Russia.
Steve percepì la nota di rammarico nella sua voce, lo sguardo perso nel tempo mentre osservava le fiamme… c’era molto di più dietro a quel consiglio, una verità ben celata che non voleva condividere. La presenza di Natasha al suo fianco non implicava che le confessioni fossero reciproche, Steve recepì il messaggio per poi dirottare il discorso in campo neutro.
-È allettante il voler vivere nel passato, è confortevole, è familiare… ma è così che si formano i fossili.
-Steve… hai novantacinque anni, non sei morto. E se mai dovessi trasformarti in un fossile giuro che ti consegno personalmente allo Smithsonian.
Aveva riso facendo tintinnare nuovamente le bottiglie di birra, Natasha visibilmente grata di non dover dare spiegazioni riguardo ai suoi demoni.
-Hai seriamente una lista di cose da recuperare?
-Si, dovrò pur tenermi aggiornato con i tempi. -rispose Steve, sfilando la Moleskine dalla tasca interna del giubbotto di pelle per poi porgerla a Natasha.
-Scartando i Nirvana, qualche film e la Apple… nessun dato storico?
-Stark ha ritenuto più importante mettermi a conoscenza dell’esistenza di Star Wars… e poi c’è internet, mi sono fatto spiegare come funziona un computer.
Natasha aveva sollevato gli occhi al cielo.
-In settant’anni ne sono successe di cose… i diritti civili, il muro di Berlino, l’allunaggio… -si era interrotta, seriamente preoccupata per l’ignoranza di Steve. -…almeno lo sai che Russia e Stati Uniti hanno fatto a gara per raggiungere la Luna?
Steve non le aveva dato risposta, aveva rivolto lo sguardo meravigliato verso quel disco argentato che si stagliava nel cielo notturno.
-Tony ti ha seriamente imposto la visione di Star Wars senza dire mezza parola sull’allunaggio? Incredibile…
-In realtà ha provato a spiegarmelo a modo suo… ma forse è meglio se me lo segno e leggo qualcosa da Wikipedia. -rispose Steve scatenando l’ilarità di Natasha.
-Appunta anche il cibo thailandese, quando torniamo a Washington ti porto a cena fuori.
   
 
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