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Autore: Zappa    07/10/2018    11 recensioni
"Come una farfalla che si posava su un fiore, la donna volteggiava delicata tra i profumi del giardino.
Alla luce del sole, i suoi capelli azzurri erano fiumi d'acqua, puri e freschi che irradiavano il terreno, riportando, dopo tanto freddo, la vita. Il gelo pungente dell'inverno aveva lasciato finalmente il posto alla pacifica primavera e i primi ciuffi di erba iniziavano ad innalzarsi per cogliere il tepore dei raggi dorati e tanto rari in passato. Ogni creatura si svegliava dal torpore del letargo per aprire gli occhi alla rinascita della primavera e i fiori, lentamente, schiudevano i loro petali, mostrandosi timidi all'aria."
One shot su un ipotetico incontro post Buu tra Vegeta e Bulma.
Un esperimento, io non so scrivere le cose romantiche.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa, io non so scrivere cose romantiche, non sono una tipa da romanzi rosa e mi piace prendere in giro i personaggi di Dragon Ball, come, chi mi conosce, sa che lo faccio.

Però avevo in archivio questa fanfiction e dopo averci dato su numerose mani, ho deciso di pubblicarla, perché ormai era lì stagionata da troppo tempo e mi dava fastidio. Avrei potuto pubblicarla in primavera, come dice il titolo, ma no, vi prego, non ne potevo più.

Ringrazio Felinala che con pazienza mi ha spronata alla sua pubblicazione e la mia amica Ilaria che con altrettanta pazienza mi ha corretto e sistemato questa storia.


Vi presento i pensieri di un Vegeta pentito dopo la tragedia di Majin Buu dal mio punto di vista, che magari sarà particolare, noioso o forse troppo romantico.

Probabilmente Vegeta sarà OOC, ma chi se ne frega, mi sono permessa di prendere qualche licenza poetica e me la tengo!

Se qualcuno ha voglia di darmi un consiglio/qualche dritta su come fare le robe romantiche o solo dirmi la sua versione dei fatti, perché no?, lo esprima pure in recensione, mi farebbe piacere!

Mi scuso in anticipo se la formattazione non va, il computer non collabora mai. Buona lettura e grazie per avere aperto questa storia.



Come una farfalla che si posava su un fiore, la donna volteggiava delicata tra i profumi del giardino.

Alla luce del sole, i suoi capelli azzurri erano fiumi d'acqua, puri e freschi che irradiavano il terreno, riportando, dopo tanto freddo, la vita. Il gelo pungente dell'inverno aveva lasciato finalmente il posto alla pacifica primavera e i primi ciuffi di erba iniziavano ad innalzarsi per cogliere il tepore dei raggi dorati e tanto rari in passato. Ogni creatura si svegliava dal torpore del letargo per aprire gli occhi alla rinascita della primavera e i fiori, lentamente, schiudevano i loro petali, mostrandosi timidi all'aria.

La fissava assorto da dietro la finestra, in silenzio, come per non profanare quel momento di pura contemplazione. Ne seguiva meticoloso ogni passo, segnandosi nella mente ogni leggero movimento della compagna, tra il verde del giardino. Ne fissava la dolcezza del passo che poggiava sull'erba, come a carezzarla. Leggera come aria, continuava a camminare, quasi volasse, più alta di un aquilone, più chiara di una nuvola; un passo dietro l'altro, si chinava ad ascoltare il respiro dei fiori e a sentire il loro giovane profumo.

La guardava, attento, come se fino a quel momento l'avesse sempre vista, ma mai guardata realmente: seguiva la linea del suo viso e del suo sorriso, aperto e splendente come la luce del sole. Le lunghe ciglia non gli erano mai sembrare così perfette per incorniciare i suoi grandi occhi luminosi; le sue mani, delicate e sottili, parevano davvero ali piumate mosse dal vento e il suo sorriso, che era in grado di aprire ogni anfratto del suo cuore, non era meno pari del sole.

Una donna dai tratti soavi, quasi una statua antica, opera di qualche uno scultore greco antico, che ricercava la bellezza di Afrodite nell’arte e che voleva rinchiuderla nella levigatezza in un marmo, siglando il folgore della luce divina dentro delle labbra e degli occhi di eterna pietra.

La donna come attratta da qualcosa volse, poi, lo sguardo verso la finestra, bloccando il suo incedere, ma lui si nascose immediato, celandosi nell'ombra, come Atteone, scoperto ad ammirare il proibito. Scostando di poco la tenda, riprese tuttavia ad osservarla e si accorse di come, ogni volta che la guardava, la vedeva sempre più attraente e lucente di prima.

Se lei stava alla luce del sole, lui si rifugiava nell’ombra e, forse, quello era l’unico luogo che avrebbe potuto nasconderlo.

Il suo passato gli aveva ustionato fin troppo l'anima per avvicinarsi alla luce e la donna, non perfetta in realtà, ma per lui, un uomo scoperto innamorato da poco, l’unica vera perfezione, era quella luce. La donna perfetta, vero, ma non per lui.


In lui non c’era nulla di perfetto: sognare le braccia candide di una donna, sarebbe dovuto essere un pensiero proibito per un demone.

La sera, ad ogni tocco, sul corpo della donna venivano tracciate dalle sue mani delle lunghe e maculate scie di sangue, delle mani sporche, grondanti ancora di rosso.

Vegeta le vedeva, le sentiva, ma pur sapendo di contaminare la bellezza di Bulma, non aveva mai smesso di toccarla, come non se n’era mai andato da quella casa; sapeva che quando camminava per ogni stanza agli angoli più bui comparivano delle presenze oscure che fissavano solo lui; quando era nell’ombra del corridoio e osservava la sua famiglia chiacchierare allegra in cucina o in salotto, si sentiva stringere una salda presa sul collo, una presa mortifera che esigeva il suo ultimo respiro.

Se osservava bene dentro la sua ombra, sapeva di vedere le ombre di migliaia di anime che, strappate alla vita, si occultavano nei suoi pensieri più profondi. Pensieri di morte, pensieri da assassino che stonavano terribilmente con la vita che ora aveva costruito, con fatica e stupore, assieme a Bulma.


Tutto quello che mai avrebbe sognato e che aveva rifuggito una vita intera gli era precipitato addosso: il figlio dei demoni aveva giaciuto con una donna e dalla loro unione era nata una nuova stella azzurra, che brillava sprizzando energia dagli occhi dipinti come quelli della madre.

Quanto era stato sbagliato, malsano e ingiusto?

Quale divinità glielo aveva permesso, quale divinità di era scordata di guardare bene tra i fili di stelle dell’universo, per non notare questa ingiustizia?

Gli dei dovevano essere impazziti se, dopo tanta disperazione, seminata e raccolta, aveva trovato qualcuno disposto ad aprirgli la porta di casa e accoglierlo come un figliol prodigo.

Tutto quello che aveva rifuggito una vita intera gli era precipitato addosso: una famiglia che lo accoglieva, un figlio che lo ammirava, una moglie che era il suo amore.

Gli avevano teso la mano, erano stati l’ancora che l'aveva recuperato dal mare di rimorsi e timori pronti a portarlo sempre più a fondo: la sua vita fatta di guerra, di condannato amore per la violenza, di forza e di lotte era giunta al termine, sebbene ancora la notte sentisse urla di guerra ed esplosioni che gli rimbombavano nel cuore.

Da l’avventura di una notte, infine, era nata la nuova vita di suo figlio di otto anni, la vita che lo aveva riportato ancor di più a galla, più consapevole di cosa significasse ricevere il sorriso acceso e allegro del suo bambino, quel bambino che lo considerava un eroe.


La farfalla riprese improvvisamente a volare: si accostò ad un albero, accovacciandosi sotto, tenendosi le gambe al petto e guardando tra le fronde più alte verso il cielo, specchio dei suoi occhi.

Molte emozioni le tingevano le pupille azzurre, tra cui la maggiore sembrava la serenità.

Per la primavera alle porte, per una nuova vita che nasceva.

Alzò lo sguardo incrociando il suo sguardo dietro la finestra, gli sorrise e Vegeta chiuse gli occhi, intorpidito da quello sguardo limpido.

Sentì la porta della camera da letto socchiudersi alle sue spalle e il suo corpo nervoso venire avvolto da calde braccia che si strinsero sicure e delicate alla sua vita.

Il sospiro leggero della donna andò a sbattere contro la pelle bronzea dell'uomo, solleticandolo appena, mandando calde parole ad accudire i suoi pensieri.

Fuori le fronde del salice sussultarono al vento nuovo della primavera e altri pensieri gli oscurarono in occhi, però cercò di concentrarsi sull'effetto che i tocchi della donna avevano sul suo corpo, sul suo spirito. Si riscoprì appagato e tranquillo tra le sue braccia: da quando aveva affrontato Majin Buu, aveva concordato con la parte più remissiva di sé, la presenza di un forte legame che lo stringeva alla donna. Ora ne era più consapevole e forse, era diventato molto più realista a riguardo.

Aveva dato vita ad una anacronistica guerra per soddisfare la sua rivalità contro il prestigio di Kakaroth il quale, inconsciamente, aveva sempre sfoggiato tutta la sua bellezza di vincitore davanti a lui.

Senza pensarci su con coscienza, aveva rinunciato all'ospitalità e alla vita offerta da Bulma, per tornare a riabbracciare le tenebre di vent'anni della sua vita: perché faceva più comodo lasciare indietro ed abbandonare le debolezze e ciò che lo legava alla vita che sentiva come artefatta, ciò che stava diventando routine, una noiosa routine. Voleva cambiare, ritrovare se stesso, non accorgendosi che per vedere se stesso doveva solo fissarsi allo specchio e comprendere quel cambiamento che gli era penetrato, lentamente, nelle ossa.

Aveva impugnato l'ascia di guerra e l'orgoglio di un tempo, per poi sentirli improvvisamente troppo pesanti, troppo esigenti della sua attenzione e troppo ingombranti per accorgersi della sua famiglia. Era stato così cieco che, durante la battaglia, per poco non aveva rischiato di scordare la perfezione del tocco di Bulma e il profumo della sua pelle.

Ricordava ancora il momento in cui aveva compreso il suo errore per essersi venduto a quel mago che lo aveva persuaso con parole di vanagloria.

Le parole di Goku non avevano fatto effetto, se non dopo che la tragedia era successa: era stato come un fulmine a ciel sereno che gli aveva bloccato il respiro realizzare che la sua famiglia era in pericolo per colpa sua. Un colpo al cuore tanto forte da fermarlo, per poi sentirselo ripartire all'impazzata dentro il torace, animato da furore e rabbia.

La lezione era stata dura, l'addestramento era durato dieci anni di sofferenza e di rimpianti, ma ora capiva l'importanza della sua nuova vita sulla Terra.

Non aveva mai avuto paura di morire, ma all’ultimo realizzò di avere di paura di vivere in un mondo senza di loro: loro erano la sua famiglia, il suo onore e l’orgoglio, in fin dei conti, e li avrebbe difesi da Saiyan.

Non ne valeva davvero la pena combattere, allenarsi, soffrire, se non c'era qualcuno pronto a curarti le ferite, a portarti una bottiglia d'acqua con il sorriso sulle labbra a fine allenamento, ad abbracciarti nei momenti di sconforto e a salutarti al mattino appena svegliato.

Aveva urlato di frustrazione e combattuto con tutte le sue forze per eliminare la minaccia di Majin Buu, per poi, alla fine, optare per la scelta più disperata, più necessaria di tutte, forse più comoda di tutte, visto che non avrebbe dovuto dare spiegazioni a sua moglie, ma la più bella di tutte, se si è disposti a morire per la vita di qualcun altro.

Si era fatto esplodere, spazzando via con le ceneri della sua esistenza anche il mostro rosa; assieme a lui era esploso anche il suo cuore, per loro, sopraffatto e incapace di sopportare tanto amore per due semplici terrestri.


Voltandosi a guardare sua moglie e abbracciandola di rimando, si rese conto che mai aveva fatto scelta più saggia. Le percorse con le mani la morbidezza delle braccia per riallacciare i loro sguardi poco dopo, vedendo brillare l'azzurro delle sue iridi.

A lungo aveva cercato una sicurezza per il suo esistere, un motivo per le sue azioni, che andasse oltre il confine di se stesso.

Aveva cercato, tra gli sguardi della gente, altrettanta frustrazione e malinconia, per avere almeno una prova di non essere solo. Era stato buttato a terra come uno straccio, un uomo incapace di scendere a patti con la vita, anche se ogni volta si rialzava e si spingeva fino al massimo per riuscire a capirla e avere la rivalsa.

Come un dannato, non aveva mai pensato al futuro se non a sopravvivere e ad odiarsi, non sapendo se avrebbe resistito fino al giorno dopo; non sapeva vivere, era morto quando suo padre l'aveva venduto al mostro di ghiaccio. Il sogno del Super Saiyan era sembrato il dio lontano a cui, quando non ce la faceva più o il vuoto sembrava avvolgerlo più del solito, rivolgeva le sue preghiere, ma mai ascoltate; non come voleva lui, almeno.

Finché, non era arrivato sulla Terra e un cuore aveva iniziato a battere per lui, innamorandosi del principe del Saiyan venuto dallo spazio.

Il cuore di Bulma soffrì di un amore faticoso, un amore incomprensibile, irreale per il principe dello spazio, talmente assurdo che alla notizia della sua gravidanza aveva lasciato tutto, chiuso in una fredda ma scricchiolante indifferenza, per fuggire il più lontano possibile, nel freddo gelo cosmico che aveva odiato più di tutto, ma che poteva contenere, assieme a tutte le bugie di una vita, anche lui.

Alla fine, spinto dalla necessità di rivedere e di rivivere quei momenti con la bella terreste, era tornato alla Capsule Corporation: non avrebbe saputo neanche lui spiegarsi il perché, ma forse, manco voleva farlo, perché faceva male sentirsi dalla parte sbagliata della ragione. Sapeva solo che era rimasto fino alla fine e con Bulma aveva conosciuto l'amore per qualcuno al di fuori di se stesso.

Una parola – amore – che mai aveva avuto così importanza se non quando li aveva persi entrambi contro Majin Buu; in un attimo, il buio cosmico e le catene della vita di prima gli erano sembrate nuovamente riavvolgerlo per poterlo riportare al passato che aveva faticosamente, ma orgogliosamente e testardamente, trascinato avanti negli anni.

Goku era lì, trepidante, che stava cercando di avvistare il nemico sempre più in avvicinamento e gli stava tendendo agitato l'orecchino dei Kaioh, pregandolo di afferrare quel maledetto oggetto per la fusione.

Avevano combattuto, infine, sul pianeta dei Kaioh, ormai ridotto ad un pugno di cenere: aveva giocato il tutto per tutto, puntando quello che aveva e forse più del potuto, visto che la sua difficoltà contro Buu, che si divertiva a lasciargli l'impronta del suo pugno tra le costole, era evidente.

Aveva combattuto con forza, deluso da se stesso per non aver fatto abbastanza con il suo sacrificio, ma, soprattutto, deluso da se stesso per aver non aver mai fatto abbastanza per le persone che amava. Tutto quello che aveva vissuto con loro, per loro, non sarebbe valso nulla se non si fosse immolato fino alla fine. Aveva dato la sua vita per loro, strappandosi il cuore dal petto nel tentativo di uccidere il mostro già una volta e – pensò – se li sarebbe ripresi, anche a costo di rifinire negli Inferi per l'eternità. Poi, al contrario delle sue aspettative, gli dei avevano, bonariamente o inconsciamente, chiuso un occhio sulla sua condotta e lo avevano rispedito a casa, sulla Terra, con la sua famiglia.


Sfiorandole i fianchi con le mani, avvicinò il viso a quello della donna, poggiando la fronte alla sua.

Aprì gli occhi neri per guardare attraverso l'acqua. Sorrise leggermente, Bulma, godendosi quel piccolo e ritrovato momento.

« Ciao » sussurrò piano, bisbigliando tra di loro.

La scrutò negli occhi, profondamente.

Azzurro dei mari, azzurro dei cieli, azzurro dei ghiacciai, azzurro dell'aria e dell'acqua; azzurro della vita, che per tanto aveva cercato ed azzurro della Terra, neanche a farlo apposta.

Si fece accompagnare, stringendo la sua mano a quella flebile della donna, verso il letto e, sommerso dalle lenzuola, baciò le sue labbra.

Stringendosi strettamente a lui, Bulma si ritrovò travolta dal corpo possente del marito e, accarezzandogli dolcemente le braccia, si lasciò trasportare tra sogni meravigliosi e intimi.

La guardò ancora una volta, per veder fremerle le ciglia e chiudere gli occhi. Percorse meticolosamente, ancora una volta, ogni angolo e tocco della sua pelle, riconoscendo e ricordando ogni istante, ogni notte, in cui lo aveva fatto. Raggiunse ancora le sue labbra per calmare il suo incedere angoscioso in un bacio profondo.


Prima di assaggiare le sue labbra, però, le dita fini della moglie si posarono sulle sue, attirando la sua piena attenzione.

Gli occhi chiari di Bulma si aprirono e scrutarono con attenzione quelli di Vegeta, come se cercassero una verità o un segreto da scoprire al loro interno.

Vegeta, scrutato da quegli occhi, si sentì come appeso ad un filo, un filo che avrebbe potuto spezzarsi e lasciarlo cadere o tirarlo su, per ricominciare a camminare: lo leggeva nella sua espressione che, adesso, lei aveva bisogno di sapere e realizzò che non si sarebbe opposto, come avrebbe fatto in passato, alle sue domande.

Bulma carezzò le labbra e i lineamenti spigolosi del marito, come se non potesse toccarlo realmente sotto i polpastrelli, temendo delle fatiscenze da fantasma scomparso, e sospirò, mentre i suoi occhi si facevano distanti.

« Lo rifaresti? »

Il blu delle sue iridi aveva assunto una sfumatura più scura, come se il mare stesse precipitando in un improvviso e tetro vortice tra gli scogli.

« Uccideresti ancora quelle persone? »

L’uomo, a quella domanda, si ritrasse puntando le ginocchia sul materasso e poggiando i palmi delle mani sulle gambe, in attesa di una risposta da infilare tra i battiti, che sempre più incalzavano, del suo cuore.


Il principe guardò Bulma e perse il contatto con la realtà, rivivendo, come se li toccasse sulla pelle, quegli attimi, pur avendoli ormai fatti cadere in un comodo oblio.

Furono davanti a lui quegli attimi di tagliente apprensione, in attesa della risposta di guerra di Kakaroth, e di tensione, stretta tra le sue dita, pronte a sparare la sentenza definitiva contro gli spettatori dello stadio, innocenti pedine trovate sul suo raggio d’azione, dei solito delle ombre nella sua storia, degli enti astratti non abbastanza importanti da rientrare nel suo mondo egocentrico.

« No »

La risposta giunse sussurrata, lasciata a sfiorire ai tiepidi raggi aranciati del sole, che si avviava a salutare il mondo, prima di abbandonare tutto al nero della notte.

I due amanti si trovarono davanti l’un l’altra per l’ennesima volta, la volta più importante, e furono costretti a guardarsi e a parlare con la parte più reale dell’altro, la loro anima, sempre rimasta nascosta dalla boria e dall’entusiasmo battagliero che ricopriva quotidianamente le loro fatiscenze.

« Perché no? »

Vegeta si perse negli occhi di cristallo della moglie e sentì i pezzi della sua armatura sciogliersi nella morbidezza delle lenzuola, la trasparenza dei guanti che si amalgamava al bianco dei candidi teli, lasciandolo nudo, senza ripari davanti all’anima di Bulma.

Non si oppose al suo sguardo, lasciò che lo guardasse sotto la pelle, dentro il cuore che, per una volta, lui stesso si augurò fosse sincero.

« Perché ho perso troppo, non solo l’ennesima battaglia contro il nemico »

La sincerità iniziò a scorrere lenta nei suoi occhi d’universo, schiudendo i suoi raggi come una stella che si espande nello spazio.

« Ho buttato tutto, Bulma, tutto. Non mi sono mai reso conto di chi tu fossi, di chi fosse Trunks per me e, come se non bastasse, ho fatto di tutto per allontanarvi »

Il principe si alzò dall’alcova, poggiò i piedi a terra, per trovare un minimo di contatto con la realtà, che iniziava a farsi sempre più fatiscente, coperta dai ricordi, e lasciò che il suo sguardo vagasse fuori dalla stanza, per respirare l’ultimo sole dorato.


Si dice che il valore delle cose, si capisca una volta che queste siano perse.

Il principe guardò Bulma, silenziosa sul letto, guardò i suoi occhi freschi come acque di montagna, come le acque di un mondo lontano, sacro e puro come neve, e si sentì inadatto davanti al suo sguardo, come un pellegrino indegno e troppo sporco per giungere al tempio; sapeva che l’aveva persa nel momento in cui aveva firmato il suo contratto con Babidi, ma si era reso conto del male di quel distacco quando la rievocazione della sua bellezza era stata troppo eterea per spegnere le fiamme dell’inferno che lo divoravano. Il senso di colpa, finora inascoltato e trascurato, iniziò a mangiargli l’anima, ma Bulma meritava la sua sincerità.

« La verità è che… io l’ho fatto perché, in fin dei conti, non me ne fregava niente, né di te, né di Trunks »

Ormai i raggi della grande stella erano sfumati e si accorse come anche le forze di affrontare il discorso gli vennero meno. Bulma si strinse le gambe al petto, come una bambina tra il candore delle lenzuola: in fin dei conti, avrebbe dovuto saperlo, a Vegeta importava solo di se stesso. Incapace di comprendere l’amore che lei e Trunks provavano per lui, tutto si era concentrato su di lui, non c'era spazio per nessun altro. Non li aveva voluti attorno, per tanti motivi: la paura di affrontare qualcosa di ignoto, di ammettere e convivere con un sentimento che li legasse a loro, la paura di diventare qualcuno di nuovo, quel nuovo che si era fidato e che si era lentamente innamorato dei loro occhi chiari.

« Stavate diventando troppo, per me, troppo... per quel vecchio me: così ho dato guerra a me stesso, mi sono fidato del mio passato, così glorioso e brutale che dissetare la mia voglia più cruda »

Sentì la distanza tra di loro farsi più profonda e si chiese se dopo quella sera avrebbe mai più potuto tornare tra le braccia di sua moglie.

I capelli azzurri di Bulma divennero ancora quel dolce mare in cui lui vorrebbe affogare per trovare la pace: erano così fini e scintillanti che le incorniciavano il volto soavemente, mentre il suo corpo morbido era la spiaggia su cui riposare e lasciarsi cadere, lontano dai pensieri.

« Volevo farlo… mi è sembrato un piccolo contrattempo dover uccidere quelle persone, come in passato, quando era la normalità. Babidi mi ha offerto il potere, io ho accettato senza ascoltare la coscienza, l’ho fatto volutamente. Lo bramavo... lo volevo, volevo la mia libertà, volevo il vecchio me e vi volevo lontani da me »

Ogni parola come una stilettata nel cuore, un male che cresce, che mangia l’anima e la lascia a vagabondare scarna: il corpo della donna assorbì ogni colpo, immobile, gli occhi non lasciarono scorrere le lacrime, come una tigre che, ferita, rimane ferma nel suo orgoglioso coraggio. Il dolore della verità, però, si fece poi più leggero.

« Finché non vi condannati a morte »

La mascella si strinse, rigida, i muscoli delle braccia che si pararono davanti al petto, per proteggersi, non lo protessero dal peso delle sue stesse parole. Vegeta continuò.

« Se Majin Buu si fosse risvegliato voi sareste morti… e questo non l’avevo previsto... non lo volevo »


In quel preciso istante, il peso sulla coscienza iniziò a graffiare sul suo animo; tutte le sere a scrutare il cielo stellato e a sperare di vedere la sua stella d’origine erano state impregnate dalle voci squillanti e dolci delle uniche due persone importanti della sua vita, che lo raggiungevano sul balcone per appostarsi assieme a lui a guardare il cielo notturno: quanto aveva fatto male rendersi conto alla fine, quando era tardi, di cosa avrebbe potuto perdere.

Davanti alla distruzione delle montagne sbriciolate e al vento che scorreva impetuoso nella Valle del Canyon dove aveva sfidato Kakaroth, davanti ai ricordi che sempre più persuasivi creavano dolci immagini nella sua mente, decise di agire per sistemare ciò che aveva sconsideratamente creato.

« Majin Buu era solo un problema mio e di Kakaroth, voi non dovevate entrarci. Ho sempre cercato di escludervi dalla mia vita e quindi non potevo farvi morire con me. Se all’inizio non vi volevo con me per non ostacolarmi, lì non vi volevo con me per non farvi morire a causa mia. Sono stato e sarò sempre un bastardo ma quello era troppo. Voi non c’entravate, non era giusto... »


Le stelle del cielo e le meraviglie dell’universo si oscurarono davanti agli occhi brillanti di Bulma e Trunks, che divennero importanti solo nell'ultimo istante, quello più importante, quello in cui si doveva giocare il tutto per tutto.

Il mondo astrale pieno dei sogni di conquista lasciò i suoi pensieri da assassino e scomparve in lieve polvere, davanti al ricordo della sua famiglia: furono la gioia di suo figlio, l’amore di sua moglie, un amore mai colto ma prezioso, da non lasciar sfiorire, a fargli riconsiderare le sue azioni.

Vegeta, allora, raccolse dal campo di battaglia il debole fiore del suo amore, che ancora, piano piano, resisteva; lo raccolse con le dita tremanti per l’adrenalina della battaglia e lasciò che questo cacciasse dal suo essere il volto di Majin Vegeta. Bruciò con il fiore contro Majin Buu, morendo nel campo arido della Valle del Canyon, consacrando davanti agli dei la sua scelta.

Vegeta non si curò più di dire le parole giuste, parlò e basta, trascinato da dei sentimenti mai ammessi ma che, lenti, avevano valicato le mura resistenti del suo cuore.

Sospirò e lasciò che le sue parole si trasportassero nel buio.

« Credo di essermi innamorato di te quando ti ho persa. Quando ho perso tutto quello di cui avevo bisogno: il nostro rapporto, il nostro amore, la nostra famiglia…

Ti ho persa quando ho accettato il potere di Babidi, ti ho fatto soffrire con il mio egoismo e ho voluto farti soffrire. Ti ho fatto piangere delle lacrime che non merito »

Bulma si specchiò nei suoi occhi neri come la notte che li circondava e che aveva iniziato ad abbracciare i contorni della loro stanza: vi lesse l’eternità delle costellazioni più lontane, incendiate di vuoto silenzio, e la malinconia che da sempre li caratterizzava mentre, seri, esploravano ogni parte di lei.

« Non lo rifarei perché quello che mi hai donato l'ho perso miserabilmente e mi ha fatto male perderlo. Perché ho capito solo alla fine che quello che cercavo, quello che volevo, lo avevo sempre avuto »

E fu sincero, prima di dire, « Mi dispiace » e lasciar perdere la sua tipica compostezza.

Lo vide sedersi sulla poltrona astante al letto e passarsi una mano sul volto stanco, mentre si lasciava cullare dall’oblio che la sera prometteva, sperando di farle portare via tutti i ricordi e gli sbagli della sua vita.

Un sussurro accarezzò infine i suoi sensi assopiti dal mantello dell’oscurità.

« Non ti chiedo di perdonarmi o di amarmi come prima: se lo vorrai, me ne andrò immediatamente, ma sarò presente per Trunks, pur vivendo da un'altra parte. Voglio che sia tu a decidere, io ho già deciso troppe volte per me stesso, mettendo in mezzo anche voi, senza pensare al vostro bene »


Lasciò che il silenzio, tanto amato in passato e tanto odiato in quel momento, prendesse la parola e concesse alla luce lieve della notte di infiltrarsi tra i suoi pensieri, di entrare nelle falle del pensiero inconscio, in una via nel mondo nascosto dei sogni, per condurlo alla condanna dei richiami del passato, che di solito rifuggiva per non star male.

Bulma, stesa ancora al suo posto sul freddo giaciglio, osservò i suoi occhi velarsi di nera malinconia e venire trascinati dal nero del passato, a quando era solo un soldato in una guerra intergalattica.

Chiuse gli occhi e sospirò.

« So che tu non hai mai amato le catene ed è per questo che ti ho sempre lasciato libero »

Ammise piano, mentre ancora Vegeta scrutava la notte.

« Hai sempre deciso per te stesso, è vero: te ne sei andato quando ero rimasta incinta, mi hai trattato come se fossi un giocattolo e se non fosse stato per Trunks Mirai, io e te non ci saremmo mai avvicinati. Hai trascurato tante cose di me e di tuo figlio, ma non te ne ho mai fatto una colpa, perché sapevo che, se eri presente, non era solo per un fatto di semplice tua convenienza, perché allora non avresti mai cresciuto tuo figlio e non mi avresti considerato che per semplice sesso »

Guardò con lui nella notte, « Se tu eri accanto a me, è perché io ti ho voluto accanto a me. Io sapevo chi fossi nel passato, ma ho voluto accettare tutto di te »

I suoi occhi azzurri brillarono di risoluta compostezza, ma, poi, vacillarono.

« Almeno così credevo… quando sei salito su quel ring… avrei preferito essere spazzata via anche io »

L’aria si fece più tesa, nonostante la tenerezza delle onde della notte, e Vegeta scoprì negli occhi azzurri della moglie dei vecchi e fin troppo conosciuti sentimenti.

« Ti ho odiato in quel momento »

Sarebbe stato troppo semplice sentirsi chiamare eroe e dimenticare con niente tutto quanto: aveva ucciso e poi era morto, cercando di cancellare tutto il passato passandolo con una veloce passata di spugna, ma Bulma non avrebbe dimenticato.

« Mi sono chiesta se tutto quello che avessimo affrontato assieme avesse mai avuto un valore per te, se io e Trunks avessimo un valore per te… Come avevi osato trattarmi così, trattarci così...»

La vide raccogliere una lacrima di rabbia scesa sulla guancia e soffiarla nell’aria: si senti sprofondare davanti al suo dolore, ma s’impose di non distogliere lo sguardo dal suo viso ombroso, perché era il momento della verità e doveva affrontarla fino in fondo.

Un voltafaccia doloroso per chi viene tradito e lui aveva tradito, per poi andarsene nella morte, come se nulla fosse successo; in realtà, sapeva che era morto come chi non aveva più nulla da perdere, come chi sapeva che sua fine era vicina, come chi, davvero, meritava di morire.

Bulma lasciò che il suo sguardo vagasse fuori dalla loro stanza, per respirare le stelle dorate.

« Ma poi... sei morto e il mio rancore è volato via con le tue ceneri »

Il principe si sistemò meglio sulla sedia, corrucciando lo sguardo, ancora non abituato a sentir parlare della sua morte, soprattutto dalla bocca di Bulma. Fino a poche ora prima stava facendo i conti con una condanna eterna e poco dopo si era trovato nella loro stanza a pendere dalla labbra di sua moglie, il mondo era proprio strano.


La donna si alzò dal letto, lasciando lì le lenzuola più volte consumate del loro amore, e si affacciò alla finestra ad ammirare le stelle.

« Quando ho saputo che ti eri sacrificato per me, per nostro figlio, per Goku e per la salvezza di tutti… il pensiero che tu abbia fatto questo per me… mi spezzava il fiato »

Si voltò a guardare i suoi socchiusi nell’ombra, ma attenti per sentire ogni sua parola.

« Hai lasciato tutto quello che avresti potuto fare, che avresti potuto essere... per morire. Hai rinnegato te stesso e sei morto per noi. Non ci potevo credere: il Principe dei Saiyan che muore… per me? »

Una volta aveva sentito il racconto di un uomo saggio che era morto per salvare i suoi amici, anche se questi gli avevano girato le spalle, e questo raccontava che non c’era amore più grande di chi dava la propria vita per gli altri: Bulma non aveva mai creduto alle sue parole. Erano delle parole troppo importanti, soprattutto per un amore corrotto come il loro, ma era stato Vegeta, colui che diceva che di amore poteva farne anche a meno, ad averle dimostrato il contrario.

Quell’amore sbagliato, che tutti aveva giudicato fallimentare dal primo passo, fatto di incontri sbagliati, troppi all’inizio, ma che poi erano diventati indispensabili, aveva avuto la conferma più grande nel paradigma stesso dell’amore: Vegeta si era annullato per lei e nell’ultimo momento della sua vita, aveva pensato a lei, a loro.

Il silenzio tornò ancora a riempire il vuoto: le due anime ferite si fissarono ancora negli occhi e cercarono di non chiudere gli occhi per vedere la sincerità dell’altro.

Le lunghe gambe della donna andarono ad abbracciare i fianchi scolpiti del marito, seduto sulla poltrona, riposando assieme in un intreccio stretto e pulsante.

« Ti amo, Vegeta. Non voglio che tu te ne vada, voglio che tu conviva e conosca questo nuovo tu, il nuovo Vegeta che ha avuto il coraggio di confessarmi di se, senza abbassare gli occhi »

Accarezzò sovrappensiero le sue mani e le sue braccia, cinte in modo sicuro alla vita, come per aggrapparsi a lei, ad ogni sua parola, ad ogni suo respiro.

« Vorrei che tu mi amassi, ma soprattutto vorrei che amassi te stesso e quello che sei diventato. Resta con me »

Chiusero gli occhi e si ristorarono nel loro legame, finalmente forte, anche se provato. Vegeta le sussurrò i mille “ti amo” mai detti, assaporando il nuovo sentimento sulle bellezze e imperfezioni della sua pelle e sulla promessa di una nuova primavera assieme.

Li unì una danza in sincronia, la più antica del mondo, pregna di sospiri e di parole implicite che avevano suggellato, ogni volta, tra le pieghe del letto o in un qualsiasi altro luogo a fantasia di Vegeta; un abbraccio che riempiva i loro spazi dell'altro, in un legame stretto e profondo.

Si addormentarono, lei, stretta al suo petto come a volersi accertare che lui ci fosse e lui che la strinse a sé come un'ancora che non aveva il coraggio di lasciare.

Nel silenzio e nella calma dei respiri, la notte li accompagnò nel sonno.

Bulma poggiò la testa sotto il suo mento e Vegeta sperò di sognare di lei, della donna che si era rivelata degna del suo titolo, della donna che sperava di incoronare come sua regina.

Lentamente, dopo aver ascoltato i rumori della notte e l'aura di suo figlio che dormiva pacifico nella sua stanza, si abbando al calore del corpo di Bulma, rilassandosi contro il materasso e il cuscino; chiuse, infine, gli occhi beandosi della pace e si assopì, sapendo che niente, questa volta, l'avrebbe nuovamente allontanato dalla sua nuova vita.

Fuori i fiori avevano chiuso e salutato le luci dal tramonto e si muovevano silenti al respiro del vento mentre, le lucciole, uniche sentinelle del buio, rispecchiavano le stelle del cielo.

La natura vegliò nell'ombra della notte per aspettare il nuovo sorgere del sole al mattino: aspettò la primavera e la nuova vita che iniziava.








Ho letto tante storie sul ricongiungimento post Buu, ma, per quanto ce ne siano di meravigliose, solo poche mi hanno davvero soddisfatto. Io non credo che Bulma si sia accontentata solo dei suoi silenzi o di un ritorno normale alla quotidianità: sappiamo la caparbietà di questo meraviglioso personaggio e un semplice “happy ending” dove tutto finiva con un bacio, un abbraccio e un “lei sapeva tutto di lui e lo scusò perché lo amava” non mi è mai andato a genio.

Andiamo, uno fa una cazzata del genere e poi “solo perché so che mi ami”, va tutto bene?

No, no, no, io amo Vegeta perché nel corso della serie è diventato un personaggio di spessore e come tale è giusto che si prenda le sue responsabilità e come minimo si spieghi! Come dovremmo fare tutti in fin dei conti, no?


Voi che avreste fatto al posto di Bulma?

Secondo me, non è facile perdonare qualcuno che ami che ti fa del male, soprattutto quando lo fa deliberatamente, ma penso che non ci sia cosa più bella del perdono, che, come disse una saggia e dolce mamma che conosco, “non deve dimenticare il passato”. Il passato non si dimentica, deve essere un monito per non tornare più indietro, ma è giusto superarlo e guardare al futuro.

Forse sono stata troppo leggera, forse avrei dovuto approfondire di più, forse non ho reso bene l’idea e me la racconto da sola.

Traslata nel nostro mondo reale, chissà, la storia avrebbe avuto altri sviluppi, ma per ora mi sono fermata a contemplare qua la faccenda. Chissà se in futuro non riprenda in mano la materia.

Non so come vi sia parsa la storia, francamente spero solo che questa saggia e dolce mamma che conosco legga la mia storia.

Vi ringrazio per l’attenzione, spero di non aver fatto lo zio ‘Geta “troppo chiacchiere”, ma, oh!, come facevo sennò?

Grazie a tutti per aver letto, per chi commenterà o metterà la storia in una delle categorie.


La prossima volta ci becchiamo in una storia più easy e rilassante, dove tornerò a far urlare Vegeta in sane crisi isteriche.


Zappa

   
 
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