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Autore: Lady Snape    08/10/2018    0 recensioni
"Guess Monster, erano soliti chiamarlo così sul campo da gioco, per via della sua capacità di indovinare chi avrebbe schiacciato e in quale direzione. Satori Tendou era un ragazzo fuori dall’ordinario. Intanto, detestava tutta quella formalità nel doversi chiamare per cognome. Lui era l’unico che avesse l’ardire di chiamare per nome l’asso della Shiratorizawa. Non l’aveva mai chiamato Ushijima e nemmeno Ushiwaka, ma subito, dal loro primo incontro era stato Wakatoshi-kun. In secondo luogo, la sua fisicità era qualcosa che non andava molto d’accordo con il suo ruolo di centrale: era secco e lungo, piuttosto flessibile. A inquietare però l’avversario sapeva essere il suo sguardo, con quelle iridi che più che marroni, assumevano dei sinistri toni rossicci, come i suoi capelli. In terzo luogo, era un dannatissimo otaku..."
Una storia in cui Tendou è un ragazzo normale alle prese con problemi tipici dell'adolescenza: gli amici, i primi batticuore e una piaga, quella del bullismo, che striscia nella sua vita e in quella di altre persone.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tendo Satori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Benarrivati su questa fanfiction!
Bazzico questa sezione da un po’, innamorata come sono delle IwaOi, che però non saprei scrivere manco per scherzo. Guardando qui e là però mi sono accorta che alcuni personaggi per me fantastici sono stati trascurati, quindi, bando alle ciance: mi dedicherò a loro di tanto in tanto e sempre e solo per le coppie Het. Oggi iniziamo con l’inquietante e fantastico Tendou!




 
Capitolo Primo

 
Guess Monster, erano soliti chiamarlo così sul campo da gioco, per via della sua capacità di indovinare chi avrebbe schiacciato e in quale direzione. Satori Tendou era un ragazzo fuori dall’ordinario. Intanto, detestava tutta quella formalità nel doversi chiamare per cognome. Lui era l’unico che avesse l’ardire di chiamare per nome l’asso della Shiratorizawa. Non l’aveva mai chiamato Ushijima e nemmeno Ushiwaka, ma subito, dal loro primo incontro era stato Wakatoshi-kun. In secondo luogo, la sua fisicità era qualcosa che non andava molto d’accordo con il suo ruolo di centrale: era secco e lungo, piuttosto flessibile. A inquietare però l’avversario sapeva essere il suo sguardo, con quelle iridi che più che marroni, assumevano dei sinistri toni rossicci, come i suoi capelli. In terzo luogo, era un dannatissimo otaku, fissato con Shonen Jump, che non mancava di comprare tutte le settimane. Ogni volta che tornava a casa, una sua valigia, pesantissima, era piena di numeri della famosa rivista di manga, che non poteva certo depositare all’infinito nel dormitorio dell’Accademia Shiratorizawa.

Tutto questo gli aveva sempre reso difficile fare amicizia, finendo vittima dei bulli da ragazzino, mentre ora, beh, era difficile bullizzare un ragazzo alto quasi un metro e novanta, per quanto qualcuno ci provasse ancora, di certo non era facilitato nelle amicizie. Lo tenevano tutti alla larga, lo stramboide non era molto gradito, per quanto fosse una persona estremamente gentile e disponibile. Difficilmente i compagni di classe esternavano questi sentimenti nei suoi confronti, lo trattavano con i guanti in virtù della sua presenza fisica, ma Tendou li sentiva di tanto in tanto mormorare cattiverie su di lui. C’erano solo due persone che si comportavano con lui come se le sue stranezze fossero ordinarie. Una era Wakatoshi, che ascoltava le sue chiacchiere senza fine, dei veri e propri monologhi su qualunque argomento, l’altra era Riko Date. Era una sua compagna di classe, anzi, era la persona seduta al banco davanti al suo da ormai tre anni.

Ricordava perfettamente il primo giorno di scuola del primo liceo. Non aveva frequentato le medie alla Shiratorizawa, ma buona parte dei suoi compagni lo conosceva già, provenendo dallo stesso istituto di preparazione per il difficile esame di ammissione. Si era seduto all’angolo sinistro, in fondo, in modo da non disturbare e non essere disturbato da nessuno. Quasi come se ci fosse una barriera invisibile, tutti avevano provveduto a prendere posto lontano da lui. In particolare il banco davanti al suo era vuoto e, sospettava, tale sarebbe rimasto, finché il ritardatario di turno non avrebbe avuto altra scelta che occuparlo.
La sua capacità di indovino fece cilecca, quando una ragazza con un caschetto nero, piuttosto minuta, entrò nell’aula. Tendou si trincerò dietro il nuovo numero di Shonen Jump, lanciando di tanto in tanto sguardi al di sopra della carta stampata per vedere dove la ragazza si sarebbe seduta. Rimase sorpreso quando gli occhi scuri di lei lo fissarono e si avviò con passo sicuro al posto libero davanti a lui. Agganciò la borsa al banco e gli porse la mano per presentarsi. Tendou elargì uno dei suoi sorrisi sinceri, felicissimo di una novità di questo genere, per la prima volta non frustrato dall’aver sbagliato predizione.
A differenza sua, che aveva preso a chiamarla Riko-san e di tanto in tanto anche Riko-chan, la ragazza non lo aveva mai chiamato per nome, solo un classico Tendou-kun, ogni volta che gli rivolgeva la parola. Non che fosse una gran chiacchierona, diciamo che era simile a Wakatoshi per certi versi, ma, a differenza dell’asso, non era affatto naif. Era intelligente, furba e, soprattutto, era una dannata otaku pure lei. Parlavano spesso di manga e, grazie al cielo, pensava Satori, amava gli shonen e non quelle boiate melense e atroci degli shojo manga. Avevano disquisito a lungo di Naruto, tanto anche di Death Note e di titoli vecchi e nuovi pubblicati dalla rivista. Avevano anche litigato un paio di volte, facendo previsioni sulla trama, su chi fosse il personaggio più forte del momento e via così. Tutto questo però avveniva poco in classe, perché Tendou si era reso conto che Riko si era attirata sguardi malevoli di qualcuno, che aveva iniziato a prenderla in giro. Il ragazzo si sentiva responsabile di questo trattamento, per quanto lei non mostrasse di prestare attenzione a certa gentaglia.

«Tendou-kun, mi serve una mano con questi libri» lo richiamò all’ordine durante le operazioni di pulizia dell’aula alla fine delle lezioni, prima delle attività dei rispettivi club. Riko si occupava del giornale della scuola.

«Va bene, va bene» disse lui, avviandosi con sguardo avvilito e passo strascicato verso la sua postazione, per poi lasciare che lei caricasse le sue lunghe braccia di una caterva di tomi.

«Riko-san» sussurrò per non farsi sentire dagli altri «sai che meno mi rivolgi la parola in classe, meglio è per te»

«E tu sai che ne abbiamo già parlato e non ho alcuna intenzione di cadere nella trappola di quei deficienti» e gli lanciò uno sguardo eloquente, con un sorrisetto sbilenco.

Satori sospirò, sorridendo a sua volta. La verità era che non avrebbe voluto rinunciare alla sua compagnia neanche per sogno, ma ultimamente erano successi un paio di episodi davvero spiacevoli. Qualcuno le aveva rubato le scarpe dal suo armadietto tre settimane prima. Tendou era lì, per fortuna, e la prese sulle spalle per accompagnarla nel suo dormitorio, facendo una enorme sceneggiata, prendendo in giro il club di equitazione, imitando alla perfezione uno dei cavalli bai che erano nelle scuderie. L’altro episodio era stato ben più grave e denunciato alla direzione dell’istituto dall’insegnante, perché qualcuno aveva manomesso il fornelletto del suo banco nel laboratorio di chimica: una fiammata improvvisa le aveva bruciato parte dei capelli, costringendola a un taglio più corto del solito e questo era avvenuto solo qualche giorno prima.
Tendou si era sbracciato in mille scuse, quasi fosse lui il colpevole, perché tale si sentiva: sapeva che la ragione di questi gesti crudeli era la loro amicizia.

«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!» lo aveva ripetuto fino allo sfinimento. L’aveva guardata di sotto in su, accasciato su una sedia dell’infermeria nella quale Riko era dovuta andare, perché la scuola voleva escludere che fosse ferita «se tu non fossi mia amica, tutto questo non sarebbe successo. Ti ho detto mille volte di fare come gli altri, di lasciarmi perdere, tanto sopravviverò, sono abituato ad essere isolato» quasi la implorò.

«Perché devono decidere gli altri di chi possiamo essere amici?» aveva chiesto lei semplicemente, con le lacrime agli occhi. Tendou si sentì piccolo piccolo, una vera merda, per usare parole sue. A quel punto le aveva fatto promettere, pena la sua vendetta suprema (le avrebbe rubato i dessert in mensa per due mesi interi), che qualunque atto sospetto lo avrebbe condiviso con lui: voleva sapere se qualcuno avesse continuato a molestarla.

Con le braccia cariche di libri, i due si recarono verso la biblioteca per riportare quegli oggetti al loro posto. Al momento non c’era nessuno nei paraggi e le operazioni continuarono con tutta calma, con Tendou che prese a canticchiare qualcosa di sua invenzione.

«Oi, Wakatoshi-kun!» Satori notò il compagno di squadra entrare nella biblioteca «A proposito di libri, che fine ha fatto lo Shonen Jump di questa settimana?» chiese con un saltello in sua direzione.

«Sto ancora leggendo l’ultima parte delle pubblicità» rispose questi candidamente.
Tendou sospirò pesantemente, curvando le spalle disperato.

«I manga, i manga! Devi leggere i manga, santo cielo!» e si sbracciò nel dire queste parole, senza sortire alcun effetto nel diretto interessato.

Anche Ushijima era lì per riconsegnare alcuni libri presi in prestito dalla sua classe e passarono insieme una buona mezz’ora per compilare i moduli di restituzione e rimettere i libri al loro posto. Dopo questa operazione i due ragazzi si recarono verso la palestra, dove li aspettava una sessione intensiva di allenamenti in vista del torneo primaverile.

Negli spogliatoi c’erano già tutti. Shirabu si stava cambiando in silenzio come al solito, concentrato su chissà quale indicazione dell’allenatore, che lo torchiava parecchio. Qualcuno era già pronto e aspettava gli altri per potersi recare in palestra. Leon, uno dei più in confidenza con Tendou, richiamò la sua attenzione. Solo in quella mattinata aveva saputo di quello che era successo a Date-san e chiese al numero 5 cosa fosse accaduto per davvero. Satori si rabbuiò e prima di rispondergli finì di togliersi la camicia e indossare la T-shirt per l’allenamento.

«E’ stata presa di mira, ma questo ve l’avevo detto qualche settimana fa. Questa volta ha rischiato grosso ed è solo colpa mia» disse, fissando il vuoto.

«Abbiamo chiarito la volta scorsa che prendersi questa colpa è stupido. La responsabilità è solo di chi ha messo in atto queste pessime azioni» rispose lo schiacciatore.

«Senza contare che Ushiwaka è disponibile a fare un discorsetto nella tua classe per minacciare in qualche modo i responsabili. È sempre l’asso della squadra, il capitano, oltre che l’idolo della scuola» aggiunse Yamagata, quasi fosse una cosa talmente ovvia da essere banale.

Satori li guardò tutti con un’aria imbronciata, non gli andava di avere l’aiutino dalla squadra, non tanto per orgoglio, quanto per evitare di fare la figura del debole che si nascondeva dietro a Wakatoshi e peggiorare la situazione sua e di Riko.

«E’ vero anche che tu sei sempre vago su un’altra questione» cominciò Leon con un sorrisetto sghembo, lanciando sguardi di complicità verso il libero, che rispose con un ghigno «Ammetti che non è solo un’amica!»

Satori sbuffò infastidito dall’allusione, ma le sue orecchie assunsero un delicato color ciliegia.

«La tua performance per i cortili dell’Accademia, imitando alla perfezione un cavallo al galoppo, è leggendaria! Insomma, sei stato un vero e proprio cavaliere!» e Yamagata rise di gusto, mentre Ohira cercò di trattenersi alla vista della faccia furente e rossissima del loro centrale.

«Leon! Hayato! Siete degli stronzi!» si ribellò Satori, conscio di aver assunto un colorito piuttosto acceso. Sentiva tanto caldo.

Era vero, era cotto a puntino, innamorato perso di Riko, ma non da tanto tempo. Fino all’anno precedente la vedeva davvero solo come un’amica. Poi per le vacanze di primavera lei era partita con i suoi in Europa e le comunicazioni tra di loro si erano diradate. Per la prima volta aveva sentito la mancanza del contatto con la ragazza, controllava continuamente la sua casella mail, nella speranza che lei gli scrivesse, anche solo per mandargli un resoconto delle sue vacanze, mentre lui era impegnato negli allenamenti e poteva prendersi solo una misera settimana di pausa per andare in montagna dai nonni.

Il patatrac era avvenuto quando erano tornati a scuola il giorno prima dell’inizio delle lezioni, visto che alloggiavano entrambi nell’Accademia. Lei era abbronzata, qualche lentiggine le era spuntata sul viso e il fatto di essere stata lontana dai bulli le aveva donato una serenità che ultimamente era raro vederle stampata sul viso, insieme a un sorriso che aveva letteralmente distrutto tutte le certezze di Tendou. Per la prima volta aveva balbettato nel salutarla e a Riko la cosa non era sfuggita. Si era giustificato dicendo che l’aveva abbagliato con tanta solarità, che era vero, ma non le aveva detto che il cuore gli stava rimbombando nelle orecchie e qualcos’altro si stava muovendo a livello del basso ventre: sì, era un trucido porco, che volete farci? Era come se per la prima volta la vedesse come una ragazza, mentre prima era assurdamente asessuata, una sorta di angioletto senza ali che aveva scelto di essere sua amica.

Nella sua squadra si erano accorti tutti del cambiamento, perché quando Riko non guardava Tendou, questo assumeva un’espressione trasognata e amorevole da trasfigurare i suoi occhi spalancati. A volte lo avevano beccato distratto, mentre la guardava in lontananza in sala mensa e lei pranzava con le sue amiche (aveva degli amici, non era totalmente sola in quella grande scuola). Lo avevano preso in giro e da allora non la finivano più.

 
*

Non si erano verificati altri episodi spiacevoli, non così spiacevoli rispetto a quelli pericolosi degli ultimi tempi e Satori e Riko avevano portato avanti il loro rapporto in modo discreto, fatto di contatti sporadici, di occhiate in classe e poche parole. Tendou si era imposto in qualche modo per ridurre al minimo i loro scambi per proteggerla. Un giorno glielo aveva detto in modo chiaro e inequivocabile, che non voleva che per colpa sua si facesse male. I suoi occhi erano stati lo specchio della decisione perentoria che aveva preso. Riko aveva abbassato lo sguardo per quanto erano abbaglianti e Satori aveva temuto di averla offesa o, peggio, aver perso la sua amicizia, ma la ragazza alla fine aveva accettato la sua proposta e chiacchieravano solo quando le lezioni erano finite.

Erano seduti sulle scale antincendio del dormitorio femminile, prima di salutarsi e andare a dormire, discutendo in modo piuttosto animato di quello che era accaduto nell’ultimo capitolo di Naruto, pubblicato quella settimana su Shonen Jump: avevano una diversa opinione del personaggio di Sasuke Uchiha e non c’era verso di mettersi d’accordo. Le loro voci si erano fatte sempre più concitate.

«Tendou, falla finita! Quello lì è uno psicopatico scorbutico.»

«Scherzi?! E’ un grande, una vendetta come la sua te la sogni, mia cara! E mi dispiace per Naruto, ma non fosse per Kyuubi, col cazzo che potrebbe combattere ad armi pari con lui»

Ormai avevano alzato i toni e da più di una finestra aveva fatto capolino una testa infastidita, chiedendo loro di abbassare la voce. Avevano riso di quanto erano stati esagerati e cercarono di calmare i risolini che ne erano scaturiti. Cercando di riprendere fiato, Riko poggiò la testa sulla spalla di Tendou, per la verità era quasi poggiata sul suo petto. Satori si lasciò tentare e chinò il capo verso i suoi capelli scuri che profumavano di balsamo al cocco. Chiuse gli occhi, mentre lasciava che quella fragranza andasse a depositarsi nella memoria: l’avrebbe rievocata ogni volta che avesse sentito il bisogno di lei. Resistette alla tentazione di portare il suo braccio a cingerle la vita, un gesto che avrebbe potuto innescare una serie di domande con le dovute spiegazioni. Un sospiro però gli sfuggì.

«Tutto bene, Tendo-kun?» chiese Riko, allarmata da quella reazione. Non era la prima volta che Satori cercasse un contatto fisico con lei e nemmeno che avvenisse il contrario, ma quel sospiro era sospetto.

«Sì, tutto come sempre» disse lui, scostandosi da quella posizione piacevole, per fissare i gradini sotto di lui.

«Sicuro?» la ragazza aveva sollevato lo sguardo verso di lui e con le dita aveva sfiorato la sua guancia, gesto che fece scattare Satori, come se fosse attraversato da una scarica elettrica.

«Eh? Sì, sì, tutto bene» si affrettò lui, cercando di riprendersi da quella sensazione di calma che lo aveva pervaso e quel sospiro… quel sospiro di frustrazione, di paura di ammettere che per lui non era più solo un’amica.

«Si è fatto tardi» riprese lei «è meglio rientrare»

Tendou annuì e si affretto a raccogliere le sue cose, sparse per la scalinata e scendendo in tutta fretta. Lo sguardo della ragazza non lo perse di vista un attimo. Camminarono in silenzio fino al bordo dell’edificio, dove si sarebbero salutati per prendere poi due direzioni diverse. Si diedero la buonanotte e Riko strinse il braccio del ragazzo con affetto. Satori aspettò che lei entrasse nel dormitorio, prima di dirigersi verso l’ala dell’Accademia dedicata ai ragazzi.

 
*

Riko Date ricordava il suo primo giorno di scuola all’Accademia Shiratorizawa. Si era trasferita da poco a Sendai, non aveva grandi conoscenze da quelle parti e vivere all’interno del collegio le toglieva la compagnia della sua sorellina più piccola, decisamente vivace. Aveva avuto qualche difficoltà a fare amicizia con la sua compagna di stanza, conosciuta il giorno prima: era abbastanza timida e cavarle una parola di bocca era stato difficile. Così, quando si era recata nella sua classe, la sezione numero 2, aveva cercato con lo sguardo qualcuno che potesse essere decisamente più estroverso e, magari, con qualcosa da condividere con lei. Fu in quel momento che vide svettare dei capelli di un castano rossiccio dietro la copertina di Shonen Jump. Due occhi vivaci la spiarono dal bordo del volume. Il banco davanti a quel ragazzo era libero e la scelta fu facile. Occupò il banco e si presentò a quel ragazzo alto e un po’ strano.

Ripensando al loro primo incontro, la ragazza si tolse la divisa per mettersi comoda e studiare un po’ prima di andare a dormire. Avrebbe avuto un test a breve e doveva prepararsi a dovere. Lasciò vagare la mente ad analizzare nuovamente quello strano sospiro di Satori. Non era stupida e nemmeno ingenua: sapeva che negli ultimi tempi, dall’inizio del loro terzo anno, il ragazzo stava nascondendo qualcosa. Era diventato più apprensivo nei suoi confronti, più protettivo e, certo, forse mancava un certo tipo di contatto fisico, ma oltre ad esserle amico, si stava comportando esattamente come avrebbe fatto un fidanzato. E lei? Cosa ne pensava di un’eventualità del genere? Ebbe un brivido: ne era terrorizzata, perché avrebbe significato rischiare di perderlo come amico ed era quello che avrebbe voluto evitare ad ogni costo.

 
*

Era accaduto in modo inaspettato. La squadra di volley maschile dell’Accademia Shiratorizawa aveva perso la finale di qualificazione per la prefettura di Sendai per il torneo primaverile. La delusione che tutti, giocatori e spettatori, avevano provato nel palazzetto era arrivata anche all’interno della scuola, con i ragazzi della squadra costretti ad un allenamento punitivo del coach Washijo.
Nella scuola non volava una mosca, nemmeno nei cortili. Si sussurrava della sconfitta, del fatto che uno dei top three della nazione non avrebbe preso parte ai campionati nazionali del torneo primaverile.

Anche il clima sembrava partecipare alla triste fine della squadra, tagliata fuori dai giochi. Alcuni dei migliori giocatori del Paese, nonostante tutto, non avrebbero partecipato al torneo. Tendou l’aveva presa con filosofia, o almeno credeva o faceva credere. Aveva deciso di smettere dopo il liceo, però si sarebbe ancora allenato con la squadra, per permettere ai ragazzi del primo anno di rafforzarsi in vista del prossimo torneo che, purtroppo per loro, sarebbe stato senza Ushijima Wakatoshi, membro della nazionale U19 di volley.

La pioggia era battente e scrosciava sui vetri delle finestre, producendo il classico ticchettio, ma il rumore più rilassante proveniva dall’infrangersi di migliaia di gocce sulle foglie degli alberi del parco che si estendeva sul retro delle palestre. Satori aveva appena finito di farsi una doccia con gli altri ragazzi e quella pioggia costante e la sua sbadataggine, che gli aveva fatto dimenticare l’ombrello chissà dove, lo fece desistere dall’acconciarsi i capelli come al solito, con una montagna di gel e cera. Le ciocche rossicce gli cadevano sulla fronte e sulla nuca e si sentiva piuttosto strano conciato così, ma sarebbe stato uno spreco dei suoi prodotti per capelli, visto che a quanto pareva gli dei ci stavano dando dentro. Si tirò su il cappuccio della felpa e con il borsone in spalla si avviò verso i dormitori per mollarlo e andare finalmente a cena. Dovette fare uno strano giro largo, per riuscire a ripararsi sotto qualche portico durante il percorso e, senza accorgersene era finito sotto la sede del club di giornalismo. Alzò lo sguardo verso la finestra e le luci erano ancora accese. Evidentemente stavano preparando un’edizione speciale con la notizia della loro sconfitta. Beh, era decisamente un fatto degno di nota. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e scrisse un messaggio.

*Tendou* Sei ancora impegnata con il giornale? Vedo le luci accese
*Riko-chan* Sì, dovevamo fare dei cambiamenti per andare in stampa. Sei giù?
*Tendou* Yep
*Riko-chan* Scendo subito


Fu la risposta della ragazza. A quel punto abbandonò il borsone per terra e si appoggiò al muro sotto il portico.

Riko mise via i suoi appunti, aveva intervistato alcuni degli studenti e dei docenti che avevano assistito alla partita e aveva raccolto le loro impressioni sulla sconfitta e quindi sulla mancata qualificazione. Le era dispiaciuto dover assistere a tanta tristezza. Era stato davvero un duro colpo, ma forse, aveva concluso nel suo articolo, perdere di tanto in tanto poteva essere lo spunto giusto per rafforzarsi.
Era preoccupata per Satori, alla fine era una delle attività scolastiche che lo entusiasmava e i suoi amici erano per lo più altri membri della squadra. Senza di essa perdeva una parte importante dei suoi interlocutori. Mise tutto nella borsa e poi si avviò verso l’uscita, lasciando un paio di compagni a finire l’impaginazione. Scese di corsa le scale e intravide l’alta silhouette di Tendou, le gambe lunghe, le mani affondate nelle tasche dei jeans scuri aderenti e la felpa nera con il cappuccio tirato su. Non riusciva a guardarlo in faccia, ma sapeva che era lui, inconfondibile com’era.
Sentendo i passi di lei, Satori si voltò e mise su un sorriso sereno, un po’ per non farla preoccupare, un po’ perché lo era davvero quando stavano insieme.

La ragazza si bloccò all’improvviso: non l’aveva mai visto così. In tre anni che si conoscevano e frequentavano, Tendou era stato sempre molto attento ai suoi capelli, non si era mai fatto nemmeno intravedere con i capelli giù e… beh, il suo viso si addolciva molto, lo sguardo seminascosto assumeva una certa tenerezza e la sua solita aggressività si era volatilizzata.

«Tutto ok, Riko-chan?» il ragazzo aveva notato l’arresto improvviso dei suoi passi.

Riko si avvicinò con lentezza e un sorrisetto di quelli che potevano solo voler dire che l’avrebbe preso in giro nel lasso di qualche secondo.

«Non ti avevo mai visto così» disse semplicemente, allungando una mano a scostargli qualche ciocca di capelli da davanti agli occhi.
Satori si lasciò coccolare, era sicuro di meritarsi un po’ di dolcezze.

«C’è sempre una prima volta nella vita per tutto» e alluse alla sconfitta «con questa pioggia si sarebbero rovinati, sono appena uscito dalla doccia»

«Vi siete allenati fino a tardi?» si avviarono con calma verso i dormitori, costeggiando gli edifici e i portici.

«Già, punizione del coach, ma male non fa. Siamo un po’ fiacchi e credo che nessuno possa biasimarci.» disse con un’alzata di spalle lui.

«Come stai?» chiese la ragazza, visibilmente preoccupata per quella inaspettata eventualità. Non glielo avrebbe detto, ma in redazione erano così convinti della vittoria, che avevano preparato in anticipo titoli, articoli, immagini del giornale scolastico ed era toccato loro fare tardi perché era tutto da rifare.

«Sto bene, tranquilla. Sono un osso duro io!» disse Satori, mettendo in mostra i muscoli che in effetti non aveva. Era noto per essere il ragazzo che mangiava meno in tutta la scuola. A volte Ushijima, incredibilmente, gli faceva ramanzine su come si dovesse nutrire un atleta, sostenuto da Semi, l’altro ragazzo del terzo anno trasformatosi in pinch server nell’ultima stagione.

«Ceniamo insieme?» aggiunse, guardandola speranzoso.

Riko accettò e lui fu contento di bearsi della sua presenza ad uno dei tavoli della squadra, che non era più nello stato di prostrazione in cui era caduta alla fine del match.
Satori sentì le occhiate di Leon e di Yamagata perforarlo, ma decise di ignorarli, altrimenti la serata sarebbe diventata pericolosa.

«Com’è andata al giornale?» chiese il libero, rompendo il ghiaccio. Riko li conosceva abbastanza da essere in parte in confidenza, ma non aveva mai chiacchierato molto con loro. Satori si agitò al suo posto, lo sentì sospirare. Di nuovo.

«Abbiamo avuto un po’ da fare, intervistando qualcuno di quelli che hanno assistito alla partita. Tanto lo sapete che il prossimo numero sarà praticamente monotematico» ci tenne a precisare «Certo, nessuno ha avuto il coraggio di intervistare il coach Washijo, ma ci sarà un breve intervento di Saitou-san»

«Credo che nessuno al mondo sia in grado di intervistare coach Washijo» ammise Leon, immergendo il pesce nella salsa di soia.

Satori non riusciva a rilassarsi e quindi a mangiare qualcosa, era terribilmente guardingo, si aspettava da un momento all’altro qualche battuta, qualche commento fuori luogo. I suoi compagni di squadra lo sapevano benissimo e lo tenevano sul filo del rasoio apposta.

«Certo che fai impressione con i capelli così, santo cielo!» Semi, di solito estraneo a certi giochetti del Yamagata e Ohira, si intromise nella conversazione all’improvviso, facendo ridere i due, che vedevano Tandou contorcersi già dalla tensione.

«Ma che diavolo vuoi tu, Semisemi?!» sbottò il ragazzo.

«Piantala con quel soprannome!» gli intimò l’altro, guardandolo storto «Giuro, sembri un ragazzetto delle medie così» rincarò.

Ok, lo avrebbe ucciso al tre, due, un…

«Io lo trovo carino» disse innocentemente Riko, provocando tre reazioni diverse: Semi sollevò un sopracciglio scettico. Hayato e Leon scoppiarono in una risata che a stento riuscivano a moderare, tenendosi la pancia per il dolore, e Satori assunse una delicata colorazione viola, che faceva pendant con i colori della loro divisa scolastica.

«Sicuro di stare bene, Tendou?» il colpo di grazia di Ushijima fece diventare la situazione in mensa incandescente.

«Vi odio tutti, dico sul serio, siete delle merde!» disse piccato Satori.

«Tendou-kun?!» lo rimproverò Riko per la parolaccia, anche perché non le sembrava che i ragazzi gli avessero detto o fatto qualcosa di grave, anche se non sapeva perché se la ridessero a quella maniera. In effetti Ushiwaka aveva ragione, insomma era davvero talmente rosso in viso che pareva febbricitante.

«Cosa?! Credimi, se lo meritano!» cercò di dare una spiegazione plausibile a Riko, senza rivelare niente. Li avrebbe uccisi dopo, ne era certo!

 
*
 
«Fatela finita!» Tendou tentava ancora di far smettere di ridere i due amici, che, dopo aver salutato Riko, che si era recata nel suo dormitorio, avevano preso la via delle camere da letto. Erano tutti parecchio stanchi, ma quell’inaspettato cambio di battute e il rossore violaceo del Guess Monster erano stati un’occasione ghiotta per prenderlo in giro.

«Ma pensa! Ti trova carino!» Leon era quello che era riuscito a calmarsi un po’. Yamagata aveva ancora le lacrime agli occhi.

«Ahahahah! Non… ce la pos-so… fareheheheh!» era letteralmente piegato in due dalle risate.

Tendou li avrebbe volentieri presi a pugni quei due, se Wakatoshi non lo avesse tenuto per le braccia per evitare che una cosa del genere potesse accadere per davvero.

«Beh, ha dei gusti di merda, ammettiamolo» Semi era rimasto piuttosto calmo, anche quando gli altri due avevano raccontato per filo e per segno della cotta stratosferica di Satori per la sua amica «e visto che li ha, invitala ad uscire e falla finita. Tra l’altro, pensaci: saresti l’unico con la ragazza, visto che Yamagata e Ohira sono a secco» disse pratico.

Satori mise su un sorrisetto malvagio, smettendo di dimenarsi per sfuggire alla presa del capitano che, visto che pareva calmo, lo lasciò andare.

«Semisemi, sei un genio!» disse porgendogli la mano, mentre i due compagni di squadra tirati in ballo cercavano di ribellarsi a quella constatazione.

Tendou si recò nella sua stanza, molto stanco per una partita lunga e difficile, una sconfitta da digerire e un allenamento massacrante. Nonostante questo trovò il tempo di restare per un po’ ad osservare il soffitto, non vedendolo per davvero, ma vagando con la mente, cercando di capire come invitare Riko ad uscire con lui, dove portarla, come approcciarsi. Si sentiva particolarmente imbranato in merito e non sapeva bene come riuscire a tastare il terreno. Era necessario indagare prima un po’, capire se c’era qualcuno che le facesse il filo o anche qualcuno che le piacesse.



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Il nostro Tendou è decisamente innamorato, piccolo dolce fiore di campo!
Ce la farà? Seguirà il consiglio di Semi o si lascerà trasportare dal suo istinto?
Spero vi sia piaciuta questa prima parte; la seconda, e ultima, sarà online nel giro di una settimana al massimo.
Grazie per essere arrivati fin qui e fatemi sapere cosa ne pensate!

Lady Snape
   
 
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