Fatalità – è ciò che li accompagna ogni volta che il suono dei corni li raggiunge e scoppia la battaglia, a circondarli prima che le spade si levino e tingano la terra di vermiglio.
Fatalità – perché proteggono una storia che in fin dei conti tutti loro hanno almeno una volta desiderato poter cambiare, nient’altro che pedine di qualcosa più grande, della Moira che li osserva, beffandosi di loro. La costrizione del viverlo ancora, infinite volte. La costrizione di vederli morire ancora, coloro ch’in vita sono stati per loro la cosa più importante.
E lasciarli morire, come loro si conface.

E’ fatalità, quella che accompagna la danza delle lame, che le tinteggia del più dolce dei colori.
Vi si bagnano per abitudine, nella loro nuova esistenza niente di diverso da ciò che già sperimentarono in vita; senza avvertirne lo sforzo, collezionano al loro piedi corpi tenuti in vita solo da speranze prive di futuro. Sogni divenuti incubi – è questo, ciò che i kebiishi sono.
A volte, Tsurumaru ha l’impressione di guardare al se stesso del futuro. E ne ride, tastando con le dita quella che spesso sente sia una realtà.
Anche Mikazuki vi bagna, senza avvertirne lo sforzo. Danza al di sotto di gigli ragno, gli occhi socchiusi ed il volto rilassato. Non v’è né gioia né dolore. Non v’è emozione se non l’abitudine.
Viaggiano lungo il fiume, come barche trascinate dalla corrente.