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Autore: Ireth Anarion    10/10/2018    1 recensioni
Loki ha sedici anni e pensa che la sua vita non abbia più senso di essere vissuta. Con un padre assente e nessun amico a dargli conforto, i cattivi pensieri incombono sempre più su di lui.
Un giorno, navigando in rete, si imbatte nel forum "United We Stand", dove tanta gente proveniente da tutto il mondo si apre e parla dei propri problemi. Ma quando Loki legge la testimonianza di un certo Thor, il quale si lamenta di ciò che ai suoi occhi risulta essere banale e, anzi, una fortuna, la sua rabbia esplode e allora decide di contattare il ragazzo in chat.
Loki non può immaginare che da quel momento tutta la sua vita prenderà una piega diversa.
IL RATING POTREBBE SALIRE.
***Sì, ho cambiato il titolo della storia***
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Okay. Okay. Parto col dire che sono nuova nella sezione Thorki per quanto riguarda la scrittura, mentre per la lettura… heheheheheh *ammicc*
Non scrivevo una ff da un sacco di tempo e non postavo qualcosa su questo sito da ancora di più, quindi sono un po’ emozionata(?) anche se probabilmente non mi calcolerà più nessuno. C’est la vie.

            Alcune premesse:
            - questa è una Human!AU, ed essendo un’AU è quasi certo che ci si possa imbattere in personaggi OOC (qui in particolare, Loki in alcuni punti è uscito fuori più insicuro di quanto sia normalmente [almeno secondo mio parere]);
            - non so di quanti capitoli sarà composta ma penso più di dieci (sempre che io non la sospenda prima perché sono pessima con le long ç_ç);
            - non so quale sarà il rating finale, ma conoscendomi potrebbe salire… non so. Dipende dai due albicocchi *li spupazza*;  
            - ovviamente non terrò conto della mitologia norrena, a) perché è una fuckin’ Human!AU e b) perché sono piuttosto ignorante in merito. Quindi, mi atterrò all’MCU per quanto riguarda possibili dinamiche di amicizie/parentele;
            - non so ogni quanto potrò aggiornare. Fosse per me lo farei ogni giorno, ma l’ispirazione è stronza, va e viene. Sigh.

            Bene, non credo ci sia altro da aggiungere. Nel caso editerò queste note, uhm.
            Non mi resta che augurarvi buona lettura! Un bacione <3

            Ireth~






 
 
UNITED WE STAND


 
 
 



 
Vorrei poterti dire che andrà tutto bene e che questo periodo sarà per te solo un brutto ricordo. Che andrai al college e avrai la vita che hai sempre sognato, che la ragazza che ami accetterà di uscire con te, che tuo padre la smetterà di essere il dispotico bastardo di cui mi parli sempre. Ma come posso salvarti, come posso dirti queste cose se non so neanche come sarà il mio domani? Non so neanche se da qui a un’ora respirerò ancora, perciò ti prego… ti prego. Non avercela con me per la mia debolezza. Ti prego, Thor.
 


 
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Sei mesi prima.


 
È lo sbattere forte di una porta a destare Loki dal suo sonno. Le urla della signora Dwayne, la vicina, sono così alte che sembra quasi di averla lì in camera insieme ai due figlioletti, mentre i suoi passi nervosi risuonano lungo il vialetto che separa casa sua da quella di Loki.
     «È il primo giorno di scuola, sapete cosa significa? Che da oggi si cambia musica! Niente più videogiochi, niente più televisione fino a tardi, solo compiti! Se soltanto osate tornare a casa con un’insufficienza-».
     Loki fissa il soffitto striato dalla luce che filtra attraverso la persiana. È il primo giorno di scuola anche per lui. Dannazione, l’aveva quasi dimenticato. Lancia un’occhiata alla sveglia sul comodino e sospira frustrato: sono le sette e venticinque. Dovrebbe darsi una mossa e prepararsi, è già in ritardo, a meno che non decida di saltare la colazione per risparmiare tempo.
     Si passa stancamente una mano sugli occhi. Non che abbia chissà quanta fame, pensa, mentre posa un piede sullo zerbino. Anzi, probabilmente è meglio che non mangi nulla, o potrebbe ritrovarsi piegato in due in un cubicolo dei bagni della scuola a vomitare l’anima.
     Con passo strascicante, si dirige in bagno e si infila nella doccia, lavandosi il più accuratamente e velocemente possibile. Chiude gli occhi durante tutto il processo per cercare di concentrarsi solo sulla sensazione dell’acqua calda sulla pelle, sperando che lo rilassi almeno un po’, ma una volta uscito e indossato l’accappatoio troppo grande, la sottile ansia che lo accompagna sempre è già tornata a gravare sulle sue esili spalle.
     Loki odia andare a scuola. Lo odia almeno quanto i compagni odiano la sua presenza, il che dovrebbe essere esaustivo. Non che loro si azzardino a toccarlo, a maltrattarlo o insultarlo – almeno, non apertamente – ma è chiaro dal modo in cui ogni tanto i loro sguardi si soffermano su di lui, da come le loro voci si riducono in sussurri quando passa, che qualcosa non va.
     Per Loki è una sensazione terribile ritrovarsi lì, attorniato da un’intera scolaresca, ed essere ignorato così tanto da diventare il centro dell’attenzione. Come se fosse qualcosa di estremamente sgradevole che tutti vedono ma con cui nessuno vuole avere a che fare.
     Torna in camera per vestirsi, lo stomaco ormai ridotto a un groviglio stretto di nervosismo.
     Dovrebbe essere abituato a tutto quello, si dice. Ormai sa come funziona per lui il mondo, sa che non potrà ricevere altro che indifferenza. L’ha capito all’età di tredici anni, quando la sua vita ha cominciato a colare a picco. Quando qualcuno ha deciso per lui che da quel momento in poi avrebbe vissuto senza sua madre.
     A quel pensiero, gli sale un groppo in gola che gli rende difficile respirare bene.
     Loki rivede sua madre nei suoi occhi, quando si guarda allo specchio. La rivede nei suoi rari sorrisi le poche volte che vengono catturati da una macchina fotografica, la rivede nella luce che gli colpisce la pelle rendendola ancora più bianca di quanto già sia.
     Ma se anche questi dettagli di sé possono ricordargliela, lui non le somiglia più di tanto. Lei era di una bellezza devastante, sia dentro che fuori: era una di quelle persone dolci e gentili che si incontrano di rado nella vita e, a volte, gli tornano alla mente le parole che il Reverendo Brown disse al funerale, facendogli provare una rabbia sconfinata. “Il Signore chiama al suo fianco le persone pure, quelle che in vita hanno donato amore chiedendo nulla in cambio”.
     È da allora che Loki ha smesso di credere in Dio.
     I suoi occhi si posano sulla sveglia: adesso segna le sette e trentotto. Loki scaccia i pensieri iracondi così come sono arrivati e continua a prepararsi. Si infila una semplice maglietta nera e si ravvia i capelli ancora bagnati all’indietro, dopodiché indossa un paio di jeans. Recupera le scarpe da sotto il letto e le sbatte un po’ per togliere la sottile polvere che le ha ricoperte, le indossa, poi torna in bagno per darsi una veloce asciugata alla testa, arruffandosi come un pulcino nel disperato tentativo di non fare ancora più ritardo. La mamma non sarebbe contenta di vederlo uscire con i capelli gocciolanti. Una volta pronto, afferra la pesante tracolla dalla sedia della scrivania e scende al piano di sotto, dove regna il più totale dei silenzi. Tende le orecchie: sente il lieve russare di suo padre, segno che sta ancora dormendo. Non che la cosa lo sorprenda. Per un breve istante, Loki si sofferma a valutare l’ipotesi di prepararsi qualcosa da mettere sotto i denti durante il tragitto per raggiungere la scuola, ma è davvero troppo tardi perché possa farlo. E l’ansia non è ancora passata. Così esce di casa, senza nessuno che gli auguri in bocca al lupo per il nuovo anno.
     Anche se è primo mattino, fa già abbastanza caldo. La tracolla sbatte pesantemente contro la coscia sinistra di Loki ad ogni passo, e se pensa che dovrà camminare svelto per un buon quarto d’ora gli sale uno sconforto immane.
     Le auto lungo la strada avanzano lente a causa del traffico. Se non altro, pensa Loki, lui non rimarrà imbottigliato. Non ha mai capito che senso abbia per i genitori accompagnare i figli in macchina solo perché è il primo giorno, per poi lasciare che vadano da soli tutto il resto dell’anno. Forse hanno bisogno di più sostegno morale? Non riescono a reggersi in piedi per la paura? Anche lui si sente agitato, eppure eccolo a darsi una mossa, senza aspettare di essere scarrozzato come un maledetto principino.
     Stringe i pugni.
     Da quando è diventato così maligno e invidioso? Non è affare suo se gli altri hanno chi li accompagna, lui si trova benissimo così com’è e tante grazie.
     Però… è fastidioso camminare al fianco di una fila di auto con i finestrini alzati, dietro cui chissà quanti dei suoi compagni lo stanno guardando, magari ridacchiando alle sue spalle. Staranno pensando che è uno sfigato? Avranno notato la polvere sulle sue scarpe? I capelli spettinati, la maglia nera sbiadita?
     Loki arrossisce e accelera il passo, portandosi il più lontano possibile dal bordo del marciapiede. Cammina all’ombra degli alberi rigogliosi, attraversa con cautela un paio di incroci, cambia la spalla su cui grava la tracolla e si asciuga il sudore che comincia a imperlargli la fronte.
     Raggiunge il cortile della scuola in poco più di dieci minuti. Quando vede la moltitudine di ragazzi già assiepati davanti alla gradinata, ringrazia mentalmente la troppa fretta che non gli ha permesso di prepararsi da mangiare: lo stomaco gli brucia così tanto che per qualche istante si sente male e deve appoggiarsi contro un albero. Le ginocchia gli tremano.
     Eppure i suoi compagni non stanno facendo nulla di male. C’è chi è intento a chiacchierare, chi a fare passaggi con un pallone da calcio, chi a ridere e spintonarsi giocosamente. Non dovrebbe essere troppo difficile attraversare la folla e guadagnarsi un cantuccio sui gradini per riposare un po’.
     Ma non lo fa. Loki rimane lì, fermo, all’ombra del piccolo albero che lo sostiene. Vi resta fino a che la prima campanella dell’anno non annuncia l’inizio della giornata e lascia che tutti quanti entrino prima di lui. Solo allora si decide a entrare.
    
 
Quando Loki torna a casa mancano dieci minuti alle quattro. Suo padre è seduto sul divano, la TV sintonizzata sul canale dei documentari, ma l’uomo non vi presta attenzione perché intento a leggere il giornale della mattina. La fronte alta, stempiata, si corruga di tanto in tanto per la concentrazione. Gli occhiali da lettura sono bassi sul naso adunco.
     «Ehi, sono tornato», mormora Loki, incolore, chiudendo piano la porta d’ingresso.
     «Ehi, ciao», dice suo padre, alzando gli occhi dalla sua lettura per rivolgergli un sorriso vago. «Loki, mi dispiace non essermi svegliato… avevo-».
     «Dimenticato», finisce il ragazzino per lui, avviandosi verso le scale per togliersi di dosso quella tracolla infernale. «Non preoccuparti. L’avevo quasi dimenticato anch’io».
     L’uomo sembra sinceramente dispiaciuto, mentre lo guarda. Per un istante, Loki si sente in colpa e rimugina se andare o no accanto a lui sul divano. Potrebbe raccontargli com’è andata la giornata, se non altro. Già… per dirgli cosa? Che, come al solito, nessuno a parte gli insegnanti si è accorto della sua esistenza? “Oggi è stato bellissimo, papà, sai? I professori si sono ricordati del mio nome durante l’appello. Un bel passo avanti, no?”. Sarebbe l’apoteosi della pateticità.
     E ad ogni modo, il dispiacere sul volto del genitore ha vita breve. In men che non si dica, si rischiara la gola e torna con gli occhi sul giornale. «Be’, per fortuna alla fine te ne sei ricordato», ridacchia.
     «Già».
     «È andato tutto bene? Hai conosciuto nuovi compagni?».
     Loki è già a metà della rampa di scale quando parla. «A parte quelli del primo anno, sono sempre le solite facce».
     «Capisco».
     Il ragazzino esita sull’ultimo gradino. Spera che il genitore aggiunga qualcosa, che quantomeno si sforzi di sembrare interessato. Ma così non è. Deglutendo un nodo di tristezza in fondo alla gola, Loki gli chiede: «Stasera hai il turno delle otto?».
     «Sì. Non preoccuparti, prima la signora Dwayne mi ha detto che passerà a lasciarti un pezzo di sformato».
     Cara signora Dwayne. L’unica persona al mondo, da quella mattina, ad essergli stata veramente d’aiuto.
     «È grandioso, amo il suo sformato».
     Loki fa per raggiungere la sua camera, ma la voce del padre lo ferma ancora una volta. È bonaria e leggera, ma ciò che dice lo fa restare male oltre ogni misura.
     «Figliolo? Tornerò a casa per le tre. Quindi mi raccomando, niente festini mentre sono fuori». Poi, ridacchia.
     Loki non risponde, perché davvero non saprebbe cosa dire. Gli sa tanto di presa in giro e sinceramente è troppo stanco per discutere. Cosa dovrebbe fare, in fondo? Urlargli di stare tranquillo perché tanto non ha amici da invitare?
     La rabbia gli serpeggia sottopelle come un parassita velenoso. Quella mattina, l’unica parola che ha scambiato con un suo coetaneo è stata “Scusa”, perché gli era finito addosso mentre entrava in mensa. Ma cosa importa agli altri? Cosa importa a tutti loro del suo disagio, dei problemi che ha a relazionarsi con la gente? Cosa importa a suo padre della sua vita, lui che le mattine le passa a dormire e le notti a lavorare in quello stupido museo? La verità è che nessuno si rende conto di lui. Nessuno.
     Con collera, si sbatte la porta della camera alle spalle e, per essere più sicuri, la chiude a chiave a doppia mandata. Tanto il massimo che farà suo padre sarà dare due colpetti veloci sulla superficie e salutarlo alla svelta, sempre che si degni di salire fin lassù. Lascia cadere la tracolla sul letto e poi la imita buttandosi a faccia in giù sul cuscino, sospirando affranto.
     Per un breve periodo, in passato, ha creduto che sarebbe stato facile vivere in questo modo. Che dopotutto a lui non sarebbe servito nessuno per essere felice, che l’indipendenza e la solitudine andassero in un certo senso di pari passo. Ma ora si sente svuotato. Si sente profondamente, terribilmente stanco.
     Ma non piangerà, oh, no. Questo è sicuro. Non vale la pena piangere per gli altri. Poche volte in vita sua Loki ha pianto per qualcosa; la sua reazione predominante è la furia. Fredda, crudele. Ha la lingua tagliente, perciò quando è ferito, offeso o quando si sente triste, preferisce fare del male a chi gli sta intorno. Ma versare lacrime, quello no.
     Giace su quel letto per diversi minuti. Ad un certo punto chiude gli occhi e quando li riapre gli sembra come se fosse passata una vita intera, ma il sole è ancora discretamente alto nel cielo, il che significa che non deve essere passato poi molto tempo. Si alza e i suoi muscoli sono intorpiditi, le membra formicolanti. Si guarda intorno, osserva alcuni dei libri che sbucano fuori dalla cerniera mezza scucita della tracolla. Per quel giorno nessun professore ha assegnato compiti. Potrebbe mettersi a leggere qualcosa, ma, contrariamente dal solito, non è in vena. Perciò alla fine decide di sedersi alla scrivania e accende mollemente il suo vecchio PC. Magari guarderà qualche film, oppure una nuova serie TV. La barra di Google lo fissa, vuota. Loki non ha nessun titolo in testa. Non ha niente in testa. Si sente così da schifo che avrebbe voglia di-
     Si morde le labbra, gli occhi fissi sullo schermo. Anche se è da solo, chiuso a chiave nella sua stanza, comincia a sentirsi a disagio e in imbarazzo come se centinaia di occhi lo stessero giudicando. Ma tanto non guarderà nessuno, no? Che male può fare?
     “Voglio uccidermi” è ciò che digita e, sentendosi un bambino spaventato, clicca invio. Una sequela di siti sulla prevenzione del suicidio gli si aprono davanti, come immaginava. Tra i tanti, scorge un forum pubblico chiamato United We Stand, in cui offre di poter parlare, scambiarsi conforto e parole positive; Loki immagina in un istante un gruppo di persone sedute in cerchio come in quei circoli sugli alcolisti anonimi. “Ciao, sono Loki Laufeyson, ho sedici anni e voglio ammazzarmi”. Ridicolo.
     Eppure, in mezzo secondo sta scorrendo le storie del forum. Si sofferma su una piuttosto breve, concisa.

     “Non sopporto più mio padre”, scrive un certo Thor.Ogni cosa che faccio, ogni singola cosa, a lui sembra sempre troppo poco. Mi sta col fiato sul collo, vorrebbe che dessi il massimo in tutto e se non lo faccio mi guarda come se fossi la più grande delusione della sua vita”. 
     Loki legge e arriccia un lato del naso in un’espressione di odio e disgusto insieme. Lui darebbe tutto ciò che ha per avere un padre che si interessasse a ciò che fa, e invece questo… questo idiota si lamenta. E sa che non dovrebbe giudicare, che non sa tutta la storia e che neanche lo conosce, quel Thor, ma è troppo arrabbiato, troppo furioso con la sua stessa condizione, per comportarsi lucidamente. Così clicca sul nome dell’utente, clicca sull’opzione “messaggio privato” e comincia a scrivere. Quattro semplici parole.
     “Sei proprio un idiota”.
 

    










    
    
   
 
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