Anime & Manga > Twin Princess
Segui la storia  |      
Autore: Himeko _    11/10/2018    1 recensioni
• Rein/Shade; amnesia!au con un pizzico di soulmate!au, tre capitoli.
Se qualcuno, in quel momento o anche in seguito, gli avesse chiesto di descrivere la situazione adoperando una ed una sola parola, non avrebbe saputo quale usare. Nessuna di quelle che gli riempivano caoticamente la mente, in un turbinio infinito di termini privi di qualunque significato e profondità, avrebbe mai potuto esprimere con chiarezza quella delicata circostanza.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Noticine importanti, vi prego di leggerle prima di proseguire con la lettura;
Dunque, prima di lasciarvi alla lettura di questa mini-long abbastanza improvvisata volevo chiarire un elemento, onde evitare un’errata interpretazione dell’idea di base ed un conseguente accanimento nei miei confronti. Nonostante la vicenda si svolga attorno ad una situazione che nella realtà – seppur in maniera diversa dal punto di vista clinico e psicologico – esiste, vorrei ricordarvi che questa è una storia romanzata. Altamente romanzata. Motivo per cui, non essendo io un’esperta in questo campo, andrete sicuramente incontro ad inesattezze, che spero di avere ridotto al minimo grazie alle ricerche effettuate. Vi chiedo, quindi, di prendere ciò che verrà scritto di seguito con le pinze in quanto, avvalendomi della libertà di fanwriter (?), ho apportato sostanziali, e non, modifiche per quanto concerne la veridicità dei fatti dal punto di vista clinico.
Per ulteriori note vi aspetto alla fine del capitolo. Colgo l’occasione per ringraziarvi in anticipo per la comprensione mostrata. Grazie. E buona lettura. ♡


 
• • •



 

Respiro



 

CAPITOLO PRIMO
 


Se qualcuno, in quel momento o anche in seguito, gli avesse chiesto di descrivere la situazione adoperando una ed una sola parola, non avrebbe saputo quale usare. Nessuna di quelle che gli riempivano caoticamente la mente, in un turbinio infinito di termini privi di qualunque significato e profondità, avrebbe mai potuto esprimere con chiarezza quella delicata circostanza.
Impudentemente, quasi a volere dissipare la fitta nebbia di pensieri che si rincorrevano senza tregua, un sospiro frustato sfuggì silenziosamente dalle labbra socchiuse del ragazzo, mentre le preoccupate iridi blu Savoia si spostavano rapidamente dal volto stanco del chirurgo a quello rilassato della ragazza che, ancora sotto gli effetti della sedazione, pareva riposare confortata dalle protettive braccia di Morfeo; completamente ignara di essere avvolta in delle candide quanto ruvide lenzuola impregnate di disinfettante.
«Quindi non—». Il sottile filo di voce s’incrinò spezzandosi bruscamente e lo sguardo si posò nuovamente sull’adulto.
«È possibile» replicò quest’ultimo passandosi una mano sulla base del collo, massaggiandolo discretamente; accentuando maggiormente, agli occhi del ragazzo, la stanchezza che faceva capolino in quegli occhi chiari che chiedevano solo un po’ di riposo. «Come le ho spiegato, nonostante la ragazza indossasse la cintura di sicurezza, nell’impatto il capo è stato violentemente sballottato causando un trauma cranico di lieve entità. Quando è giunta in pronto soccorso era priva di coscienza e—».
Il tono calmo dell’uomo cominciò gradualmente a sfumare sino a scomparire divenendo un ovattato rumore di sottofondo che venne risucchiato dalle inconsistenti riflessioni del venticinquenne, il quale, con un lieve cenno di scuse, interruppe bruscamente l’interlocutore: «posso rimanere con lei finché non si sveglia?», domandò lasciando trapelare per la prima volta la stanchezza di quella giornata non ancora conclusa.
«Allo stato attuale: no», espirò il chirurgo osservando di sottecchi la pacata reazione del giovane comprendendo, almeno in parte, il tormento interiore che doveva lacerarlo. «Tuttavia possiamo concederle una decina di minuti… almeno sino a quando il quadro clinico non si stabilizzerà» continuò con voce profonda, facendo poi cenno all’infermiera, intenta ad annotare scrupolosamente i parametri vitali nell’apposita scheda della cartella infermieristica, di seguirlo fuori dalla stanza. «Dieci minuti», ripeté nuovamente prima di sparire oltre la porta.
 
 
Rimasto da solo Shade si voltò in direzione dell’addormentata e, cercando di non prestare troppa attenzione al continuo segnale emesso dai monitor in funzione, le si avvicinò cautamente soppesando i propri passi. In piedi a lato del letto indugiò ancora qualche istante, forse alla ricerca di un’ulteriore stilla di coraggio o più semplicemente nell’intento di calmare il tumultuoso stato d’animo che lo accompagnava da ore, prima di abbassare le iridi sulla minuta figura, permettendo loro di scandagliare minuziosamente ogni millimetro di quel viso disteso, accarezzandolo silenziosamente, constatandone la vulnerabile parvenza.
Un lieve sospiro gli increspò le labbra. A vederla sembrava veramente la bella addormentata anche se l’immobilità mostrata e l’inusuale pallore la rendevano più simile a Biancaneve — dopo che aveva addentato la mela avvelenata offertale dalla matrigna sotto mentite spoglie. Scosse lievemente il capo rilasciando un leggero sospiro che riempì la stanza sovrastando, per pochi secondi, il quieto rumore prodotto dagli strumenti elettronici, percependo distintamente l’astratto peso che gli opprimeva il petto – la mente, le spalle, lo stomaco – impedendogli di respirare regolarmente affievolirsi pian piano come un cumulo di neve che si scioglieva lentamente sotto i sottili raggi di un sole che, timidamente, si riaffacciava dopo giorni di tormenta.
Con delicatezza adagiò il palmo della mano sul freddo materasso in concomitanza con l’esile spalla coperta da un sottile camice bluastro e, facendo perno su quest’ultimo, chinò il busto sino a quando oltre al fastidioso odore di clorexidina una famigliare fragranza non s’insinuò nelle sue narici stordendolo appena; istintivamente inspirò profondamente socchiudendo appena gli occhi, assaporando appieno quell’abitudinaria sensazione di calore casalingo. No, pensò osservando le palpebre abbassate a celare due iridi piene di vitalità, si era sbagliato, proseguì spostando l’attenzione sul petto che si muoveva lentamente: in quel momento Rein era proprio la rappresentazione vivente de’ “La Bella Addormentata”. E nonostante il volto deturpato dal piccolo taglietto a livello della tempia destra, ove spiccavano due punti di sutura, ai suoi occhi rimaneva bella. «Bellissima» soffiò con un filo di voce, autocorreggendosi.
Rimase in quella posizione, sospeso a mezz’aria, per un tempo indefinito, indeciso se azzerare o meno i pochi centimetri che lo separavano dalla cute temendo, infantilmente, che un qualsiasi contatto fisico potesse causarle ulteriore dolore. Rinchiudendosi in un oblio estasiato si beò del calmo respiro che s’infrangeva debolmente contro il collo scoperto sincronizzando inconsciamente la propria frequenza respiratoria. Infine, spinto dall’impulso, annullò la distanza posando brevemente le secche labbra sulla fronte, ringraziando un’entità in cui non aveva mai creduto per averlo scosso dal peggiore dei suoi incubi.
 
 
 
• • •
 
 
 
Girò la chiave nella toppa della serratura e con passo pesante varcò la soglia dell’appartamento, che condivideva con il suo migliore amico, rimanendo poi immobile nel piccolo pianerottolo osservando apaticamente il vuoto di fronte a sé, sino a quando il rumore della lavastoviglie non lo riportò alla realtà. Con un debole gesto sospinse la porta dietro di sé rimanendo in attesa del consueto suono di chiusura, che sopraggiunse pochi secondi dopo. Meccanicamente si tolse le scarpe e, senza curarsi di sistemarle nell’apposita scarpiera, infilò le pantofole; infine salì l’esiguo gradino trascinandosi controvoglia verso l’interno del locale.
«Shade?», domandò Bright affacciandosi dalla cucina osservandolo con malcelata preoccupazione, ricevendo in risposa uno stanco mugolio. «Tutto bene?» aggiunse, insultandosi mentalmente per la banalità e l’estrema superficialità dell’interrogativo posto.
«È viva» esalò il venticinquenne passandosi una mano fra i capelli spettinati, «il chirurgo ha detto che potrebbero esserci delle lievi complicazioni, ma per saperlo dobbiamo aspettare che le condizioni si stabilizzino», proseguì lasciandosi cadere mollemente sul divano. «Ha anche detto qualcosa riguardo al tenerla farmacologicamente sedata, ma ero troppo sopraffatto per riuscire a seguire il discorso», soffiò in un bisbiglio soffocato vergognandosi della poca razionalità mostrata in quel contesto.
«È viva» ripeté il biondo con maggiore sicurezza passandogli un bicchiere colmo d’acqua, sedendosi poi all’altro lato del divano.
«Già» espirò facendo cadere il silenzio all’interno della stanza, perdendosi nuovamente nei suoi pensieri. Si lasciò sfuggire un flebile sospiro e celando le iridi scure dietro le palpebre gettò la testa all’indietro lasciando che i corti capelli indaco di Persia entrassero in contatto con il tessuto bluastro che ricopriva il sofà. Le immagini di quella giornata cominciarono a scorrere come una sequenza di fotogrammi fin troppo nitidi per poter essere classificati come alcuni sporadici frammenti di uno strano sogno: il continuo squillo del cellulare seguito dalle sue biascicate imprecazioni mentre usciva dall’aula dirigendosi velocemente in bagno; il volto che impallidiva non appena captava le parole “ospedale” ed “incidente”; la sua trafelata irruzione nella sala per raccattare lo zaino sotto lo sguardo esterrefatto dei compagni di corso e del docente; Fango che, essendone venuto a conoscenza in seguito alle consuete chiacchiere fra paramedici a fine turno, lo aveva raggiunto inducendolo, per quanto possibile, a ragionare e a non fare pazzie, mentre lo accompagnava al complesso sanitario guidando nel traffico della capitale giapponese; e le ore d’attesa. Queste ultime erano state una vera e propria tortura; nessuno sapeva dirgli più di quanto gli avevano riferito al banco dell’accettazione o al telefono. Sembrava quasi che nessuno sapesse niente, ma al contempo sembravano guardarlo tutti con una taciuta compassione e questo lo aveva solo innervosito maggiormente. La fronte sbattuta ripetutamente contro la parete bianca del corridoio, nell’intento di tranquillizzarsi, dolse al ricordo e Shade vi passò sopra due dita cercando di calmare la sensazione. E proprio durante quell’interminabile lasso di tempo aveva dovuto raccogliere ogni brandello di lucidità a sua disposizione per mostrarsi raziocinante, mentre aggiornava Fine informandola degli eventuali sviluppi. Il solo ricordo dei singhiozzi strazianti della madre in lontananza, mentre la figlia lo informava che sarebbero giunte a Tokyo solamente a notte inoltrata lo fece rabbrividire. Riaprì bruscamente le palpebre socchiudendole immediatamente non appena la luce della lampada inondò violentemente la sclera, arrossata dalla stanchezza e dalle lacrime trattenute, accecandolo momentaneamente.
«Bright» chiamò con un filo di voce, incapace di esprimere a parole le sensazioni che gli attraversavano ogni fibra del corpo, sperando che il maggiore cogliesse la sua richiesta d’aiuto.
«Andrà tutto bene», rispose con fermezza alzandosi per posargli, non senza una lieve esitazione, una mano sulla spalla in segno di conforto; anche se si conoscevano da anni le effusioni tra di loro erano sempre ridotte al minimo per evitare che l’imbarazzo potesse prendere il sopravvento. «Potrai contare su di me e sugli altri», continuò rafforzando la presa, «siamo o non siamo una famiglia?».
Gli diede una pacca sulla schiena e sbadigliando si diresse verso la sua camera. Una volta raggiunto l’uscio del salotto sembrò ripensarci e si voltò ad osservare l’amico regalandogli un sorriso carico di calore: «cerca di essere positivo. E di dormire, altrimenti Rein non ti riconoscerà».
 
 
«Ci conosciamo?»
Erano bastate due parole, insieme allo sguardo confuso e perso, e la consapevolezza che quella poteva essere una delle complicazioni accennate dal chirurgo l’aveva colpito a ciel sereno intaccando la sua gioia, che era stata così effimera da risultare irreale. Il sorriso gli si era congelato sul viso trasformandosi lentamente in una smorfia contrita, mentre le iridi volgevano celermente a scrutare i presenti in cerca di una risposta che non era giunta; la confusione delineata limpidamente anche sui loro volti.
Rein aveva continuato ad osservarlo con curiosità eppure non gli erano sfuggite quelle stille di diffidenza nascoste nelle iridi color foglia di tè; così – come se nulla fosse accaduto – le aveva sorriso e si era presentato, di nuovo, porgendole la mano, di nuovo, che era stata afferrata con un certo timore, di nuovo. Si era ben guardato dal rivelarle la relazione che li legava da ormai sei anni e con un’allusiva occhiata aveva intimato anche a Fine di tacere sulla questione. Dopodiché era uscito dalla stanza alla ricerca d’aria e si era imbattuto nei genitori della ragazza di ritorno dal colloquio con l’équipe medica.
 
«Presumiamo si tratti di un’amnesia lacunare transitoria dovuta al trauma cranico a cui è andata incontro», aveva dichiarato il medico con tono saccente aumentando solamente la confusione che aleggiava all’interno dello studio. Inscenando un colpo di tosse aveva provato a spiegarsi meglio: «l’amnesia lacunare è una particolare tipologia di amnesia che va ad interessare uno specifico periodo di tempo e dato che la paziente pare non ricordare solamente di essere entrata in contatto con una specifica persona è da ritenersi sistematizzata. Ad ogni modo, signori, è solo una forma transitoria e la situazione clinica dovrebbe risolversi completamente nel giro di alcune settimane, o al più tardi mesi», aveva concluso liquidandoli.
 
Con la fronte poggiata mestamente contro la parete del corridoio Shade cercava invano di placare il fastidioso ronzio, che aveva preso forma nella sua testa, concentrandosi sulla respirazione.
Ci conosciamo?
Quelle due parole continuavano a risuonargli prepotentemente nella mente martellando furiosamente, rimbalzando quasi da una tempia all’altra, senza dargli modo di pensare lucidamente. O semplicemente di metabolizzare ciò che aveva appena appreso. Non poteva fingere che non fosse successo niente, tornare nella sua stanza e tenerle un po’ di compagnia. Non poteva nemmeno presentarsi davanti alla fiordaliso, sedersi sul margine del letto come aveva visto fare centinaia di volte ai protagonisti dei film che tanto le piacevano, rivelandole che non erano estranei e che conosceva l’esatta ubicazione di ogni singolo neo disegnato sulla sua candida pelle sperando che, come per magia, rimembrasse il tempo passato insieme o che, nella peggiore delle ipotesi, gli credesse semplicemente sulla parola. Se fosse stato lui a trovarsi dall’altro lato di quella paradossale situazione l’avrebbe presa per una psicopatica.
Espirando profondamente colpì nuovamente il muro con la fronte. Conoscendola avrebbe iniziato a suonare ininterrottamente il campanello non appena avesse accennato ad invadere il suo spazio. Rein era fatta così. Nonostante sembrasse l’opposto, era abbastanza restia ad interazioni fisiche quando conosceva appena o, come nel suo caso gli rimembrò puntigliosamente la coscienza con una sottile sfumatura sadica, non conosceva affatto i suoi interlocutori.
Lasciandosi sfuggire un altro sospiro, sbatté pigramente l’osso frontale contro la candida vernice.
«Distruggere l’ospedale non ti aiuterà». La profonda voce di Fango lo raggiunse inchiodandolo.
«Non ricorda niente», soffiò flebilmente staccandosi dalla parete voltandosi ad osservarlo curioso.
«Non si ricorda di te, e allora?», replicò il moro. «Non fraintendermi», aggiunse velocemente in seguito all’occhiata minacciosa che lo trafisse, «nessuno gioirebbe se si trovasse nella medesima posizione, nemmeno sapendo che si tratta di una condizione temporanea, ma non pensi che potresti fare qualcosa invece di stare qui a piangerti addosso?».
«Illuminami.»
«Hai o non hai un quoziente intellettivo pari a centoquarantotto?» rispose ghignando.
«Fango…», lo ammonì.
«Respira», soffiò il paramedico incrociando le angosciate iridi dell’amico.

 




 
• • •

Rettangolo delirante di Himeko
 
Oddio, non ci credo. Non riesco davvero a crederci. Non può essere vero; non è un sogno, vero? Dopo anni mi presento nuovamente in questa sezione con qualcosa di diverso dalle solite drabbles, flashfics, OS. Ahimè, è tutto vero. Questa volta sono qui a proporvi una mini-long. Cioè, oddio, in realtà avrei dovuto pubblicare quando avessi avuto tutti e tre i capitoli pronti, o quasi, ma… non ce l’ho fatta ed eccomi qua. Non ho la più pallida idea di quanto ci impiegherò a scrivere il prossimo capitolo visto il tempo impiegato a scrivere questo… oddio, sto già divagando. Buongiorno! Da quanto tempo, eh? Come state? Confesso di sentirmi particolarmente agitata; è da tantissimo che non scrivevo più qualcosa di abbastanza impegnativo, o più in generale un progetto a lungo termine (si può dire?) e fa un certo effetto vederlo prendere, pian piano, forma. Non immagino come starò quando pubblicherò il capitolo.
Ordunque, ammetto che la trama di questa storia in realtà è stata pensata per un altro fandom, ma qualcosa mi ha spinta a modificare il progetto iniziale e non me ne pento minimamente. Uhm, che dire, i protagonisti indiscussi di questa storia saranno Rein e Shade (chissà perché ultimamente finiscono sempre per fare una brutta fine in tutte le storie che penso…), ma i personaggi secondari non saranno da meno. In questo primo capitolo ho voluto focalizzarmi maggiormente su Shade volendo, e sperando di esserci riuscita, trasmettervi il suo stato d’animo, e perché no, creare anche una sorta di empatia nei suoi confronti. Il secondo capitolo, se il progetto non cambia, sarà incentrato principalmente su Rein.
Spero che questo nuovo progetto abbia catturato la vostra attenzione e che vogliate seguirmi sino al suo completamente. Spero inoltre di essere riuscita a mantenere la caratterizzazione dei personaggi, altrimenti sentitevi pure liberi di lanciarmi un Avada Kedavra. Ringrazio infinitamente coloro che saranno giunti sino a qui e coloro che si saranno fermati alle prime righe del testo; grazie. Himeko


____________________
 

Mini-dizionario (wikipedia docet):
amnesia lacunare: particolare tipologia di amnesia (disturbo della memoria a lungo termine) che interessa uno specifico periodo di tempo non ricordato dal paziente, che è però limitato ad un breve periodo (alcune ore, o al massimo giorni). Essa può essere selettiva (relativa ad una sola parte delle informazioni memorizzate) o sistematizzata (soppressione di tutti i ricordi di un avvenimento o di una persona specifici).
amnesia transitoria: si verifica nel caso di un evento traumatico con successivo ritorno alle funzionalità normali.

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Twin Princess / Vai alla pagina dell'autore: Himeko _