Anime & Manga > The Seven Deadly Sins / Nanatsu No Taizai
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Autore: merty_chan11    11/10/2018    3 recensioni
[Spoiler manga capitolo 224] [Melizabeth]
Meliodas è a conoscenza della vera identità del cavaliere misterioso che sta terrorizzando il Regno ancor prima che questo metta piede nella sua locanda. Sa chi si cela sotto quell’elmo.
E mentre la sua anima vorrebbe ignorare quanto sta accadendo, il suo cuore ed il suo destino non gli permettono di evitare quell’ennesima caduta, ormai vittima di un fato che da millenni continua a distruggerlo.
Dal testo:
[...]
«Meliodas» pronunciò con un sorriso mentre Elizabeth piangeva ancora. Gli aveva detto il suo nome così tante volte che i più avrebbero pensato che avesse ormai perduto il suo significato, la sua musicalità. Eppure, in ogni vita, ogni volta che Elizabeth tornava da lui, tutto sembrava riacquistare il suo colore, il suo suono, la sua pienezza.
«È questo il mio nome.»
[...]
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Liones, Meliodas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A.
Salve a tutti! Era da un po' di tempo che non lasciavo qualcosa nella sezione di Nanatsu e visto che ieri c'è stato l'anniversario dei sei anni del manga, volevo pubblicare qualcosina^^
Non ho mai propriamente scritto sulla Melizabeth ma sono contenta di aver tentato, questi due sono bellissimi e meritano tutto l'amore del mondo ;_;
Ho voluto riprendere gli avvenimenti del primo capitolo dal punto di vista di Meliodas; vuoi per la nostalgia, vuoi per tutto quello che è accaduto in seguito nell'opera cartacea. Questa scena ha ancora tanto da raccontare se la si guarda da un punto di vista più ampio; spero quindi che questo mio lavoro possa piacervi.
Alla prossima e buona lettura,
Merty

 

  • Avvertenze: Spoiler del manga (capitolo 224)
  • Coppia: Melizabeth



Che tutto possa concludersi tra le nostre ceneri





L’aveva soltanto percepito.

Come un improvviso soffio di vento, o forse più come un fulmine che scuote la terra e che avvolge la natura in uno stato in cui tutto è all’erta. Rami, foglie, fiori. Perfino i fili d’erba appena bruciati dall’intensità della scarica ancora temono un secondo attacco, senza mai abbassare la guardia. 

Perché era così che la sua vita si era sempre snodata nel corso degli anni, perduta in un mare di sofferenza e agguati a cui si alternavano brevi momenti di felicità illusoria, piccoli istanti in cui Meliodas giungeva a credere che sarebbe stato bene. Che non avrebbe più dovuto affrontare ancora, per l’ennesima volta, ciò che il fato aveva scritto per lui con caratteri di sangue. 

Ed era così che si sentiva, pronto a compiere il balzo per andare a rifugiarsi dietro quel castello di sabbia che non l’avrebbe mai protetto. Pronto a vestire quell’armatura che non sarebbe stata in grado di attutire gli urti che miravano al suo cuore ormai distrutto.

Perché lo sapeva, ne era certo, era sicuro che lei stesse arrivando. Non importava quante volte l’avesse vista, quante volte Meliodas avesse dovuto cominciare daccapo quella storia d’amore che per lui era stata invece eterna. Avrebbe riconosciuto i suoi passi ovunque, anche da lontano; avrebbe sempre rivisto quegli occhi ridenti e azzurri come il cielo che non gli davano tregua nemmeno nei sogni. 

Gli era giunta voce dei disordini che imperversavano nel regno e, anche se da lontano, non aveva mai smesso di vegliare su di lei. Di preoccuparsi, seppur con apparente disinteresse, a ciò che stava spaccando a metà la città di Lyonesse. 

Perché non avrebbe mai potuto. Mai. 

Non avrebbe mai osato volgere il capo in un’altra direzione per fingere che lei non ci fosse; perché Meliodas la sentiva, udiva la sua risata e la sua voce e vedeva il suo sorriso e i suoi occhi e quel viso che aveva amato per millenni. Anche se in forme diverse, anche se incorniciato da capelli color del grano o vermigli o argentei come la luna. Non avrebbe mai potuto sperare che la vita potesse scorrere senza ferirlo; perché la sua vita era Elizabeth ed Elizabeth era la sua rosa, il suo fiore delicato e tenace che avrebbe continuato a far sanguinare la sua ferita in eterno.

Nessuno dei due poteva evitarlo. Non lui, né tantomeno lei che aveva avuto il privilegio di non ricordare, di dimenticare il passato mentre Meliodas era costretto a portare per entrambi quel peso di millenni. Erano spalle troppo piccole, le sue, per un compito così grande. Erano spalle troppo stanche per poter sopportare ulteriormente quel dannato ciclo di vita e di morte, di sofferenze e di lacrime a cui erano stati destinati. 

Ma non avrebbero potuto evitarlo, neanche se lo avessero voluto. Perché, in un modo o nell’altro, si sarebbero incontrati di nuovo e i loro sguardi si sarebbero incrociati ancora e il cuore dell’uno sarebbe stato dell’altro. E avrebbero camminato mano a mano verso l’ennesimo oblio.

Se chiudeva gli occhi, Meliodas poteva ancora sentire le parole dei loro genitori, le grida delle due divinità che scagliavano contro le maledizioni.

Una vita immortale e una di morte e rinascita. Un ciclo continuo e che ormai pareva impossibile da interrompere. Ma Meliodas non avrebbe mai ceduto. C’era ancora un rimedio che non avevano provato ma era stanco, e vuoto, e da anni ormai sentiva che non c’era più nulla, di se stesso. 

Quando la vide accasciarsi sul pavimento della locanda, Meliodas provò una fitta al cuore. Invisibile, impercettibile agli occhi di chi lo guardava; ormai aveva perfezionato l’arte di celare le sue emozioni agli altri. 

Ma non a se stesso.

L’Elizabeth che ora si trovava davanti a lui era esattamente come lei. La prima che aveva amato. Colei che era stata maledetta da suo padre e che Meliodas aveva visto morire e morire per troppe volte di cui riusciva però a tenere il conto. 

Centosei. 

Centosei avevano esalato l’ultimo respiro davanti ai suoi occhi, e ogni morte era peggio di una pugnalata. Il suo cuore continuava a sgretolarsi, a perdeva pezzi importanti della sua umanità che non si curava più di afferrare ma lasciava soltanto scivolare via dalle mani insieme alle lacrime.

Sapeva che sarebbe diventata così. L’aveva conosciuta da bambina, dopotutto. Sapeva che le avrebbe somigliato, lei più di tutte le altre, e al solo assistere alla sua crescita Meliodas non aveva potuto fare altro se non ricacciare indietro quel groppo in gola che provava ogni qualvolta il suo sguardo si posasse sulla sua figura, e sull’immagine della donna che sarebbe divenuta, perso in un tempo che non sarebbe mai più tornato. Di una felicità che non sarebbe più stato in grado di afferrare.

Avrebbe potuto dirle di no. Avrebbe potuto fingere di non sapere ciò a cui stesse alludendo, di chiudere quella faccenda e di lasciare che partisse da sola alla ricerca dei suoi compagni. Avrebbe potuto tenerle nascosta la verità. Magari avrebbe vissuto più a lungo. Magari lui avrebbe finalmente trovato la morte ad attenderlo.

Ma, vedendo le sue lacrime, Meliodas non era riuscito a rimanere impassibile. Non di fronte a quella gentilezza così spontanea, ad una preoccupazione sincera che apparteneva solo e soltanto a lei, alla sua Elizabeth che aveva dovuto lasciare alla fine di quella guerra. Alla donna che aveva amato e di cui ancora sentiva il fantasma di quella presa nella sua mano, la presa che aveva segnato la fine e l’inizio di tutto.

Non era riuscito a seguirla nemmeno nella morte, quella volta.

«Meliodas» pronunciò con un sorriso mentre Elizabeth piangeva ancora. Gli aveva detto il suo nome così tante volte che i più avrebbero pensato che avesse ormai perduto il suo significato, la sua musicalità. Eppure, in ogni vita, ogni volta che Elizabeth tornava da lui, tutto sembrava riacquistare il suo colore, il suo suono, la sua pienezza.

«È questo il mio nome.»

E così, Meliodas seppe che un nuovo ciclo era appena cominciato. Che una nuova alba si era profilata all’orizzonte, sulla loro storia di amore e morte. Che lui aveva appena accettato di compiere quel viaggio di cui Meliodas già immaginava la conclusione. Ci sarebbe stata Elizabeth morente tra le sue braccia, l’odore del sangue e della pioggia e del fango sulla sua pelle, impregnato nella sua mente come un profumo indelebile.

Poteva già immaginare che quella storia si sarebbe conclusa con il suo cuore spezzato, rigato da lacrime che avrebbe ormai dovuto esaurire millenni prima. 

Era forse parte della maledizione, tutto ciò? Il continuo cadere nella disperazione, in un dolore di un amore che lo abbandonava ancora?

Meliodas si alzò in piedi con un sorriso, pronto a fronteggiare il suo avversario.

Avrebbe continuato ad ergersi per lei, per loro, per porre fine ad una vita che non era più degna di essere vissuta. Per quella promessa che si erano scambiati tanti secoli prima. Forse, questo si sarebbe rivelato il momento giusto.

Forse, questo sarebbe stato il viaggio in cui ad attenderli avrebbero trovato il dolce abbraccio della tomba, la culla della morte a cui entrambi erano fuggiti. 

Il sonno eterno tanto agognato.

  
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