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Autore: aleinad93    11/10/2018    2 recensioni
"La caffetteria conosceva dopo il pranzo la tranquillità e Keith finalmente poteva tirare un sospiro. Erano due mesi che lavorava come apprendista al Voltron Café, per rendersi indipendente da Shiro e Adam, i suoi genitori adottivi, solo che odiava la confusione. Non si era ancora abituato al chiacchiericcio, ai rumori e alla gente dell'ora di pranzo. Si posizionò vicino alla cassa, lasciando libero il campo al proprietario, il signor Wimbleton, e alla sua collega Allura che stavano lavorando. Lanciò un'occhiata verso la porta e proprio in quel momento entrò qualcuno che conosceva. Cioè non conosceva davvero quel tipo, Lance..." (dall'inizio del primo capitolo Caffetteria)
[le Os sono scritte per il #writober organizzato da fanwriter.it]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Garrison Hunk, Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Caffetteria

La caffetteria conosceva dopo il pranzo la tranquillità e Keith finalmente poteva tirare un sospiro. Erano due mesi che lavorava come apprendista al Voltron Café, per rendersi indipendente da Shiro e Adam, i suoi genitori adottivi, solo che odiava la confusione. Non si era ancora abituato al chiacchiericcio, ai rumori e alla gente dell'ora di pranzo. Si posizionò vicino alla cassa, lasciando libero il campo al proprietario, il signor Wimbleton, e alla sua collega Allura che stavano lavorando. Lanciò un'occhiata verso la porta e proprio in quel momento entrò qualcuno che conosceva. Cioè non conosceva davvero quel tipo, Lance, un ragazzo allampanato, con la pelle caramellata e lo sguardo tra il sicuro e il malizioso, ma sapeva che più o meno alle tre sarebbe entrato nella caffetteria con i suoi amici, una ragazza bassina con enormi occhiali tondi e Hunk, un ragazzo piuttosto in carne con un enorme sorriso sul viso (Keith poteva giurare di non averlo mai visto triste o arrabbiato), e si sarebbe seduto con loro al solito tavolo, il numero 5.
Solo una volta il ragazzo era venuto a pagare, le altre volte si erano alternati i suoi amici. Keith ricordava quel giorno. Aveva iniziato il suo apprendistato da soli due giorni. Era maledettamente imbranato e insicuro. Aveva già spaccato qualche tazzina, sbagliato a fare un conto e sentiva ogni secondo il desiderio di licenziarsi. In quei primi giorni la confusione lo opprimeva e a volte apriva la bocca per cercare più aria. Fu proprio in uno di quei momenti in cui si sentì chiamare. «Mi scusi, ehi barista, ehi, dovrei pagare.»
Keith focalizzò il ragazzo allampanato che gli stava di fronte. Non male, pensò perdendosi nei particolari del suo sguardo blu scuro, della pelle caramellata al sole, del naso piccolo e con la punta che leggermente voltava all'insù. Keith sentì caldo e si sistemò il grembiule rosso che indossava.
«Sì, certo» mormorò, prendendo il foglietto con le ordinazioni e il numero del tavolo che l'altro gli stava porgendo. La pelle non era solo caramellata al sole, ma ne aveva anche assunto il calore. Keith lo realizzò imbarazzato, dato che la sua mano aveva sfiorato accidentalmente quella del ragazzo.
«Sono 14 dollari» disse dopo aver trovato il tavolo, il numero 5.
A regola con la cassa se la cavava. Odiava il doversi relazionare con i clienti, ma almeno non doveva entrare in contatto con la macchina del caffè che secondo lui lo odiava.
Il ragazzo posò i soldi sul banco. «Spero che nessuno ti abbia mai detto che sei una bellezza spaziale, di quelle da capogiro da far vedere le stelle, perché voglio essere il primo.»
Keith era rimasto spiazzato. All’elementary school e alla middle school non era mai riuscito a legare con nessuno per il suo carattere. Provava rabbia per l'abbandono dei suoi veri genitori, odiava la confusione, faceva fatica a relazionarsi. Qualche bambino l’aveva preso in giro anche perché era stato adottato e soprattutto perché i suoi genitori erano una coppia omosessuale.
Shiro e Adam erano il meglio che gli potesse capitare nella vita e Keith non sopportava che venissero derisi, perciò aveva alzato più volte le mani.
All’high school Keith era stato chiamato in molti modi: strano, emo, secchione, raccomandato.
Adam faceva il professore nella stessa scuola e quindi ogni volta che Keith prendeva un voto positivo gli altri ragazzi, guidati da un suo compagno di nome James, commentavano che era merito di suo padre. Keith, invece, studiava, impiegava interi pomeriggi sui libri. Amava farlo, perché riusciva ad aprirsi al mondo senza la confusione che lo terrorizzava, inoltre riusciva a rendere felici Shiro e Adam. Eppure ogni suo sforzo era criticato.
Aveva scelto di non andare al college, preoccupato che si ripetesse la stessa situazione, e aveva trovato lavoro in quella caffetteria, anche se i suoi genitori adottivi avevano insistito perché continuasse a studiare. Era la prima volta che forse li aveva davvero delusi.
No, nessuno aveva mai chiamato Keith bellezza spaziale. Quel ragazzo era il primo che ci provava con lui e lui non sapeva davvero cosa rispondere.
Il ragazzo allampanato che fino a quel momento si era atteggiato con una sicurezza che Keith poteva solo che invidiare si grattò dietro la nuca e diventò improvvisamente un fascio di nervi. «Sì, ecco i soldi. Ciao.»
Keith rimase spiazzato e non riuscì nemmeno a dire che gli aveva dato un dollaro in più. Il ragazzo si era già spostato verso la porta e i suoi amici l'avevano seguito stupefatti quanto lui. Da quel momento non era mai più venuto a pagare. Keith avrebbe voluto più volte andare a servire il tavolo 5, ma all'ultimo aveva lasciato l'incombenza alla sua collega. Aveva pensato di chiedere qualcosa ai suoi amici, quando erano venuti a pagare, ma non sapeva esattamente cosa.
Il ragazzo un po' in carne in realtà una volta gli aveva rivelato il proprio nome, sempre sorridendo. «Mi chiamo Hunk.»
E Keith pensò divertito. «Sono Hunk e sponsorizzo il dentifricio.» Non lo disse, aveva paura di offenderlo. Invece mormorò impassibile. «13 dollari.»
L'altro l'aveva guardato come in attesa di altre parole e capendo che non ne sarebbero venute gli aveva consegnato i soldi, sempre con il sorriso.
Dopo il primo mese di apprendistato Keith era riuscito a conoscere il nome del ragazzo allampanato. Una delle battecche della tenda della vetrina si era rotta e il signor Wimbleton aveva mandato proprio lui a sostituirla. Keith aveva sentito la ragazza occhialuta, che non aveva ancora capito come si chiamasse, rimproverare il ragazzo allampanato. «Lance, sei proprio un imbranato. Hai sbagliato la formula, è per questo che non ti torna nulla.»
«Lancey Lance può tutto, anche inventare le formule, mia cara.»
Lei aveva ribattuto piccata. «Proprio tutto no...»
Keith aveva visto Lance diventare improvvisamente nervoso e seppellire il suo sguardo nel quaderno. Le battecche delle tende sia quella nuova che quella rotta erano cadute dalle sue mani candide facendo girare i pochi avventori di quel pomeriggio e Keith aveva pensato che avrebbe voluto sprofondare. Dopo averle raccolte aveva fatto alla svelta a svolgere il proprio compito con l'ansia di avere su di sé lo sguardo blu di Lance (non aveva mai controllato se la sua sensazione fosse vera) e poi era scappato dietro il bancone.
Mentre Keith rifletteva sui quei due mesi, il trio si era ormai sistemato, lasciando scivolare le tracolle sulle rispettive sedie. Pidge quel giorno aveva anche un pc.
Allura arrivò subito a servirli con un sorriso dolce, trattandoli al meglio dato che erano clienti abituali. Lance dava sempre la schiena al bancone quindi Keith non poteva scrutare le sue espressioni. Lo vedeva però gesticolare, gesticolava davvero tanto e spesso si grattava la nuca. Keith si trovò a sorridere, mentre preparava un cappuccino per il tavolo 2.
«Stai bene?» gli chiese Allura tornando con la comanda. «Stai sorridendo. Chiariamoci, sei terribilmente carino quando lo fai, ma con il broncio mi sembri più naturale.»
«Stavo solo pensando... al colore blu.»
«Il colore blu» mormorò confusa Allura, togliendogli dalle mani la tazzina di cappuccino. «Non capisco, ma se ti rende felice, va bene.»
Keith le sorrise e prese la comanda del tavolo 5. «Oggi li servo io.»
«Lance, Pidge, Hunk? Parli di loro? È già un po' che vuoi servire quel tavolo e ogni volta ti tiri indietro, sei sicuro di volerlo fare?» Allura spolverò di cacao il cappuccino e guardò il ragazzo con i suoi occhi azzurri.
«Vado io.» Keith si sentì invadere dall'ansia, ma si mise immediatamente a preparare quello che avevano chiesto Lance, Pidge e Hunk. Ora sapeva anche il nome della ragazzina occhialuta.
Non aveva nemmeno bisogno di leggere la comanda, ormai sapeva cosa ordinavano.
Pidge voleva il caffè, che zuccherava con una bustina di zucchero di canna. Hunk mangiava una fetta di torta insieme al suo caffè americano o a un succo, più spesso il primo che il secondo, forse dipendeva dalla giornata. Lance prendeva il ginseng in tazza grande. Keith immaginava che fosse per quello che era così iperattivo.
Preparò tutto e lo mise sul vassoio, facendo attenzione nel trasporto. Pidge fu la prima a vederlo arrivare e diede un leggero colpetto a Hunk che per una volta non sorrise, ma aprì la bocca sorpreso. Pidge gli diede un altro colpetto, portandosi un dito alle labbra per zittirlo, mentre Lance borbottava rabbiosamente completamente assorbito dal foglio e dai calcoli. «Questi esercizi sono impossibili. Il professor Iverson ci odia. Ragazzi, non siete d'accordo?»
Lance levò il capo e si trovò davanti le facce stupite dei suoi amici. «Ragazzi, che avete? Sembra che abbiate visto un fantasma.»
«Nessuno mi hai mai detto che sono una bellezza spaziale.» Keith parlò e Lance si voltò di scatto, rischiando di cadere dalla sedia. «Nessuno. Il primo sei stato tu, Lance.»
Pidge aveva rubato il sorriso ad Hunk che, invece, sembrava ancora stupito.
«Come fai... Come?» Lance era veramente rosso nonostante la sua pelle color caramello. Keith posò le ordinazioni con precisione, stando attento perché il cuore gli batteva forte e le sue mani tremavano leggermente.
Si mise poi il vassoio davanti al petto, come fosse uno scudo. «Ho sentito che la tua amica ti chiamava così. Ora devo tornare al lavoro.»
Hunk che si era ripreso fece un gesto e Keith portò lo sguardo su di lui. «Perché non ti siedi con noi nel tuo quarto d'ora di pausa?»
Lance sbuffò, ritrovando un po' di contegno. «Avrei dovuto chiederglielo io, Hunk. Andiamo, amico, è chiaro che avrei dovuto farlo io.»
«Ma tu non l'avresti fatto, come non l'hai mai fatto in questi due mesi» replicò saccente Pidge, dando il cinque ad Hunk. «È già un miracolo che tu l’abbia incuriosito con “bellezza spaziale”. Un altro non ti avrebbe nemmeno più rivolto la parola.»
Lance incrociò le braccia sbuffando, diventando di nuovo rosso. Keith rise e si trovò ad avere tre paia di occhi su di sé.
«Tu sai ridere... Keith.» Lance sembrava aver visto una stella che nessuno aveva mai veduto e Keith gli disse. «Sai il mio nome.»
«È ovvio» bisbigliò Pidge che faceva tanto la dura, ma in fondo doveva essere una romantica. «Non parlava d’altro.»
Keith sentì che stava diventando rosso come il suo grembiule. «Devo tornare al bancone. Ci vediamo nel mio quarto d'ora» promise.
Mentre tornava alla cassa per far pagare un cliente, sentì la voce di Lance. «È vero che nessuno ti hai mai chiamato ragazzo spaziale?»
«Nessuno» confermò Keith. «E spero che nessuno lo faccia mai più. È davvero orribile.»
«Non è orribile, stupido mullet.»
Keith finse di mettere il broncio per quell’insulto e tornò al lavoro, sperando che arrivasse presto quel quarto d'ora. Sentiva la voce di Lance che vociava vantandosi di come avesse fatto colpo con facilità, i rimproveri di Pidge per le sue pessime doti di seduzione e per averli fatti andare in caffetteria per due mesi solo per vedere Keith senza mai provare a parlargli, la tranquillità di Hunk che tentava di zittire gli altri due. Keith non li conosceva praticamente, a parte qualche dettaglio, ma non vedeva l'ora di sedersi con loro e conoscerli davvero. E lasciare che conoscessero lui, sperando di non farli scappare.
Quel che sarebbe successo, chi poteva dirlo.


Sono nuova nel mondo di Voltron. Ho iniziato la serie neanche un mese fa e me ne sono innamorata. Questa OS è stata scritta senza pretese per il writober2018, organizzato da fanwriter.it. Il prompt di oggi è la caffetteria e ho messo Keith a sgobbare al Voltron Café, gestito da Coran.
Detto ciò, Form Voltron!
Dany
   
 
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