Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: primachespuntilsole    12/10/2018    1 recensioni
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo..
Or apotrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch'io regga a tanta notte?...
Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M'avresti consolato...
Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...
Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell'aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio..
Passa la rondine e con essa estate,
E anch'io, mi dico, passerò...
Ma resti dell'amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
[...]
Giuseppe Ungaretti -Giorno per giorno.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2.

 

Alessandro. 21.11.2013; 03.12 a.m.

 

Si ritrovò li. Seduto davanti alla porzione di mondo che poteva scorgere dal suo balcone. 

Erano tre giorni che passava le sue giornate così. Si sedeva e guardava. 

Ogni tanto si accendeva un sigaretta, qualche sorsata lunga e acre alla tequila. Niente più.

 Guardava i volti della gente che passava e si immaginava la loro vita le loro storie. Il loro grande amore, le scopate, le notti in bianco. Per ogni passante inventava una vita a se: quello era un controllore, quella una segretaria e così via.

Guardava , ma nulla lo soddisfaceva al punto tale da alzarsi.

La confusione nella testa di Alex era un miscuglio di poesie e alcool.
Charl era come un cerbiatto che era scappato via da lui, per paura di essere una preda. Lui quel cerbiatto l’avrebbe solo accarezzato e ,se poi avesse voluto, lo avrebbe lasciato andare.

Da quando lei venne a casa sua passò un paio di giorni in silenzi, come se quel ‘ ti amo ‘ così straziato gli avesse bruciato le corde vocali. Quel pomeriggio lo aveva passato a urlare, lo aveva urlato quel pomeriggio, in tutte le sue lente e umide ore.
Urlò e poi non parlò più.

‘Stai con me’. Era l’unica cosa che pensava.

Cercava Charlotte nel volto dei passanti, senza risultati.

Aveva piovuto e la rivedeva nei marciapiedi bagnati. 

Nei fiori sui terrazzi, rinsaniti dalla pioggia.

La vedeva.

La immaginava.

La desiderava.

Si alzò e tornò in casa.

La sua mente cavalcava irrefrenabile nei ricordi.

Dalla sua stanza guardava fuori e vedeva le gocce di pioggia che si aggrappavano tenaci ai vetri, come quella volta che fecero l’amore, la prima.

Lei era bellissima , una sottile linea di eyeliner le solcava le palpebre, i suoi capelli ricadevano dolci sulla sua schiena dipinta di lentiggini e nei, come costellazioni.

Le mani di lei gli esploravano timide il collo e la nuca mentre quelle di Alessandro le solcavano la schiena.

Lei gli stava in braccio mentre lui le dava un lenta scia di baci sul collo.

Orami in quella stanza sul pavimento si era creato un letto di vestiti.

Erano una cosa sola, le loro anime in quel momento erano legate, strette. 

Si allontanavano , di poco, ma tornavano sempre vicini. Ora più velocemente, ora più lentamente, rivoltandosi nel letto.
Non si capiva più chi era Alessandro e chi era Charlotte.

Le loro labbra si cercarono e dopo un breve bacio, fronte contro fronte, si sorrisero.
Alessandro ha sempre pensato che quel sorriso valeva più dei mille ti amo che avrebbero potuto dirsi, ma che non si sono mai detti.

Dopo quel sorriso tornarono ad allontanarsi e a riprendersi, mentre la pioggia cadeva e faceva da colonna sonora a quel momento che sarebbe diventato eterno.

Si addormentarono abbracciati, stretti l’uno all’altra.

Quella notte stava passando attraverso la pelle candida di Alessandro come un soffio gelido.  

Non c’era nessuno da poter osservare la notte.

 

Samantha ;21.11.13; 09.23 p.m.

 

Lo sguardo di Sam puntava ai tetti delle case che poteva scorgere da casa sua. Sembravano tetti buttati li a caso. 

Non avevano una loro logica o un loro perché, erano li a occupare qualche metro quadrato di quel piccolo mondo.

Una volta Elsa le aveva detto che dal suo terrazzo poteva capire come stava il mondo quel giorno, perché poteva vedere tutto. Poteva vedere i cielo e i tetti e capiva come si sentivano le persone.

Elsa era così, una stranezza.

L’aveva amata per questo, per il suo modo di fare.

Ogni tanto pensava ancora a lei ed Elsa insieme. Letizia diceva che erano come estate e l’inverno, entrambe con quel senso di meraviglia che si ha quando comincia uno o l’altro .

L’aveva amata così tanto che il suo amore per lei si era acceso come benzina al fuoco, ma si era bruciato tutto e subito. Ora aveva soltanto il ricordo di quell’amore così infuocato. 

Sam non amava più Elsa, ma non riusciva a guardare nessuno, il suo cuore si era spento come quel fuoco.

La porta che conduceva a casa sua le si aprì alle spalle. Uscì Lucy, la sorella di Samantha. Aveva 13 anni appena.

Insieme guardarono un po’ i tetti, poi finirono per entrare in casa ridendo. 

 

Oggi il mondo era felice ,pensò Sam,  rideva.

 

Claudio 21.11.13; 8.04 p.m.

 

La casa di Claudio puzzava ancora di vomito. Sua madre era in cucina, preparava la cena.

Diede una rapida occhiata in giro,  di suo padre neanche l’ombra, al solito.

Claudio pensava che suo padre prendesse casa sua come un posto dove poter vomitare e dormire, per poi ripartire la mattina.

Raggiunse sua madre in cucina.

-Oh Ma, sono a casa.- Disse Claudio mentre si sedeva in cucina.

-Ciao tesoro, ti vanno le lasagne?- Sua madre si girò per donargli un sorriso stanco e frettoloso.

-Sempre. Papà?- quella parola gli lasciava l’amaro in bocca e gli faceva fare una faccia completamente schifata.

-Lo sai, lui aveva un incontro importante in ufficio e ieri notte non è neppure stato bene, deve essere stato qualcosa che ha mangiato.-

 “Negazione, prima fase del dolore” pensò Claudio.

-O bevuto.- Un aspro sorriso gli increspò le labbra.

Non si parlava mai della situazione, tutti sapevano, nessuno parlava. Così come non si parlava del fatto che lui fosse gay. Tutti sapevano, nessuno parlava. Erano una famiglia che non parlava, non si sosteneva, non si capiva. Un famiglia andata in pezzi che per tenersi insieme non si voleva aggiustare.

Finirono la cena in silenzio.

 

Gabriele 21.11.13; 8.30 p.m.

I treni per a quest’ora sono vuoti.

La notte è già sorta, imponente nel cielo, e stelle la seguono pian piano.

Gabriele ascolta la musica spalmato sui sedili come il burro sul pane.

Sente un imprecazione e si volta incuriosito: a una ragazza si è rovesciata la borsa. In quel vagone ci sono solo loro due, lei si siede nei posti al lato opposto del treno.

Gabriele scende alla fermata successiva, la stazione di Lecco è vuota.

Il pomeriggio gli scivola addosso, ripete sempre le solite azioni : saluta qualcuno che conosce, si fuma una canna, beve una birra, se ne va. Dopo un po’ si stanca e chiama Charlotte.

-Oh sei a casa?- Chiese mettendosi una mano dietro la testa e strizzando gli occhi, in attesa di una risposta positiva.

-Si Gab, vieni a trovarmi?- Disse Charlotte alzandosi dalla poltrona e andando a prendere i vestiti sul pavimento, così da poter gettarli nel cesto dei panni sporchi.

-I tuoi ci sono?- Esordì

-No, no.-Troncò.

-Ah bella allora arrivo.- Si tolse l’espressione d’attesa e con un sorrisetto si incamminò.

Alle 20.45 le stava già facendo squillare il citofono come la sirena di un ambulanza.

-Cristo! Guarda che se pigi una volta ti sento!- Sbottò mentre volava giù per le scale per aprirgli.

-La sicurezza prima di tutto!- Un misto di arroganza e ironia gli solcarono la faccia.

-Se se, dai entra.

Presero una birra e salirono in camera.

-Cazzo, l’ordine in camera tua è sempre il benvenuto.- 

I vestiti stropicciati ricoprivano la sedia da parte al letto di Charlotte, i libri e i fogli inondavano la scrivania e gli spazi intorno alla poltrona, lasciando libero solo il piccolo spazio all’ingresso.

-Siediti e non rompere le palle.

-Uff.

-Come mai questo onore?

-Passavo di qua, oggi non c’è nessuno in giro e so che tu fai l’eremita, quindi ho pensato di dare una svolta alla tua vita e passare a salutarti.

-Stronzate.

-Stronzate?

-Si, stronzate. Sei passato per sapere di lei. So che vi siete incrociati, non dirmi puttanate.

Il silenzio avvolse tutti i mobili della stanza, contornato dallo sguardo di Charl e dalla testa bassa di Gabriele.

-Quindi l’hai sentita.

-Solo quando ti vede-

-Sta..?

-Male? Si.- Disse Charlotte con un alzata eloquente delle sopracciglia, tenendo in grembo la sua birra-

- Nonostante sia passato del tempo lei ci sta ancora sotto. E non è l’unica a quanto vedo, l’unica differenza è che tu l’hai lasciata Gabriele, non ricordo neanche perché. Perché cazzo l’hai mollata se stai così?- chiese con gli occhi ridotti a due fessure.

-Lei era… insomma noi eravamo…innamorati.

-Se è per questo che l’hai lasciata ti consiglio di aprire la finestra e buttarti.

-non scherzare, lo sai com’è

-no ti sbagli, questa perla mi manca.

-oh cristo charlotte andiamo! fai una panoramica della mia vita. dove cazzo sono tutte le persone che mi amavano eh? dove cazzo stanno? stanno giù nei meandri di qualche droga o con qualche malattia, i più fortunati hanno abbandonato la barca prima di perderci la testa.

-Lo sai che tua madre non ti ha lasciato per questo.

-Ti sbagli. Ha lasciato mio padre per questo e ha capito che il gene della distruzione l’ho preso da lui. Sono un Re mida al contrario, tutto quel che tocco lo trasformo in merda.
E’ stato meglio così per lei, le ci vorrà ancora un po’ di tempo, poi andrà avanti e avrà la vita che voleva, quella felice con una famiglia, un uomo che la ami e che la accompagni ovunque vorrà, io questo non glielo potrò mai dare. Mai. E tu lo sai.- Fu come se quelle parole gli girassero dentro la bocca da mesi, perché dopo averle dette si sentì svuotato.

 

-Sai cosa, - disse lei facendo schioccare la lingua- ti manca un dettaglio che ho voluto risparmiarti perché pensavo che avessi ancora qualche neurone e che non te li fossi fumati tutti: tu e la tua teoria assurda sulla tua vita l’avete quasi fatta ammazzare, Gab. Ci è mancato veramente un soffio, i suoi l’hanno trovata in tempo, ma ha rischiato di brutto. Siamo andati per mesi in ospedale, quando aveva iniziato a riprendersi e potevamo farle visita. Adesso va in cura da uno di quei guru strani, che ti fanno fare esercizi sulla respirazione e ti cambiano la vita. Per fortuna lei non ci crede molto, ha capito di aver fatto una stronzata, per fortuna, ma vuole tranquillizzare i suoi.- Finì la frase avendo nel petto la consapevolezza che a questo punto sarebbe potuta succedere qualunque cosa, dal trovarsi la stanza in fiamme, al trovarsi lui in lacrime sul pavimento.

Gabriele aveva i muscoli del corpo tutti tesi, pronti a scattare. La mandibola serrata, le pani a pugno, il respiro corto e svelto.

-Quando?- ringhiò.

-Circa due mesi dopo che l’hai lasciata.

-Perché cazzo non me lo hai detto.- Non aveva nemmeno pensato alle parole, erano uscite così, come se fosse qualcun altro a volerlo sapere.

-Alessandro ha fatto promettere a tutti di non dirtelo sapeva che saresti stato in grado di ammazzarti per i sensi di colpa. Poi appena siamo andati a trovarla è stata lei a farcelo giurare e credimi, se l’avessi vista anche tu avresti giurato senza fiatare.- disse Charlotte con un soffio, i suoi occhi preoccupati erano puntati sui piedi di lui.

I nervi di Gabriele si slegarono tutti d’un colpo facendogli cedere le gambe che lo trascinarono sul pavimento. 

Aveva perso lo sguardo, gli occhi spalancati guardavano il nulla. 

Si inginocchiò per terra e pianse tutte le lacrime arrabbiate che gli risuonavano nel petto. 

Anche Charlotte si mise in ginocchio e lo strinse forte, capendo che forse non era il luogo, il tempo o il momento per ammettere tutto questo.

Passarono così ore o forse minuti, coccolati dalle gocce di pioggia che rimbombavano sul tetto e sulle finestre.

Nel petto di Gabriele si attorcigliava un nodo che ad ogni respiro cresceva, e si modellava togliendogli il fiato e accendendogli la gola di fiamme. 

Il tempo era fermo, scandito solo da qualche bacio affettuoso che Charlotte dave ai capelli di Gabriele e dal loro dondolio perpetuo, che li rassicurava e li cullava.

 

Elsa 21.11.2013; 2.00 am

Elsa riempiva le strade vuote di Lecco quella notte. 

Non so se si fosse calata più droghe o più alcool, barcollava sui suoi tacchi chilometrici cadendo ogni due passi. Stanca , probabilmente, di non riuscire a camminare si sdraiò in riva al lago , guardando le stelle. 

Quella sera era da sola.

Non voleva neanche chiamare i prima dell’alba, un po’ perché non aveva le forze di cercare il telefono, e un po’ perché non voleva farsi rivedere in quelle condizioni da loro.Ultimamente l’avevano tirata fuori da troppe feste.

Alla fine si addormentò, svegliata poi dal rumore dei netturbini che pulivano la strada. 

Sono le sei, cazzo!

Fece una breve panoramic al corpo, giusto per vedere se era ancora tutta intera e se aveva ripreso le capacità motorie. 

Si alzò goffamente e trotterellò verso la stazione, prese il primo treno per andare a casa. 

Il sole stava quasi per spuntare fuori, era ancora tutto buio ma lei percepiva la luce dietro le montagne, così calda, che spingeva come i denti da latte quando lottano per farsi vedere.Tra un oretta sarebbe tornato anche il sole.    

La maggior parte del giorno l’aveva passata con due sue vecchie amiche, al pacchetto della biblioteca, a fumare e a ridere di avventure passate, che adesso sarebbero impossibili da rifare, perché quella spavalderia era piano piano volata via.

Guardò il telefono e vide che l’ultimo accesso di Sam era di questa sera alle 21.20.

Ormai guardare la sua conversazione per sbirciarne gli accessi era come un mantra per lei. 131315

Erano due giorni che non riusciva a dormire, ma quelle tre orette di sonno sul lago l’avevano fatta rinvenire un po’, non vedeva l’ora di farsi una doccia per levarsi gli uomini che aveva avuto in quei giorni di dosso e poi entrare nel suo letto caldo, che era, per disgrazia o per fortuna, vuoto.

 

Charlotte 21.11.2013, 23.04 p.m.

 

Gabriele era andato via mezz’ora fa, ma lei aveva ancora il suono delle suo lacrime che le scivolava dentro ai timpani.

Ormai ho 18 anni, dovrei imparare a collegare le parole al cervello.

Sapeva cosa sarebbe stato giusto fare, ma non ne aveva la minima voglia.

Vederlo non era proprio nella liste delle sue 5 cose da fare assolutamente prima di domani mattina.

Forse si stave preoccupando per niente, magari Gab sta bene. Si starà fumando una canna.

L’immagine della sua faccia le ripassò per la testa.

Cristo, mi tocca davvero chiamarlo.

Prese il telefono e iniziò a comporre il numero.

Fanculo , vado a casa sua .

Prese la giacca, il tabacco, filtri e  cartine.

Indugiò un attimo sulle due birre sulla scrivania e alla fine penso che un po di coraggio liquido non le avrebbe fatto male, così le finì e portò giù le bottiglie vuote.

Le tremavano le gambe, non solo per il freddo gelido di un giorno di pioggia di novembre, ma anche perché sapeva dove e da chi stava andando.

Rimase a guardare il citofono di Alessandro per alcuni minuti, quando sentì il portone aprirsi e una voce metallica dire:” Sali è aperto”.

Ma che cazzo?

Aprì la porta che con un cigolio sonoro e un tonf  si richiuse alle sue spalle.

Fece le scale in un lasso di tempo che le sembrò incredibilmente corto, troppo corto per essere reale.

Vide che la porta era socchiusa e fece un respiro profondo.

L’aria della casa di Alessandro fu come un bagno caldo.

Fece qualche passo incerto verso camera sua e vide che la porta era aperta, ma Alessandro le dava le spalle. Lei si fermò sulla soglia a guardarlo.

Lui si girò e si guardarono.

Entrambi avevano la consapevolezza di avere gli occhi dell’altro puntati addosso come fari.

Alessandro fece un passo. E poi un altro. E un altro ancora, finca non si ritrovarono ad essere talmente vicini da non riuscirsi più a vedere nitidamente.

Charlotte aveva il respiro corto, era passato troppo tempo dall’ultima volta che cera stata così poca distanza fra loro.

Lei aveva sempre sentito un filo con all’estremità un gancio che la legava ad Alex. 

Un filo che partiva dal suo petto e arrivava al suo.

Dopo che si erano lasciati aveva sentito come un pizzicotto nel petto e aveva capito che il filo non c’era più.

Ma ora lo sentiva. Chiaro e nitido che legava le sue costole a quelle di Alex e che si restringeva sempre di più, riducendo le distanze fino a non averne più.

Le loro labbra si incontrarono a metà strada. Morbide, sapevano cosa fare, lo avevano fatto così tante volte. I loro due respiri si fusero, per diventare uno solo.

Charlotte mise le mani nei suoi capelli , come desiderava fare ogni volta che lo vedeva e sentì il peso dolce del corpo di Ale contro il suo.

Alex le prese i fianchi con il cuore che gli arrivava persino nelle orecchie, prese ada armeggiare con i bottoni della camicia di Charl , fino ad arrivare a sentire la sua pelle morbida e calda incresparsi di brividi.

-Fermo.-  Disse lei con il fiatone e mettendo un braccio tra di loro così da poter riuscire a dire quello che pensava.

​-Gabriele- disse un un soffio-io sono qui per Gabriele. Sa di Letizia. Gliel’ho detto io, qualche ora fa.- finì ancora ansimando, come dopo una corsa di due chilometri.

Alex la guardò sconcertato, non sapeva se era riuscito a capire o no quello che lei gli aveva appena detto, il rumore del suo cuore gli disturbava il resto dei suoni. Cercò di concentrarsi e fece un passo indietro, perché sapeva che per poter dire qualcosa gli sarebbe servito, si guardò intorno un po spaesato e poi come se avesse magicamente compreso tutto, disse:

Cristo! Cosa hai fatto tu?- Gli occhi di Alex si erano spalancati e le sopracciglia sembravano due grandi ponti.
-Ehi, calma , okay. Sono stata con lui e giuro che quando è uscito da casa mia stava bene, o almeno, quasi- Disse non credendoci neanche lei.
-Si certo, stava talmente bene che poi sei corsa subito qua, vero?- Sbottò con un  sorriso amaro che gli increspava le labbra. Schioccò la lingua e aggiunse:
​-Rivestiti, andiamo a cercarlo.- Disse scocciato, un po’ per l’enorme idiozia che aveva fatto Charlotte, un po’ perché sperava che lei fosse li per lui e non per un problema di qualcun altro.

 

Uscirono e coprirono le distanze a grandi falcate, tanto che Charl dovette quasi correre per riuscire  tenere il passo.

 la sua camminata pensò Alex. Sempre la stessa da anni.

Sta volta però non trotterellava guardando il cielo, era un misto di paura e determinazione.

Lui sapeva dove andare.
- Ti prego dimmi che non stiamo davvero andando dove penso.- Disse Charl guardando da Ale all’ospedale.

-Lo sai che è l’unico posto dove andrebbe stando così- Alex abbasso gli occhi e tirò su col naso.
-Spero che tu possa sbagliarti- La voce di Charlotte tremava forte
-Lo spero anche io- disse come un sussurro .

Entrarono in quello che una volta doveva essere un ospedale o qualcosa di simile, ma ora , quasi ironicamente, la gente ci andava per trovare da fumare o da pappare, girava di tutto, ma sapevano che Gab era andato li per trovare spade. Le cercava in questi momenti, quando la botta non gli bastava più.
Ormai però era qualche anno che erano riusciti a farlo smettere, a suon di urlate e di reclusioni forzate. Ma forse il motivo reale era stata Letizia.

Fecero un giro e cercarono disperatamente di non concentrarsi più di quel che bastava sulla gente che c’era li intorno, chi si faceva, chi batteva, chi se la copanava con la bava alla bocca.

 Fa he non sia qui, fa che non sia qui, fa che non sia qui. pensarono entrambi percorrendo i corridoi.

Avevano quasi una quantità concreta di speranza, finché non entrarono in una stanzetta con i muri tappezzati di frasi di Bukowski e lo videro li sdraiato, con il laccio ancora legato e gli occhi chiusi.

Charlotte lanciò un urlo.

-Ti prego dimmi che respira-  Disse con le mani che le coprivano gli occhi.

Ale non respirò per due secondi eterni, ma poi rilassò i muscoli del collo e disse:

-Respira, è solo la botta. Lo portiamo a casa e gli diamo una ripulita.

Quella notte la passarono con il respiro sempre a metà, vegliando su Gab, che dormiva dolce e tuto ripulito nel letto di Alessandro.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: primachespuntilsole