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Autore: Iryael    12/10/2018    1 recensioni
6 Giugno 5402-PF, Galassia Solana, Marcadia.
Indigo Blackeye, il vertice della più grande associazione criminale della Federazione, ha un piano che coinvolge Capital City e la sua Accademia della Flotta. Sono mesi che lo progetta e finalmente è ora di metterlo in pratica.
Jack, Linda, Nirmun, Reshan e Ulysses sono allievi come tanti altri, e come tutti gli altri finiscono loro malgrado coinvolti in quello che sarà un battesimo del fuoco brutale e sanguinario. Con una variante, però: quella di finire fra gli ingranaggi del piano di Indigo.
Il giovane Blackeye ha ragione: il 6 giugno aprirà un nuovo capitolo nelle vite di molte persone. Quel che non può prevedere è chi si metterà sulla sua strada.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Altri, Indigo Blackeye, Nirmun Tetraciel, Reshan Jure, Ulysses Yale)]
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 02 ]
Rumori nella notte
Sempre 3 giugno 5402-PF, ore 22:57
Accademia della Flotta di Capital City (Marcadia)
 
La biblioteca, di notte, sembrava un luminoso cristallo puntuto. Non che Ulysses avesse mai fatto particolamente caso all’estetica dell’edificio, però era conscio che fosse sempre aperta. Aveva già recuperato Reshan dalle sue sale a orari assurdi; quindi non trovò strano di fiondarsi a cercare suddetto amico all’alba delle ventitré.
Sarebbe potuto andare prima, forse, ma non aveva resistito alla tentazione di cenare al tavolo di Linda. Aveva saputo così l’altra versione della visita, e udire di prima mano tutte quelle risatine piene di speranze lo aveva caricato come una molla. Si era sentito orgoglioso della sua idea e si era gettato a capofitto nella pianificazione della mossa successiva. Era andata per le lunghe, ma aveva raccolto un sacco di entusiasmo dalla kerwaniana. Ora doveva solo imbeccare Reshan sulle cose giuste da dire.
E solo è un eufemismo; ma io sono io e ce la farò di certo.
Uscì baldanzosamente dalla piattaforma ascensore ed entrò nella grande sala al sesto piano. Gli scaffali erano come muri: alti, profondi e robusti. Per andare a colpo sicuro allargò la mente e si concentrò sull’impronta mentale di Reshan.
«Beccato!» disse tra sé dopo qualche istante, sorridendo con aria soddisfatta.
Scivolò tra gli scaffali lungo tutto il piano, fermandosi di quando in quando ai tavoli per salutare amici o conoscenti. Infine, proprio quand’era a pochi passi dalla meta, la risata divertita di Nirmun Tetraciel, arrivò alle sue orecchie... e, subito dopo, il gemito esasperato di Reshan: «Oh, ti prego! Mi sento già abbastanza incapace da solo!»
Ulysses si bloccò. La Tetraciel era lì. Nirmun Tetraciel era lì. Con Reshan. E rideva di lui. Adorabilmente.
L’istinto del pettegolezzo lo travolse come una sirena suonata nelle orecchie. Poteva essere una novità inaspettata... e una svolta tremenda! Se era ciò che sembrava – e lui ne era abbastanza convinto – sarebbe stato tagliato fuori dalla vita sociale sia della sua partner che del suo migliore amico.
Inconcepibile!
Doveva capire se si era appena fatto un viaggio mentale. Doveva assolutamente, tempestivamente, tassativamente valutare la situazione! E senza farsi scoprire!
Fissò con attenzione lo scaffale alla sua sinistra, unico divisorio fra lui e la presunta coppia. Ne percorse quasi l’intera lunghezza in punta di piedi: lui pipistrello, lei coniglio, i suoi bersagli erano dotati di due degli uditi più fini tra gli xarthar.
«Eddai Jure! Mica è così difficile!» rise ancora lei.
«Non è difficile, è illogico! Sono un mucchio di regole contraddittorie!»
«Ah ah ah! Ma sì che c’è una logica! È solo che il Quinto Ceppo è versatile, quindi dipende dal caso. Aspetta, vediamo se così ti entra...»
Mentre Nirmun elencava esempi Ulysses, che aveva trovato la fessura giusta attraverso cui spiare, sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Fu come se, all’istante, negli strati più bassi della sua mente si fosse rotto un idrante di sollievo e preoccupazione.
Si girò di scatto e trovò davanti la faccia disperata di Jack Steel. Se non altro, grazie al suo movimento repentino, la mano lasciò la sua spalla e l’idrante mentale sembrò richiudersi.
«Oh, ciao Jack.» E addio missione stealth. «Ti vedo stanco. Tutto okay?»
«Il faldone col progetto sul vecchio cannone a ioni. Non lo trovo da nessuna parte. Non è che ieri l’hai preso tu?»
L’ingegnere emanava un incredibile ammontare d’ansia. Era una vera fortuna che non stesse più avendo un contatto fisico, altrimenti sarebbe stato impossibile rispondere in maniera comprensibile.
Ulysses mostrò un sorriso candido. Sì che l’aveva preso lui; era stata una mossa pianificata con Linda. Ma questo Jack non doveva saperlo.
«Parli di quel mostro pieno di fogli foglietti e post-it? Me lo sono trovato nella polsiera e mi stavo giusto chiedendo di chi fosse.»
Jack si sentì letteralmente liquefare. Il progetto era lì. Non era andato perso. C’era. Andava solo recuperato.
Istupidito dal sollievo mugolò un debole «Mi serve.»
«Ce l’ho in camera; dopo te lo porto.»
«No!» si accorse di aver urlato e abbassò subito il volume. «No, “dopo” sarà irrimediabilmente tardi. Domani c’è la revisione e devo ancora lavorarci! Ogni minuto è essenziale!»
«Ma...»
«È tutto il giorno che ti rincorro! Prima sei a lezione, poi ti senti male, ora lo so che hai appuntamento con Jure, ma quel coso mi serve adesso
Ulysses lanciò un’occhiata di traverso alle figure al di là dei libri. Appuntamento con chi socio?
Però la disperazione dell’ingegnere era tangibile, e lui poteva ritardare ancora un po’. Fece per dargli una pacca sulla spalla, ma all’ultimo si fermò. Meglio evitare il contatto fisico ancora per un po’.
«Dai, andiamo.» e s’incamminò con il cazar. «Sul serio: non capisco come sia finito nella mia polsiera...»
 
Dietro la scaffalatura, al tavolo cui era seduto, Reshan si sentì intimamente soddisfatto.
«Costerà a Jack una notte in bianco, ma almeno riavrà in tempo il suo materiale.» commentò a voce bassa. Nirmun, seduta vicino a lui, lo guardò con aria perplessa.
«Era per questo che prima ti sei fiondato a parlare con quell’ingegnere?»
L’altro annuì. La soldata ghignò: «E io che credevo che volessi scappare!»
«Dopo che mi hai gentilmente concesso il tuo aiuto? Sarebbe rude!» rimbeccò lui, punto nell’animo. «Era affinché Ulysses sistemasse i suoi guai.»
«Yale che fa casini? Com’è che non mi stupisco?» replicò sarcasticamente. Poi, stufa di parlare di Lingue, chiuse il libro davanti a lei e si appoggiò col gomito sul tavolo. «Che ha combinato?»
Il pipistrello posò la matita. «Hai presente il cazar di prima? Jack Steel, del terzo anno... forse lo conosci come Cricchetto?» La coniglia scosse la testa. Vuoto assoluto. «Fa nulla. Il punto è che Ulysses gli ha fregato del materiale. Si tratta di un lavoro di coppia, e quando Jork – la sua collega – si è accorta che non ce l’aveva più...»
Nirmun aggrottò le sopracciglia. «Linda Jork? La kerwaniana? Terzo anno, naso schiacciato e ricci a cespuglio?»
«Lei.»
«Oh, povero. Conosco le sfuriate di quella pazza.» Passò distrattamente una mano sulle lunghe orecchie. Reshan si chiese se ne fosse mai stata bersaglio. Nirmun, solo a ripensare a quella voce stridula, si sentì vicina al giovane ingegnere. «Yale è un idiota. Quel poveraccio avrà visto i sorci verdi per colpa sua.»
Il medico annuì ancora, ripensando a dopo che aveva messo Ulysses a letto. Il muro fra le due camere non era stato sufficiente a contenere la voce della kerwaniana, e il modo in cui aveva strigliato il povero Jack era stato impressionante. Nirmun aveva sicuramente ragione sui sorci verdi.
«Dovrebbe almeno scusarsi.» concluse lei.
«Sono d’accordo. Ma sappiamo entrambi che non lo farà. Già solo perché restituisse il materiale c’è voluta una trappola. Per fargli chiedere scusa cosa servirebbe?»
La soldata alzò gli occhi al soffitto per qualche istante, visibilmente pensierosa. «Una catastrofe, magari..?» buttò lì, prima di tornare al suo tono deciso. «Comunque stasera chiudiamo qui. I casi più comuni te li ho fatti tutti e il prof non è così perfido. Dovresti essere coperto.»
Appena finito si alzò e cominciò a smaterializzare le sue cose nella polsiera. «Oh, e fammi sapere, okay? Se quel murha non si scusa giuro che domani lo striglio io.»
Reshan ridacchiò. «Sissignora, sarà mia premura.» Poi, in un flash, ricordò che Soldati e Piloti l’indomani avrebbero avuto in comune solo Difesa, e allora sentì l’obbligo di farsi il memo: Rinnovare le scorte di medicinali e impastare un barattolo di belletto.
* * * * * *
Dopo aver restituito il materiale Ulysses tornò in biblioteca. Attraversò le sale a passo allegro, con la coda che fendeva ritmicamente l’aria.
«Reshan Jure, cercavo proprio te!» esclamò baldanzoso, raggiungendo il tavolino spiato in precedenza. Lo xarthar era concentrato su una traduzione e gli fece un gesto di saluto piuttosto distratto. Il pilota si sedette sullo sgabello e, ignorando il lavoro dell’amico, cominciò a raccontare di come Jack fosse nervoso. Dall’innesco della trappola non era passato molto, ma con la sua parlantina il lombax lo fece sembrare come se fossero stati giorni.
«...che poi ti volevo chiedere: cosa galassia t’è venuto in mente di dire che avevo appuntamento con te? Cricchetto l’avrà detto a tutti e ora mi prenderanno per omo! Il mio futuro è compromesso!»
Il medico manco alzò gli occhi dalla sua traduzione. «Magari sei bisex.»
«Ma con te proprio no! Che schifo!»
Secondi di silenzio rotto solo dal rumore di penna su carta. Il passaggio da tradurre era particolarmente ostico e non gli permise di distribuire altrove l’attenzione. Poi, passata la frase terribile, alzò la testa e – mano sul petto – mimò un’espressione affranta. «Addirittura “che schifo”? Mi spezzi il cuore.»
«È ciò che meriti per aver messo Cricchetto sulla mia strada.» sentenziò il lombax, prima di sfoderare un ghigno furbetto. «Non mentire. Cricchetto non sta mai in biblioteca dopo le dieci la sera.»
Reshan si sistemò meglio sullo sgabello. Ulysses aveva unito i puntini, proprio come sperava.
«Sì, è stato un escamotage.» ammise tranquillamente. «Così ti ho dato l’opportunità di sistemare senza ripercussioni il casino che hai combinato. Se guardassi un palmo più in là dell’apparenza noteresti che ti ho fatto un favore. Vogliamo parlare piuttosto della tua comparsa in camera di oggi?»
«E perché no? Volevi vendermi a bei pezzi!»
La bocca del pipistrello si aprì e richiuse in rapida sequenza; la risposta soppressa sul nascere. Se lo sapeva allora aveva già frugato nella sua mente. Non c’era bisogno di girare intorno all’argomento.
«Hai anche il coraggio di biasimarmi?» sfidò. «T’avevo chiesto di stare buono per l’ultima settimana – ché lo sai che l’ultima settimana per noi è un casino – e tu cosa fai?»
Contò uno. «Metti Steel nei guai.» Contò due. «Evadi dalla punizione e mi porti Thallia alla porta.» Contò tre. «Scali otto metri di grondaia con l’equilibrio parzialmente compromesso e ti fai trovare semicosciente nel sacco. Perciò sì, mi sono stizzito.»
A predominare nel tono contenuto dello xarthar c’era il rimprovero. Poi, prima che l’altro rispondesse, aggiunse: «Ti rendi conto almeno un po’ del rischio che hai corso?»
«Uh, quello. Che vuoi che fosse.» e sventolò una mano con aria indolente. Il mondo aveva ballato come un metronomo mentre si arrampicava sulla grondaia, ma non era certo un dettaglio così importante.
«Neanche un po’, Lys? Sul serio?»
«Arrivare a ingaggiare uno scontro con la Donno: quello è un rischio! E uscirne vivo è a dir poco epico!»
«So già tutto.» tagliò corto Reshan, bloccando sul nascere quella che prometteva di essere una lunga narrazione diversiva. «Ti sei scusato con Steel, almeno?»
Sguardo accusatorio. Per sostenerlo Ulysses mostrò la sua faccia innocente più convinta. «Dovevo? È stato un incidente!»
Il pipistrello si fece scettico. «Ma davvero? E da quando tu, che declami la tua brillantezza dalla mattina alla sera, ti appropri senza cognizione di faldoni alti dieci centimetri?»
Ulysses, per tenere la copertura al piano elaborato con Linda, si affrettò a ribadire che lui era del tutto innocente. Lo xarthar gli rispose con uno sbuffo.
Allora tirò fuori il tono da vittima. «Ehi, dammi almeno il beneficio del dubbio! Una distrazione può capitare a chiunque!»
* * * * * *
Alla fine della serata, quando tutti i brani furono completamente tradotti, i due uscirono dalla biblioteca. Reshan si sentiva soddisfatto, soprattutto per aver coinvolto il perfetto e brillante Ulysses Yale nella sua lotta con quel mostro grammaticale del quinto ceppo. Il pilota per questo era un po’ meno contento dell’amico, ma in fondo sapeva di essersela cavata con poco. E poi era anche riuscito a impiantare un paio di suggerimenti nella mente dello xarthar: questo da solo valeva tutta la sudata sull’ultimo brano.
Attraversarono il giardino con calma, diretti ai dormitori. Durante il tragitto Ulysses monopolizzò il discorso, trascinandolo sulle gesta eroiche compiute nella simulazione di combattimento avuta quel pomeriggio, prima che i fatti degenerassero e lui marinasse la punizione così ingiustamente subita.
 
Il giardino era l’elemento di raccordo di tutti gli edifici del complesso. A nord c’era la zona residenziale, con le torri speculari e il basso corpo che le univa. Ad est, alle loro spalle, c’era la biblioteca, con la facciata in vetro nervata da archi in acciaio. Ad ovest c’erano i poligoni di tiro, gli hangar e un paio di altri edifici più bassi. Al centro esatto, infine, svettava l’Accademia vera e propria, con la sua pianta cruciforme.
Stavano aggirando quest’ultima quando la discussione fu bruscamente troncata da un rumore di fondo, tanto improvviso quanto anomalo, che li fece voltare verso l’angolo dell’edificio.
«Hai sentito?» mormorò Ulysses.
«Già. Qualcosa di metallico è caduto. Qualcuno sta imprecando.» rispose Reshan, guardandosi intorno con attenzione. L’amico lo fissò a occhi sgranati.
«Addirittura le imprecazioni senti?»
«Non ho le orecchie così grosse solo per farmi prendere in giro. E poi a quest’ora i suoni...»
Si bloccò. Per un secondo netto il corpo, l’espressione e i pensieri rimasero congelati. Poi, abbassando il tono di voce ad un fruscio a malapena udibile, ordinò: «Switcha
Il tono allarmato con cui espresse quell’unica parola fece sì che il lombax aprisse un canale telepatico senza fare altre domande.
«Andiamo via. Questo non è un allievo.»
«Magari è una matricola che s’è persa.»
Reshan lo afferrò per un braccio. Successe come con Jack: Ulysses si trovò di nuovo a provare un’emozione non sua. Solo che lo xarthar non stava provando ansia, ma paura. Desiderava fuggire, mettersi al riparo.
«Via dalle luci. Facciamo il giro lungo.» disse trascinandolo dentro un’aiuola. Il contatto terminò lì, e con esso le emozioni clandestine.
Mentre si allontanavano, nascosti dalle fronde di una fila di palme, il lombax chiuse il canale telepatico con lo xarthar ed espanse le sue percezioni alla ricerca di chiccheffose fuori a quell’ora. Dopo alcuni secondi tornò indietro, scornato. Non era arrivato molto lontano prima che la sua abilità si disperdesse. Significava che l’individuo aveva un antipaticissimo emettitore di onde tachys.
Vorrà dire che frugherò nella memoria di Re.
* * * * * *
“Indigo mi ucciderebbe se mandassi a puttane il piano... Per fortuna che non è esplosa. Non che se fosse esplosa sarebbe andata diversamente... Fai vedere... no, è solo ammaccata. La aggiungerò alle altre. E per fortuna che è abbastanza tardi che non circola nessuno. Sai che palle gestire i cadaveri.”
 
“Però la prossima volta ci faccio venire Indigo qui, e che diamine! Non ho più l’età per questi lavori di fatica; non ce l’ho proprio più.”
 
“Bah, spero che dopodomani ‘sta roba funzioni. Indigo è bravo coi congegni, ma ‘sta roba per me è troppo naïf.”
* * * * * *
Raggiunsero il dormitorio a passo svelto, nascosti all’ombra delle palme. La robot all’ingresso, adocchiatili, chiese loro se avessero visto un fantasma. I due, per la fretta, a momenti non risposero nemmeno. Borbottarono qualcosa di sconnesso e tirarono su per le scale.
In camera non si sentirono molto più tranquilli. Reshan prese a fare avanti e indietro mentre Ulysses, l’ultimo a entrare, rimase appiattito contro la porta.
«L’hai sentito anche tu, vero?» domandò lo xarthar, fermandosi al terzo passaggio davanti alla scrivania. «Cioè, hai letto..- »
«No. Usava un emettitore tachys; ho letto i tuoi ricordi.»
Attimo di silenzio. Poi il lombax riprese: «Se penso facevamo tutto quel casino mi sento male.»
«Siamo stati fortunati.»
«E anche qualcosa di più, mondo infame. Pensa se ci avesse sentito prima lui...»
Reshan non rispose. Non volle pensarci, e per non farlo si gettò a capofitto su quel nome, Indigo. Era curioso come riuscisse a metterlo in allerta tanto efficacemente. Infatti era stato quello a fargli scattare l’allarme. Se la voce se non l’avesse citato, non avrebbe dato peso al suo gracchiare. E chicchefosse l’aveva citato ben due volte.
«Chi poteva essere?» domandò Ulysses.
Il medico si fermò di nuovo, e stavolta si lasciò cadere seduto sul letto. «Non ne ho idea.» La voce si era riferita ad un certo Indigo e quel nome lo tormentava da quando l’aveva udito. Poteva essere quell’Indigo quanto un perfetto sconosciuto.
«Ha parlato di esplosioni.» ricordò. «Non credo che fosse una metafora. E poi ha parlato di non avere più l’età. Di sicuro non è trentenne né adolescente.»
«Quello potevo dirlo anch’io. Nessuno che ha quella voce gracchiante fuma da meno di vent’anni. Minimo minimo gliene do quaranta.» stabilì il lombax. «E poi ha detto che dopodomani è un grande giorno.»
«C’è qualche evento, che tu sappia? Qualche riunione, magari?»
«Boh, magari c’è un meeting di cervelli. Però di solito ci sono i volantini.»
Scossi ma curiosi, cominciarono a costruire congetture. Alla fine, però, andarono a letto senza aver cavato un ragno dal buco.
* * * * * *
Shape, intanto, appoggiato alla balaustra che orlava il tetto dell’edificio centrale, si godeva una sigaretta. Dietro di sé il generatore della barriera ronzava tranquillo.
Era stata l’ennesima nottata di lavoro infame. Materializzare le bombole, caricarle con l’energia del generatore e smaterializzarle nuovamente. Quegli affari, vuoti, pesavano più di venti chili. Quanto pesassero da pieni non voleva manco saperlo. Gli bastava sapere che al momento della detonazione sarebbe stato in un posto sicuro.
Finì di tirare il tabacco, poi dalla polsiera materializzò un porta cicche e vi fece sparire ciò che restava.
«Dov’è che vanno queste?» mormorò, schiacciando un pulsantino sulla scatolina metallica. Il congegno, quasi come se l’avesse interrogato, proiettò una serie di riproduzioni 3D del complesso accademico. Quasi tutti gli edifici erano in verde. L’unico in giallo era proprio quello cruciforme. Shape vide che mancavano due piani al completamento dell’opera. Era nei tempi, pensò con soddisfazione.
Mise via il porta cicche e si concentrò. I fianchi dritti si arcuarono, il ventre si appiattì, la figura si slanciò. Dove, fino a poco prima, c’era stato un kerwaniano di mezz’età, in quel momento c’era una giovane lombax. Rapida, l’alunna nota come Iridel Karpitch materializzò una divisa del corso Soldati e si cambiò. Era ora di rientrare nel dormitorio.
«Goditi la pace, Capital City. Dopodomani ballerai al ritmo delle bombe.»

Ho aggiornato la guida aggiungendo il gergo lyssiano. Lo trovate nella Parte VI.
Grazie per la lettura!
 
Alla prossima!

 

   
 
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